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Full text of "Poesie di mille autori intorno a Dante Alighieri;"

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POESIE 

DI   MILLE   AUTORI 


INTORNO   A 


DANTE  ALIGHIERI 

RACCOLTE 

ED    ORDINATI-     CRONOLOGICAMENTE 
CON    NOTE    STORICHE,    BIBLIOGRAFICHE    E    BIOGRAFICHE 

DA 

CARLO  DEL  BALZO 


Volume  XIV: 


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ROMA 


FORZANI  E  C.  TIPOGRAFI  DEL  SENATO,  EDITORI 

PALAZZO     MADAMA 


1908 


POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


IXTOEMO   A 


DANTE  ALIGHIERI 


Edizione  di  500  esemplari  numerati. 


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POESIE 

DI  MILLE  AUTORI 


INTORNO    A 


DANTE  ALIGHIERI 


f 

!  RACCOLTE 


ED  ORDINATE  CRONOLOGICAMENTE 
CON   NOTE   STORICHE,   BIBLIOGRAFICHE  E   BIOGRAFICHE 

DA 

CARLO  DEL  BALZO 
Volume  XIV. 


f 

[  ROMA 


FORZAMI   E   C.   TIPOGRAFI    DEL   SENATO,   EDITORI 
1908 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 


^^^^^p 

DCCIII. 
F.   Berardinelli. 

Italia. 

Canti  pel  sesto  centenario  di  Dante. 
(14  maggio  1865). 

Il  TiTcnte,  in  tut  tìu,  e'  Ti  confcMft, 
Siccom'oggi  ancor  io,  Tua  ventate 
Di  padre  in  6glio  tema  6n  traimeata. 
Esechia. 

L 

Parinì,  Alfieri,  Leopardi,  Giusti, 

Contro  il  vizio  implacati,  a' quali  alzava 
Italia,  in  dò  concorde,  e  laudi  e  busti; 

Deh,  se  la  musa  in  voi  tanto  sdegnava 
Il  secolo,  e  il  già  putrido  seccume, 
E  le  nuove  stoltezze  flagellava; 

Italia  dunque  scossa,  e  al  vostro  lume 
Vedendo  innanzi  a  sé  la  via  smarrita, 
Bramò  di  rinnovar  mente  e  costume? 

La  fiacca  del  patrizio  oscena  vita 

Derise  il  primo,  a  un  altro  volgo,  asceso 
Col  subito  arricchir  delizia  ambita, 


POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


Se  di  viver  col  nome  unqua  fu  reso 
Nel  sonno  e  l'ozio  seppellir  la  mente. 
Col  turpe  il  senso  a  trionfare  inteso. 

E  in  questo  il  grandeggiar  superbamente. 
Il  sommo  ben,  nell'Itale  cittadi, 
Sull'altra  oppressa  o  non  curata  gente. 

I  vìncoli  cosi  fatti  più  radi 
Di  carità,  di  patria;  e  invece  (oh,  scherno  1) 
Di  Gallia  i  modi  eretti  a  deìtadi. 

Per  che  dell' Astegian  sboccò  Y  interno 
Sdegno,  e  fiottando,  insiem  d'onta  copriva 
Il  Gallo  insano  e  il  nostro  vizio  etemo. 

È  repubblica  il  suolo,  egli  scolpiva. 
Ove  in  divine  leggi  han  base  e  scudo 
Le  umane,  e  impune  mai  l'offesa  arriva. 

E  dove  il  volgo,  eh'  è  di  senno  ignudo. 
S'educa  al  giusto  e  alla  fatica,  e  infrena 
Che  non  diventi  per  licenza  crudo. 

Né  di  Ferney  lasciò  l' infausta  vena. 
Che  col  facile  nulla  e  insiem  col  rìso. 
Di  folli  e  d'empii  sconfinò  la  piena. 

Ma  pur,  come  animai  che  il  verno  assiso 
In  fonda  cava,  poi  lo  irrita  il  sole; 
Tale  il  raggio  del  vero  a  Italia  inviso. 

Onde  con  alte  e  lugubri  parole. 
Il  terzo  vate  seguitò:  Disceso 
É  il  saggio,  in  forza  delle  turbe  sole 

È  il  mondo.  Italia!  e  or  tu  non  senti  il  peso 
Della  vergogna?  E  la  virtù  degli  avi 
Inutil  nome  alle  tue  orecchie  è  reso? 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 

Voi  spose  almaaco  il  vituperio  aggravi. 
Cessi  del  sangue  vostro  il  germe  impuro, 
Non  educate  alla  fortuna  schiavi. 

Ma,  frolli  a  mezzo,  frollerà  il  futuro 
Quanta  parte  di  noi  rimase  illesa; 
Che  già  vicino  a  rovinare  il  muro 

La  crepa  deir  intonaco  palesa! 
Questa,  col  sale  del  beffardo  stile,- 
Risposta  amara  fu  del  Giusti  intesa. 

Dunque  ebbe  Italia  infìn  sé  stessa  a  vile. 
Riscossa  a  un  tratto  de' suoi  eccessi  al  tuono. 
All'acuto  lezzar  di  suo  covile? 

Se  questi  applaude,  e  se  vero  anche  è  il  suono 
Che  onor  rinnova  al  suo  divin  Poeta, 
Del  retto  accesi  omai  gli  animi  sono  ? 

Iddio  dunque  è  fra  noi  principio  e  meta. 
Suo  culto  eccelso,  perchè  sacra  è  Roma, 
D'incensi  e  d'inni  il  nostro  cielo  allieta? 

Come  fulgida  gemma  in  regia  chioma. 
Siede  di  Dio  la  legge  all'altre  in  cima. 
Perchè  son  leggi,  e  non  d'arbitrii  soma  ? 

Della  gente  civil  dunque  la  prima 

Queir  è  che  il  censo,  avito  o  novo,  al  bene 
Rivolge,  esempio  a  la  mezzana  e  all'  ima  ? 

Rotte  dell'  ignoranza  le  catene. 
Fugge  il  volgo  le  colpe,  e  onore  e  pane 
Di  novo  sangue  gli  rifan  le  vene? 

L' Italo  senno  e  la  fortezza,  strane 
Cose  non  più  fra  noi,  ma  dalla  cuna 
Ricominciano  a  far  l'anime  sane? 


POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

La  gioventù  non  corre  di  fortuna 
A*  mortiferi  doni,  e  invece  ha  cari 
I  danni,  onde  virtù  sua  strada  imprima? 

Verace  scienza  avvien  che  a  noi  rischiari 
L'ordin  della  Sapienza  creatrice, 
Al  qual  chi  è  cieco  o  avverso  ha  giorni  amari  ? 

Risorge  Italia  infin,  nova  fenice. 
Dal  cener  suo,  di  sé  rifatta  donna. 
Non  più  schiava  de'  Galli  o  imitatrice  ? 

Italia  alla  sua  gloria  si  dissonna? 

II. 

Italia?  E  quando,  ahi,  divo  Alighier,  com'ora 
Fu  del  tuo  inferno  immago  ella  più  fida, 
E  dell'  inferno  tuo  più  orrenda  ancora  ? 

Qual  delle  bolge  che  l'abisso  annida. 
De'  leggidanti  suoi  pari  alla  cava? 
Qual  bolgia  udlo  d'un  Petruccel  le  strida? 

Del  Papa  il  Dio  perisca,  egli  gridava. 
La  Provvidenza  via;  fu  Garibaldi 
La  provvidenza  che  Vittorio  alzava! 

E  i  sozi  lieti;  e  a  stormo  altri  ribaldi 

Vociar  dietro  al  Nizzardo:  O  Roma  o  morte! 
In  rosso  incamiciati  da  spavaldi. 

I  tempii  invasi,  le  sostanze  assorte 
Sacre  al  culto  di  Dio,  vituperati 
I  sacerdoti,  in  fuga,  in  le  ritorte. 

Sotto  nome  di  leggi  ammantellati 
Arbitrii  iniqui  ;  una  vorace  sete 
D'  oro  e  vendetta  accumular  dettati. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI. 

Venite  innanzi  voi,  che  i  primi  siete 
Fabbri  d' Italia,  e  se  alla  magna  impresa 
Questo  è  il  cammino  o  il  fin  mi  rispondete? 

Coir  epa  grassa  e  con  la  vista  lesa, 
Padre  Cavour,  quest'  è  la  libertà 
Che  promettevi,  e  la  libera  Chiesa  ? 

Libero  Stato,  sola  verità 

Di  tue  menzogne:  e  d*onde  Italia  infine 
Ne'  parricidi  suoi  ebbe  unità. 

I  parricidi,  che  aggiustando  al  crine 
Deir  infranta  corona  i  pezzi,  a  galla 
Van  suir  onde  fecciose  cittadine. 

Prima  razza  davvero  e  prima  stalla, 
Air  armento  minor  d*  esempio,  come 
La  bestia  impingua  sul  comun  che  avvalla. 

E  qual  linguaggio  mai  può  darmi  un  nome, 
A  dir  le  moltitudini  eflferate, 
Disbramandosi  sempre,  e  sempre  indome? 

Crapule  e  lupanari  ogni  cittade, 
Dirotti  ladrocinii  ;  e  per  istinto. 
Di  sangue  uman  le  terre  abbeverate. 

Fu  lasciato  da  te  correre,  o  spinto, 
Farini;  il  qual  tuttor  col  corpo  vai, 
Mentre  ha  V  anima  già  l' inferno  attinto  ; 

Da  te  lo  scempio,  perchè  torse  i  rai 

Da  Parma  il  sol,  te  governante?  Orrore, 
Che  quello  su  Basvil  vinse  d*  assai  ! 

E  come  al  tuono  seguita  il  furore 
Della  bufèra,  che  distrugge,  e  spande 
Ne'  campi  intorno  tenebre  e  terrore; 


IO  POESIE  Ql  MILLE  AUTORI 

Per  te  milizie  convertite  in  bande, 
Calpestando  ogni  fé,  negando  Dio 
Nelle  Marche  compir  gesta  nefande. 

E  con  te  a'  fianchi  ruzzolò  il  pendio 
II  Re  Sabaudo,  fin  sul  reo  Sebeto, 
Dove  la  man  con  Garibaldi  unio. 

E  dettato  da  te  scrisse  il  decreto. 

Che  chiamò  gloria  il  tradimento,  e  al  male 
Disciolse  il  vulgo  baldanzoso  e  lieto. 

Ardon  le  stragi  e  i  danni  il  Regno,  a  tale 
Che  da'  tiranni  suoi  quanti  ebbe  in  una 
E  danni  e  stragi  non  farien  V  eguale. 

Sono  a  fronte  due  pani.  Incendia  V  una 
D' Italia  in  nome,  e  aramazza  e  si  rincagna 
Fin  contro  vecchi  e  donne  e  infanti,  e  affuna. 

E  perchè  Y  altra  indietro  non  rimagna. 
Brucia,  rapina,  uccide,  il  sangue  spreme, 
E  smembra,  e  squarta  e  cava  fuor  l'entragna. 

O  veramente  rinnovato  seme 
De'  prischi  padri  !  O  mia  virtù  Latina, 
Che  rifiorisci  di  feconda  speme! 

O  popolo  verace,  in  cui  s'aflSna 
L'amor  del  ben,  e  alle  grandi  opre  il  senno! 
A  tua  sapienza  più  che  cittadina 

Imperiali  facoltà  si  denno; 

Ben  quindi  al  voto  tuo,  di  regni  sette 
Un  solo  regno,  e  un  solo  re  si  fenno. 

È  reo  di  maestà  chi  non  sommette 

La  fronte  al  tuo  volere;  o  sia  che  il  chiami 
Menzogna  infame  di  accecate  sètte. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  ti 

Che  popol  non  fu  mai  che  cerchi  ed  ami 
Quel  che  non  sa;  ma  plebe  sì  che  corre 
Con  chi  a  promesse  è  largo,  o  che  la  sfami. 

E  qual  gente  potria,  qual  rege  imporre, 
Non  folleggiando,  il  proprio  sterminare 
E  un  comune  fantastico  comporre  ? 

E  già  qual  fìa  la  messe  da  segare, 
Ben  a'  campi  si  vede  ;  e  quai  saranno 
I  novi  arnesi,  alla  fucina  appare. 

Di  tanto  sangue  e  lutto  nasceranno 
Ad  altro  i  figli  che  a  vendetta?  Ahi  sempre 
D'inique  età  perverse  età  si  fanno? 

E  se  air  ingegno  giovanil  le  tempre 
Cangiano  i  novi  fabbri,  acciò  la  scienza 
Con  la  nova  virtù  calzi  e  contempre, 

Che  fia  quinci  il  saper?  Notte  e  demenza. 


III. 

In  tutti  i  tempi  già,  tutti  i  paesi. 
Se  fu  saper,  sua  origin  fu  la  niente 
Sommessa  a  Dio.  Cosi  gli  animi  attesi 

Non  al  senso  ma  al  ver,  nel  rimanente 
Dovunque  il  Ver  cercar©  ;  e  la  sua  luce 
Al  dritto  amore,  al  ben  destò  la  gente. 

Il  Ver,  che  omai  per  grazia  ne  conduce 
Al  suo  fonte,  eh*  è  Amore,  il  Ben,  Dio  stesso. 
Da  poi  che  apparve  a  noi  cammino  e  duce. 

Uno  il  sapere  in  noi  :  specchio  che  impresso 
Dell'  esser,  quanto  cape  in  sé  n'  accoglie, 
E  al  pensier  lascia  argomentar  T  eccesso. 


12  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Vasto  àrbore,  che  il  rio  delle  sue  foglie 
Dipinge,  e  a  quella  imagin  non  s*  appaga 
La  mente,  e  il  fusto  a  ricercar  si  toglie. 

Uno  il  sapere  :  la  riflessa  e  vaga 

E  rotta  immagin,  scienza;  e  il  resto  è  fede 
Che  neir  eterno  1'  anima  dilaga. 

Uno  il  sapere  :  e  chi  pensa  e  non  crede, 
Uomo  è  deliro,  che  chiama  ragione 
Negar  quant*  oltre  il  ciel  occhio  non  vede. 

E  chi  mozza  il  saper,  turba  e  scompone 
La  vita;  e  sovrappon  Cesare  a  Cristo, 
E  riduce  il  Vangelio  a  opinione. 

E  ben  fu  questo  il  prezioso  acquisto 
Che  feo  V  Italia  ;  e  eh'  or  de*  suoi  licei 
É  il  latte,  inacetito  anche  più  tristo. 

Oggi  che  air  istruir  son  corifei 

Un  Ridolfi,  un  Desantis,  un  Mamiani, 
Vesciche  piene  di  concetti  rei, 

E  il  Matteucci,  che  1*  unghiate  mani 
Nel  Nobili  e  il  Linari  intrise;  e  il  folle 
Di  regicidi  lodator  Imbriani. 

E  il  Lambruschin,  che  a  Figline  le  zolle 
E  i  bachi  tormentando,  e  con  la  penna 
Venduta  del  Barone  a  le  satolle, 

Universale  educator  s*  impenna; 
Deriso  fin  da*  suoi  per  Luterino, 
Mereiaio  di  fronzoi,  che  rubò  a  la  Senna. 

Immagini  chi  può  quindi  il  giardino 
De'  professor  !  Pnssaglia,  Gennarelli 
In  maschera  di  Vico  burattino. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  I3 

Son  fiori  in  lor  nequizia,  allato  a'  felli 
Lor  consorti  Dall'  Ongaro  e  Vannucci, 
Ben  degni  di  sedere  altri  sgabelli. 

Questo  i  ladri  Capozzi,  uomin  di  crucci 
E  sangue,  chiama  martiri  ed  eroi; 
Quello,  perchè  la  gioventute  succi 

Più  soave  il  licor,  alza  ne'  suoi 
Versi  la  prostituta.  Apriti  o  terra, 
Fa  che  Y  inferno  la  sua  bava  ingoi  I 

E  tu,  divo  Alighier,  gli  occhi  disserra, 
Tu  che  a  formar  l'angelica  farfalla 
Gridi  eh'  è  posto  V  uom  sopra  la  Terra  ; 

E  che  qualunque  via  mostri  che  falla 
Che  non  sia  Cristo;  e  che  cittade  vera, 
Di  volontati  accordo,  non  s'  astalla 

Che  in  Cristo  solo  ;  ed  Ei  Y  eterna  spera, 
Onde  la  scienza;  ed  Ei  virtù  infinita. 
Che  alla  nostra  virtù  dà  forza  intera; 

Apri  gli  occhi,  o  divin,  che  vuoi  la  vita 
In  Cristo  tutta,  e  vedi  in  quai  dottrine 
La  gioventude  Italica  è  nudrita! 

Vedi  la  morte,  vedi  le  ruine; 
E  come  nelle  scuole,  ove  di  basti 
S*  incarcano  gì'  ingegni,  e  in  cui  le  Erine 

Spengono  il  santo  amore,  e'  pensieri  casti. 
Tratta  è  la  gioventù  nell'  orgie,  eh'  ebbre 
Martellano  1'  Uom  Dio,  che  tu  cantasti. 

E  cecità  la  tragge,  e  si  la  febbre 

Che  anzi  tempo  1'  abbrucia  di  potere, 
E  d'  arricchir  divoratrici  lebbre. 


14  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

E  se  stanco  non  sei  di  più  vedere, 
Guarda  la  vaga  Toscana  favella, 
Mirabil  veste  a  tuo  sommo  sapere. 

Che  come  se  in  bel  corpo  alma  più  bella 
Mancò,  non  perde  e'  pur  grazia  e  virtute. 
Ma  la  sua  forma  si  guasta  e  ribella; 

Tal  le  Toscane  lettere  perdute, 
E  si  corrotto  il  limpido  linguaggio, 
Che  meglio  ne  sarian  le  lìngue  mute. 

E  perchè  a  colmo  venisse  V  oltraggio. 
Dell' AUobrogo  Re  distesi  al  piede 
Gli  Accademici,  un  di  coro  si  saggio. 

De'  tuoi  dettati  rifacendo  scede, 
A6Ferman  sia  per  divenir  più  degno 
L'Italico  sermone,  avendo  a  sede 

Non  più  Firenze,  ma  (stoltizia  1)  un  regno. 

IV. 

In  cosi  cieco  tempestoso  fiume 

Gittossi  Italia;  e  mentre  corre  a  morte, 
Vaneggia  che  al  suo  voi  batte  le  piume. 

E  scende  in  mare  con  le  mani  attorte, 
Dipoi  che  al  Gallo,  in  novi  danni  acceso. 
La  forsennata  spalancò  le  porte. 

Oh,  iniquamente  al  primo  seggio  asceso. 
Delirante  Cavour,  anche  nell'  ora 
In  che  sparisti  da  delirio  offeso! 

Come  il  crestato  serpe  avvolto  esplora, 
E  i  volanti  men  cauti  affisa,  e  tira 
In  sue  spire  magnetiche,  e  divora; 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  I5 

Siede  in  sua  cupa  reggia  il  Corso,  e  mira; 
Inconscio  che  a  flagel  di  regi  e  gente, 
Possa  alla  frode  diègli  addio  neli'  ira. 

In  forza  gli  lasciò  Francia  demente, 
Che  sol  che  tocca  da  fantasmi,  al  pari 
Licenza  e  tirannia  seguita  ardente. 

E  al  primo  Corso  diella;  e  i  focolari 
Hi  disertò  d' Italia,  e  i  colti  seni, 
E  neir  arche  affondò  gli  artigli  avari. 

E  pure  in  esso  e  libertade  e  beni 
Vagheggiava  la  putta  in  brago  assisa, 
Tutta  sferzata  a  sangue  nelle  reni. 

Oh,  vendetta  di  Dio,  chi  ben  1*  avvisa  ! 
Le  marce  membra  allor  punia  col  foco; 
Ma  oggi  che  nel  suo  fango  ella  è  più  intrìsa, 

Infellonisce  di  superbia,  e  loco 
Né  a  ragion  lascia,  né  a  virtù,  né  a  Dio, 
Del  terzo  Corso  divenuta  è  gioco. 

Dell'  angue  coronato  a  un  sufolìo. 
Di  subito  Cavour,  1*  ali  spiegate. 
Come  augello  di  tenebre  ne  gio. 

Stringe  neir  una  branca  agglomerate 
Le  abbominande,  e  fra  sé  avverse  fila 
Delle  Italiche  sètte  disperate; 

Il  manico  d'  un  brando  Y  altra  infila, 
Di  regi  un  tempo  il  cui  spuntato  acciaro 
Uno  stuol  di  giudei  comprollo  e  aflBla. 

Ciò  che  avvenne  fra*  due,  lo  dimostraro 
I  piani  Cisalpin,  l'  armi  Francesche, 
Che  il  servaggio  Latin  vi  conquistaro. 


l6  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Perpetuo  campo,  in  che  Y  ire  Tedesche 
Avvicendali  co'  Galli  imperio  iniquo; 
E  sempre  Italia  in  questa  o  in  quella  tresca; 

Sempre  sognando  di  rifar  1'  antiquo. 
Senza  senno  e  virtù,  che  son  dal  Cielo, 
Né  coir  ardir,  ma  per  cammino  obliquo. 

Strappatevi  dagli  occhi  il  turpe  velo, 
E  mirate  lo  scherno  lacrimoso, 
Mirate  i  frutti  omai  del  Corso  zelo. 

Né  dico  a  voi,  pe'  quali  Italia  ha  roso 
Già  le  viscere  sue,  schiavi  rubelli. 
Che  di  volgermi  a  voi  sarei  sdegnoso. 

A  voi,  bruttura  di  bugiardi  avelli, 

E  Boncompagni  al  titolo,  e  Minghetti, 
E  Ricasoli,  Amari,  Pisanelli; 

E  a  voi,  che  scempi  e  rei,  agita  i  petti 
Chi  in  Aspromonte  alfin  cadde  derìso, 
Da  poi  eh*  empio  di  guerra  e  pianto  i  tetti. 

Ma  a  te,  se  pur  vi  sei,  parlar  diviso, 
Eletta  gioventù,  che.  Iddio  nel  core, 
D' Italia  al  nome  ti  rinfiammi  in  viso. 

Oh,  bello  in  su  la  Terra  il  patrio  amore. 

Che  ogni  altro  aftetto  uman  raccoglie  e  avviva, 
E  di  tutti  non  fa  eh'  uno  splendore  ! 

Oh,  bello  il  patrio  amor,  con  cui  la  diva 
Fé  s'accompagna,  e  più  l'affina,  e  stende 
La  sua  virtù  dovunque  il  sole  arriva! 

E  ben  misero  quei  che  non  intende. 
Che  a  noi  la  patria  è  Caritate,  Aurora, 
A  cui  succede  il  Sol  ch'eterno  splende. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  17 

E  più  infelice  chi  la  cerca  ancora 
In  Bruto  e  Decio,  poscia  che  Maria 
La  fonte  dell'Amor  ne  sparge  e  indora. 

Vedete  adunque  la  brutal  follia 

Che  ha  perso  Italia,  se  chiamar  si  deggia 
Amor  di  patria,  o  nemidzia  ria; 

Se  libertate,  o  tirannia  che  aggreggia? 


Vago  giardino,  in  cui  le  verdi  chiome 
Spande  1'  olivo,  e  il  pampino  rabbella 
La  colma  spiga,  e  ridon  prati  e  pome, 

D' lulia  immago,  e  perchè  varia,  bella  ; 
E  diverse  in  grandezza  e  statue  e  tele. 
Onde  sala  magnifica  s'abbella, 

E,  ohimè,  una  furia  con  sua  man  crudele 
Dirompe,  e  arreca  tutto  a  una  misura 
Deir  opre  e  piante,  e  le  ritinge  in  fele! 

E  due  parti  d' Italia,  alla  struttura 
Marini  mostri,  un  di  Scilla  e  Cariddi; 
Ma  per  tutti  rifar  d'  una  natura. 

In  rete  apparecchiata  entrar  le  viddi; 

Che  scosse  a  un  tratto  e  imperversando,  invano 
Vien  eh'  altri  in  ritenerle  insudi  e  riddi. 

Neil*  ampia  terra  a  mezzo  1'  oceano. 

Che  da  Amerigo  un  di  suo  nome  prese, 
Oltre  che  giunger  suol  rigoglio  umano, 

Popolo  di  più  Stati  in  breve  ascese; 
Suti  cosi  fra  lor  giunti  in  un  tutto. 
Che  raro  esempio  social  si  rese. 

Dn  Balio.  VoL  XIV.  2 


l8  POESIE  DI  MaLE  AUTORI 

E  'quivi  libertà,  quivi  distrutto 

Il  reo  bisogno,  e  quindi  veleggiava 

Su'  mari  ovunque  di  sue  messi  il  frutto. 

Potente  esempio!  Italia  delirava, 
Neir  unità  cercando  ogni  suo  bene; 
E  colà  contro  V  un  1'  altro  s*  armava, 

In  civil  guerra  a  insanguinar  1*  arene. 
Volendo  sciolta  T  unità,  che  alcuno 
Se  giova,  i  molti  inceppa  e  non  sovviene. 

Chi  r  occhio  della  mente  ha  tanto  bruno 
A  non  veder,  che  fuor  di  quell'amore 
Che  in  Dio  congiunge,  violenza  è  l'uno? 

E  dov'  è  dritto  amor,  ivi  è  splendore 

Del  ver,  che  mostra  come  il  proprio  è  tale. 
Che  cangiato  in  comun,  s'altera  e  muore. 

Che  propria  compagnia  queir  è,  che  vale 
A  contenerla  il  giusto,  e  non  lo  stolto 
Che  imponga  al  saggio,  e  non  sul  bene  il  male. 

Che  neir  iniqua  via  1'  uomo  è  rivolto 
In  giro  sempre,  e  il  precipizio  è  uscita; 
Che  cammin  di  nequizia  Italia  ha  tolto. 

Non  virtute  la  sua  di  molte  unita, 

Onde  ciascuna  di  abbracciarsi  accresce, 
E  più  torna  benefica  alla  vita; 

Ma  forza  invece,  che  a  suo  desco  mesce 

Quanto  Inganno  e  Rapina  in  man  le  han  posto, 
E  che  tutto  percote  e  tutto  mesce. 

Questo  in  eterno  fu  da  Dio  disposto, 

Che  ogni  popol  sé  stesso  abbia  in  governo. 
Seguendo  il  lume  alla  ragion  preposto; 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  I9 

Ma  se,  lasciato  il  regolo  superno, 

Avvenga  o  che  addormentasi  o  scatena, 
Quivi  il  tiranno,  o  il  crudo  imperio  estemo. 

Oh,  delle  cose  arcana  alta  catena. 
Che  non  ti  sveli  all'  anima,  se  pria 
Sollevandola  Amor,  non  1*  inserena! 

Guerra  la  vita  air  uomo  ;  la  follia 
Sola  r  ignora.  E  se  a  pugnar  ci  volle 
Quei  che  può  tutto,  cosi  è  ben  che  sia. 

L'intelletto  pugnando  al  ver  s'estolle; 
Né  men  la  volontà  pugnando  il  segue 
Su  di  Giustizia  al  faticoso  colle. 

Pugna  r  affetto,  perchè  al  ben  s*  adegue, 
Contro  la  voglia  e  il  duol,  quando  le  cose 
Dilette  e  belle  ei  perde,  o  non  consegue. 

Se  Iddio  dunque  a  lottar  1'  alma  dispose, 
E  premio  è  il  vero,  il  giusto,  il  bene,  Iddio 
Sé  stesso  in  premio  della  lizza  pose? 

Dunque,  etemo  Signor,  come  poss'io 
Mai  dubitar,  che  se  vincendo  ottengo 
Di  Te  un  lampo  quaggiù,  poi  non  m' indio  ? 

Nel  senso,  a  tanto  eccesso,  abbaglio,  svengo; 
Ma  Tua  voce  certissima  m'  affida, 
M'  affida  T  amor  Tuo,  eh'  io  non  mi  spengo. 

E  no,  non  é  ragion,  se  non  mi  guida 
All'  alma  fede,  o  se  la  nega,  e  insana 
Abbandonando  il  campo,  in  sé  confida. 

Perisce  quivi  la  natura  umana, 

Non  popolo,  ma  gregge  al  ventre  inteso. 
Non  più  cittate,  ma  di  belve  tana. 


20  POESJ£  DI  MILLE  AUTORI 

Onde  a  prestarle  han  poi  V  animo  acceso 
Ciro,  Alessandro,  e  un  freno  sol  costrìnge 

I  tanti  e  tanti  in  un  sol  regno  esteso. 

Unitate  o  supplizio,  che  dipinge 
Non  la  viu  di  un  popolo,  la  morte. 
Che  morte  della  mente  vel  sospinge. 

Ahi  !  r  unità  d' Italia.  Ed  ebbe  in  sorte 
Questa  grandezza  ancor  suir  altre  genti. 
Che  feo  con  le  sue  man  le  sue  ritorte; 

E  senz'  attender  nuove  orde  furenti. 
Vaga  di  Roma  del  Cesareo  impero. 
Squarciò  sé  stessa  co'  suoi  stessi  denti. 

E  gii  a  tanto  insanire,  a  unto  fero 
Distruggimento,  il  fin  de*  suoi  proposti 
Vede  il  Corso  vicino  in  suo  pensiero: 

E  come  granchio  che  lento  s'  accosti 
La  preda  in  fìra  due  bocche  a  rinserrare, 
Italia  e'  d' inforcar  sembra  che  apposti 

E  lascia  intanto  in  Pesaro  acclamare 
Dagl'  Itali  il  Peruzzi,  che  a  Rossini 
Musico  e  Ciacco  al  par  alza  un  aitare. 

E  che  insieme  un  altare  i  Fiorentini 
Elevino  a  Peruzzi;  che  saldato 

II  conto  a'  Torinesi,  i  lor  festini 

Farà  che  ottenga  l'Arno  e  il  principato. 

VI. 

Che  già  il  timone  italico,  dal  seggio 
Di  poppa,  traslocar  comanda  al  fianco. 
Che  impelagò  la  nave  al  reo  pileggio. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  21 

Se  non  che  ornai  di  seguitarla  stanco, 
A  correr  egli,  e  porre  Italia  in  trono. 
Vuol  che  Torino  sgombri  sedie  e  banco. 

Ahi,  dove  il  senno,  dove  Tarmi  sono 
De*  re  Sabaudi?  No,  Vittorio,  mai 
Tu  in  Gel  né  in  terra  troverai  perdono. 

Con  Savoia  mercar  non  t'era  assai, 
Coll'onor  tuo,  provincie  altrui  rapite. 
Se  tutti  ancora  Gallici  non  fai? 

Come  saranno  ornai  più  custodite 

E  la  tua  casa,  e  Italia?  L'Alpi  al  Gallo 
Vendesti,  e  or  lasci  le  città  turrite, 

E  della  fiacca  Etruria,  audace  al  fallo, 
E  in  cui  di  soldatesca  infamia  è  Torma, 
Al  raccozzato  esercito  fai  stallo? 

E  colà  dal  Vesèvo,  acciò  non  dorma 
Il  tuo  guerrier  delle  Sirene  al  canto. 
Non  apparecchia  il  Gallo  e  freno  e  norma  ? 

Ma  come  esser  potea  da  un  solo  infranto 
Il  sacro  patto,  onde  ne'  lor  confini 
Sono  i  dominii  inviolati?  E  tanto 

Dunque  i  lontani  principi  e'  vicini 
Non  curanti  al  periglio?  E  all'onta  atroce 
Contro  la  data  fé  docili  e  inchini? 

E  Albione  che  calcola?  feroce 
In  difendere  T  utile  e  superba. 
Che  cova  il  Rus^o,  si  gigante  in  vo:e? 

E  AUamagna  che  medita  ?  Riserba 
L'idea  del  dritto  al  sogno  imperiale, 
Onde  fu  spesso  con  Italia  acerba? 


22  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Che  fanno  i  regi  tutti,  che  al  segnale 
Della  vergogna  almen  levati  insieme. 
Allo  Spino  del  mal  non  troncan  Tale? 

Or  godi,  Italia  ;  che  alle  tue  supreme 
Nozze,  acciocché  non  fossero  turbate, 
Fé'  di  sua  luce  Iddio  lor  menti  sceme. 

Onde  simili  a  te,  di  Lui  private, 
Son  elli  esempio  di  nature  in  gioco 
Da  serpente  magnetico  aggirate. 

In  lor  consiglio  nulla  impresa  ha  loco, 
Ciascun  dal  suo  fantasima  è  riscosso, 
Cupido  ognun  di  sé,  tutti  son  poco. 

Ma  sopra  gli  altri  un  sol;  che  tocco  e  scosso 
Non  che  dal  serpe,  dall'inferno,  Ei  stando 
Sulla  pietra  eternai,  dice:  Non  posso! 

Suso   tragge  le  palme,  in  Dio  mirando. 
Fervida  prece  notte  e  giorno  leva, 
E  securo  di  Dio,  geme  aspettando. 

Geme,  in  veder  Babelle  che  solleva 
Le  rotte  corna  alle  stoltizie  prime, 
E  di  Cristo  Tovil  persegue  e  aggreva. 

Geme,  che  infino  al  loco  ov'Ei  sublime 
Vice  ha  di  Cristo,  arriva  il  maledetto 
Satana,  e  il  puzzo  del  suo  fiato  imprime. 

E  con  quanto  può  mai  toccar  l'affetto. 
Invita  a  tregue,  a  patti;  e  quei  costante. 
Dice:  Non  posso!  con  la  Croce  stretto. 

Oh,  vivo  lume  di  due  voci  sante! 
Oh,  fortezza  d'amor,  se  conosciuta 
Fosse  dal  mondo,  che  tempesta  errante! 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  2) 

E  invece  alla  parola  che  rifiuta 

Rìnfoca  Todio,  le  bestemmie  accarca 
L'insana  moltitudine  perduta. 

Di  quella  voce  al  suon  le  ciglia  inarca 
Il  saccente  del  secolo,  che  aspetta 
L'ignudo  pescator,  la  rozza  barca. 

Stolto!  che  col  Giudeo  d'un  pan'b  affetta; 
Questi  cerca  un  messia  non  sovrumano, 
gimone  alzato  in  Cristo  egli  rigetta. 

Chi  alla  continua  Cena  fu  sovrano 

Dei  loco?  Cristo.  E  a  quei  che  v'è  in  sua  vece 
Non  dava  il  loco,  e  sparve  il  regno  umano? 

Ma  no,  sommo  Pastor,  tal  mi  rifece 
Nel  ver  quell'invincibile  tuo  zelo, 
Ch'io  veggo  più  che  ad  uom  veder  non  lece. 

Veggo  in  mezzo  la  Terra  un  novo  Cielo» 
Un  loco,  dov'è   Iddio  che  imperia  augusto. 
Ne'  vivi  pegni  del  mortai  suo  velo. 

Veggo  che  non  è  patria  senza  giusto, 
E  una  giustizia  là  per  me  si  vede. 
Che  non  conobbe  il  secolo  vetusto. 

Di  Cristo  la  giustizia,  che  alla  fede 
È  data  solo  che  Tu  serbi;  e  priva 
Di  vita  è  l'alma  che  con  Te  non  crede. 

Che  il  tuo  potere  all'infinito  arriva, 
Che  il  male  è  ciò  che  Tu  non  puoi,  che  inganno 
È  ogni  altro  ben,  che  del  tuo  Ben  ci  priva. 

Che  senza  Te,  qualunque  amore  è  danno. 
Che  delia  Sede  tua  presso  la  soglia 
Queste  parole  del  gran  Vate  stanno: 


24  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Ben  è  che  senza  termine  si  doglia 
Chi  per  amor  di  cosa  che  non  dura, 
Etemalmente  quell'Amor  si  spoglia. 

Parole  ingrate  alla  brutal  naturai 

VII. 

Ma  e  prima  e  sempre,  da  chi  mai  difesa, 
Italia,  avesti  a  non  servire  unita. 
O  dell'unirti  a  si  mortale  oftesa? 

Non  forse  da  colei,  che  stabilita 

Ebbe  in  eterno  Iddio,  perchè  a'  mortali 
Il  mistero  s'aprisse  della  vita  ? 

E  il  Campidoglio,  e  gli  archi  trionfali 
Giacciono  ai  piedi  suoi,  che  par  favelli: 
Son  Roma,  i  fati  miei  sono  immortali. 

Diroccate  fra  voi  mura  e  castelli, 

O  venuti  d'un  giorno,  e  a  me  traete. 
Ch'io  vi  raccolga  a  Dio  come  fratelli. 

Per  che  l'inferno  sempre  avida  sete 
Avea  di  Roma,  e  la  raccende  e  attizza 
In  quanti  e'  serra  nell'  immensa  rete. 

In  quanti,  ciechi  di  superbia,  stizza 

Han  contro  il  bene  e  il  vero,  in  cui  la  scienza 
Dell'occhio  fuor  de'  limiti  non  sguizza. 

O  dispetta  del  Ciel,  empia  semenza. 
Or  tu  se'  ignara,  che  di  svegliar  Roma 
Precipitò  mai  sempre  la  demenza  ? 

Il  fulmine  non  senti  che  già  toma? 
Non  la  guerra  fra  voi,  da  che  s'alzaro 
Le  sacrileghe  ciglia  alle  sue  chioma? 


INTORNO  A   DAKTE  ALIGHIERI.  2$ 

Che  se  perfide  lance  la  privare 

Di  sue  vesti  gran  parte,  quelle  vesti 
Onde  i  secoli  e  Dio  la  circondare  ; 

Non  v'accorgete  voi  che  furon  questi 
Della  mone  d'Itab'a  i  primi  allpri? 
De'  quai  tu»  Gallia,  ia  corona  avesti; 

Tu  che  bugiarda  inchini,  e  il  fele  indori 
Al  Cristo;  e  in  tua  follia,  nova  Giudea 
A  sua  novella  gloria  lavori. 

Nel  fango  sempre,  o  Barbari,  cadea 
La  Latina  progenie,  quando,  date 
Le  spalle  al  ver,  con  esso  voi  correa; 

Quando  lasciò  le  parti,  che  segnate 

In  Ciel  le  furo.  E  in  prima  già,  dell'ergere 
Alla  giustizia  le  genti  domate. 

Indi,  dappoi  che  TAgno  venne  a  tergere 
Col  sangue  le  peccata,  e  che  de'  Santi 
Il  sangue  fea  novella  Roma  emergere; 

Da  poi  che  in  questa  Roma  accorsi  i  tanti 
Popoli,  si  piegar  devoti  a  un  trono, 
Di  cui  Tegual  mai  non  si  vide  innanti. 

Sul  qual  de'  Cieli  le  temute  sono 

Concesse  schiavi,  e  d'onde  il  Verbo  spande 
La  sua  luce  perenne  e  il  suo  perdono; 

Ben  altrimenti  allora  Italia  grande 
Era  chiamata  a  si  fiorite  gesta. 
Che  in  sull'antiche  parvero  ghirlande. 

Delle  razze  precipue  contesta 
Che  dall'unico  Adam  si  derivaro. 
Fu  a  lungo  Italia,  e  avendo  il  Lazio  a  testa. 


26  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Al  sermone  del  qual  si  conformaro 
Al  suo  modo  ciascuna;  e  variamente 
Quindi  sul  Tosco  suon  lo  rinnovaro. 

Sempre  un  accordo  di  diversa  gente. 

Che  a  Roma  intorno  Iddio  volea,  per  dare 
Di  vita  esempio  a  lor  genie  redente. 

In  Cristo  unite,  e  sciolte  a  gareggiare 
Con  opere  fra  sé  belle  d'amore, 
Cogr  intelletti  accesi  a  ricreare. 

E  tal  saresti,  Italia,  uno  splendore^ 
Non  d'empii  rimpastata  e  di  Giudei, 
Ma  collegata  in  fé,  senno  e  valore. 

Rinnovata  barbarie  adunque  sei, 
E  non  già  Italia,  se,  ribelle  a  Dio, 
Corri  in  altri  disegni  e  stolti  e  rei. 

Ma,  deh,  Tu  che  coU'anima,  gran  Pio, 
Col  sommo  grado,  più  t'accosti  al  Cielo, 
Se  Te,  angiolo  di  pace,  a  noi  larglo 

L'Eterno,  che  si  chiuse  in  fosco  velo; 

Se  questo  è  pegno,  o  gran  Pastor,  che  all'ira 
Da  mercede  fia  un  di  sospeso  il  telo; 

Deh,  non  fermarti,  supplica,  sospira! 

Troppo  amara  è  la  prova,  abbenchè  lene 
Al  merto  della  colpa  il  turbo  spira. 

Non  più,  sfidando  il  Ciel,  le  sue  catene 
Scuota  l'inferno;  e  gli  ultimi  ricetti 
Non  trovi  e  assalga,  in  cui  si  cela  il  bene. 

E  voi,  tenere  madri,  che  i  diletti 

Pargoli  a  voi  stringendo,  in  cor  tremate; 
Voi  tapine  orfanelle,  e  giovinetti; 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  27 

E  voi  innocenti,  che  del  pan  mancate, 
Che  in  duro  esiglio,  in  carcere,  in  martiri 
Soccorso  invano  agli  uomini  chiamate; 

E  voi  gentili,  che  a  si  rei  soSriri 
Non  potete  tener  lo  viso  asciutto, 
E  avvien  che  il  cieco  orror  più  vi  martiri; 

Albeggia  una  speranza  a  tanto  lutto, 
Uniti  al  gran  Pastor  pregate  in  pianto, 
Che  la  Fede  che  prega,  in  Dio  può  tutto. 

E  tu,  stirpe  al  Signor,  Profeta  santo. 
Tu  che  facesti  la  Pietà  infinita. 
Ispirato  da  Dio,  segno  al  tuo  canto; 

Or  deh,  il  mio  stile  col  tuo  Verbo  aita. 
Onde  la  prece  che  d'ahsar  son  oso, 
Le  invisibili  vie  corra  spedita. 

Perchè  lungi.  Signor,  ti  sei  nascoso, 
E  in  questo  de'  miei  di  passo  mortale. 
L'orecchio  a'  gridi  miei  serri  sdegnoso  ? 

Tutto  sommerge  orribilmente  il  male. 

Tua  legge  spenta,  il  nome  Tuo  proscritto, 
Derìso  il  rammentar  cosa  immortale. 

Passeggia  sopra  gli  uomini  il  delitto, 
H  il  plauso  che  raccoglie  opprime  i  lai 
Degl'  innocenti,  che  hanno  il  cor  trafitto. 

Perchè  dunque^  Signor,  perchè  ristai? 
L'anima  mìa  di  sua  virtute  è  smunta; 
I  rei  non  t'hanno  provocato  assai? 

Rinasce  in  loro  e  più  crudel  s'appunta 
L'ingorda  vampa;  e  deh,  sia  noto  alfine 
Che  a  Te  la  voce  del  dolore  è  giunta! 


28  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Che  tu  serbavi  alia  tua  spada  il  fine 
Dovuto  all'empio,  e  che  non  era  invano 
Se  fidavano  in  Te  Talme  meschine. 

A'  miseri,  Signor,  porgi  la  mano, 

Vendica  il  nome  Tuo!  si  che  vedere 
Possa  il  monal,  che  poi  l'orgoglio  umano 

È  schiuma,  che  s'innalza  e  frange  e  pere.' 

Il  padre  Francesco  Berardinelli,  napoletano,  della  Compagnia  di 
Gtsty  fu  ammiratore  e  studioso  di  Dante,  a  sua  maniera.  Ardente 
come  un  autentico  figlio  del  Vesuvio,  sottile  e  sofista  come  un  verp 
gesuita,  nemico  dell'unità  nazionale  per  preconcetto  clericale,  egli 
si  sobbarcò  all'immane  fatica  di  trovare  in  Dante  un  sostenitore 
del  potere  temporale  dei  papi.  Nel  1859,  pubblicò,  in  Napoli, 
presso  il  Rondinella,  //  concetto  della  Divina  Commedia,  In  questo  suo 
lavoro,  compilato  ad  uso  dei  suoi  discepoli,  si  propose  di  dimostrare 
che  il  concetto  del  Poema  è  principalmente  e  sostanzialmente  reli- 
gioso, cioè  quello  di  far  vedere  in  qual  modo  l'uomo  assalito  dalle 
tre  belve,  dalla  lonza  o  lussuria,  dal  leone  o  superbia,  dalla  lupa  o 
avari:^a,  possa  condursi  a  salute.  Il  modo  di  salvezza  generale  TAli- 
ghieri,  secondo  il  padre  Berardinelli,  lo  vede  nella  monarchia  di  di- 
ritto divino,  che  distrurgendo  le  fazioni  e  le  ambizioni  singole,  con- 
duce la  pace  e  la  virtù  tra  gli  uomini.  Nel  1865,  oltre  questi  Canti  di 
un  cristiano^  pubblicò  due  scritti;  Tuno  nel  volume  Omaggio  dei  cattolici 
a  Dante  col  titolo:  Ragionamento  intorno  al  vero  senso  allegorico  della 
Divina  Commedia;  e  Faltro  nei  quaderni  della  Civiltà  Cattolica  col 
titolo:  //  dominio  temporale  dei  papi  nel  concetto  politico  di  Dante, 

Nel  primo,  una  sintesi  del  suo  volume  del  1859,  dà  del  visio- 
nario a  chi  crede  che  nella  lonza  debba  ravvisarsi  Firenze,  nel  leone 
la  superba  casa  di  Francia,  e  nella  lupa  la  Curia  romana.  E  nel  se- 
condo si  sforza  di  dimostrare  -  povera  ed  inutile  faticai  -  che  nel 
concetto  della  monarchia,  Dante  non  escluse  il  dominio  temporale 
o  principato  civile  dei  papi.  Poi,  nel  1881,  a  Modena,  pei  tipi,  arcive- 
scovili e  pontifici,  dell'  Immacolata  Concezione,  con  approvazione 
ecclesiastica,  riunì  in  un  sol  volume  i  due  scritti  polemici  del  1865,. 
riveduti,  modificati  e  corretti.  Chi  si  contenta,  gode! 


i  QiMSti   canti   cosi  si   leggono    •   p«*        teguentt  titolo  : /ia/ia.  Canti  di  un  cristUao. 
glae  6)-8é  in  un  opuscolo  iu-8  che  porta  il        Italia,  il  centenario  della  nascita  ài  DanU, 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  29 


DCCIV. 

Francesco  de  Beaumont. 

Dopo  sei  secoli. 

Ode. 
(14  maggio  1865). 

Che  sovra  gli  «lui  ccm'  «qoiU  Tok. 
D«nte,  /•/.,  e.  IV. 

Air  ombra  tua,  gran  Padre, 
L*  italica  famiglia 
Libera  ed  una  tutta  si  raccoglie  : 
E  il  profetato  istante 
Delle  tue  sante  voglie 
E  il  sospiro  dei  secoli  si  compie. 
Non  più  mai  rabbia  guelfa  e  ghibellina 
Agiti  i  nostri  petti, 
Ma  la  virtù  latina 

Disperda  il  seme  dei  discordi  affetti. 
Ed  il  nazional  patto  e  la  fede 
Qui  si  rinnovi,  e  la  sabauda  croce 
Del  tricolor  vessillo  oggi  più  bella 
Sventolerà  sulF  Arno  ; 
Che  dall'Alpi  al  Boèo  tutti  affratella 
Una  legge,  una  patria,  una  favella. 

Aura  piena  di  vita  che  feconda 
Di  scienza  profonda 
Che  r  universo  abbraccia, 
A  cui  posero  man  la  terra  e  il  cielo, 
É  il  tuo  codice  sacro. 
Che  ti  fé'  smunto  e  macro 


30  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Per  r  ira  e  pel  dolor  di  che  s*  informa  ; 

Antica  pianta  che  sempre  verdeggia. 

In  che  la  nostra  civiltà  s' innesta, 

E  di  frutti  e  vitale  nutrimento 

Di  civil  senno,  e  norma 

Di  poetica  forma. 

Altissimo  concetto 

Far  di  regni  divisi  unico  regno  ! 

Sublime  immenso  vate 

Spiccasti  il  volo  in  balbettante  lingua, 

Che  dall'umile  culla  trasportata 

Nel  tuo  gentil  paese 

Si  rìpurgò,  mantenne  intemerata 

Come  il  foco  di  Vesta. 

Al  grato  olezzo  uscita 

Delle  floride  lande, 

E  all'  aure  molli  della  mia  Triquetra 

S*  udì  il  prim'  inno  della  tosca  cetra. 

Tu  segnasti  la  meta 
Cui,  senza  posa  lieta, 
Con  vivo  inestinguibile  desio 
Italia  tuna  corse 

E  si  slanciò.  Pugnò,  cadde,  risorse 
Più  volte,  e  rifinita 
Soggiacque.  Poi  lena  ripigliando 
Tue  orme  seguitando 
Raggiunger  le  fu  dato 
Lo  stadio  designato. 
E  per  r  arduo  viaggio 
In  folta  selva  oscura 
Le  fosti  amico  raggio, 
E  tra  nembi  e  procelle  in  mar  infido 
Faro  raggiante  che  discuopre  11  lido. 

Tu  la  gran  mente  che  guidò  la  mano 
Al  sommo  Capitano  : 
Che  nel  sangue  dei  martiri  inaffiata 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  31 

Ripullulò  la  pianta  sospirata 

Di  libertà.  Non  più  schiavo  il  pensiero. 

Liberamente  il  vero 

Manifesta  la  penna  e  il  labbro  ardito. 

E  la  brutale  forza  incatenata 

Cede  r  impero  alla  ragion  che  attempra 

L'arbitra  possa  audace. 

Ed  ecco  un  nuovo  dritto 

Ài  regnatori  e  ai  sudditi  è  prescritto  : 

Non  per  grazia  divina, 

Ma  pel  voler  dei  popoli  si  stanno 

I  re  sul  trono  o  spotestati  all'  imo. 

E  pel  continuo  incalzar  degli  eventi 

Con  ala  infaticata 

Corre,  vola  il  progresso  ed  assicura 

La  civiltà  che  V  avvenir  matura. 

Come  languente  fiaccola  riscossa 
Subito  si  ravviva, 

0  crisalide  in  vaga  si  trasforma 
Agile  farfalletta. 

Tale  dal  suo  letargo 
E  dal  sonno  di  morte 
La  magnanima  Donna 
Ridestossi  più  forte, 
E  il  prisco  seggio  ripigliò,  vi  ascese, 
E  si  sedè  regina,  e  il  suo  dominio 
Nelle  cento  città  libero  stese. 
Non  più  VÌI  serva  :  in  man  dei  suoi  tiranni 
La  verga  dei  flagelli 
Spezzò.  Regni  e  corone 
Spazza  il  tempo  e  dissolve: 
Vinscr  gli  oppressi  e  gli  oppressor  son  polve. 
Tarpate  Tali,  e  mozzi 

1  fieri  artigli  all'  aquila  grifagna. 
Da  mille  e  mille  petti 
L'italico  sentiero 


POESIE  DI  MaLE   AUTORI 

Chiuso  è  per  sempre  al  perfido  straniero, 

E,  squarciate  le  tenebre  fatali 

Della  barbarie  intorno, 

Sorse  Talba  foriera 

Di  avventuroso  giorno. 

Ambizion  vorace 

Intanto  signoreggia 

Corrotta  etade;  imprevidente  razza 

Merca,  s'impingua,  e  cupida  gavazza 

In  tresche  oscene,  e  gl'inesperti  pasce 

Di  lusinghe  fallaci.  A  tuo  disdoro 

Degl'ipocriti  Bruti 

10  veggo,  Italia,  sollevato  il  lezzo, 

E  i  Cincinnati  e  i  tuoi  Caton  da  sezzo. 

Splendide  larve  di  virtù  mentita, 
Vapor  di  cimiteri 
Che  il  puro  aere  attosca, 
Caini,  patricidi  in  cui  nell'alma 
Ogni  pietade  è  morta. 
Madre  dell'arti  e  delle  belle  imprese. 
Assai  più  grande  delle  tue  sventure, 

11  dubbio  e  lo  sconforto 
Che  i  generosi  prostra 
E  arresta  sulla  via 
Deponi,  o  patria  mia! 

Te,  dall'oscura  obblivìon  uscita 
E  dall'ozio  infecondo,  di  viltade 
Più  non  accusi  la  ventura  etade. 

In  tanto  abisso  di  miserie  estreme. 
All'assiduo  cozzar  di  dubbia  sorte. 
Amor  di  patria  insieme 
I  nostri  animi  accende 
E  a  gloriosi  fatti  li  sospinge. 
Abbietta  parte,  o  tralignati  certo 
Non  siam  dai  prischi  eroi. 
Che  vive  ancora  una  virtude  in  noi. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  33 

Non  i  pravi  costumi  e  il  triste  esempio, 

Né  il  vile  scempio 

Di  feroce  servaggio 

Vinser  natura  e  cancellar  dal  petto 

Ogni  nobile  aflfetto. 

Perdasi  eternamente 

Un  cor  che  non  si  scalda  e  che  non  sente. 

Ma  chi  scalzar  mai  puote 
Dalle  solide  basi 

L'opra  concetta  da  profonda  mente? 
Invan  latri  e  rampogni  :  » 

Si  morda  e  si  vergogni 
L' invida  rabbia  e  l'impotente  orgoglio 
Della  turba  procace. 
Iddio  Io  volle  e  fu;  nò  sul  cammino 
S'arresterà  l'italico  destino. 

Il  suon  del  quarto  Vespero  rimbomba, 
E  il  folgore  dell'ira 
Guizza  sugli  empi  e  piomba, 
E  già  di  plaga  in  plaga, 
Il  magnanimo  grido  si  propaga. 
Come  vulcano  ardente 
È  l'impeto  che  sbocca  dagli  affetti 
Della  sicana  gente. 
Vinto,  non  domo  il  siculo  ardimento 
Sulle  vette  dei  monti  si  ricovra; 
Che  nei  cupi  silenzi  tenebrosi 
Son  rischiarate  di  sanguigna  luce: 
E  le  borbonich' orde  inferocite 
A  rimirarsi  stanno 
Da  lunge  impaurite 
Di  Procida  i  nepoti.  Albeggia  :  s'  ode 
Tra  lo  stormir  di  foglie 
Sommesso  un  calpestìo, 
E  la  rossa  divisa 
Appare,  ed  è  decisa 

Del  Balio.  Voi.  XIV.  3 


}4  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

La  dubbia  lotta.  Il  trepido  soldato 

Codardamente  fugge  alle  bastite: 

Ed  il  nizzardo  Eroe 

Con  i  suoi  mille  è  dentro 

Le  cittadine  mura.  Son  gremite 

Le  piazze  e  l'ampie  strade 

D'un  popolo  che  inonda 

In  festevoli  grida,  e  lo  circonda. 

Tuona  il  castello;  fulmina  ogni  nave; 
E  grandini  di  palle 
.  Piovono  e  bombe,  e  vola 

La  morte  che  desola, 
E  quai  spiche  falciate 
Cadono  mille  vite  fulminate; 
E  tra  le  fiamme  avvolta 
In  mezzo  alle  ruine 
La  regale  metropoli  è  sepolta. 
Arse,  distrutte,  invase, 
Saccheggiate  le  case, 
Fuggon  gì' inermi  discampati  al  ferro 
Dell'  esecrato  sgherro, 
Lasciando  sul  terreno 
Luridi  corpi  pesti  e  mutilati 
D'infanti,  donne  e  vegli  trucidati. 

Ma  dove  mi  trasporta 
Il  vivo  immaginar  e  il  duol  profondo 
Che  mi  travaglia?  Contristar  non  voglio 
L'esultanza  degl'inni  e  della  festa. 
D'italo  cor  anch'io. 
Non  ultimo  tra'  figli  dell' Oreto, 
Ad  onorar  il  padre  vostro  e  mio 
Mesco  ai  vostri  i  miei  versi  e  la  mia  cetra. 
E,  redimito  di  purpurea  luce, 
Sdegnoso  spirto,  a  noi 
Dalle  celesti  regìon  dell'etra 
Ti  disvela  e  sorridi; 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI. 


3S 


E,  prccursor  dell*  italo  riscatto, 

Il  nostro  omaggio  accetta, 

E  dcir  Italia  il  compimento  aflFretta. 

Sacra  paura  arcana 
Di  stolto  volgo  ed  empia  tirannia. 
Dei  sette  colli  la  cittade  eterna 
Contendono.  Ma  quando  il  tempo  fia, 
Che  il  sopito  lion  d'Adria  si  desti, 
E  il  tenace  Alemanno 
Snidi  e  disperda  dalle  sue  lagune? 
E  il  pontefice  re  doppio  tiranno, 
Che  le  coscienze  inforsa  ed  {sconvolge 
Coi  torbidi  fantasmi 
Degli  anatemi,  e  i  caldi  entusiasmi 
Spegne,  dal  capo  il  pavido  triregno 
Deponga,  e  solo  il  pastoral  sostenga? 
Più  salda  allor  rinascerà  la  fede 
Pel  Vicario  di  Cristo.  E,  vinta  T  ardua 
Ultima  acerba  guerra. 
Risuggellata  T  unità  col  sangue 
Di  maniri  novelli 
Della  patria  sull'  ara  ; 
E,  deposto  Tacciar,  l'italo  soglio 
Poserà  fermamente  in  Campidoglio.  ' 


'  QjMtt'ode  cosi  si  legge  stampata  in 
nn  oputeolo  in-8  di  pagg.  1 1  col  seguente 
titolo  :  M  uuUmaric  di  Dante.  Ode  di  Fran- 


cesco de  B«aumont.  Firenze,  tipografia  dei 
successori  Le  Monnier,   i8é$. 


36  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


DCCV. 

Pier  Vincenzo  Pasquini. 

Poesie  Dantesche. 

(14  maggio  1865). 

I. 

La  visione  della  «  Vita  Nuova  -». 

Apparve  •  me  un«  rainibile  Titione,  ntlUi 
qiule  io  vidi  cose,  che  mi  fecero  proporre  di 
non  dir  più  di  quesu  benedett*  in  fino  «  unto 
che  io  non  potefsi  più  degnamente  tr«tt«re 
di  lei. 

Dante,  FiU  Nmnm. 

Eran  le  belle  membra  in  terra  sparte. 
Di  Lei,  che  avea  d'  amor  Dante  trafitto 
Ancor  fanciullo,  e  che  dal  ciel  pietosa 
Guardava  al  suo  dolor.  Nelle  paterne 
Case,  presso  al  mattino,  una  stupenda 
Nei  mesti  sonni  vision  gli  scese. 

Negra  notte,  e  caligine  lo  cinse 
Di  vagabonde  nuvole  giganti, 
Che  a  poco  a  poco  si  mutaro  in  salde 
Cognite  mura,  ma  tacenti,  e  meste. 
Per  la  città  dolente  una  sinistra 
Andava  in  volta  livida  figura 
Di  biechi  lampi  le  pupille  ardente, 
In  varia  veste,  scarmigliata  ed  irta 
Di  ceraste,  chelidri,  e  anfesibene 
Le  chiome  in  fronte:  in  una  man  portava 


INTORNO   A    DANTE  ALIGHIERI.  37 

Un  tizzon  di  lugubre  orrida  luce 
Già  nelle  fiamme  dell' inferno  acceso: 
Nell'altra  un  nappo  fumante  di  sangue. 
Di  che  assetata  ognor,  né  sazia  mai, 
Come  l'ebbro  del  vin,  rabidamente 
Beveva  tra  feroci  urla  danzando. 
Tre  di  mcn  crudo,  e  di  diverso  aspetto 
Ancelle  a  stimolarla  intomo  avea. 
L'  una  era  bella,  altera,  in  ricco  ammanto, 
D'oro  e  di  gemme  redimita:  l'altra 
Lercia  vecchia  era,  smunta  per  digiuno; 
E  con  sospetto  di  celar  tentava 
Un'aurea  borsa:  giallo  spettro,  a  cui 
Rodeva  un  serpe  il  seno,  era  la  terza. 
E  la  Furia  maggior  per  ogni  loco 
Indefessa  scorreva.  In  lieti  balli 
Sulle  piazze  costei  vide  festanti 
Turbe  di  rose  ornate:  e  cavalieri 
Quinci,  e  quindi  venir  da  naturale 
Vaghezza  mossi:  ed  ecco  ella  s'avventa 
In  mezzo  a  lor,  col  tizzo  maledetto 
Ne  percuote  le  fronti  e  fa  di  crudi 
Sùbiti  sdegni  ribollir  i  petti. 
L'un  contro  l'altro  spingono  i  destrieri, 
Snudansi  i  ferri:  arde  la  mischia:  accorre 
Di  qua  di  là  di  cittadini  armati 
Nuovo  stuolo  al  fragor:  quale  per  uno, 
Qual  per  altro  parteggia:  è  vendicata 
Mone  con  morte:  la  città  divisa: 
Regna  lutto  e  terror. 

Poi  gli  parca 
Da  curùl  seggio  quella  Larva  dira 
Cacciar  in  fuga:  ma  tra  sozza  plebe 
Ella  mesceasi,  e  vi  scagliava  in  mezzo 
Le  velenose  irate  idre  del  capo; 
Di  che  tumultuando  infuriava. 


38  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Poi  seguitata  dalle  ancelle  oblique 

Molti  adunava  a  torbida  congiura: 

E  principe  di  quelli  era  un  novello 

Catilina  feroce  ;  e  la  superba 

Fantasima  minor  parea  sua  donna, 

E  consigliera:  e  mormorar  udiva 

Il  nome  suo,  d*un  Papa,  e  d'un  Francese 

Misteriosamente:  e  quella  guercia 

Con  cupa  bile  a  ognun  diceva:  Il  vedi? 

(E  Lui  segnava  a  dito).  Egli  si  estima 

Maggior  di  tutti:  allontaniamlo:  al  resto 

Provvederà  questa  diletta  amica, 

E  mia  ministra.  E  colla  bocca  immonda 

Una  donna  leggiadra  e  eulta  il  crine, 

Ma  di  maligno  volto  ella  baciava, 

Di  Socrate  ruina,  e  d'ogni  Giusto 

Perpetua  nemica.  E  la  ribalda 

Alighieri  inseguiva,  e  l'afferrava; 

E  i  crudi  spettri,  e  la  congrèga  iniqua 

AfFoUarsegli  intomo:  e  ognun  di  fango 

Bruttargli  il  viso,  e  del  suo  dolce  nido 

Violenti  cacciarlo.  Ed  ei  piangeva 

Amaramente. 

Svaporar,  siccome 
Disciolte  in  nebbia,  le  apparenze  arcane. 
E  repente  al  sopito  il  mobil  sogno, 
Ecco,  in  diverse  immagini  si  muta. 

In  una  buia  selva  era  smarrito. 
Che  r  empiva  d*  aflFanno,  e  di  paura  ; 
Sperdea  la  notte  alfin  lunga  e  crudele 
Il  novo  Sole:  e  un  dilettoso  Monte 
Salia:  quando  una  Lonza  ed  un  Lione 
Mira  venirgli  incontro,  ed  una  Lupa 
Invidiargli  la  bramata  altezza. 
Mentre  fuggiva  ruinando  in  basso. 
Gli  s'oiFre  innanzi  agli  occhi  un  Venerando, 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  39 

Ombra  od  uom  non  sapea.  Quei  gli  si  svela 
Pel  Mantovano,  che  cantò  del  giusto 
Figliuol  d'Anchise.  AUor  qual  riverente 
Amoroso  discepolo  d'aita 
Richiede  il  Saggio,  che  per  loco  eterno 
Trarlo  a  salvezza  gli  promette;  e  il  segue. 

E,  vìator  insolito,  gli  parve 
Scendere  della  terra  entro  le  ignote 
Profondità,  fra  le  perdute  genti 
In  diverse,  infinite,  orride  guise 
Martoriate.  Al  sommo  d'  una  porta 
Scritte  vedea  terribili  parole: 
E  tumulto  di  pianti,  e  d*alti  guai 
Per  aer  senza  stelle;  e  di  bufera. 
Che  senza  posa  in  vortice  traeva 
Spirti,  udiva  il  mugghiar.  Venne  alle  porte 
D'una  Cittade  dalle  torri  ardenti 
Da  dèmoni  guardate,  e  dalle  Erinni  : 
Arche  infocate,  e  laghi  atri  di  sangue 
Vide:  per  boschi  errò,  dove  non  frondi 
Eran  verdi,  ma  fosche,  e  attossicati 
Stecchi  e  le  immonde  Arpie  facean  lor  nido. 
E  su  turbe  d' ignude  alme  scorgea 
Scender  pioggia  di  fiamme  :  altre  in  bollenti 
Peci  tuffate:  o  sotto  al  faticoso 
Peso  di  plumbei  manti  oppresse,  e  vinte: 
Altre  travolte  il  viso:  altre  le  umane 
Forme  mutar  in  serpentine  spire. 
A  chi  mirava  lacerar  le  membra 
Da  dèmon  crudi,  e  con  vicenda  eterna 
Novellamente  ricomporsi:  quelle 
Giacersi  in  terra  rabbiose  per  scabbia  : 
Queste  giù  nel  profondo  eran  confitte 
In  ghiacciata  palude.  Un  mostro  immane 
Trifronte  al  ventilar  delle  grandi  ale 
Gelava  il  Lago,  e  dirompea  coi  denti 


40  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Tre  peccator.  Per  le  vellute  coste 
Scender  di  quello  col  fidato  Duca 
Gli  parve,  e  risalir  fuor  dell'oscuro 
Baratro  alfine  a  riveder  le  stelle. 

Ivi  in  mezzo  ad  un'ampia  isola  cinta 
Dall'Oceano  altissima  sorgeva 
SI,  che  vincea  la  vista,  una  montagna; 
Tinto  in  color  d'orientai  zaflSro 
Splendeva  il  ciel:  rideva  l'Oriente 
Del  bel  pianeta,  che  ad  amar  conforta. 
Venne  per  faticosa  erta  sul  prato 
D'una  valle  amenissima,  fiorita. 
Già  non  più  disperate  urla,  e  blasfèmi, 
Ma  sommessi  sospiri,  inni  devoti 
Suonar  per  l'aure  udia;  né  più  terrori 
Di  dèmoni  spietati,  e  di  crudeli 
Tormenti  interminabili  ;  ma  pene 
Ai  pazienti  spiriti  temprate 
Dalla  speranza  del  superno  regno; 
Vide  con  verdi  penne,  e  vestimenta 
Fulminar  luminosi  Angeli  armati 
Di  rutilanti  spade  angui  maligni, 
H  di  mistiche  chiavi  il  magistero 
Segrete  porte  schiudere:  per  l'alte 
Scalèe  sovra  le  rupi  istoriati 
Divini  esempli;  e  qua  da  gravi  massi 
Anime  esercitate,  e  là  vestite 
Di  ruvidi  cilizi:  a  chi  la  luce 
Ai  chiusi  occhi  negata,  a  chi  da  densa 
Nube  ofl^uscata  di  pungente  fumo. 
Altre  alla  vista  di  vietati  pomi, 
E  d'inconcesse  limpide  fontane 
L'acceso  inestinguibile  desio 
Facea  sparute,  e  macre.  E,  poi  che  giunto 
Fu  sulla  cima,  in  una  viva  e  spessa 
Foresta  entrava:  oh  quanto  era  diversa 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  41 

Da  quella  prima  oscura,  ed  aspra,  e  forte  ! 

Qianto  questa  era  lieta!  E  come  tutto 

Oliva  il  suol  soavemente,  e  il  viso 

Gli  baciava  una  dolce  aura  tranquilla  ! 

Quali  d'augelli  armoniose  note, 

Cui  rispondea  delle  commosse  fronde 

Un  lieve  lieve  tremolar!  Che  pure 

Acque  volgea  tra'  margini  dipinti 

Un  fresco,  e  picciol  rio!  Tutto  in  quel  loco 

Era  pace,  letizia,  e  primavera. 

Si  che  beato  più,  né  più  sereno 

Ei  pensar  non  poteva  il  Paradiso 

Dai  Parenti  perduto. 

A  Lui  dal  fianco 
Era  sparita  l'amorosa  guida. 
Che  là  tratto  l'aveva.  Ed  ecco  un  lampo 
Per  la  foresta  sùbito  trascorse, 
Che  più  e  più  cresceva:  e  si  diffuse 
Un  suon  pel  luminoso  etere  intorno 
Di  melodie  dolcissime:  ma  vinte 
Pur  da  una  voce,  che  disse  :  Ravvisa, 
Dante,  la  tua  Beatrice.  Egli  a  quei  detti 
Tremò,  guardò,  stupì:  ma  non  sostenne 
Di  tanta  luce  la  mortai  pupilla 
Il  primo  aspetto:  ond'Ella:  Agli  occhi  tuoi 
Tale  virtude  infonderò,  che  in  volto 
Potrai  mirarmi.  E,  poi  che  riconobbe 
Le  sembianze  adorate,  avidamente 
Fiso  pascea  nei  lucidi  smeraldi 
11  suo  lungo  desire. 

Era  di  neve, 
Che  sia  dal  sol  percossa,  il  vestimento, 
E  di  tre  stelle  le  splendea  la  fronte. 
Ciascuna  adorna  di  diverso  raggio. 
Verde,  bianco,  vermiglio.  Ella  ridea 
D'un  riso  che  dagli  Angeli  s'impara: 


42  POESI£  DI  MILLE   AUTORI 

Nel  scintillar  dei  vìvi  lumi  accolto 

Parca  T  Empirò,  • 

In  quella  vista  assorto 
Senti  più  acuta  dell'antico,  eterno 
Amor  la  punta,  e  il  tremito,  e  la  fiamma. 
Onde  nel  petto  giovanil  gli  piovve 
La  sacra  aura  del  canto:  e  come  prima 
Posò  il  tumulto  degli  affetti,  e  sciolto 
Ebbe  alla  lingua  il  nodo,  in  queste  voci 
Egli  proruppe:  Beatrice  sei, 
E  Ti  vegg'io  veracemente?  E  quale 
Grazia  anzi  tempo  al  tuo  fedel  ti  mostra? 
Donde  ne  vieni  mille  volte  assai 
Più  bella  che  non  eri,  e  di  cotanto 
Fulgor  vestita?  Ah  ben  diss'io  che  in  terra 
CoU'alma  mia,  cogli  Angeli  nel  Cielo 
Vivevi.  Deh,  perchè  partir  si  tosto, 
Mia  Beatrice  vera?  Ahi  nella  cieca 
Valle  raggio  di  Dio  passa,  e  non  durai 
Eri  aspettata  in  più  serene  piaggie, 
E  mi  lasciasti  solo  e  derelitto. 
Come  fanciullo  della  dolce  madre 
Orbato,  al  duolo,  al  pianto,  alle  tempeste. 
Alle  lusinghe  di  sirene  infide. 
Tu  sai  qual  mi  consunse  acerbo  lutto, 
SI  che  prima  ai  dolenti  occhi  la  vena 
Mancò  del  pianto,  che  l'angoscia  al  core; 
E  sai  che  come  mio  dolce  riposo 
Invocava  la  Morte,  invidiando 
A  ognun,  che  si  moriva.  In  cor  mortale 
Per  mortai  creatura  unqua  non  arse 
Fiamma  alla  mia  simil:  pura  in  me  nacque, 
Crebbe  sublime,  e  si  farà  divina 
Come  la  nova  età  quando  ti  vidi 
Angioletta,  e  mi  punse  ignota  cura. 
Sempre  innocente  l'ho  serbata,  e  l'ombra 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  4$ 

D'un  vii  pensiero  non  macchiò  giammai 
La  benedetta  imagine.  Perfetto 
Gaudio  il  saluto  della  tua  Bellezza, 
Onor  dell'altre,  m*era;  onde  movea 
Foco  di  caritade,  e  di  perdóno 
Nel  beato  mio  core.  A  Te  dinnanzi 
Non  invidia  sorgea  :  fuggiva  V  ira, 
E  la  superbia  s'inchinava:  ogni  uomo 
Quasi  a  tanto  splendor  vinto  tremando 
Dicea:  Questa  non  è  donna  mortale. 
Ma  un  Angiolo  del  Ciel:  sia  benedetto 
Nell'opre  sue  meravigliose  Iddio  !  — 
In  cosi  dir  piangea. 

Piangi,  rispose. 
Queste  lagrime  pie,  ch'altre  e  più  amare 
Più  fera  spada  ti  trarrà  dal  ciglio. 
Donna  delle  Virtudi  io  ti  sembrai 
Perchè  a  Te  i  giovinetti  occhi  mostrando 
Ti  volsi  al  Ben.  Ma  la  beltà,  che  piangi. 
Beatrice  non  fu  :  la  carne  è  vana 
Ombra,  che  fugge.  Da  profani  amplessi 
Rapita,  sciolta  dal  corporeo  velo. 
Assunta  a  gloriar  sotto  le  insegne 
Della  Vergine  Madre,  or  son  ben  tua. 
Ora  eh'  i'  son  di  Dio. 

Quando  eri  viva. 
Alighieri  dicea,  vidi  (o  mi  parve) 
Negli  occhi  santi  innamorati  un  riso 
Dei  nativi  tuoi  Cieli.  Eri  divina 
Luce  vestita  di  terrene  forme, 
A  fin  ch'io  vagheggiandola  m'ergessi 
Alla  prima  Cagione,  all'Increata 
Idea  del  Sommo  Vero. 

Io  sarò  sempre 
Teco,  diss'ella,  e  scorgerò  il  possente 
Tuo  ingegno  ad  alta  e  gloriosa  meta. 


44  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Chi  non  combatte,  e  soffre  a  me  non  sale: 
Però  che  l'alme  a  sé  dilette  Iddio 
Prova,  e  tempra  nel  duol,  che  le  fecondi, 
E  faccia  invitte.  A  quali  Ei  nelle  ascose 
Sue  vie  Ti  serbi  sovrumani  fati 
Ignori  ancora. 

Ed  il  Poeta  a  Lei: 
Deh  per  Tamor,  che  ne  congiunse,  dimmi, 
Che  il  sai:  da  Te  starommi  io  lungamente 
Cosi  lontano?—  Ahimè  che  vano  è  forse 
Sogno  quanto  favello,  e  ascolto,  e  vedo!  — 
Ed  Ella:  Il  giorno  eterno  a  me  non  fura 
Passo,  che  faccia  il  secolo.  Gran  tempo 
Sarai  scemo  di  me:  ma  ti  conforta: 
Ascolta  i  detti  miei  :  li  serba,  e  scrivi 
Nella  mente  fedele.  In  vacue  larve 
Tu  non  vaneggi:  l'alma  tua,  nel  sonno 
Men  della  carne  ancella,  il  Ver  discerne. 

10  nel  cospetto  del  Signore  ottenni 
Tanto  favor  ne*  preghi  miei,  che  questa 
Ad  util  fine  vision  t' invia. 

Perchè  fuggir  del  sempiterno  pianto 

11  periglio  tu  possa,  e  per  esempio 
Tuo  l'umana  progenie.  A  me  fedele 
Né  fosti  sempre,  né  sarai:  fallaci 
Apparenze  di  Ben  ti  alletteranno, 
Torcendo  i  passi  tuoi  dalla  diritta 
Parte,  dove  io  ti  scórsi.  Abbandonato 
Iddio,  verace  guida,  alto  t'occupa 
Sonno,  in  cui  dorme  ottenebrato  il  lume. 
Che  si  noma  Ragione:  e  per  la  buia 
Selva  del  Vizio,  che  ti  mena  a  morte, 
T'avvolgi  inconsapevole;  paventi 

Il  divino  giudizio,  e  alle  superne 
Cose  il  sospir  dell'anima  sollevi: 
Ma  invano  ivi  t'affisi,  e  ali  arduo  Monte 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  45 

Drizzi,  ove  raggia  il  Massimo  Pianerà» 
II  servo  e  infermo  pie;  le  dilettose 
Cime  il  Vizio  ti  nega  e  ti  respigne 
Neirima  notte.  Nei  beati  regni 
Giunger  non  speri  mai  chi  non  dispoglia 
Della  colpa  l'infetto  abito  pria. 
Se  di  franco  volere  aita  il  regga, 
Se  sapienza  naturale,  e  il  raggio, 
Che  Grazia  piove,  illumini  la  nuda 
Del  Peccato  orridezza,  e  le  infinite 
Pene  gli  sveli  all'atterrito  sguardo;  . 
Purificato  dall'immonda  lue. 
Nel  cammin  di  Giustizia  avvalorato 
Da  operose  Virtù  fia  che  a  civile 
Lieto  stato  pervenga,  onde  il  Terrestre 
Paradiso,  che  vedi,  imagin  rende: 
SI  che  educato  alla  sublime  scóla 
Dei  Maestri  ispirati  erger  si  possa 
A  conoscer  quel  Vero,  ove  del  vostro 
Intendere  la  corta  ala  non  vale. 

T'aveano  arriso  venticinque  aprili, 
Né  ancor  di  carne  a  spirto  era  io  salita. 
Quando  presago  del  futuro  danno. 
Dell'amorosa  fantasia  sull'ale 
Rapito  al  coro  degli  Eletti,  udivi 
II  pietoso  decreto,  onde  serbata 
Pur  anco  io  t'era,  si  che  dir  potessi 
Poi:  La  Speranxft  dei  Beati  io  vidi 
Ai  malnati  in  Inferno.  Àllor  la  prima 
Volta  il  pensier  del  mistico  viaggio 
Come  balen  t'illuminò  la  mente. 
Deh  non  muoia  in  ignava  ombrai  Dischiudi, 
Cóli  il  germe  di  frutti  aurei  fecondo: 
Tanto  da  Te  lassù  si  vuole:  Musa 
Io  ti  sarò,  t'ispirerò  dall'alto 
Del  verace  Parnaso:  e  a  poco  a  poco 


46  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Per  me  ti  sentirai  crescer  le  penne. 

Fisa  il  tuo  sguardo  d'Aquila  nel  Sole, 

Da  cui  piove  ogni  luce;  a  me  t'avvinci 

Con  imenei,  che  non  conosce  il  mondo: 

Altri  pegni  d'amor,  che  di  mendaci 

Gaudi,  mi  dona  in  cantiche  sublimi 

Cui  la  terra  stupisca,  e  ne  innamori 

Il  Paradiso.  Imaginando  in  versi, 

La  sospirata  vision  preliba, 

Che  un  di  sbramando  la  tua  lunga  sete 

Veracemente  ti  farà  beato: 

E  sovra  tutte  le  create  cose 

Tanto  in  tuo  culto  adergimi,  che  solo 

All'intelletto  io  splenda,  e  simboleggi 

La  Celeste  Sofia.  Cosi  nei  voli 

Della  tua  mente  altissimi  locarmi 

Potrai  su  luminoso  unico  trono 

Glorificata. 

Altro  di  più  non  bramo  : 
Tu  Poeta  mi  festi.  Egli  rispose. 
Le  nuove  Rime,  che  dettava  Amore, 
Fama  mi  diér  cacciando  altri  di  nido: 
Tuo  dono  è  questo.  Già  mia  Donna,  or  Diva, 
Quel  che  a  Te  piace,  e  che  lassù  si  attende. 
Farò:  ma  langue  in  tenebre  roflfeso 
Ingegno  poi  che  Tu  partisti.  È  vero: 
Sommersi  i  buoni,  e  sollevati  i  pravi 
Vidi  pel  secol  tristo:  ampia,  possente 
La  mia  Fiorenza:  ma  perduta  ad  una 
Colla  felice  povertade  antica 
Pur  la  virtude;  e  i  semplici  costumi 
Dei  Cacciaguida  e  Bellincion  corrotti 
E  obliati  pel  fasto:  onde  all'Assiro 
Delle  lascivie  disputar  il  vanto 
Quasi  i  novi  parean  Sardanapali 
Tra  le  conscie  pareti:  invereconde 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  47 

Spose  e  donzelle  tutte  adorne  a  prova 
Far  delia  colma  nudità  del  seno 
Copia  ad  avidi  sguardi,  esca  ed  invito 
A  impure  voglie:  ed  or  l'ago,  e  la  culla. 
Già  studio  pio  delle  Cornelie  losche, 
Alle  voluttuose  arti  dar  loco 
D'immonde  Frini:  l'inquieta  brama 
Delle  delizie  generar  l'avara 
Sete  dell'oro:  del  poter  la  febbre 
Ambiziosa,  l'invido  livore, 
E  l'orgoglio  crudele,  empie  faville, 
Aver  acceso  i  cuori.  E  già  ne  piange 
Fiorenza  mia  d'ogni  nequizia  infetta. 
Poi  che  insieme  da  lei  colla  innocenza 
Santa  degli  avi  dall'ingenua  schiatta 
La  gente  nova,  e  i  sùbiti  guadagni 
L'alma  concordia  ne  mandaro  in  bando, 
E  d'odii  tutta  è  piena.  E  dal  profondo 
Core  gemetti,  e  vendicar  proposi. 
Te  celebrando,  la  virtude  oppressa. 
Poeta  e  Sofo;  perocché  di  vani 
Suoni  la  insegnatrice  Arte  Febea 
Blandimento  non  è.  Ma  chi  mi  dava 
All'opera  conforto?  Or,  se  d'aita 
Tu  mi  sovvieni,  e  a  me  laude  immortale 
Prometti,  e  bene  alla  famiglia  umana, 
D'obbedirti  mi  tarda. 

Ella  gli  arrise, 
E  favellò  cosi:  Promettitrice 
Di  glorioso  giorno  alba  serena 
È  la  tua  giovinezza;  a  me  dei  primi 
Versi  amorosi  nel  cantor  soave 
Del  Trino  Regno  il  gran  cantor  traluce. 
Ma  di  cibo  vital  nutrir  t'è  d'uopo 
Pria  l'intelletto  si,  che  cielo  e  terra 
Ponga  mano  al  Poema,  ond'io  ragiono. 


4H  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Nel  tuo  dolor,  per  consolar  l'afflitta 

Mente,  i  volumi  degli  antichi  Sofi 

Rivolgerai;  cercando  ivi  l'oblio 

De'  tuoi  mali,  per  provvido  consiglio 

Da  quelle  dotte  pagine  berrai 

Di  sapienza  non  caduco  amore. 

I  tuoi  pensier,  confusi  atomi  erranti. 

Cosi  si  muteranno  in  ignorati 

Mondi  vestiti  d'infinita  luce, 

Ove  Tu  solo  spaziar  securo, 

E  fisarti  potrai:  ma  qual  s'attenti 

Seguirti  appresso  nel  superbo  volo 

Fra  quei  raggianti  Oceani  le  impari 

Penne  vi  perda  temerarie,  e  gli  occhi. 

Ed  Ei:  De'  miei  destini  ora  ti  piaccia 
Porgermi  chiaro  lume. 

—  Apprenderai 
Di  tua  vita  il  durissimo  viaggio, 
Quasi  d'un  velo  di  dolor  turbato 
Quello  Spirto  rispose.  Arder  ti  veggo 
Di  sant'ira,  o  latin  sangue  gentile. 
Contro  gl'insani  struggiior  selvaggi 
Della  Figlia  di  Roma.  Oh  maledette 
Gare  fraterne!  O  Buondelmonte,  o  tristo 
Lamberti  d'ogni  mal  prima  radice! 
Sclamava,  tutta  sfavillando  in  volto; 
O  Vieri,  o  Cerchi,  laceranti  il  grembo 
Della  Madre  comune!  O  Pistoiese 
Germe  di  cittadine  ire  con  cieco 
Consiglio  accolto!...  Dal  tuo  fren  corretta. 
Breve  farmaco  troppo  alle  profonde 
Piaghe,  parrà  posar  l'egra  infelice, 
E  tu  dal  seggio  tuo,  qual  da  secura 
Cima,  indegnato  spettator  mirando 
Dei  vizi  umani  il  tempestoso  flutto. 
Fingere  in  carmi,  e  giudicar  gì'  iniqui 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  49 

Mediterai;  che- ancor  dell'Ispirato 
Laggiù  sacra  è  la  voce,  e  la  rampogna 
Anco  dai  più  feroci  evvi  temuta. 
Attendi,  attendi,  che  Fiorenza  il  nappo 
Degli  abbominii  suoi  colmi,  e  tracanni 
Intero,  e  a  Te  lo  porga  avvelenato 
D'amarissimo  fiele:  e  ingrati  ed  empia 
Morda  la  destra  salvatrice,  e  a  morte 
Danni  suoi  giusti,  Solima  novella: 
E  fremeranno  le  sdegnose  corde 
Della  tua  lira  un  formidabil  suono, 
Ch'emulerà  degli  Angeli  le  tube 
Nel  novissimo  giorno,  e  a  mille  a  mille 
L'atra  sentina  d'ogni  rea  sozzura 
Fia  che  ti  piova  luridi  fantasmi 
A  popolarne  i  dolorosi  abissi: 
Né  la  sentenza,  o  interprete  di  Dio, 
Tempi,  né  fati  muteranno. 

Infausta 
Fieno  radice  d'ogni  tua  sciagura 
I  pretorii  Comizi,  e  la  possanza, 
Che  in  Te  porrà  la  pubblica  salute. 
Vili  avversarli  tuoi,  cui  fia  rampogna 
L'altrui  virtude,  e  l'altrui  merto  offesa. 
Perfide  trame  t'ordiranno  e  frodi, 
Che  il  sincero  dei  Buoni  occhio  non  vede. 
Di  giusta  pena  il  tuo  maggior  nemico 
Si  morde  il  dito,  e  la  vendetta  anela 
Giurata  in  core:  alle  superbe  voglie 
Te  solo  inciampo  ei  vede:  e  per  occulto 
Consiglio  suo  con  alto  ufficio  andrai 
Lunge  dal  natio  loco,  ove  non  devi 
Tornar  mai  più.  Ma  di  condegna  morte 
Veggo  colui  punito.  Il  Fariseo 
Di  Roma  intanto  ti  darà  promessa 
Lunga  con  corto  attendere.  Fiorenza 

Dkt  Balzo    Voi.  MV  4 


50  POESIE   DI  MILLE   AUTORI 

Già  già  ne  coglie  amaro  frutto,  in  guerra 

Civile  involta,  tra  rapine,  e  sangue, 

Consunta  in  fiamme,  e  il  Franco  Mida  indegno 

Fugge  col  mal  rapito  oro,  esecrato 

Dalle  toscane  genti,  e  disfiorando 

II  regal  giglio.  E  proverai  se  acerbo 

D'ogni  cosa  diletta  è  l'abbandono; 

E  se  sia  duro  il  vivere  ramingo 

Tra  volti  ignoti,  indifferenti;  e  quanto 

Arduo,  fra  la  superba  irriverenza 

Dei  Potenti,  serbar  la  dignitosa 

Povertà  nel  dolor  d'alma,  che  sdegna 

Piegar  la  sua  grandezza  vera  al  fasto 

Delle  Corti  bugiarde:  e  sentirai, 

Se  sa  di  sale  il  pane  altrui  condito 

Col  vile  scherno  di  giullari  abbietti. 

In  Te  farai  crudele  esperimento 

Come  tremare  Provenzan  dovesse 

Quando  l'amico  riscattò.  Lo  stanco 

Capo  non  ha  dove  posar  Colui, 

O  Italia  mia,  che  ti  darà  lo  scettro 

Del  Pensier  tra  le  Genti;  onde  sarai 

Dall'altre  invidiata:  e  non  ha  patria 

Quei,  eh*  a*  Tuoi  Figli  la  darà,  cui  tutti 

Suo  cittadino  i  popoli  vorranno 

Dell'Universo  alla  sua  gloria  angusto. 

Limosinando,  ed  esulando  lascia, 

O  madre  no,  ma  perfida  noverca. 

Indifferente  andar  questo  mendico 

Re  delle  Idee:  di  tal,  ch'uomo  non  dona 

Ed  uom  rapir  non  puote,  ampio  tesoro 

Ei  ti  fa  ricca.  Oh  quando  mai  simile 

Sfolgorar  créatrice  alma  gigante 

Sotto  i  zaffiri  del  tuo  ciel  vedrai? 

Che  vai,  perchè  le  sante  orme  raminghe 

Un  dì  ne  adori?  Che  ti  vai  pentita 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  51 

Pianger  diman  suiraffrettato  avello 
Di  quei,  ch'oggi  abbandoni?  Iddio  rigetta 
Questa  giustizia  postuma,  che  rendi 
Ai  tuoi  più  grandi,  che  viventi  affanni 
D' immeritato  duol.  —  Tutte  cadranno. 
Come  foglie  d'autunno,  ad  una  ad  una 
Le  tue  speranze  :  non  vedrai  più  il  tetto 
Ove  prima  le  tosche  aure  bevesti; 
Che  al  ritorno  degli  esuli  seconda 
Non  fia  fortuna,  e  il  vieterà  stoltezza, 
E  tradimento,  e  di  Firenze  a  vili 
Patti  opporrai  magnanimo  rifiuto. 
Infelice  sarai  ;  che  in  terra  i  grandi 
Sono  etemi  Prometei  :  ma  degni 
Fieno,  più  del  gioir  di  tanto  vulgo, 
D'  invidia  i  mali  tuoi,  cui  la  fortezza 
Dell'animo,  che  vince  ogni  battaglia, 
Dispregierà.  Dagli  uomini  diserto, 
Che  aver  non  suole  V  infortunio  amici. 
In  ogni  loco  ti  verrà  compagna 
La  coscienza  di  sentirti  puro, 
E  la  Musa  immortai  consolatrice, 
Che  deporrà  sulla  tua  fronte  oppressa 
Baci  d'  amore,  e  colle  ambrosie  chiome 
T*  asciugherà  le  lagrime  cadenti  : 
E  d'  ogni  tuo  dolore  armonizzato 
Dalle  dita  divine  usciran  nuove 
Sublimitadi  ai  meditati  carmi. 
Si  che  t*  ingemmi  di  più  fulgid'  astri 
La  corona  il  Signor:  serti  la  Terra 
Degni  di  Te  non  ha. 

Ma  dair  errante 
Vita  riposo  avrai  nell'  onorato 
Albergo  di  Colui,  che  sulla  Scala 
Porta  r  Augello  :  all'  ospite  Cittade, 


52  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Dov*  Egli  impera,  in  ogni  tempo  altrice 
D' incliti  spirti,  non  drizzar  rampogne. 

Non  giunge  al  loco,  ove  tornar  desio. 
Chi  ben  non  vive  in  terra.  Or  se  le  umane 
Leggi  e  divine  infrangano  primieri 

I  lor  custodi,  ruinar  nel  fondo 
Vedi  del  mal  precipiti  le  genti. 

Dal  di  che  al  Franco  Imperator  sul  capo. 
Con  mercimonio  vii  rimeritando 
Del  ridonato  soglio,  il  crisma  sacro 
Un  Romano  pontefice  spandea, 
Cominciò  tra  la  spada  e  la  tiara 
Diuturno  conflitto  :  e  V  implacata 
Dei  due  Numi  terreni  ira  immolava 
Miseranda  di  popoli  innocenti 
Ecatombe  infinita.  Ambo  col  braccio 
Di  volghi  oppressi  disputarsi  in  guerra 
La  suprema  possanza;  il  Sacerdote 
Abbandonò  V  altare,  in  maglia  e  usbergo 
Mutò  la  stola,  il  pastorale  in  brando. 

II  Vicario  del  Dio,  che  a  tutti  è  padre, 
I  suoi  figli  divise  :  alzò  la  mano 

Per  benedir  creata  a  maledirli: 
E,  bestemmiando,  del  Celeste  Agnello 
Sovra  i  redenti  il  prezioso  sangue 
Imprecò  pioggia  di  condanna,  e  d*  ira. 
Cinse  i  nemici  suoi  collo  spavento 
D' inesorate  folgori,  negando 
Air  alme  il  Ciel,  la  terra  all'  ossa  ignude  ; 
E  del  mondo,  e  di  Dio,  ribelle  al  Cristo, 
Confuse  i  Regni,  e  disse  :  Ogni  grandezza 
A  me  s'atterri;  imagin  viva  io  sono 
Del  Signore  quaggiù  :  da  lui  discende 
Ogni  possanza,  e  in  me  s*  aduna.  O  Prenci, 
Voi  regnate  per  me  ;  gì'  imperi  io  dono, 
Cr  imperi  io  tolgo  :  obbedienti  servi 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  53 

Vi  benedico;  il  raggio  in  voi  diflfuso 
Della  mia  luce  olimpica  vi  rende 
Inviolati:  a  me  nemici,  in  polve 
Vi  converte  lo  scettro,  e  la  corona 
L'  anatèma,  eh'  io  vibro,  e  Iddio  ripete  : 
Adoratemi,  o  Regi.  E  in  lucid'  ostri 
Le  membra  avvolse,  dell'  umil  capanna 
Di  Betelemme  immemore,  gemmato, 
E  non  di  spine,  triplice  si  cinse 
Diadema  superbo  :  e  fu  temuto. 
Satana  rise:  piansero  i  Celesti 
L*  onta,  e  il  dolor  d'  un  Golgota  novello 
Nel  Vaticano  :  che  il  Re  spento  aveva 
Il  Sacerdote.  —  Uscir  quindi  le  infeste 
A  insanguinar  per  lungo  ordin  di  tempo 
L' Italico  terren  Parti  velate 
Di  barbarici  nomi  :  e  fùr  la  Croce, 
E  r  innocente  Imagine  di  Piero, 
Già  della  Fede  candido  vessillo. 
Fatti,  odioso  a  Dio,  segno  di  stragi 
Fra*  battezzati.  Divorò  la  cieca 
Sete  delle  ricchezze,  empi  stromenti 
Ad  illecito  Marte,  e  a  regio  fasto, 
I  ministri  del  tempio  :  e  patteggiaro 
Per  argento,  e  per  oro  il  Paradiso. 
Cosi  lo  spirto  deir  ingordo  Pluto 
Dalle  infernali  tenebre  salia 
La  maculata  cattedra  del  Vero, 
E  di  là  si  spandea  sulle  sedotte 
Dall'alto  esempio  cristiane  genti. 
Largo  velen  nell'  alme  insinuando 
D'avare  cure,  e  di  delitti.  Pria 
Che  Tu  vegga  di  Guaschi  e  Càorsini 
I  traffici  nefandi,  avrai  fidanza. 
Che  inviato  da  Dio  Padre  verace 
L'  amica  Lupa  uccida,  e  la  respinga 


54  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Per  sempre  donde  usci.  Queir  Aspettato 

Sarà  povero,  e  santo,  angiol  di  pace 

Tra  i  discordi  fratelli.  Egli  dal  seggio 

Profanato  di  Pier  fugherà  il  lezzo 

Dell'  Anagnese,  e  spanderavvi  il  casto 

Profumo  di  virtude,  onde  nei  prischi 

Giorni  piacque  la  Chiesa  all'  Immortale 

Suo  Sposo,  e  vinse  il  mondo.  Ahi  farà  breve 

Il  benefico  regno  il  tradimento  1 

Mirò  Colei,  che  siede  sovra  Y  acque, 

L*  Evangelista  fornicar  coi    Regi  : 

E  Tu  conoscerai  l'opere  bieche 

D'  un  Figliuol  dei  Capeti,  e  d'  un  Guascone, 

Che  del  Tempio  di  Dio  faran  bordello 

In  osceno  connubio.  A  patti  infami, 

Che  il  Re  gli  detta,  al  Paracielo  in  ira 

Ei  compra  il  soglio:  il  violento  assolve 

Di  sacrìleghe  colpe,  e  la  memoria 

Del  Caietano  antecessore  esecra. 

Dal  Pastor  senza  legge  esce  il  servaggio 

Di  Babilonia,  di  che  Italia,  e  Roma, 

E  il  mondo  piange,  e  di  vergogna,  e  d' ira 

Piero  ne  arrossa  in  Ciel.  Costui  spergiuro 

L'alto  proposto,  e  le  speranze  elude 

Di  generoso  Prence,  onde  felice 

Italia  esser  potria:  vende  per  oro 

A  usurpatore  ipocrita,  che  degno 

Fora  di  cliierca  più  che  di  corona. 

Il  non  suo  trono.  In  ciurma  coi  Monarchi 

Cosi  trescando  il  maggior  Prete  inforsa 

Nell'anime  la  fede:  e  non  le  adduce 

Per  le  vie  del  Signore  in  Paradiso, 

Ma  per  quelle  di  Satana  con  seco 

In  Inferno  le  mena.  Ai  tralignati 

Cesari  d'Alemagna  il  serto  è  troppo 

Grave  di  Roma,  che  imperava  al  mondo.  ' 


INTORNO   A    DANTE  ALIGHIERI.  5$ 

Ma  loro  il  diede  Iddio:  perchè  non  osi 

Toccarlo  alcun,  la  poderosa  destra 

Ei  della  spada  vindice  ne  armava. 

Ahi,  se  strappar  se  '1  lasciano  dal  crine 

Da  man  sacerdotal,  che  nella  polve 

Lo  trascini»  il  calpesti»  e  insozzi,  e  infranga» 

Pena  loro  darà  pari  al  delitto 

Il  non  fallibil  Giudice.  Vendetta 

Già  chiede  il  sangue  della  terra  e  il  pianto 

Nel  cospetto  di  Lui:  smarrito  Ei  vede 

Dietro  a  sue  Guide  il  mondo,  e  minacciarlo 

Di  barbarie  e  peccato  ampia  tenèbra, 

S'  Ei  non  soccorre.  Me  custoditrice 

Della  dottrina  del  Vangelo  elesse, 

E  Te  alle  genti  Apostolo  del  vero. 

Nuovo  Enea  dell'  impero,  e  della  Chiesa 

Paolo  novello.  Chi  disserra,  e  chiude 

Le  porte  eterne  interroghi  la  legge, 

Che  il  Nazareno  suggellò  sul  Monte, 

E  nel  modesto  Pescator  si  specchi 

Di  Galilea,  si  che  la  Fé  nascosa 

Con  GiustÌTiia  resurf;a.  Al  ministero 

Sublime  infidi  Principi,  e  Leviti 

Impavido  minaccia,  e  come  Iddio 

Cinto  di  lampi,  e  folgori  sdegnato 

Contro  Israello  agl'idoli  converso. 

Con  parole  di  fulmine  sugli  empi 

Tuona  tremendo:  e  fia  pietà  lo  sdegno. 

Non  far  di  ghibelline  ire  ministra 

La  santa  Musa:  merti,  e  colpe  libra, 

E  premi,  e  pene  a  tutti  equo  dispensa. 

In  guisa  il  disperato  Èrebo  pingi, 

Che  di  spavento  salutar  percossi 

Ne  sien  gl'iniqui:  e  il  penitente  regno 

Si,  che  speranza  ai  traviati  infonda 

In  Chi  perdona  la  pentita  colpa. 


$6  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

In  vel  di  sacre  tenebre  ravvolgi 
La  dottrina  del  Ver:  più  veneranda 
Il  mistero  la  faccia  ;  i  sensi  ascosi 
Esploreranno  le  future  ttadi 
Della  seconda  Apocalissi. 

A  questo 
Chiese  Alighieri:  O  Tu,  che  tutto  sai, 
Dimmi^  deh,  quando  seguiranno  all'opra 
I  grandi  effetti  ?  E  quando  fia  che  in  pace 
Posi  la  stanca  Patria,  e  si  rammenti, 
Che  fu  Reina? 

Ed  Ella  a  Lui:  Non  lice 
A  me  svelarti  appien  quanto  sta  scritto 
In  volumi  indelebili.  Al  Poeta 
Di  fatidico  Spirto  è  dato  il  dono. 
Si  che  vicini  in  suo  pensiero  ei  finge 
Lontani  eventi.  Tu  sulle  ruine 
D'Italia  piangi,  canta,  aspetta,  e  credi. 
Solitario  Profeta:  e  come  integra 
Nell'ardente  desio,  che  s'infutura. 
Tu  la  vagheggi  irradiar  la  Terra, 
Tal  la  rivela  a  Lei:  le  addita  i  poli, 
Su  cui,  qual  luminoso  orbe,  si  giri 
La  sua  grandezza.  Quando  Iddio  pietade 
Ha  del  dolor  d'un  popolo  infelice, 
Vi  suscita  un  Poeta.  E  Tu,  sovrano 
Astro,  sorgesti  nel  suo  ciel  già  lieto 
D' altri  lumi  minori,  allor  che  in  densa 
Notte  tacea  V  Europa  :  e  al  beneficio 
Pia  che  1'  Europa  immemore  risponda 
Colle  catene!  Il  tuo  Tosco  idioma 
Pria  pel  tuo  carme  emulator  si  estolla 
Del  Latino  splendore.  O  Italia,  il  Coro 
Delle  Muse  porrà  ne'  tuoi  giardini 
ImmutabiI  dimora  il  di,  che  il  novo 
Canto  daranno  del  triforme  Regno 


IS^TORNO   A    DANTE  ALIGHIERI.  $7 

Ad  Alighieri  !  —  D' alti  e  generosi 
Affetti  ereditade,  e  di  speranze 
Immortali  le  lascia  il  tuo  poema: 
Ivi  a  fortezza,  e  a  libertà  si  tempri 
Fin  che  resurga:  e  suo  Palladio  sia. 
Padre  5arai  degl'  Itali  più  grandi  . 
Quasi  in  loro  il  tuo  stesso  alito  spiri: 
E  di  tele,  di  marmi,  e  di  armonìe 
Dircèe  da  Te  discenderan  portenti. 
Ben  luttuosi  secoli  verranno. 
Che  Te  di  cieco  irreverente  oblio 
Copra  la  Patria,  ed  al  viril  tuo  Canto 
Anteponga  le  languide  querele 
Del  minore  Aretino  ;  o  inebbriata 
Da  una  demente  pleiade  di  vati 
Di  Apollinee  bestemmie,  ovver  pasciuta 
Del  gorgheggiar  di  rustiche  zampogne, 
E  di  gelide  ciance;  il  tuo  gagliardo 
Stile  per  sonnolente  anime  prone 
A  servitù  non  è,  dura  rampogna 
Alla  loro  viltà.  Ma  veggio  un  tempo, 
Che  prima  onori  il  Cristiano  Omero 
La  tua  Cittade,  e  splendida,  pietosa 
Facciano  ammenda  del  fallir  degli  avi 
Tardi  nepoti:  e  sovra  il  monumento 
Vóto  delle  negate  ossa  deponga 
Qual  da  Te  tanto  desiato  invano 
Allór,  che  Italia  a'  suoi  Grandi  non  diede, 
E  ai  molli  ludi  d' istrioni  e  mimi. 
Stolta  Baccante,  liberal  profuse. 
Ma  già  t'erige  altari,  e  Te  suo  Nume 
Appella  e  cole,  e  medita  gli  eterni 
Carmi  con  lungo  amore:  e,  qual  chi  cerca 
Nel  mar  profondo  preziose  perle. 
Gl'inesausti  tesori  indaga,  e  scorre 
Deir immensa  Epopea.  Quando  Ella  pensi 


58  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Coli' anima  di  Dante  la  creduta 
Morta,  ravvolta  in  fùnebre  lenzuolo, 
Scossa  al  tuo  Verbo  dai  letarghi  indegni, 
Del  suo  Sepolcro  frangerà  la  pietra. 
Spezzerà  scettri,  vestirà  lorica, 
E  sclamerà:  Figlia  di  Dante,  e  Madre, 
Nel  suo  Volume  il  mio  destino  è  scritto, 
Il  mio  destin  si  compia!  —  Altro  non  dico. 

Perchè  dei  Buoni  il  cor  levi  al  desio 
Dei  di  beati,  che  non  vedon  sera, 
Meco  le  sfere  visitando  or  vieni 
Fino  all'ultimo  Empirò,  ove  risplende 
La  Virtù,  che  li  move. 

E  lo  portava 
Via  per  Y  interminato  etere  a  volo 
Nei  sette  cieli,  e  a  quello,  ove  del  tempo 
E  dello  spazio  ogni  confine  è  ignoto: 
E  poi  che  fu  salito  in  Paradiso, 
E  di  vivi  splendori,  e  di  bellezze, 
E  concerti  ineffabili,  e  d'Osanna 
Angelici  gioì,  di  Beatrice 
Vista  la  gloria,  nella  Diva  Essenza 
Assorto,  a  tanta  vision  fu  vinto: 
Si  ruppe  il  sonno;  e  quel  che  vide  Ei  scrisse. 


IL 

A  Gemma  Donati. 

Nella  beltà  femminea 
L'uomo  si  finge,  e  crea 
La  più  perfetta  immagine 
Dell'infinita  Idea: 
Né  accende  in  lui  tant' estasi 
La  polve  impura,  e  fral. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  59 

In  quella  forma  ei  l'idolo 
Della  sua  mente  adora: 
Raggio  d'ignoti  Empirei 
£  quel,  che  l' innamora  : 
Il  breve  riso  è  tramite 
A  giubilo  immortal. 

Ma  troppo  ardente  i  trepidi 
Sguardi  ne  fere  il  lume: 
Altari  e  incensi  chiedergli 
Suol,  non  amplessi  il  Nume, 
Che  gli  si  mostra  e  rapido 
Fugge,  e  lo  aspetta  in  ciel. 

Dante  cosi  per  l'Angelo 
Dei  Portinari  il  core 
A  quell'incorruttibile 
Schiuse  perenne  amore, 
Che  segue  l'alma  libera 
Dal  suo  corporeo  vel. 

O  creatura  altissima. 
Oltre  ogni  dir  felice 
Ripeteranno  i  secoli 
Il  nome  di  Beatrice 
Del  suo  Poeta  all'unica 
Gloria  sposato  ognor. 

Fin  che  Alighier  si  veneri, 
O  Italia,  inneggia  a  Lei: 
Il  t.ino  eterno  Cantico 
Alla  virtude  il  dèi 
Di  quella  Santa,  all'alito 
Del  suo  sublime  amor. 

A  quel  soave  eloquio, 
A  quel  raggiante  viso 
Rapi  fulgóri,  e  musiche 
Pingendo  il  Paradiso, 


6o  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Quando  agli  scanni  eterei 
Sale  di  volo  in  voi. 

Chi  mai  dal  soglio  immobile 
Chi  strapperà  la  pia, 
Che,  come  sua,  per  essere 
Più  bello,  il  Ciel  rapia  ? 
V'ha  chi  presuma  abbattere, 
O  intenebrare  il  Sol? 

Ma  se  Signor  dell'etere 
Ei  sfolgora,  la  stella 
Più  solitaria,  e  povera 
Ha  la  sua  luce  anch' ella; 
E  piace  al  mesto  il  timido 
Raggio  al  suo  cor  simll: 

Se  peregrino  in  incliti 
Giardini  un  fior  si  cole, 
Mandan  gli  ascosi  balsami 
Pur  da  modeste  aiuole 
Famili'ar  garofano, 
E  gelsomino  umìl. 

Un'  altra  donna  al  massimo 
Poeta  ancor  fu  cara: 
Ma  lei  cinse  d' immemori 
Ombre  la  terra  avara: 
Tacque,  che  giusta,  e  semplice 
Visse,  sofferse,  amò. 

Per  lei  non  sorse  un  gemito 
Di  tenero  compianto; 
Muto  per  lei  degl'  Itali 
Vati  fu  sempre  il  canto: 
Immeritato  oltraggio 
Sul  nome  suo  posò. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  6l 

Povera  Gemma!  ai  fervidi 
Estri  non  fosti  Musa, 
É  ver,  ma  il  mondo  pingerti 
Perchè  con  empia  accusa 
Nova  all'Ausonio  Socrate 
Santippe  infesta  osò  ?  * 

Disse,  che  trista,  e  querula 
Tu  gli  tarpavi  i  vanni; 
Che  non  sapesti  intendere 
I  suoi  divini  affanni; 
Che  a  te  il  poeta  incognito. 
Donna  volgar,  restò. 

La  muliebre  ascendere 
Dovea  non  agii  mente 
Agi'  intentati  vertici, 
Dove  a  quel  tuo  possente 
Seder  fu  dato  impavido, 
Insuperabil  Re?... 

L'  onta  plebea  si  vendichi  ! 
Ei  sol  fa  de'  tuoi  casti 
Pensieri  il  primo,  ed  unico 
Oggetto,  e  tu  donasti 
Ricchi  al  fecondo  talamo 
Pegni  d' intatta  fé. 

Non  d'  ogni  amor  la  fiaccola 
In  ardue  sfere  assurge, 
Né  dalla  spoglia  esanime. 
Che  r  accendea,  risurge 
Più  bella  avvolta  in  mistico 
Velame,  nel  Signor. 


'  «  Le  iaTettive  contr*esM  per  tanti  se- 
coli originaroiio  -  dice  il  FokoIo  -  dà\ 
M «netti,  indegiMmeate  tcnnto  scrittore  sin- 
cero, quando   inrece  non  solo  traduce  il 


Boccaccio,  e  non  Io  confesse,  me  ne  per- 
verte le  opinioni  e  il  rscconto,  ecc.  ■  (Di- 
leorso  sul  Testo  dtl  Potma  di  DanU),  odis.  Le 
Mounier,  i8so,  pag.  265.  Vedi  anche  Balbo. 


62  POESIE  DI   MILLE   AUTORI 

Vinto  è  tal'T  lo  spirito 
Dalla  congiunta  creta, 
E  di  terreni  palpiti 
A  ineluttabil  mèta 
Occulti  moti  suscita 
Natura  all'  uom  in  cor. 

Il  grande,  allor  che  l'anima 
Ebbe  nel  duol  più  vinta. 
Bella,  soave,  pallida, 
E  di  pietà  dipinta 
Vide  una  donna  affiggergli, 
Mesta  del  suo  dolor, 

In  volto  i  vaghi,  e  languidi 
Rai:  la  gentil  parea 
Dirgli  tacendo  un  nobile 
Desir:  che  si  credea 
Nata  quel  largo  a  tergere 
Pianto  d'  un  altro  amor.  ' 

Eri  tu.  Gemma:  e  premio 
Il  nuzì'al  anello 
Ne  avesti:  e  dagli  spasimi 
Cocenti  ti  fu  bello 
Pace  air  austero,  e  requie 
Dar  nel  tuo  fido  sen. 

Deh  quante  volte,  o  povero 
Core  di  donna,  acuta 
T'  arse  gelosa  invidia 
Di  Iv-i  che  cener  muta 
Ancor  bastava  a  togliere, 
Ch' ei  tuo  non  fosse  appien! 


*  Alcuni  Dantofili  si  piacquero  di  ravvi,  i  XXXVH.  XXXVIII.  È  lecito  «1  poeta  tra 
sarc  Gemma  Donati  nella  Donna  pietosa,  dì  i  fatti  dubbi  eleggere  ciò  che  gli  torna  me- 
coi  è  parlato  nella  rtta  Nuova  ai  55  XXX  VI      |    glio. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  6) 

Ma  poi,  verace  indizio 
Di  generoso  aflPetto, 
Frutto  invocato  ed  ultimo 
Davi  al  pudico  letto 
Quasi  una  pia  memoria 
Di  Quella,  che  mori.  ' 

Ahi,  su  te  pur  discesero 
Veloci  i  di  del  lutto, 
Quando  nemica  rabbia, 
Ogni  suo  ben  distrutto, 
Anche  la  dolce  patria 
Ad  Alighier  rapi. 

Onde,  perpetua  vedova 
Di  non  sepolto  sposo. 
Sola  restavi  in  orrido 
Silenzio  pauroso 
Nella  spregiata,  e  povera 
Tua  casa  a  sospirar, 

E  le  deserte  coltrici 
Bagnar  di  lungo  pianto. 
Sognar  le  afflitte  e  gelide 
Notti  d'  averlo  accanto, 
E  lui,  strìngendo  un  vacuo 
Fantasima,  baciar. 

Come  il  perduto  ascoltasi 
Compagno  al  dolce  nido 
Abbandonata  tortore 
Chiamar  con  flebil  grido; 
E  intanto  pasce,  ed  educa 
I  nati  al  voi:  cosi 


'  L'ultimo  dei  figlinoli  di  Dante  fu  Bca-  |  itesM,  conseztente    il   inerito,  per    un«   «li 

trice.  Non  par  Terisimtle,  che  il  marito,  poco  quelle  gentili  ispirazioni,  di  cui  te  sole  donne 

ddicatameate,  le  aTetae  imposto  qoel  nome  !  sono  capaci. 

adorato:   forse  glielo  impose  sua  moglie  ! 


64  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Costei  fra  le  doniestiche 
Mura,  in  suo  duol  romita. 
Nel  desiderio  inutile 
Di  lui  trasse  la  vita, 
E  ad  almi  studi  i  docili 
Figli,  e  air  onor  nutrì. 

Sol  vagheggiar  negli  orfani 
Il  suo  sembiante  amato 
Conforto  della  misera 
Era  al  terribil  fato, 
Stretta  a  mercare  in  rigide 
Veglie  per  essi  il  pan. 

E  le  fu  strazio  assiduo 
Pensar  V  iniquo  bando, 
Del  ritornar  gli  aneliti 
Frustrati,  e  il  miserando 
Errar  del  giusto,  e  il  battere 
Ad  auree  porte  invan. 

QuanJ'  egli  il  vaticinio 
Dettò  dell'  avol  pio,  ' 
Mandando  un  malinconico 
A'  suoi  lontani  addio, 
Forse  V  eterna  pagina 
Di  pianto  inumidi. 

D'  apoteosi  improvvide, 
E  stolte  TAlighieri 
D'  uopo  non  ha:  mal  fingesi 
Ch'  ei  di  concetti  alteri 
Vago,  a  comuni,  ignobili 
Cure  non  mai  servi. 


Tu  lucierai  ogni  cosa  diletta 
Più  caramente 

Parai,  canto   XVII. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  65 

Poi  che  r  obliquo  encomio 
Di  lui  la  gloria  oscura 
Fulminator  dei  reprobi, 
Che  dispregiar  natura:  ' 
Dunque,  se  V  uom  cancellasi 
Nel  vate,  un  dio  parrà? 

Dunque,  se  a  Gemma  nocquero 
Di  Corso  il  sangue,  e  il  nome,  * 
La  non  sua  infamia,  e  1*  odio 
Sulle  innocenti  chiome 
Della  incompresa  martire 
Sempre  a  cader  verrà? 

Perchè  né  sacre  aurèole 
A  lei,  né  serti  impose, 
E  non  r  assunse  a  simbolo 
Delle  superne  cose 
Quei,  che  alla  terra  attonita. 
Cantando,  il  ciel  narrò, 

Ei  di  sua  tanta  egregia 
Prole  sprezzò  la  madre, 
Lei  che  i  latini  numeri 
A  violente,  e  ladre 
Mani  sottrasse,  e  il  tenue 
Censo  salvar  tentò  ?  ^ 

Se  ognor  da  lui  si  tacquero 
La  donna,  e  i  figli,  segno 
Gli  onesti  suoi  sìlenzii 
Fien  di  superbo  sdegno  ? 

'     Puossi  far  forza  nella  Deitade,  j    e  li  affidò  ad  Andrea  di  Leone  Poggi,  nipote 

Col  cor  negando,  e  beitemraiando   quelle,     ]    di  lui.  Alcuni  anni  appresso  fattiieli  reati- 
E  spregiando  Natura,  e  sua  boutade.  ,    ,^.^^^  ^j  ^j  ,i„^^„„„o  -,  ,,,^  ^„,„;  Canti 

Inf.  canto  XI.  '    dell'Inferno  (che  per  alcuni  si  crede  essere 

'  È  ignoto  il    grado    di    parentela   fra    ;    stati  i  latini),  e  furono  mandati  a  Moroello 


Corso  e  Gemma  Donati. 

3  Gemma,  quando  fu  eorso  a  casa  di 
Deste  e  furore  di  popolo,  ripose  in  alcuni 
forzieri  oggetti  preziosi,  e  scritture  di  Dante, 


Del  Balzo.  Voi.  XIV. 


Malaspina,  del  quale  l'Alighieri  era  ospite, 
e  ehe  glieli  mostrò. 

Ella  salvò  pure   parte   del   reti^giò   pa- 
terno a*  figliuoli. 


66  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Non  li  chiamava  il  profugo 
Tutti  d' intorno  a  sé  ? 

Grida,  Alighier,  terribile 
Ombra,  alle  genti  il  vero: 
«Non  seminò  di  triboli 
«  La  sposa  il  mio  sentiero  ; 
a  D'amabile  progenie 
«Ella  gioir  mi  die*. 

«  Che  m*  infiorò  la  squallida 
«Vecchiezza,  e  nel  supremo 
«  Mio  di  pietosa  accogliere 
a  Volle  il  sospiro  estremo, 
«  E  le  pupille  chiudermi 
«  Stanche  al  fuggente  sol. 

«  Di  Gemma  più  non  mormori 
«Chi  mi  rispetta:  inulto 
«  Non  sia  questo  al  mio  cenere 
«  Nella  sua  fama  insulto, 
a  Che  del  fnortale  esigilo 
«  Mi  rinnovella  il  duol. 

a  Inni  non  sempre  ed  aurei 
«Serti  hanno  i  buoni  in  terra: 
«  Sovente  un  cieco  ed  invido 
0  Destino  a  lor  fa  guerra 
«  Fin  nella  tomba  ;  e  il  postero 
«  Impreca  alla  virtù. 

«  Ma  la  immortai  degli  uomini 
a  II  maledir  non  cura. 
«  E  sa  che  un  Dio  le  lagrime 
«  Conta  alla  sua  fattura, 
«  Ch'  ei  la  final  vittoria 
«  Coronerà  lassù.  »  ' 

'  Vedi    a  P>gg*   81-106  e    107-iis   in:   ^ersi   di  Pier  Vincenzo  PAsquini.  Verona, 
Mflnster,  1865. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  67 

Pier  Vincenzo  Pasquinì,  scrittore  e  poeta  veneto,  per  molti  anni 
insegnò  a  Pinerolo,  poi  passò  a  Verona.  Nel  1863  si  fé'  conoscere 
con  un  Trattato  sulV  unificaiioru  della  lingua  in  Italia^  pubblicato  a 
Milano,  presso  la  tipografìa  Agnelli  Quel  saggio  si  diffuse,  piacque 
ed  ebbe  lodi  dai  più,  trovandovisi  raccolto  in  140  pagine,  in  modo 
semplice  e  breve,  quel  che  è  stato  disputato  in  materia  di  lingua 
tra  noi,  coq  giudizi  chiari  sulle  varie  opinioni,  se  non  sempre  giu- 
stissimi ed  accettabili. 

Nel  1865  stampava,  in  Pinerolo,  le  sue  Poesie  dantesche.  Poi,  in 
Verona,  nel  1867,  dal  Rossi,  Le  allegorie  del  primo  Canto  delV  Inferno 
di  Dante.  Questo  opuscolo  era  seguito  due  anni  appresso  da  quest'altro: 
La  lettera  e  V  allegoria  nel  poema  di  Dante^  con  alcune  osservazioni 
critiche  sull'opera  di  Domenico  Mauro,  intitolata:  Concetto  e  forma  della 
Divina  Commedia  f  Firenze,  Cellini,  1869)  che  ebbe  una  seconda  edizione 
in  Milano  nel  1875  col  seguente  titolo:  La  principale  allegoria  della 
Divina  Commedia,  secondo  la  ragion  poetica  e  i  canoni  posti  da  Dante. 

Ma  il  libro  che  Io  raccomanda  all'  attenzione  degli  studiosi,  è 
la  seconda  edizione  del  suo  Trattato  stilV  unifica%ion€  della  lingua  in 
Italia^  notevolmente  ampliata,  venuta  fuori  in  Firenze,  nel  1869,  per 
i  tipi  dei  successori  Le  Mounier.  Un  anno  innanzi,  era  comparsa  la 
Relazione  al  ministro  della  pubblica  istruzione,  proposta  da  Alessandro 
Manzoni  agli  amici  colleghi  Bonghi  e  Carcano  ed  accettata  da  loro, 
la  quale  trattava  appunto  dell'  unificazione  della  lingua,  facendo  capo 
alla  parlata  toscana.  Il  Pasquini,  nella  seconda  edizione  del  suo  trat- 
tato, non  segue  passo  per  passo  i  concetti  della  Relazione  manzo- 
niana, perchè  già  lo  avevano  fatto  ed  ampiamente  il  Fanfani,  il 
Giuliani,  il  Tomm  asèo,  V  Isola  ;  ma  trova  modo,  nella  prefazione, 
di  lamentarsi  che  il  Manzoni,  che  pure  avea  inserito  nel  suo  scritto 
tutte  o  quasi  tutte  le  proposte  della  prima  edizione  del  trattato,  non 
lo  citi  mai,  sebbene  egli  ed  i  suoi  amici  e  colleghi  ne  avessero  avuto 
una  copia  per  ciascheduno,  inviata  loro  direttamente. 

Il  povero  Pasquini  non  ebbe  fortuna  con  molti  critici,  i  quali 
si  risero  delle  sue  proposte,  mentre  poi  le  applaudirono  quando  le 
lessero  incastonate  nella  prosa  del  Manzoni.  Sempre  cosi:  molti, 
pur  affettando  di  pensare  con  la  testa  propria,  non  guardano  se  non 
alla  marca  di  fabbrica.  Il  povero  Pasquini  non  fu  fortunato  nem- 
meno quando  si  trattò  della  compilazione  e  pubblicazione  del  gior- 
nale V  Unità  della  lingua.  Egli»  per  mezzo  del  professor  Pietro  Bernabò- 
Sìlorata,  aveva  proposta  quella  pubblicazione  al  ministro  Broglio, 
che  gli  aveva  fatto  rispondere  che  accettava  la  sua  idea  e  che  egli 
avrebbe  fatto  parte  della  redazione  del  nuovo  giornale.  Ma  il  gior- 
nale usci  compilato  soltanto  da  Fanfani,  Galli  e  Vescovi.  Ben  dicono 
i  Francesi:  «  Qu'ici  bas  tout  se  fait  par  compères  et  par  commères.  » 


68  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


DCCVI. 
Francesco  Dall' Ongaro. 


Stornello  su  Dante. 

(14  maggio  1865). 

Il  signor  senatore  Massimo  d'Azeglio  ride  di  quelli  che  salu- 
tano in  Dante  il  padre  dell'unità  italiana,  e  si  meraviglia  lepida- 
mente come  non  l'abbiano  fatto  garibaldino.  Il  senatore  non  aspira, 
credo,  al  titolo  di  profeta,  ma  questa  volta  ha  profetato  senza  sa- 
perlo. Ecco  uno  stornello  che  ebbe  il  coraggio  di  dire  anche  di 
queste  : 

Il  Papa  rha  dannato  al  foco  eterno: 
Ma  Dante  sa  le  porte  dell' inferno. 

E  quando  si  trovar  per  quelle  vie 

Vi  messe  dentro  il  Papa,  ed  egli  uscie. 

Ed  or  in  onta  del  papale  ammanto 
Bonifazio  è  dannato  e  Dante  è  santo. 

È  ver  che  Roma  non  lo  tien  tra  i  suoi, 
Ma  ce  Tabbiam  canonizzato  noi. 

E  gli  faremo  festa  ogni  cent'anni 
Con  timpani,  bandiere  e  rossi  panni; 

Perchè  vestia  di  rosso  il  Ghibellino 
E  fu  con  Garibaldi  a  Campaldino.  ' 


'  Questo  stornello  cosi  leggesi  a  pag.  29,  1  pastorale    del    candidato    cattolico  Cesare 

come  nota  ad  un  opuscolo  che  porta  il  se*  ,  Cantù.  Firenze,  libreria  scolastica  CamIc  « 

guejitt  titolo  :  F.  Dall'Ongaro,  //   profeta  |  Comp.  MDCCCLXV. 

hiUamo  e  l'asina  sua.  Risposta  alla   lettera  . 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  69 

Francesco  DalFOngaro  nacque  nel  1808  a  Mansuè  presso  Oderzo 
nel  Trevisano.  Suo  padre,  sebbene  fosse  un  modesto  costruttore  di 
barche  fluviali,  gli  die*  buona  istruzione.  Compiuti  i  suoi  studi,  col- 
tivò ardentemente  la  poesia,  che  mise  a  servizio  della  patria  serva. 
Visse  gran  pezza  a  Trieste,  dove  fu  collaboratore  della  Favilla^  gior- 
nale patriottico  e  civile.  Indi  si  recò  a  Venezia.  Nel  184B  prese  il 
fucile  e  si  battè  valorosamente  tra  i  volontari  garibaldini.  Fu  all'as- 
sedio di  Roma  Tanno  seguente,  e  fu  caro  a  Garibaldi.  Le  sue  poesie 
garibaldine,  calde  di  entusiasmo  e  di  slancio,  come  squilli  di  tromba, 
eccitavano  gli  animi.  Si  ripetevano  da  tutti  i  suoi  stornelli  incomin- 
ciati ad  apparire  nel  1847,  come  il  Brigidino,  che  egli  improvvisò 
sul  banco  d*un  libraio  a  Siena: 

E  lo  mio  amore  se  n'è  ito  a  Siena: 
Mi  ha  porto  il  Brigidin  di  due  colori: 
Il  bianco  gli  è  la  fé  che  e*  incatena. 
Il  rosso  Tallegria  de'  nostri  cori. 

Anche  gli  stornelli  La  Bandiera,  La  Livornese  furono  popolaris- 
simi. Nel  1860  l'ode  sua  a  Garibaldi  fu  un  vero  inno  di  guerra, 
degno  dei  più  grandi  poeti;  non  meno  bello  è  il  suo  canto:  La  Ga- 
ribaldina, 

Scrisse  squisitamente  in  dialetto  veneziano.  Sono  notevoli  il  suo 
Fornareito,  dramma,  e  Fasma,  commedia  greca.  Ebbe  molta  voga 
la  sua  satira  anti-monastica  :  Il  diavolo  e  il  vento.  Fu  autore  di  no- 
velle schiettamente  paesane,  in  cui  descrive  il  suo  popolo,  che  egli 
sempre  intensamente  amò.  Moriva  a  Napoli,  nel  1873,  tormentato, 
amareggiato  da  alcuni  di  quei  critici  maligni,  vanitosi  e  velenosi, 
che  sempre  affaccendati  in  un  o^io  rumoroso,  si  gloriano  di  una  pes- 
sima paginetta  di  critica  più  che  non  faccia  un  grande  scrittore  di 
una  vera  opera  d*arte. 


70  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

DCCVII. 
Luigi    Mengozzi. 

Dante. 

Canto. 
(14  maggio  1865). 

Oh  fieramente  avversi  a  te  si  furo, 
O  sommo  Vate,  i  cittadini,  e  '1  tuo 
Non  conobber  desio!  Ma  li  nepoti 
Con  alti  onori  e  con  devoto  culto 
Ne  fero  ammenda  in  ogni  etate;  e  noi, 
Benché  di  tanto  secolo  lontani. 
Oggi  l'ammenda  ripetiam.  Non  vedi 
Come  di  tua  città,  come  di  tutta 
Toscana,  ed  anzi  de  l'Ausonia  intera 
Sono  allegre  le  genti,  e  del  più  lieto 
Grido  il  giorno  salutano,  che  vide 
Te  di  Firenze,  te  d'Italia  ed  anzi 
Te  de  Torbe  universo  eccelsa  gloria 
A  la  luce  apparir?  Non  odi  i  nomi 
Onde  t'appellan  di  Maestro  e  Padre  ? 
Oh  prendi  dunque  in  grado  i  voti  nostri, 
E  l'esultanza  nostra,  e  noi  sogguarda 
Con  benigno  sorriso  1...  Ahimè  perdura 
Ne  l'altero,  magnanimo  disdegno 
Il  venerando  aspetto?  Ah  tu  se'  Quegli 
Che  del  più  ardente  amor  la  tua  Fiorenza 
Quantunque  amassi,  e,  più  che  fuoco,  il  seno 
Ti  cocesse  desir  di  rivederla, 
E  in  lei  posar  le  travagliate  membra, 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  7I 

Pur  redirvi  sdegnoso  rifiutasti, 

Perchè  a  patti  legato  umilianti 

Era  il  ritorno;  a  mendicar  piuttosto 

T'eleggesti  la  vita  a  frusto  a  frusto 

Che  d'un  sol  neo  macchiar  tu'  intatta  fama. 

Noi  Padre  te  appelliam,  ma  di  figliuoli 
Ossequiosi  con  l'opre?  Tuo  desiro 
Era  che  il  bel  paese  una  s'avesse 
Figliuolanza  di  cuor,  di  mente  e  braccio 
Itala  veramente,  e  che  a  la  sua 
Religion  s'ispirasse,  al  suo  bel  cielo, 
Alle  sue  rimembranze,  a*  monumenti 
Suoi  magnifici  e  tanti,  a'  Grandi  suoi. 
E  tu  primo  coU'opre,  col  robusto 
Tuo  favellar,  coli'  altissimo  Canto 
Non  perituro  esemplo  ne  lasciasti. 
E  noi  ?  Ah  noi  nipoti  ad  infiniti 
Creatori  d'  immense  meraviglie, 
E  per  secolo  lungo  a  tutte  genti 
Maestri,  noi  cangiammo  cento  e  cento 
Fiate  in  le  altrui  le  costumanze  nostre. 
Pronti  a  variarle  ancora  cento  e  mille 
Volte  in  le  baie,  in  le  follie  di  gente, 
Che  tutto  avere  in  passeggiera  usanza 
Vampo  menar  fa  mostra,  non  escluse 
Del  decente  e  del  bello  le  ragioni. 
E  li  nostri  Platoni  dagli  estrani 
Loro  viaggi  seco  adducon  quanto 
E  morbida  e  svariata  e  dilettosa 
Ne  può  render  la  vita,  e  dislegata 
Alfin  di  quelle,  che  teneanla  in  freno. 
Onde  non  irrompesse  a  mo'  di  bruto, 
Rugginose  credenze,  e  de  le  viete 
Del  pudor  leggi  !  E  già  dischiusi  in  molte 
Cittadi  sonsi  lochi,  a  somiglianza 
Dei  visti  oltr'Alpi,  a  voluttade  additti. 


72  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Maestro  te  diciam,  ma  come  e  quanto 
Cerchiam  lo  tuo  volume  l'argomenta, 
«  Se  da  la  spica  si  conosce  l'erba,  » 
Dal  parlar  nostro,  dagli  scritti  nostri. 
Se  cercassimo  in.  lui  nostra  pastura 
Non  sarebbe  il  sermone,  al  quale  han  posto 
Mano  la  terra  e  '1  ciel,  bruttato  e  guasto 
Di  barbarici  modi;  e  quello  studio, 
Che  bene  ad  appararlo  si  dovria. 
Volto  non  fora  al  celtico  linguaggio 
Per  le  cittadi  tutto  e  per  le  terre, 
Come  se  Italia  intera  peregrina 
Ire  dovesse  oltr'Alpi,  o  che  la  Francia 
A  collocarse...  oh  Dio  più  che  la  morte 
Stoma  cotanto  mal  !  E  ve'  che  loco 
Sonsi  da'  libri  nostri  i  libri  franchi 
Fatto  dar  ne  le  scuole,  e  forman  essi 
Di  nostre  giovinette,  e  fu  per  poco 
De'  giovani  non  dissi,  la  delizia. 
Soleano  in  altr'età  T  itale  scuole 
Uomini  crescer  di  verace  e  sodo 
Saver  ripieni,  perchè  al  senno  antico 
Aggiungendo  si  gian  di  mano  in  mano 
Quanto  la  mente  umana  iva  scoprendo; 
Ma  prudenti  lor  indole,  lor  gusto 
Custodivan  gelose.  Ed  oggi  al  prisco 
Non  che  senno  ridurle,  foggiate 
A  quante  sono  oltr'Alpi  ed  oltre  mare 
Scuole  l'abbiamo.  Frenesia  simile, 
Non  ha  un  secol  ci  prese,  e  la  beata 
Patria  de  l'alte  fantasie  lasciammo, 
E  fra  le  nebbie  gimmo  de  la  Scozia, 
Fra  l'elvetiche  rupi,  e  d'Alemagna 
Fra  li  ghiacci  a  ispirarci.  Ma  di  quanto 
In  quei  foschi  viaggi  s'avanzasse 
L' itala  mente,  del  suo  puro  cielo 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  73 

A  li  raggi  assuefa,  il  mostran  Topre; 
Che  quanti  furo  cercatori  o  sono 
Nulla  di  buono  ban  partorito,  ed  anzi 
Sviati  n'  han  da  te,  che  solo  devi 
Essere  il  nostro  duca  e  il  nostro  autore. 

Maestro  te  appelliam,  ma  come  e  quanto 
Rispondan  l'opre  al  detto  in  altra  il  mira 
Cosa  più  grave.  —^  Ti  bolliva  il  seno 
Non  che  per  Flora,  per  T  Italia  tutta 
D'amor,  ma  schietto,  ma  virile,  al  vero 
Ma  non  timido  amico,  di  cotale 
Tempra  infin  che  a'  di  nostri  più  non  s'usa, 
«  Perchè  la  nostra  traccia  è  fuor  di  strada.  » 
Far  grande  Italia  era  tu'  intesa,  grande 
Di  verace  grandezza,  a'  suoi  figliuoli 
Rettitudin  mostrando,  ed  anzi  'n  tutte 
Guise  cercando  imprimerla  ne'  cuori. 
E  a  cotanto  lavor,  non  come  è  d*uso 
A'  di  nostri,  togliesti  a  tua  compagna 
Una  filosofia  schiva  del  cielo; 
Ma  la  Fé»  che  fondò  su  salda  pietra 
«  Quegli  che  venne  a  rischiarar  le  carte,  » 
Essa  t'addusse  ne  li  regni  bui 
A  visitare  la  perduta  gente, 
E  giù  di  bolgia  in  bolgia  vari  e  strani 
Martori  a  quelle,  apparizioni  orrende, 
Trasformazion  mirabili  vedere 
Ti  fece,  e  ti  dettò  versi,  che  fanno 
Quegli  sdegni,  que'  pianti,  que'  stridori. 
Quelle  bestemmie  udir,  e  salutare 
Infondono  timor  di  quella  destra. 
Che  inalza  il  giusto  ed  inabissa  il  tristo. 

Indi  per  strania,  paurosa  scala 
A  riveder  le  desiate  stelle 
Ti  ricondusse,  e  ti  menò  've  sono 
Coloro  che  sé  purgano,  e  di  speme 


74  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Vivono  di  salir  quando  che  sia 
Alle  beate  genti.  Infin  dal  primo 
Entrarvi  ti  dettò  d'amore  un  canto, 
Che  crescendo  si  già  di  mano  in  mano 
Che  tu  di  balzo  in  balzo  su  poggiavi. 

Per  la  santissim'onda  finalmente 
Puro  rifatto,  con  Beatrice  al  cielo 
Ascendesti,  e  con  lei  di  lume  in  lume 
Gisti,  e  cose  vedesti  che  ridire 
a  Né  sa,  né  può  chi  di  lassù  discende.  » 

Or  a  vedere  se  a  cotant'esempio 
Nostr'operar  consuona,  ve'  la  stima 
In  che  tiensi  la  Fé,  ve'  le  persone. 
Più  de  la  terra  sacre,  come  avute 
Sono  in  onor.  Ahimè  non  che  fregiarse 
Oggi  la  gente  d'esser  serva  a  Cristo, 
Chi  sen  vergogna,  chi  l'oltraggia  e  spregia. 
S'arrotan  mille  lingue,  e  mille  penne 
S'aguzzano  a  beflFare  in  modi  mille 
Non  che  di  Cristo  agli  Unti,  Quei  che  vece 
Ne  face  in  su  la  terra,  e  non  li  tiene 
«  La  riverenza  delle  somme  Chiavi  » 
Che  pur  era  bastante  un  freno  a  porre 
A  tua  lingua  anche  allor  che  più  che  mai 
BoUiati  d' ira  ghibellina  il  petto. 
E  non  vedemmo  noi  a  senza  decreto 
Portar  nel  tempio  le  cupide  vele  » 
E  trarne  quanti  a  Dio  s'eran  dicati 
D'Italia  in  molte  parti?  E  che  dovunque 
Il  medesmo  si  fesse  non  s'  udirò 
Chieder  voci  frenetiche  insipienti  ? 
Al  lagno  che  sen  fea,  che  cosi  fatto 
Aveasi  oltr'Alpi  davasi  a  risposta. 
E  di  tal  guisa,  il  male  a  la  vergogna 
S'unia  di  folli,  eterni  imitatori. 
Ogg'  inondato  ha  l' itale  contrade 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  75 

Moltitudin  di  carte  d'ogni  errore 
Dei  novator  ripiene,  e  penetrate 
Sono  ne  l'officine,  e  de  le  donne 
Nel  gabinetto,  e  il  rustico  abituro 
Disdegnato  non  han.  E  già  tu  senti 
Il  fabro,  il  contadin,  la  donna  stessa 
Teologizzare,  e  dir  che  aperti  gli  occhi 
Hanno  le  genti  alfin.  Ma  se  t'  adopri 
La  nuova  a  discoprir  alta  sapienza, 
Oltre  uno  sprezzo  per  li  sommi  Veri, 
Invenir  non  t'  è  dato.  E  non  udirò 
Nostre  città  per  le  pubbliche  piazze 
Predicar  empie  lingue  rea  dottrina? 

E  se  le  serpi  ti  si  fero  amiche 
Quel  di  che  una  s'avvolse  a  l'empia  gola 
Di  un  che  blasfema  profferì,  cotanto 
Scellerato  ti  parve!  oh  quale  sdegno 
Non  sarebb'oggi  '1  tuo,  che,  se  dovesse 
A  cui  bestemmie  strignere  la  strozza 
Un  serpe,  foran  scarsi  a  si  beli'  opra 
Quanti  il  libico  suol  ne  serra  e  pasce! 

E  quali  orrendi  ahimè  contro  Colei 
«  Ch'  è  di  speranza  Fontana  vivace, 
a  Contro  la  Donna  ne  la  qual  s'aduna 
a  Quantunque  in  creatura  è  di  bontate,  » 
Contro  l'alma  Maria,  che  ne  l'amaro 
Esilio  il  core  t'alleggiava,  oh  quali 
Non  si  sciolgono  orribili  blasfemi  ! 

E  contro  il  Divo  Figlio,  ahi  come  crudi 
Sono  costoro  !  Co'  demon  più  feri 
Vincerebber  la  prova  !  E  pur  contr'  essi 
Leggi  non  sono,  o  sono  inerti  e  mute! 

Vuoisi  o  lasciasi  'nsomma  che  la  nostra 
Invadano  contrada  ree  dottrine 
A  conturbar  nostr'  alme,  a  tor  di  loco, 
Comechè  ciò  s' infinga,  l'alma  Fede  ; 


76 


POESIE   Di    MILLE  AUTORI 


E  Strappare  cosi  dal  venerato 
Capo  d'Italia  il  più  bel  seno,  il  serto 
Che  sovra  tutte  genti  in  ogni  etate 
Serbosse  intatto  con  gelosa  cura. 

Ecco  i  nipoti  che  solenne  omaggio 
Fannoti,  sacro  Dante,  ed  enipion  l'aura 
De'  bei  nomi  di  Padre  e  di  Maestro. 
E  quantunque  consuonin  l'opre  ai  detti 
Quanto  col  falso  si  conforma  il  vero, 
Che  tu  gli  accolga  sperano  e  n'arrida. 
Oh  si  lieve  è  '1  pensarlo  che  da  noi 
Te  misuriam  !  Da  noi  pe'  quali  è  un  nulla 
Qualsiasi  bene  che  non  è  del  senso; 
Da  noi,  che  gloria  di  nazion  confine 
Diciam  coli'  oro  avere  e  colla  possa. 

Ma  se  pensiamo  che  a  viltà  fu  chiuso 
Ognor  tuo  petto;  che  niun  vizio  al  tuo 
Si  sottrasse  flagel;  che  ti  fé' macro 
Per  tanti  anni  '1  sermon  che  in  poco  tiensi 
O  nullo  conto;  che  niun  si  bene 
Canio  di  nostra  Fé,  che  tutto  quanto 
Ti  divampava;  de  la  Fé,  che  noi 
Commentare  tentiam  con  empie  fole; 
Se  svolgiamo,  a  dir  breve,  i  fogli  tui. 
Oh  allor  non  a  sorriso,  si  a  disdegno 
Atteggiarsi  vedrem  tuo  sacro  aspetto! 
Ed  anzi,  ahimé!  tale  lo  veggio  e  in  atto 
Di  rinnovar  l'antic'  alta  rampogna. 
Onde  m' arrosso,  mi  conturbo  e  tremo.  ' 


'  Questo  cauto  cosi  leggesi  a  psgg*  25- 
32  in  un  opuscolo  in- 16  che  porta  il  se- 
guente  titolo  :  Saggi  di    uh    lavoro  poetico 


su  Fireuie  di  Luigi  Mengozzi.  Firenze,  stam- 
peria della  Gaii*tta  di  Firenze,  Piazza  delle 
Travi,  palazzo  della  Borsa,  i8é$. 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  77. 


DCCVIII. 

S.  Serragli. 

A   Dante  Alighieri 

PEL    suo    SESTO    CENTENARIO. 

Canti  genetliaci. 

U4  maggio  1865). 

Canto  I. 
A  Dante  sovrano  poeta. 

O  tra  quanti  fregiar  di  lauro  e  mirto 
Degnamente  le  tempie 
Massimo  eletto  spirto, 
Deir  italico  suol  decoro  e  lume, 
Anzi  splendor  del  mondo:  una  scintilla 
D'amor  per  angeletta 
Fiamma  si  fece  al  poderoso  ingegno; 
Neir  onesto  costume. 
Nella  beltade  schietta 
Del  ver  qual  forma  e  segno 
Colei  t'apparve  e  ti  fu  scala  al  vero, 
Ti  fu  scórta  a  virtude: 
Ambi  alto  proclamasti  e  il  culto  loro 
Dimenticato  ebbe  per  te  ristoro. 

Di  ragion  nell'  occaso 
S'ogni  buon  studio  vaca, 
Se  non  è  suon  che  di  chi  merca  o  indraca» 
Tu  sol  basti  a  te  stesso  e  ti  fai  vaso. 


78  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Ove  rantico  senno 

Irradiato  dalla  diva  luce 

Del  mostro  di  Betlem,  tutto  s'accoglie. 

E  pur  insana  e  truce 

Fremeati  intorno  la  sanguigna  rabbia 

Di  cupidi  tiranni  e  di  fratelli. 

Che  per  divise  voglie 

Ahi!  si  rodean  Tun  l'altro;  e  pur  d'esiglio 

Ne'  giorni  tuoi  più  belli 

Partigiana  vendetta 

Ti  saettò  con  l'arco;  e  tu  lasciavi 

Ogni  cosa  diletta, 

E  ramingo  sostando  il  pane  altrui 

Erati  a'  labbri  sale, 

Duro  calle  il  gradar  per  l'altrui  scale. 

Oh!  qual  battaglia  ti  ruggla  nel  petto! 
Il  più  gran  merto,  di  sé  conscio,  all'  ire 
Fatto  bersaglio  d'una  patria  ingrata! 
Di  lei  con  van  desire 
A  dimandar  costretto 
Mercè  nelle  superbe  aule  del  fasto 
Il  più  libero  spirto! 
Ed  era  nel  contrasto 
Vinta  da  povertà  l'alma  sdegnosa. 
Perchè  l' iniqua  pena  ? 
Dell'altier  Caietan  che  mal  sedea 
Di  Pier  nella  cattedra 
Contra  le  voglie  bieche  egli  volea 
Fiorenza  sua  dalle  armi  Franche  franca! 
Benché  tetragon  di  fortuna  ai  colpi 
Molto  soffristi  !  alfine 
Natura  soverchiò  l'alma  gagliarda; 
E  dolorata  e  stanca 
Della  terra  bugiarda 
Neil'  ospitai  Ravenna 
A  rivedere  il  ciel  precorse  anela. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  79 

E  qual  non  si  rivela 

Grandezza  in  te?  tutto  appo  te  fu  grande. 

Sin  le  sventure!  e  allor  che  in  rea  fortuna 

Chiudesti  i  santi  lumi 

Più  grandeggiasti  e  ugual  ti  festi  ai  numi. 

Se  i  fiacchi  prostra  e  scora 
Pertinace  destin  che  strali  avventi, 
Ritempra  ed  avvalora 
I  magnanimi  petti. 
L'aculeo  de*  tormenti 
Stancò  si,  non  domò  l'animo  invitto: 
Nello  splendido  manto 
Di  tua  virtù  t' avvolvi  ;  e  a  te  che  infiamma 
Ardor  di  sapienza  e  bella  fama 
Di  vita  spiritual  tergono  il  pianto 
Le  vergini  dolcezze. 
L'avida  sete  tua  forse  si  sbrama 
Se  di  qual  d'uomo  è  scienza  o  studio  od  arte 
Tu  beva  a'  fonti  e  avanzi  ? 
Sazio  non  sei  s'anco  alle  sacre  carte 
Non  attigni  quel  ver  che  in  Dio  s'appunta. 
Poi,  desti  i  fervidi  estri 
Dell'alta  fantasia 

Ti  schiudi  il  mondo  degli  spirti,  dove 
O  a  placito  s'espia, 
O  eternamente  plorasi  o  si  gode  : 
Varchi  l'inferno  e  l'etra 
E  con  divina  cetra. 
Cólto  tu  Dio  nel  padiglion  de'  cieli. 
Gli  alti  mister  d'un  mondo  arcan  riveli. 

In  chi  fu  mai  quaggiuso 
Tanto  valor  che  poetando  osasse 
Con  nuova  una  favella 
E  fuor  d'ogni  uman  uso 
Tanto  in  alto  levarsi? 
Disprigionar  l'averno. 


8o  POESIE   DI    MILLE  AUTORI 

Disserrar  degli  spirti  il  pio  lavacro, 

Squarciare  i  cieli,  prelibar  l'eterno 

InefFabil  tripudio  ed  indiarsi? 

Disabissar  l'abisso, 

E  con  accento  sacro 

Evocar  della  fede  il  trino  regno 

E  a  lui  docile  imporre: 

T' appalesa  alla  terra  ?  al  sommo  Giove 

Quasi  l'imperio  tórre, 

Di  man  rapirgli  i  folgori  e  gli  eterni 

Fremii  sonire  a'  buon,  le  pene  a*  rei  ? 

Sol  tu  il  potesti  col  divin  tuo  carme, 

0  miracol  d'ingegno!  e  se  i  materni 
Suoni  mal  certi  e  rudi 

Fallano  al  gran  subjetto  e  tu  ne  crei; 
Tu  magno  sofo,  tu  sovran  poeta 
In  secol  cieco  e  scabro. 
Tu  in  un  della  favella  itala  fabro. 

E  oh!  come  altèra  e  vaga 
De*  stupendi  portati 
Della  robusta  imaginosa  mente, 
E  del  comune  onor  quasi  presaga 

1  vergini  tesori. 

Le  ingenue  grazie  ti  spargea  dal  seno  ! 

Oh!  come  obediente 

Dell'  artefice  al  freno, 

Ei  Tuom  discorra  o  la  natura  o  Dio, 

In  elette  strignea  parche  parole 

E  perspicua  pur  fea  ad  altrui, 

D'  un  pensier,  d' un*  imago,  o  d' un  afifetto, 

D' un  vero  o  d'  un  precetto 

La  soverchiante  mole! 

Tu  dai  spirto  alle  voci;  e  par  ch'amiche 

Or  tutte  brillin  di  soave  riso, 

Spirin  d'ambrosia  orezzo 

E  piovan  raggi  tolti  al  paradiso; 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  8l 

Or  di  latte  o  di  lacrime  o  di  sangue 
Quasi  versino  stille; 
Or  di  nobile  sdegno 
Fiammeggino  in  faville; 
Or  di  rampogna  in  tuono 
Rimormorìno  cupe;  or  di  perverse 
Opre  vindici  austere 
•  Sibilin  truci  in  fulmini  converse. 
Numeri  peregrini, 
Maravigliose  rime. 

Se  con  gemino  un  suon  che  arguto  eleggi 
Del  bello,  del  sublime, 
Del  terribil  negli  ultimi  confini 
Quasi  ignaro  passeggi! 
Cosi  con  magister  ch'ogni  altro  avanza 
Sai  dar  figura  e  moto  ed  atto  ai  carmi, 
Come  Apelle  ai  colori  e  Fidia  ai  marmi. 

Ogni  cultor  gentile, 
Che  delle  muse  il  ministero  intenda. 
Vuol  che  virtù  meglio  per  lor  si  pregi. 
Trovi  una  man  degli  usi  rei  rammenda, 
E  il  buon  viver  civile 
Di  lor  si  giovi,  inspiratrici  sacre 
Di  generosi  afietti  e  d'atti  egregi. 
Tardi,  e  ne  avemmo  briga, 
Dettò  tra  noi  si  la  moderna  scuola: 
Ma  tu  che  ben  discerni 
Dove  ad  altrui  caliga, 
Sin  da'  di  tuoi  con  luminosa  prova 
Lo  insegnasti  assai  me'  che  con  parola. 
Di  vita  insieme  a  documento  e  d'  arte 
Evochi  estinti  o  vivi. 
Secondo  che  a  te  giova, 
Dal  gran  volume  degli  umani  eventi  : 
Innanzi  a  te  li  traggi,  interroghi,  odi. 
Gli  animi  e  i  casi  ne  disveli;  ed  ora 

OlL  BALtO.  Voi.  XIV.  6 


82  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Col  pennel  degli  accenti 

Pietosamente  ne  dipìngi  i  guai; 

Or  acre  dispensier  dì  biasmi  o  lodi 

Con  occhio  scrutator  tutti  ne  libri 

Quai  siano  gli  atti  e  cribri: 

E  mentre  si  Tauro  ingemmando  vai 

T'  ergi  ne*  cuor  tal  regno 

Ch'  altri  a  tuo  grado  intenerisce  e  geme, 

Trema,  esulta,  s'adira,  impreca  e  freme. 

Spesso  di  strali  armato  e  di  flagelli 
Terribilmente  fero 
Sembri  Giove  tonante, 
Qualor  di  tempi  sciagurati  e  felli, 
Bollente  il  sen  dì  generosa  bile, 
Levi  la  magna  voce  altisonante 
A  rampognar  le  colpe  e  le  vergogne. 
Quali,  quai  fian  menzogne, 
O  nequizie  o  viltadi. 
Sotto  pileo  s'annidino  o  corona. 
Cocolla  o  benda  o  infula  o  tiara, 
Sian  d'uomini  o  cittadì. 
Cui  tu  non  strappi  larva  e  le  alzi...  e  le  alzi 
Al  cospetto  del  mondo? 
E  un  sol  motto  ti  vai,  vaiti  uu'  amara 
Subitana  ironia,  che  dissi?  l'onta 
Del  silenzio  ti  vai  per  fulminarle. 
Solverle  in  polve  che  raccoglie  averno, 
E  condannarle  a  vituperio  eterno 

Uom  fosti  o  Dio,  che  mentre  inerte  giacque 
Della  mente  il  consiglio,  e  innanzi  al  brando 
Timido  il  dritto  tacque. 
Né  di  nobili  affetti 
Favilla  fu  che  riscaldasse  i  petti. 
Pur  in  tuo  sen  chiudesti 
Di  saver,  di  virtù  tesor  cotanto? 
Ed  a'  mortai  ne  festi 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHJERI.  83 

Si  larga  e  opima  parte 

Con  rcteme  tue  carte? 

Men  che  nume  e  più  ch'uom,  tu  fosti  speglio 

Ove  al  divino  sole 

I  raggi  suoi  piacque  rifletter  meglio; 

Perchè  fiammante  di  benigna  luce 

Candelabro  splendessi 

Nella  notte  de'  tempi  e  fossi  duce 

A  raddrizzar  l'umanità  smarrita 

Nel  camin  della  vita; 

SI  che  l'ali  il  pensier  di  nuovo  impiumi» 

E  la  santa  onestà  tempri  i  costumi. 

E  ben  compiesti,  o  magno, 
L'alto  mandato,  benché  tardi  ahil  troppo 
Fossi  compreso:  né  alla  ferrea  voglia 
Tutta  di  quel  tesor  volta  al  guadagno 
Si  fur  nimico  intoppo 
I  rari  allora,  del  saver  ministri. 
Codici  eh' esarò  la  lenta  mano; 
Né  la  manca  favella. 
Né  lo  vegghiar  maestrato, 
O  della  patria  nuncio  il  gir  lontano; 
Né  il  furor  de'  tumulti; 
Né  i  lunghi  dell' esigilo  errori  e  affanni. 
Ahi!  sol  troncati  da  precoce  fato. 
Cììè  il  genio  uman  sui  vanni, 
Ch'indi  per  te  impennò,  pur  non  féa  cenno 
Che  l'arti  dedalee 
Seco  levar  volesse  ai  gran  portenti 
Ond'oggi  han  schiuso,  quasi  altrici  dèe, 
Agli  agi  ed  al  saver  vie  prima  ignote. 
Né  lo  Norimberghese  avea  sul  Meno 
Dotti  a  jmmillar  papiri, 
Né  sull'Arno  il  Cennin  disciolto  il  bronzo 
Nelle  tenaci  note; 
Prigionier  non  fremeva  abile  al  freno 


84  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

D'artificiose  macchine  ne'  giri 

Per  Watt  il  fummo,  si  che  poi  degli  atri 

Vortici  altier  forzasse  obedienti 

A  curvarsi  a'  suoi  pie'  lo  spazio  e  il  tempo; 

E  scusando  i  corsier,  le  vele  e  i  venti 

Uomini  e  cose  a  grado  altrui  lanciasse; 

Non  avea  Morse  audace 

Dato  le  ali  del  fulmine  al  pensiero, 

Perchè  nuncio  volasse 

Tra  il  gemino  emisfero; 

Né  dell'ingegno  di  Daguerre  all'ago 

Fatta  pittrice  per  industre  vetro, 

D'ogni  obbietto  l'imago 

In  carta  ritraèa  fida  e  secura 

Col  pennel  della  luce  essa  natura. 

Pur  di  te  stesso  mastro 
Tutto  sapesti,  e  instrutti 
Pesti  di  tutto  tutti; 
Come  lucente  di  suo  proprio  lume 
Gli  altri  pianeti  irraggia  il  massimo  astro, 
E  ben  s'adempie  ornai  la  sesta  etate 
Dacché  provvido  il  nume, 
Quasi  a  dar  di  sua  possa  un  nuovo  saggio, 
Dell'Arno  in  sulla  riva, 
Sacro  vetusto  vate. 

Ti  spirò  la  grand'alma:  i  tempi  intanto 
Feansi  maturi  e  crebbero  il  retaggio 
Del  nuovo  senno;  alla  tua  fiamma  accesi 
Schiera  di  begl' ingegni  in  fama  giunse, 
Fama  chiara,  immortale; 
Niun  però  la  tua  vinse. 
Che  ognun  tolse  da  te,  nessun  t'aggiunse» 
Si  precorresti  i  nuovi  di,  che  quale 
D'intelletto  o  di  man  pur  anco  miri 
A  onorata  fatica 
S'inspira  al  tuo  volume  e  si  nutrica; 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  85 

Perocché  non  t'attempi, 
Ma  qualunque  del  mondo  ospite  plaga 
.Ogni  di  più  del  nome  tuo  riempi; 
E  del  tempo  e  dell' uom  vinte  le  leggi, 
Qual  già  da  pria,  gigante  ancor  torreggi. 

k  Fiorenza,  all'Italia  un  tal  portento 
Largia  benigno  il  cielo! 
E  la  terra  natal  fatta  madrigna 
Dall'Amo  il  pinse?  e  lui  niegò  l'accento 
Di  là  dal  Mincio  oligarchia  superba? 
Tacciasi...  e  denso  un  velo 
I  falli  covra  d'un' età  maligna: 
Secolari  sventure 

Assai  ne  fér  lunga  vendetta  e  acerba! 
Sol  nell'età  future 
I  sovrani  intelletti  ebber  mercede 
De'  nobili  sudor:  spiega,  o  gran  padre. 
Deh!  spiega  il  sopracciglio  irto  e  severo, 
E  a  giocondo  sorriso 
Solvi  il  turgido  labro!  Oh!  non  invano 
Di  questa  Italia  il  corpo  egro  e  diviso 
Congiunto  festi  e  intiero 
Col  laccio  della  lingua;  ed  il  retaggio 
A  lei  lasciasti  di  virili  affetti! 
No,  l'antico  valor  non  più  si  langue 
De'  figli  suoi  ne'  petti: 
Nella  polve  e  nel  sangue 
Degl'Insubri  cimenti 
L'abbominosa  gonna 
Or  or  spogliò  d'ancella,  e  infra  le  genti 
Siede  reina  e  di  provincie  donna; 
Siede  reina  e  purché  saggia  il  voglia 
Mai  più  fia  che  il  diadema  altri  le  toglia. 

Ma  che?  dal  cor  passaggio 
S'apre  alla  fronte  invida  nube  e  vela 
Della  tua  gioia  il  raggio? 


86  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

E  inquieto  volgi  il  ciglio 

Or  al  Tebro  e  or  al  Mincio  e-  poi  sospiri  ? 

Dehl  t'asserena!  e  mentre  nell'abisso 

Del  suo  consiglio  a'  nostri,  a'  tuoi  desirì 

Matura  i  suoi  decreti  il  Re  Superno, 

Mira  Fiorenza  tua! 

Oh!  come  di  te  altera 

Le  palpita  per  gioia  il  sen  materno! 

Come  alla  voce  sua 

Tutte  rìspondon  l'itale  contrade 

A  celebrar  festive 

Del  natale  tuo  di  la  sesta  etade! 

Più  ch'onor  d'inni  e  simulacri  un'ara 

La  madre  a  te  prepara; 

E  sovra  ella  vi  scrive: 

Cancellato  è  d'Agubbio  il  disonore; 

Venerate  l'altissimo  Cantore. 


Canto  IL 
A  Dante  gran  cittadino. 

Se  le  sue  maraviglie  il  ciel  ti  schiuse. 
Il  ciel  che  pose  mano 
Pur  con  la  terra  al  tuo  poema  sacro, 
Onde  vate  tu  sei  primo  e  sovrano, 
Padre  delle  moderne  Ausonie  Muse, 
Norma  a  nostra  favella, 
Di  virtù  propugnacolo  e  radice 
Di  quel  saver  che  il  mondo  rinnovella. 
Assai  già  fora  perchè  a  nullo  eguale 
Quant'esso  duri  e  splenda 
Glorioso  il  tuo  nome  ed  immonale; 
Assai  già  fora  perchè  Italia  tutta 
In  un  cor  solo  e  in  una  voce  unita 
Sull'Arno  a  te  devota 


INTORNO   A   DAKTE  ALIGHIERI.  87 

S'inchini  e  al  gionio  plauda  e  renda  onore 

Che  le  prime  bevesti  aure  di  vita 

Nella  città  del  Fiore: 

Tu  la  face  le  dasti  ond'ella  sparse 

Nella  restant*  Europa  aspra  ed  incolu 

Luce  di  civiltà  la  terza  volta. 

Ma  non  fosti  tu  pure 
Inclito  cittadin?  non  ti  circonda 
La  venerata  chioma 
Con  la  Penèa  pur  l'Àonia  fronda? 
E  ti  fruttò  sventure  l 
AUor  te  veder  parmi 

Che  balda  gioventù  t'ombreggia  il  mento 
Se  la  patria  t'appelli 
A  marzial  cimento 

Lassar  li  grati  studi  e  cigner  le  armi; 
E  misto  a'  suoi  drappelli, 
Ahil  la  vita  rischiando 
Animoso  guerriero, 
Stretto  nel  pugno  il  brando, 
Correr  contra  il  nimico  in  Campaldino, 
Finché  domo  si  giaccia 
L'orgoglio  ghibellino; 
O  si  d'ossidi'on  premer  Caprona 
Che  pallidi  e  tremanti 
Tu  veggia  uscirne  i  patteggiati  fanti. 

Certo  infausti  si  fùr  que'  di  ch'esterne 
Si  diceano  dagli  avi 
Le  battaglie  fraterne: 
Empie  si  ben  le  feo  l'emula  possa 
Del  German  scettro  e  delle  somme  chiavi, 
Onde  prima  Lamagna 
E  Italia  poi  si  fu  partita  e  scossa: 
In  scellerata  guerra 
Ahi!  rodersi  l'un  l'altro  allor  fu  visto 
Di  quei  che  un  muro  ed  una  fossa  serra. 


88  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Altre  pugne  sovente 

Recar  di  forze  acquisto; 

E  senza  le  civili  armi  fremente 

La  feudal  tirannia 

Entro  alle  brune  rócche, 

Qual  pronta  a  furiar  belva  s'imbosca, 

Minacciar  oserìa 

Da  Monteorlandi  ancor,  da  Montebuoni; 

Né  siederla  sul  chiaro  Arno  suprema 

Fiorenza  e  capo  della  gente  Tosca, 

Ma  fóran  pur  li  suoi  confin  la  Sieve, 

Il  Bisanzio,  TOmbron,  la  Pesa  e  1*  Ema. 

Italo  sangue,  è  vero, 

Versava  itala  mano; 

Pur  d*una  madre  istessa  i  figli  sparsi 

Insieme  si  mescèan,  si  che  Tun  l'altro 

Raffigurasse;  e  con  lavoro  arcano 

Giugnendosi  in  famiglie, 

A  poco  a  poco  la  romulea  stirpe 

Dal  nordico  furor  già  franta  e  oppressa 

Riprendèa  la  coscienza  di  sé  stessa. 

Della  patria  orator  tua  voce  udièno 
E  TArbia  e  il  Trasimeno 
E  la  Magra  ed  il  Panaro  e  la  Brenta, 
E  il  Tebro  a  te  fatale, 
E  due  volte  il  Sebeto  e  sin  là  dove 
Sotto  Arturo  aquilon  più  fiero  assale: 
Cosi  gli  stati  amici 
Ella  per  te  servava  ovver  crescea; 
Fea  più  miti  i  nimici; 
Guerre,  paci,  confin,  leghe  curava, 
E  autorità  prendea 
Negl'itali  consigli:  entro  sue  mura 
Chi  poi  non  fora  stato  altier,  chi  tolto 
Non  avriasi  ad  onore,  a  gran  ventura 
A  porre  il  fren  nelle  tue  ferme  mani 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  89 

Della  pubblica  cosa? 

Non  eri  tu  d'Europa  il  primo  lume? 

Scuola  non  eri,  esempio 

Di  severo  costume? 

Regnasti  con  quel  regno 

Che  inconsapevolmente  in  sé  rinviene 

Qual  di  regnar  per  sovran  spirto  è  degno: 

E  quando  su  cui  nuncio  al  Tebro  ir  deggia 

Dubio  il  concilio  ondeggia 

E  a  te  fa  cenno,  oh!  ben  dir  puoi  se  il  dici: 

S'io  vo  chi  sta,  s'io  sto  chi  va?  —  Fu  voce 

Che  spontaneo  fuor  trasse  a  te  dal  petto 

Il  conscio  incomparabile  intelletto. 

E  ben  volvèasi  allora 
La  patria  in  gran  tempesta: 
Del  natio  Stige  iuora 
Lorda  le  bende  di  fraterno  sangue 
Scuotèa  del  crine  ogni  angue 
Pazza  discordia  suU'Ombron,  sull'Arno; 
Parti  a  parti  opponeva  ed  ire  ad  ire 
E  tumulti  a  tumulti. 
La  perigliante  nave 
Tór  vuoi  con  fermo  vdire 
E  de*  venti  e  dell'onde  a'  fieri  insulti, 
Prode  nocchier  ti  slanci  al  suo  governo. 
La  santa  carità  del  natio  loco, 
Che  t'arde  il  sen,  frapponi 
Tra  quel  furore  alterno; 
E  con  ogni  argomento 
Sudi  a  tentar  se  ad  unità  componi 
Li  scissi  cor:  mostri  com'  abbia  il  poco 
Da  concordia  incremento; 
E  come  cosa  che  pur  grande  sia 
Per  mala  di  vision  ruini  e  péra: 
Ed  ohi  qual  rosso  generoso  sdegno 
Il  volto  ti  covrla. 


90  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Quando  alta  invocar  da  man  straniera 

D'emulo  cittadin  la  voce  udisti! 

Il  ribaldo  disegno 

Favoria  Bonifazio; 

Ed  occultava  insidiosa  rete 

Ch'  una  tendèa  dell'  altra  parte  a  strazio  : 

La  morte  pria,  gridasti,  e  fia  men  danno 

Che  dar  la  patria  ad  un  stranier  tiranno! 

Allor  gisti  al  Tarpèo: 
Ma  innanzi  a  te  già  v'  era  il  Franco  Carlo; 
V  oro  già  v'  era  del  mercato  rèo 
Che  insiem  col  tuo  comprava  il  patrio  scempio. 
Di  Camil  tu  recavi  e  l'alma  e  il  senno, 
iMa  non  il  ferro;  invano 
Forse  del  gran  romano 
Ti  ricorse  al  pensier  l'ardito  esempio: 
Non  venia  questa  volta  il  nuovo  Brenno 
Oste  feroce  contra  il  Campidoglio, 
Ma  di  città  trafficator  consorte 
Con  cui  chiamoUo  e  asceso 
Dalla  nave  di  Pier  sedèavi  in  soglio. 
Lunga  promessa  con  l'attender  corto 
Là  ti  blandisce  e  occulta 
Insidie  a  te  prepara; 
Né  tardi  a  farti  accorto 
Che  vano  è  opporsi  di  tua  patria  al  fato. 
Pien  di  cruccio  e  dolor  lasci  fuggendo 
La  Babilonia  avara: 
AU'Arbia  sosti;  e  quivi  odi  l'orrendo 
Atto  che  fuor  del  beU'ovil  ti  serra; 
Odi  Carlo  pacier  non  già,  ma  lupo 
Là  disfiorare  il  giglio 
Dando  nel  sangue  e  nell'aver  di  piglio; 
Odi  della  tua  terra 
La  partigiana  rabbia  e  la  rapina, 
Il  servaggio,  l'infamia  e  la  ruina. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  91 

Forse  angoscioso  pianto 
Le  gote  allora  ti  solcò;  ma  il  puro 
Ànimo  t'era  usbergo. 
Il  qual  ti  rinfrancava  e  fèa  securo: 
Contra  quello  veder  pur  speri  infranto 
Il  furor  de'  nimici, 

E  a  te  schiuso  il  natio  tno  dolce  albergo 
In  di  più  riposati  e  più  felici: 
Oh!  Sorga  un  prode,  il  cor  ti  grida,  un  prode 
Eròe  che  le  discordi 
Di  quest'umile  Italia  afflitte  terre 
In  bella  pace  accordi 

E  con  man  forte  insìem  le  giunga  e  annodel 
Ma  chi  sarà?  sei  cerca 
La  Guelfa  parte  invano 
Là  dove  Cristo  tutto  di  si  merca: 
Forse  uscirà  dai  cento 
Esigui  suoi  signor?  ma  a  cui  consiglio 
Manca  o  valore,  a  cui 
Fortuna  od  ardimento; 
A  tutti  possa.  Oh!  non  v'è  suso  Iddio? 
Del  bel  paese  oblio 
Fia  mai  cotanto  in  lui 
Che  Tabbominio  non  ne  toglia  o  scemi  ? 
Profugo  ed  infelice 
Erri  con  tai  pensier  di  loco  in  loco 
Entro  Italia  non  pur  ma  là  sui  lidi 
Della  bellica  Gallia  e  degli  estremi 
Britanni  industri;  e  in  quello 
Ch'  usa  essendo  Fortuna  a  mutar  gioco 
Attendi  miglior  fato  e  nel  ciel  fidi. 
Usi  co'  saggi  estrani, 
Dottrine,  leggi,  e  lor  costumi  apprendi, 
Ma  ricevi  assai  men  di  quel  che  rendi. 

Sei  sulla  Senna,  quando 
Quel  gran  braccio  di  Dio,  dal  qual  t'aspetti 


92  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

L'italica  salute. 

Veder  parti  nel  prode  e  miserando 

Settimo  Arrigo:  ei  le  Alpi  avea  già  sceso: 

L'animo  temperato  e  la  virtude 

Speme  di  men  rea  sorte  oiFriano  e  pegno: 

E  si  ne  sei  tu  preso, 

Sì  di  soave  voluttà  t'inonda, 

Che  già  dell'ali  all'ombra 

Del  sacro  imperiai  segno 

Le  latine  città  vedi  in  gioconda 

Pace  e  francate  e  in  un  sol  patto  strette; 

Vedi  il  sommo  pastor  dal  Vaticano 

Dar  loro  amica  mano; 

E  gittato  lo  scettro,  onde  traligna. 

Fido  tornar  cultore 

Della  mistica  vigna; 

De'  padri  tuoi  vedi  te  reso  al  caro 

Suol  disiato  e  alla  magion  tranquilla: 

D'este  imagini  al  riso  il  cor  ti  brilla. 

Ciò  eh'  alma  ardente  agogni 
Parie  che  in  man  già  tegna: 
Indi  è  con  tai  si  lusinghieri  sogni 
Che  sul  Pò  voli:  e  in  vèr  per  V  ampia  e  grave 
Di  tua  parola  autorità,  l' impresa 
Con  tutta  lena  aiti 
Del  sir  di  Lucemburgo 
E  n'  hai  del  cor  la  chiave. 
Ma,  ohimè!  valor  che  vai  contra  fortuna? 
Amica  ella  rispose  a'  primi  inviti; 
Poscia  il  tergo  gli  porge,  e  pur  congiura 
Insiem  con  lei  natura; 
Nembo  di  guai  sul  capo  suo  s'aduna: 
Strale  di  morte  in  suU'Ombrone  il  coglie, 
Di  che  ministra  è  forse 
Arcana  man  ch'atro  venen  gli  porse; 
E  appo  la  Tosca  Alfea 


INTORXO  A    DANTE   ALIGHIERI.  93 

Pietosa  un'  urna  accoglie 

Del  giovine  signor  la  polve  e  insieme 

Quella  pur  della  tua  defunta  speme. 

Cosi  fato  implacabile  e  maligno 
De'  tristi  disinganni 

Il  nappo  amaro  a  ber  ti  sforza  e  ride, 
Ride  e  t'addita  lacero  e  sanguigno, 
Qual  pria  d'Italia  il  sen,  qual  pria  furenti 

I  cento  suoi  tiranni, 
Le  risse  fratricide; 
La  terra  tua  t'addita 

Che  pur  di  nuove  codardie  si  brutta; 

E  in  quel  che  niega  a  te,  suo  chiaro  seme, 

II  grembo  o  a  prezzo  l'onor  tuo  ne  pone, 
AU'Angioin  che  il  bel  Sebèto  preme 
S'offre  e  coi  stràn  s'ausa  a  trescar  putta. 
Sospiri  ed  il  ciel  guati, 

E  dal  ciel  ti  sorride  il  sommo  Vero; 
In  lui  fisi  il  pensiero. 
Ed  ei  ti  detta  l' immortai  volume, 
Che  t'assecura  eterna 
La  gloria  della  h'ngua  e  delle  muse: 
Pieno  cosi  del  nume 
Che  ti  sostien  la  penna. 
Tergi  del  pianto  il  ciglio, 
Tempri  il  duol  de*  di  rèi,  del  tristo  esiglio. 
Benedetta  colei  che  in  te  s'incinse! 
Fortunata  Ravenna 
Che  di  te  serba  le  sant'  ossa  I  l' ossa 
Ch'  all'  itale  vergogne 
Sollevarsi  parean,  fremere  e  un  fioco 
Mandar  suon  di  rampogne 
Sino  dall'ima  fossa! 
Le  serba  si;  che  vindice  paura 
Con  sacrìlega  mano  invan  le  fura. 
Ma,  ohimè!  perchè  pur  freme 


94  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Tua  polve  e  par  ne  sgridi?  ah!  intendo  incendoi 

Mal  genio  v'  ha  che  la  novella  speme 

Turba  tra  noi  di  bell'età  futura, 

E  del  patrio  riscatto 

Contro  l'opra  santissima  congiura. 

Il  Novarese  lutto 

Che  la  speme  d'allor  mutava  in  sogno 

E  la  palma  in  cipresso; 

E  d'obbrobrio  novel,  di  nuovo  pianto 

Per  due  lustri  recò  Tamaro  frutto. 

Opra  fu  di  lui  stesso. 

Egli  è  il  demone  antico 

Dell'itale  discordie  a  far  inteso 

L'ultime  prove:  e  il  gelo 

Ora  infonde  ne*  cor  d'odio  nimico; 

Or  li  sommuove  ed  arde 

Con  fiamme  inquiete  di  mal  dritto  zelo. 

Indi  vario  d' intento  e  di  bandiera 

Vedi  gemino  stuol  che  ne'  perigli 

Della  patria  si  mesce; 

Concitator  di  civici  scompigli 

L'uno  all'altro  attergato  insiem  si  schiera; 

Ed  ahi  !  gì'  inciampi  accresce 

Che  r  Europa  gelosa 

Pone  all'arduo  cammino, 

Onde  Italia  al  suo  volge  alto  destino. 

Su  popolo  diviso  e  fatto  armento 
Per  tór  sua  parte  del  lanoso  vello 
L'uno  i  re  senza  libertà  disia; 
Di  plebi  assentator,  benché  non  spregi 
Regal  paludamento. 
Libertà  senza  i  re  T  altro  vorria: 
S'odian  tra  lor;  ma  in  quei  turpe  vaghezza 
Di  vassallaggio,  in  questi 
Insaturato  ardor  di  sovrastanza 
Verso  regio  potere  il  qual  s' innesti 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  95 

A  liberi  instituti 

Fan  comun  pur  tra  lor  la  nimistanza, 

Però  nel  demolir  si  dan  la  mano: 

E  il  tribunizio  coro  udrai  far  eco 

Sovente  all'imprecar  garrulo  e  insano 

Del  tralignato  ed  a'  tiranni  accetto 

Consorzio  di  Loiòla. 

Appo  Tetà  bollente  e  il  vulgo  cieco 

Dell'ingegno  non  pur,  della  parola. 

Ma  della  libertà  per  lor  s'  abusa  ; 

Contro  qual  regga  la  sbattuta  nave 

Di  fortunoso  mar  nel  duro  corso 

Scoccan  dall'arco  teso 

Di  quotidiana  accusa 

Strai  feritor  con  venenoso  morso; 

Dalla  cortina  che  vilti  gli  ha  steso 

Fa  plauso  l'un,  se  di  precoci  pugne 

L' impaà'ente  ardor  1'  altro  importuno 

Lusingando  fomenti, 

E  al  migliore  de'  re  rapir  s' attenti 

L'arbitrio  della  guerra  e  della  pace; 

Ciascuno  artatamente 

Del  ben  si  passa  e  il  tace, 

L'errore  aggrava  se  talor  noi  mente; 

E  l'uso  rèo  qua  e  là  seguaci  trova. 

Immemori  che  al  par  di  lubriche  onde 

Passan  uomini,  editti:  e  altri  corregge 

Più  cauto  qual  di  lor  fé'  mala  prova; 

Che  d' ogni  cosa  in  cima 

Star  dee  la  patria  e  che  suprema  è  legge 

La  sua  salvezza;  e  tutto  di  premendo 

L'affannato  nocchier  spinto  è  a  periglio 

Di  naufragio  esizial  pur  il  naviglio. 

E  nelle  stragi  Polonesi  e  al  crollo 
Della  Danese  monarchia  s'abbraccia 
Torva  e  cruenta  in  nodo  trin  la  possa 


96  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Nordica,  e  qual  sia  collo 

Di  popol  fier  di  libertà  minaccia! 

E  l'Europa  su  noi  le  luci  ha  fisse! 

E  il  sir  d' Ausburgo  eh'  anelante  aspetta 

Che  dell'itale  risse 

11  perpetuo  mal  vezzo 

La  via  gli  spiani  amico 

Deirinsubria  perduta  a  tór  vendetta 

E  ride  e  spera!  e  con  lui  spera  e  ride 

Qual  v'ha  codardo  a  franco  spir  nimico! 

È  supremo  il  momento!  e  se  per  armi 

Vittrici  in  paventose  erculee  sfide 

Drizzò  le  vele  V  itala  franchezza. 

Scorgerla  a  riva  dènno 

L' unità  de'  voler  che  fa  fortezza, 

Nuove  armi  ancor  se  fia  mestier;  ma  quelle 

Non  già  che  a  lutto  impeto  cieco  muove, 

Ma  spiator  d'occasione  il  civil  senno 

A  gloriose  prove. 

È  supremo  il  momento!  e  od  ora  o  mai 

Già  forse  scrive  in  adamante  il  fato! 

Italia  non  lattò  qual  d'odii  seme 

Sparga  in  sua  via  perch'ella  mieta  guai; 

Oh!  si  l'opre  a'  nata!  fanno  il  processo; 

Ei  mente  il  sangue!  e  d'Aleman  soldato 

Lui  generò  la  madre 

In  adultero  amplesso! 

No  ?  deh  !  per  Dio  ne  porga  il  più  bel  segno 

Volgendo  a  pace  con  la  man  l'ingegno. 

Italia,  o  mio  sospiro 
Sin  dall'età  ch'io  fea  cavai  di  canna, 
Ben  a  ragion  m'adiro: 
Se  molti  t' hanno  in  sommo  della  bocca 
Ahi!  che  v'ha  pure  chi  t'insidia  e  inganna, 
E  di  fiel  partigian  tra  l' ire  cupe 
Voti  empii  cova!...  lui  perdona!  è  folle. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  97 

Popolo  è  chi  ama  e  pensa;  il  resto  è  volgo; 

A  quel  ti  strigni  e  nel  supremo  fida 

Moderatore  degli  umani  eventi 

Che  pietoso  t'estolle, 

E  ornai  più  non  sostien  discissa  e  curva 

Lei  che  die*  freno  e  luce  ali*  altre  genti. 

Quand* auspice  all'impresa  è  il  giusto  etemo 

Che  temi  alma  virago? 

Oh!  pria  tu  torni  al  mondo 

Nuova  favola  e  scherno 

Andrà  in  fiamme  1* Europa;  e  Catta  fia 

Di  sangue  orrido  lago: 

Pugnerem  finché  un  braccio  avremo  e  un  petto; 

E  l'italo  poeta 

Pien  del  nume,  se  a  lui  falliran  Tarmi, 

Di  fulmini  tremendi  armerà  i  carmi. 

Nuovi  raggi  dal  ciel  piove  tua  stella: 
Che  s*or  t'affanna  il  gemino  lavoro. 
Onde  sudando  allacci 
Di  tue  belle  provincie  ogni  sorella 
E  solvi  te  dai  lacci, 
Soffri  per  poco  ancora! 
Meglio  è  penar  per  surgere  a  grandezza. 
Che  penar  per  servir;  né  <i nella  aggiugne 
Chi  forte  non  s'avvezza 
A  sfidare  gli  ostacoli  e  i  perigli. 
Ansie,  oro  e  sangue  sempre 
Di  libertà  fÙr  prezzo;  e  da  sue  pugne 
Popolo  esci  trionfante 
Provvido  ne'  consigli 
E  nei  proposti  unanime  e  costante. 
L'oro!  se  o  patria  il  chiedi,  oh!  non  sospiri 
Qual  sia  ritroso  e  scarso 
Per  natura  taccagna: 
Pensi  a  quel  che  coi  ceppi  e  coi  martiri 
Entro  lor  tetto  istesso 

Obl  Balio.  Voi.  .KIV.  7 


98  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Carpiva  agli  avi  il  fier  ladron  di  Spagna: 

Miseri!  se  le  insolite  ritorte 

Frangèan 'violenti,  di  balcon  pel  vano 

O  di  cisterna  tra  le  fauci  spesso 

Fuggian  lo  scempio  con  ultronea  morte! 

Soffri  per  poco  ancora! 

Né  fia  di  tempo  guari 

Ch'assista  tra'  duo  mari, 

Tra  tue  provincie  e  tra  le  cento  illustri 

Cittadi  tue  farai  di  te  signora 

E  quetata  e  felice. 

Che  se  pur  or  dell'altre  genti  ai  desco 

Non  ignobile  seggio  aver  ti  lice, 

Te  allor  quelle  vedranno  alta  reina 

Spirar  l'antica  maestà  Latina. 

Ed  oh  !  pur  fia  che  dagli  error  de'  padri. 
Fecondi  a  noi  di  lunghi 
Secoli  ontosi  ed  adri, 
Togliam  consiglio  a  non  turbar  la  pace 
Del  tuo  sepolcro,  altissimo  poeta. 
Or  che  benigni  pare 
Che  ne  arridano  i  cieli! 
È  ver  che  di  duo  rare 
Gemme  pur  non  rifulge  il  regal  serto. 
Che  premio  pari  al  merto 
Ausonia  dianzi  ai  marzii  allori  appose 
Di  quel  suo  sir  ch'ai  piede 
Dell'alpina  muraglia 
Tien  sull'elsa  la  man;  nuovo  di  fede 
Miracolo  nel  soglio,  e  di  valore 
Ne'  campi  di  battaglia: 
Ma  in  brevi  soli  grandi  cose  oprammo 
Che  securo  son  pegno,  ove  il  dolore 
Qualcosa  insegni,  e  muta 
Non  sia  per  noi  la  storia. 
Che  intiera  sui  nimici  avrem  vittoria. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  99 

Vittoria  avrem  se  della  patria  all'ara 
L'ardore  vaglia  a  che  niun'alma  sia 
Di  sacrifici  avara; 
Ma  lo  infreni  prudenza 
Che  il  voler  col  poter  cauta  misura, 
Edotta  da  esperienza 

Che  qual  più  faccia  che  non  può,  mai  dura: 
Vittoria  avrem  se  da'  fatali  eventi 
Fia  ch'attender  sappiam  l'ora  prescritta 
Agli  estremi  cimenti: 
E  suonerà  sol  quando 
Il  magnanimo  Re  premendo  il  dorso 
Del  suo  destrier  spumante 
Balenar  faccia  il  formidabil  brando 
E  gridi  all'armi,  all'armi! 
Deh!  il  desiato  istante 
Tutti  concordi  in  un  voler  ne  trovi. 
Se  cari  della  patria  a  noi  pur  sièno 
La  salute  e  l'onor!  se  allori  nuovi 
Mieter  ne  caglia  ed  al  fraterno  seno 
Strigner  francate  dell'indegna  soma 
L'Adriaca  donna  e  Roma! 
Allora  i  lunghi  voti 

Verranno  intieri  o  magno  ;  e  a'  chiari  fatti 
Di  rintemprati  e  liberi  nepoti 
In  guerra  prodi  e  in  cìvil  senno  adulti 
Fia  che  di  gioia  la  tua  polve  esulti. 


Canto  III. 
A  Dante  sommo  politico. 

Divo  cantore,  all'  inspirato  accento 
Questa  innanzi  al  creato  umile  aiuòla 
Ti  falHa  d'argomento; 


lOO  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Vista  tu  lei  d'ogni  giustizia  vuota 

Ti  drizzasti  all'eterna: 

Ti  dileguasti...  e  per  l'eteree  vie, 

Aquila  del  pensiero 

Alto  librata  sulle  intrepide  ale, 

Il  voi  t'apristi  alla  magion  superna 

Per  pascere  il  disio  nel  primo  Vero 

Trasumanando;  e  il  bello  stil  ne  avesti 

A  ritrarre  del  giubilo  immortale 

Le  sante  danze  e  l' armonie  celesti  ; 

Ma  se  t'è  dato  della  Fé  pel  trino 

Mistico  regno  entro  al  caduco  velo 

Disserrarti  il  camino, 

E  farti  remeabili  il  doglioso 

Cupo  abisso  e  il  festante  ultimo  cielo, 

Forse  la  patria  scordi?  ohi  che  né  il  pianto 

De'  rei  spini  eternai,  né  degli  eletti 

Che  si  quetano  in  Dio 

L'ebbra  letizia  ch'ogni  dire  avanza; 

Né  de*  manco  perfetti. 

Che  tergonsi,  la  medica  speranza 

Si  rapiscon  te  a  te,  che  in  vel  d'oblio 

Non  pur  tu  cinga  tanto  o  quanto  il  vago 

Diletto  loco  dell'età  tua  prima; 

Ma  ch'ei  non  stia  de'  tuoi  pensieri  in  cima» 

Se  non  che  seco  lui  vi  sta  la  vera 
Tua  patria,  Italia:  e  pure 
Solo  nel  nome  e  nei  confini  eli' era; 
Nelle  grandi  memorie 
Di  sue  vetuste  glorie; 
E  in  quel,  che  si  di  Dio  bella  fattura 
Quasi  vagheggiar  sembra. 
Sorriso  di  natura. 
Iperboreo  furor  ladro  e  cruento 
Già  v'avea  tutto  spento. 
Sin  l'idioma:  l'arbore  gentile. 


INTORNO    A   DANTE  ALIGHILRI.  lOI 

Di  che  il  gran  Franco  deponeavi  il  seme, 

Nuovo  sangue  rigava;  e  tristo  e  umile 

Quasi  s'inaridia  nella  radice. 

Ben  non  veniale  manco 

Di  ferì  drudi  amplesso 

Ch*alla  lor  volta  trafiggeanle  il  fianco, 

Non  che  la  fésser  una  e  di  sé  donna: 

Or  v'ostò  lor  perfidia  o  codardia. 

Or  trama  scellerata 

Di  torbidi  vassalli,  or  gelosia 

Sacerdotale:  e  voi 

O  del  Friuli  e  d'Ivrea  mal  fausti  siri, 

Perch'ella  s'abbia  poi 

Di  strania  signoria  più  facil  carco 

E  me'  si  dolga  e  piagna, 

Di  Teodolinda  la  corona  e  il  varco 

Di  lei  cedevi  temerarii  e  vili 

Ai  scettrati  che  in  fren  tenean  Lamagna! 

Ma  vi  spegnea,  l'un  di  Bamberga  l'onta, 

L' altro  il  pugnai  del  traditor  Flamberto  ; 

Supplicio  a  voi  del  vilipeso  serto. 

Disciolta  in  cento  e  cento  emuli  Stati 
E  ognun  per  chiesa  o  per  imper  partito, 
Sbattuta  infra  tirannide  e  licenza. 
In  tanti  e  varii  fati 
Ahil  ch'ella  avea  smarrito 
Di  sé  la  coscienza! 
Quasi  parea  Fortuna 
Cui  patria  il  suol  si  fosse  ov'ebbe  cuna. 
Figlia  si  ben  di  naturai  difesa 
Trai  superbi  ottimati  e  i  mesti  schiavi 
S'era  levata  e  fronte  omai  tenéa 
La  comunal  franchezza 
Desta  e  vital  che  il  vero  popol  féa. 
Tanto  per  lei  s'accese 
II  culto  alla  città,  che  in  tale  artezza 


102  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Portenti  a  oprar  bastò;  bastò  pur  anco 

Varie  a  strignerne  in  patto  e  a  fare  schermo 

Contra  il  Teutòn  che  le  ribelli  assalta; 

E  di  Pontida  il  giuro 

Pria  Legnan  partorì,  di  poi  Fossalta. 

Emulatrici  del  valore  Elleno, 

Oh!  perchè  d'allacciar  l'itale  membra 

A  voi  pur  venne  meno 

Voglia  e  vigor?  solo  vi  féa  consorti 

Il  comune  periglio  ; 

Volgevi  poi  contro  voi  stessi  le  armi 

Ahi!  per  fraterne  morti 

Sovente  il  patrio  suolo  a  far  vermiglio; 

Pronto  un  regolo  allor  stendeavi  1'  ugne  : 

La  man  ch'ai  sacro  labaro  raccolte 

Vi  spigneva  alle  pugne, 

Si  ritraea,  quando  da  voi  percossa 

L'oste  alemanna  ella  crescea  sua  possa. 

E  la  crebbe;  e  uno  scettro  assidua  strinse 
E  dei  scettri  dispose 
Ed  a*  regi  imperò;  se  invan  s'accinse 
A  unir  quel  di  Ruggiero,  a  sé  il  suppose  : 
Poi  che  di  lei  maggiori 
Davanlo  i  fari  ai  sir  di  Svevia,  esperta 
Si  protese  al  di  fuori, 
E  al  Ligeri  fé'  cenno 
Invocator  d'un  Brenno; 
Avido  le  rispose  e  a  preda  corse 
Lo  scaltrito  Angioino;  al  fero  cozzo 
Delle  Franco-guelfe  armi. 
Cui  perfidia  sovvien,  spegneasi  doma 
La  possa  Sveva  là  nel  sanguinoso 
Pian  di  Grandella  e  in  quel  di  Tagliacozzo, 
Ed  era  sazia  Roma  : 

Se  non  che  un  giorno  il  fier  Salernitano 
Di  bronzi  a  Monreale 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  I03 

Squillo  a  pia  prece  muta  in  suon  di  guerra; 

Fatto  è  di  sangue  un  laco  il  suol  Sicano 

Ove  annegando  il  Franco  ardir  s'atterra; 

Ed  il  sir  d'Aragona, 

De*  Svevi  dritti  erede,  al  capo  adatta 

La  sicula  corona: 

Allora  a  nuovo  appello,  e  pur  a  nuove 

Giostre  di  sangue  non  d' altr'  armi  instrutto, 

Fuor  la  lancia  di  Giuda,  ecco  il  Valesio 

Che  dalla  Senna  muove 

Cosi  non  mai  più  bella 

Sul  Vatican  splendea  la  guelfa  stella! 

Che  ne  incontrò  ?  non  colse  Italia  i  fruiti 
Del  patto  di  Costanza; 
A  lei  non  fé'  difesa 

Né  r  ombra  dell' imper  né  della  chiesa; 
Anzi  crebberne  i  lutti; 
E  rodeala  abbastanza 
L'  idra  delle  discordie! 
Cosi  fugace  e  rara 
Libertà  senza  patria;  ebbra  licenza 
Scusar  sovente  libertade;  un  solo 
Signor  schivar  per  obbedire  a  cento; 
Or  sete  di  tiranno,  or  civil  gara 
Imporporar  di  sangue  nostro  il  suolo; 
Fiamme,  rapine,  dura 
In  ciascuno  incertezza 
Della  sua  sepoltura; 
Ed  a  crescere  i  danni,  i  pianti  e  Tonte 
Aperto  il  seno  alle  nefande  tresche 
De'  predon  d*  oltramonte  : 
Ecco  per  parteggiar  sotto  qual  pondo 
Di  guai  gemea  chi  s'  ebbe  servo  il  mondo. 

Tu  il  vedesti  ;  e  ten  dolse. 
Della  capace  mente 
Nel  profondo  consiglio, 


104  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Non  pur  V  ostcl  che  i  tuoi  vagiti  accolse 
E  questa  bella  ancor  benché  gemente, 
Ma  tutta  a  te  1' umanitade  abbracci: 
Di  Dio  lo  spirto  t*  agita  ;  e  t'  accorgi 
Ch*  a  gran  fin  ti  plasmava  e  a  quello  miri. 
L*  animo  al  bene  naturato  estimi  ; 
Pur  r  occhio  ovunque  giri 
Natura  vinta  dal  costume  scorgi; 
Errante  opinion  torcere  ognora 

I  giudici!  dell' uom;  spegner  virtude: 
Indi  scommettitrici  opere  bieche 

Di  gallanti  superbie, 
Di  cupidigie  cieche 
E  di  codarde  invidie; 

II  trino  mostro  macular  non  rado 
Sino  il  triregno  e  chi  ricinto  n*  era 
Aver  già  rotto  il  guado 

Di  Cristo  a  camminar  fuor  del  vestigio, 
Usando  la  sua  sposa 

D'oro  ad  acquisto  ed  a  mondan  fastigio: 
Indi  venir  segnacolo  in  vessillo 
Battezzati  a  ferir  di  Pier  le  chiavi, 
Fatti  per  division  mal  franchi  o  schiavi. 

Però  volgi  ogni  cura 
Alla  essiccata  pianta. 
Di  che  depose  il  seme  il  magno  Carlo. 
Se  combattè  ventura 
D'  alta  possa  di  re  laudabil  voglia. 
Vuoi  eh*  or  lei  quella  vinca 
Del  tuo  grande  intelletto; 
Vuoi  che  per  te  ralligni 
Queir  arbore  negletto, 
Rinverda  e  in  copia  germini  di  frondi 
Per  dar  frutti  durevoli  e  benigni; 
Che  lo  tuo  bel  paese 
Se  ne  nutrichi,  e  dall'  umil  suo  fondo 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  IO5 

Surga  in  fra  i  regni  a  ripigliar  bel  seggio, 

E  pur  per  lui  torni  gentile  il  mondo. 

Se  il  libero  comune 

Il  pensiero  svegliò,  tu  lo  accendesti 

Con  le  fiamme  celesti 

Del  tuo  divino  ingegno 

E  per  te  trionfò  nel  gran  disegno. 

Ancor  tenéalo  avvolto 
Ombroso  vel  d*  errori  : 
Luce  del  vero  il  franga,  a  te  dicesti, 
E  disnebbiato  e  cólto 
Per  sapienza  e  virtù  quegli  ristori 
Di  ragion  V  impero  : 
E  poi  che  tutto  accogli 
Il  savér  de*  tuoi  di  con  quanto  il  crebbe 
Tuo  genio  creator,  largo  ten  fai 
Ad  altrui  dispensiero. 
Oltracotati  orgogli, 
Soggiugnesti,  avarizie  insaturabili. 
Livori,  ipocrisie  spargono  a  prova 
Cotale  un  seme  ond*  è  ricolta  messe 
D'obbrobrii  e  di  pressure  ahil  lacrimabili: 
Là  poi  sul  Tebro  avara  lupa  cova 
Che  lo  dispensa;  e  ciò  convien  che  accada 
Dacché  bibulo  ardor  di  terra  e  peltro 
Insiem  col  pastoral  giunto  ha  la  spada: 
Io  ben  sarò  lo  veltro 
A  cacciarla  di  nido;  e  agli  adultèri 
Torrò  di  Cristo  la  sacrata  sposa 
Si  che  la  fé,  qual  pria,  candida  impeti 
Sui  disfrenati  affettL 
SI  teco  parli;  e  a  revocare  inteso 
A  disciplina  Y  uman  cor,  la  voce 
Alto  tu  levi  austero 

Banditor  di  virtù  che  in  cielo  ha  premio  ; 
Se  fia  da  te  sorpreso 


I06  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Capo  a  mal  fare  auso,  allor  feroce 
Su  lui  piombi  e  terribile 
Con  strali  eterni  il  folgoreggi,  e  lanci 
Sua  polve  a  infamia  nelle  inferne  bolgie: 
Né  della  sacra  bil  trattien  lo  sfogo 
O  diadema  o  tiara;  e  non  paventi 
Né  di  Crescenzio  la  recisa  testa, 
Né  del  Bresciano  cenobita  il  rogo; 
Anzi  viepiù  tremendo 
Là  giugne  il  suono  delle  tue  rampogne 
Dove  a'  falli  splendor  cresce  vergogne. 
Cosi  tu  in  notte  fiammeggiante  face 
Allumi  gl'intelletti, 
Ardi  i  vizii  rubelli, 
Nobili  accendi  affetti; 
Tra  assordanti  furori  invochi  pace 
Sui  divisi  fratelli; 

Vuoi  che  la  pia  parola  ad  essi  scenda 
Ancor  dal  Quirinale, 
Di  grido  in  vece  che  città  scommette 
Per  vanità  regale; 
Che  iniziator  d'  ammenda 
Di  pubblico  costume,  il  pastor  sommo 
Volga  i  pensieri  solo  a  Nazarette, 
E  delle  chiavi  pago 
Porga  del  divo  archetipo  V  imago  ; 
Per  te  s'instauri  il  regno 
Di  ragion,  di  giustizia;  e  auspici  sièno 
A  viver  mansueto  e  d'  uom  più  degno, 
E  al  ristoro  d' Italia; 
Tal  che  le  sue  provincie  un  patto  leghi 
E  in  sola  si  componga  una  famiglia. 
Che  se  nel  nuovo  e  manco 
Parlar  materno  é  screzio  e  vii  mondiglia. 
Lo  appuri,  accresci  e  freni  e  fai  che  spieghi 
Ciascuno  i  suoi  pensier  dall'Alpi  al  mare 


INTORKO  A    DANTE   ALIGHIERI.  IO7 

Con  solo  un  idioma;  e  alle  silenti 
Muse  dei  Lazio  il  vergine  linguaggio 
Sposi  con  carme  che  non  ha  paraggio. 

Ma  se  i  difformi  suon  ridur  potesti 
A  beir  accordo,  e  del  sermon  col  nodo 
Lo  primo  autor  ti  fèsti 
Dell'  itala  unità,  quale  speranza 
Di  recarla  negli  animi  e  in  qual  modo? 
Vinceva  il  rèo  costume 
Ogni  nobile  intento: 
Di  sapienza  il  seme 
Frutta  a'  tardi  nepoti;  e  si  talora 
Inclemenza  di  fato  un  popol  preme. 
Che  a  rilevarlo  è  vano  ogni  argomento 
Senz'  aita  di  fuora. 
La  maestà  pensavi 

Del  prisco  imper  Latino  e  il  magno  Franco 
Che  il  ristor  ne  tentò;  già  per  retaggio 
Trasmesso  n*  era  il  simulacro  e  il  nome 
Ne*  regi  di  Lamagna;  a'  quai  pur  anco 
Fatto  avean  di  lor  scettro 

I  Berengarii  omaggio  : 

II  pian  pensavi  e  d*  altra  etade  i  rari 
Convegni  di  Roncaglia, 

Dove  il  Germano  sire 

Solo  a  giustizia  e  a  pace 

Scender  paréa  dall'Alpi,  e  non  tra  Y  ire, 

Qual  dopo,  ed  a  battaglia: 

Forse  colà  pur  non  porgèan  figura 

Di  solo  un  corpo  V  itale  contrade  ? 

Se  de'  duo  Federici  il  fero  sdegno 

Indi  a  crudel  pressura 

Fece  le  Insubri  segno, 

Forse  noi  provocàro 

Quando  a  ribelli  col  tener  per  chiesa 

Contra  lor  s'atteggiàro  ? 


I08  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Non  è  questo  giardin  vie  più  diserto 

Dacché  il  fren  gli  fallia 

Di  Ridolfo  e  d'Alberto  ? 

È  libertade  forse 

Partigian  reggimento 

Ch'  a  licenza  trapassa  o  tirannia  ? 

Fora  assai  me'  di  questa 

Libertà  senza  patria  ohi  si  una  patria 

Senza  la  libertà  !  eh'  a  un  popol  viene 

Il  di  che  infrangerà  le  sue  catene. 

In  mezzo  a  tai  pensier  quasi  vorresti 
Recar  quaggiù  la  stabile  armonia 
Delle  sfere  celesti. 
Neil'  impèr,  nella  chiesa 
Scorgi  duo  soli  che  la  doppia  via 
E  del  mondo  e  di  Dio  rischiarar  dénno. 
Purché  pago  ciascun  del  suo  splendore 
Non  faccia  1'  uno  a  quel  dell'  altro  offesa. 
Poter  moderatore 
Al  monarcato  imperiai  concedi 
Ove  a  scienza  si  sposi  ed  a  virtute; 
E  del  suo  segno  all'ombra  Italia,  Europa 
In  tua  sentenza  credi 
Volgere  a  libertà,  pace  e  salute; 
Forse  quasi  il  vedesti,  ed  ahi!  fu  sogno, 
AUor  che  apparve  appena  e  dispario 
Arrigo  sventurato  al  par  che  saggio. 
Ma  amor  di  libertà,  forte  bisogno 
Dell'  alme  grandi,  féo  che  tutte  e  in  tutti 
Le  tirannidi  odiassi  e  le  discordie. 
Che  son  ponte  a  servaggio: 
Ohi  ben  tu  fésti  da  te  stesso  parte! 
Guelfo  non  fosti  o  ghibellin;  si  bene 
Col  tuo  gran  core  e  col  tuo  spir  sovrano, 
Qual  consentianlo  i  di,  fosti  Italiano. 

Solo  veggente  in  secol  duro  e  losco 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  IO9 

Additar  la  via  dritta  ahi!  che  ti  giova 

A  insana  turba  che  smarrirsi  vuole 

Tra  gli  errori  e  gli  orror  d' ispido  bosco  ? 

Miuno  allor  ti  comprese  : 

Al  tuo  disegno  diniegàr  la  prova 

I  ciechi  fati;  che  a  lui  dar  colore 
Atta  in  altrui  fallio 

La  voglia  od  il  valore; 
Se  pur  zel  di  cittade  o  la  superba 
Febbre  del  Tebro  o  i  rèi  di  morte  assalti 
Sovra  lo  buon  voler  non  féan  soverchio; 
Talché  mai  sempre  all'  almo  popol  manchi 
Valida  man  che  il  franchi, 

II  raccoglia  ed  esalti. 

O  Faggiolàn  che  T  oste  guelfa  al  Serchio 

E  alla  Nievole  domi, 

Forse  alla  patria  miri? 

Pel  gemino  trionfo  ebbro  ti  posi, 

A  tirannide  aspiri; 

Ed  ira  popolar  ti  fuga  e  serba 

Solo  a  giorni  dogliosi. 

E  a  te  venusto,  auricrinito  e  forte 

Lucense  eròe,  terror  d'  Etruria,  invano 

Le  armate  schiere  dall'  avaro  scórte 

Soldato  Catalano 

Ansia  oppose  Fiorenza: 

Ma  ti  vinse  con  le  arti;  e  l'immaturo 

Fato  t'  apparecchiò  che  in  te  spegnéa 

La  mente  e  il  braccio,  onde  quantunque  vile 

Quasi  del  Caorsin  vincer  parea 

Il  Bavaro  le  insidie  e  tórsi  il  freno 

Di  tutta  Italia  :  all'  arti 

Stesse  venia  pur  meno 

La  fortuna  da  pria  si  amica  al  vago 

Mobile  avvcnturier  Boèmo  sire, 

Che  muta  in  ór  ciò  che  non  tien  l'ardire. 


POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Già  il  Bavaro  monarca 
Fatto  avea  dotti  di  Danoia  i  lupi 
A  valicar  le  rupi 

Dell'Alpi  istrutti  d'armi  men  che  d'arca 
Per  colmarne  lo  vano. 
L'altro  Boèmo  il  sa  che  re  da  chierca 
Di  colà  scende,  quale 
•Tutto  a  denajo  inteso  a  fiera  merca; 
Né  il  vii  figlino],  se  troppo  all'  epa  indulge, 
Ingorgo  è  però  manco 
Di  quel  che  suona  e  fulge: 
Poi  Sigismondo  e  Federico  al  paro 
Dei  vani  fi-egi  il  folle  altrui  talento 
Traffichin  per  dar  esca  al  petto  avaro. 
E  il  guardian  della  fede?  ahimè!  s*  adima 
Infranciosato  sulla  Sorga;  e  quivi 
Se  appari  in  sette  deche 
Qual  di  desio  ne  ha  lima 
L'  arti  di  regno  bieche 
Il  porporato  Ispàn  saggia,  ma  è  nulla 
Verso  lo  Ginevrino;  e  men  piagnesti 
AUor  per  te  o  Lamon,  che  il  Savio  in  rosso 
Colorato  vedesti. 
Si  reduce  al  Tarpèo 
Lo  pescator  si  scorge! 
E  sanguinante  a  stranio  giogo  alterno 
Partenope  infelice  ahi  !  se  n'  accorge. 
Gli  ultimi  tuoi  roman  potrai  vederli 
Tu,  o  padre  Tiberino, 
De' muri  d'Adrian  pesoli  a' merli; 
E  al  mare  affretterai  gli  ondosi  giri: 
Con  le  onorate  gesta 
Ordine  lungo  di  chiercuti  siri 
Poi  ti  fia  chiar,  che  non  indarno  surse 
Mastro  all'  augusta  usar  sposa  di  Cristo 
Al  ben  de'  prossiman  lo  quarto  Sisto. 


INTORNO   A    DANTE  ALIGHIERI.  Ili 

Con  altra  scuola  di  sul  Pò  la  biscia, 
Perch'  ogni  italo  borgo  abbia  un  tiranno, 
Fa  qual  superbo  instrutto 
Come  a  dorato  scanno 
Per  pugnale  o  venen  ratto  si  striscia: 
Se  tremante  vi  siede,  al  popol  toglia 
Le  armi  e  ne  sprema  1'  ór  che  strani!  pasca 
Bracchi  a  far  schermo  alla  mal  fida  soglia. 
Ecco  r  alma  figliuola 
Dì  Quirin  fatta  imbelle  un'  altra  volta  ; 
Se  acciar,  che  vomer  fu,  mutato  in  scettro 
Pur  non  le  mostri  il  prò*  da  Cotignòla! 
Entro  a*  remoti  stagni 
Libera  senza  libertà  sei  vòlta 
Verso  r  Indico  mare  a  far  guadagni» 
D'Adria  o  reina;  e  che  non  soffri  eguale 
Sallo  a  signore  alterno  in  braccio  spinta 
La  Ligure  rivale. 

Laude  a  te  sia  che  della  tua  lacuna 
Esci  air  Isonzo  armata  onde  noi  varchi 
L'  empio  vessil  della  falcata  luna. 
Ma  del  Sebèto  è  poco  a  fare  scempio 
L'infamia  di  Granata,  ahil  se  pur  quella 
Di  Cambray  sul  tuo  capo  atra  non  scarchi 
Esizial  procella: 

Qual  già  nel  muro  al  rege  Assir,  si  trina 
Lagrimabile  nota 
Somma  la  storia  della  tua  ruina; 
Tingi  in  sangue  la  penna 
E  Cambray  scrivi,  Campoformio  e  Vienna. 

S'  onde  in  sua  man  Y  italo  fren  raccoglia 
D'  Arno  la  donna  ha  troppo  corta  lancia, 
Perch*  altri  non  soverchi  e  non  sei  toglia 
S'  armerà  di  bilancia  : 
Ma  all'urto  orrendo  di  straniere  spade. 
Che  a  stragi  spigne  con  assidua  vice 


112  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

D'  Óre  e  di  regno  fame, 

Infranta  a*  pie  le  cade; 

E  di  sua  libertà  l'ultimo  giorno 

Segna  di  Barcellona  il  patto  infame. 

Se  TAusburghese  Carlo 

Di  belve  stuol  pel  fellon  Franco  snida 

Contro  r  alma  città  ;  se  V  aere  echeggia 

Di  disperate  strida; 

Se  la  pallide  gote 

La  mal  polluta  vergine  d'  amare 

Stille  solcando  il  crine  e  il  sen  danneggia; 

O  la  sacra  testudine  risponde 

Del  pio  levita  alle  ululanti  note 

A  pie*  riverso  del  nudato  altare, 

Che  ti  cale  o  Clemente? 

Con  sacrileghe  labbia 

Dello  stranier  possente 

Sulla  superba  fronte  un  bacio  imprimi; 

E  contra  il  suol  natale 

Volgi  r  Ispana  e  la  Tedesca  rabbia; 

Già  il  preme  un  tuo  ribaldo  e  che  mal  nacque  : 

Pier  non  pescò  per  fermo  in  cotest' acque! 

Ahimè!  che  valse  di  provincia  zelo 
D'armi  ad  ogni  balen  con  occhio  sveglio 
Librar  in  lance  a  pelo 
L*  itale  posse  ed  osteggiar  qual  guati 
Oltre  il  confin  ?  non  era  forse  meglio 
Abbracciarsi  sorelle, 
O  Brenta  ed  Arno  e  Tebro, 
Dar  tributo  al  Volturno  o  all'  Eridàno, 
Che  il  latin  suol  tener  diviso  e  schiuso 
Air  avaro  e  inumano 

Predón  tratto  di  Senna  e  d*  Istro  e  d*Ebro? 
A  lunghe  tresche  sanguinose  e  oscene, 
A  nefandi  mercati 
Ei  vien  pur  troppo,  ei  viene; 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERL  II3 

E  come  s*  ei  non  basti,  i  patrìi  gioghi 

Lascia  a  seguirlo  e  il  gregge,  e  a  cui  maggiore 

Gli  offire  mercè  la  vita  infido  vende 

L'Elvetico  pastore. 

Del  tergemino  serto  redimito 

L*  impeto  di  Savona,  è  buon,  se  brama 

De*  barbari  la  fuga  ; 

Ma  il  dosso  ond'  agli  un  miri  altri  ne  chiama: 

Poi  verrà  1*  uno  e  l'altro  Fiorentino 

Ai  turpi  amplessi;  e  fia  maturo  allora 

Degl'  italici  popoli  il  destino. 

La  donna  de*  duo  mar  se  dubbia  geme 

A  qual  stranio  signor  si  curvi  ancella, 

Il  suono,  il  morso,  il  pondo 

Delle  ferree  d*Ausburgo  indegne  anella 

Col  trarlo  un  mesto  lagno  ahimè  I  dal  seno 

Certa  ne  fan  la  sciagurata  appieno. 

E  tu,  o  fatale  vate, 
A*  secolari  suoi  crudi  martiri 
Oh!  quante  oh!  quante  fiate 
Sovra  il  tuo  sacro  avello 
Ombra  pensosa  t'  assidesti  e  acerbo 
Dolor  ti  mosse  il  mantice  a*  sospiri  ! 
Ed  al  grifagno  augello 
Maledicesti  che  a  difesa  le  ale. 
Non  che  spiegasse,  a  ber  del  sangue  nostro 
Gli  artigli  aperse  e  il  rostro! 
Ma  omai  t'  allieta  !  alla  rapina  tolto. 
Palladio  di  salute. 

Restava  il  tuo  volume;  e  i  lunghi  aflFanni 
Lo  decifrar:  surscro  a  poco  poco 
Dagli  animati  numeri 
Lingue  di  sacro  fuoco 
Che  i  fiacchi  petti  ritemprò:  di  vanni 
S'armò  quindi  il  pensiere 
Atti  a  voi  si,  da  non  temer  V  altezza 

I>t^  Bauo.  Voi.  x:v.  8 


114  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Delle  superne  sfere: 

Italia  il  diritto  apprese  a  sua  franchezza. 

La  bramò,  la  sperò;  crebbe  la  speme 

E  fé  divenne  che  di  mille  e  mille 

Ostie  ricrebbe  al  sangue. 

Tutt*  arse  in  core  delle  sue  faville 

Lo  strenuo  sir  dell'Alpi; 

E  se  il  suo  brando  invitto 

or  itali  error  corresse. 

Della  scettrata  Francia  ogni  delitto 

Nelle  Lombarde  gigantèe  battaglie. 

Onde  in  cumuli  d'  ossa  ancor  biancheggia 

La  redenta  col  sangue  alma  contrada, 

D'Austerlitz  espiò  Y  inclita  spada. 

Ve*  sul  Tarpèo  la  lupa, 
Come  in  fremito  cuba  e  si  sgomenta 
Vorando  Y  ira  senza  fine  cupa! 
Ve*  1*  aquila  bifronte 
Come  in  suo  cruccio  agghiada 
Pur  tremebonda  sulla  non  sua  Brenta, 
E  verso  i  gioghi  alpin  volte  ha  le  penne  ! 
Oh!  teco,  Ausonia,  è  Dio!  di  nuovi  eroi 
Torni  feconda  altrice; 
Di  forti  armi  ti  covri  e  tue  si  sono; 
Gode  ogni  mare  a  tue  velate  antenne 
Porger  1*  azzurro  pian;  t'  appresta  il  fato. 
Dopo  misere  etadi,  età  felice, 
E  già  t*  assidi  in  trono. 
SI,  teco  è  Dio  I  fa*  cuor  nell'  ardue  prove  ! 
Pel  crin  turrito  ei  nuove 
T' intreccia  di  sua  man  lauree  ghirlande; 
Fa'  cor!  tu  escirne  dèi  vittrice  e  grande. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  11$ 

Canto  IV. 
A  Dante  precursore  dell'  Italico  rinnovamento. 

Massimo  raggio  del  saver  di  Dio 
Terribile  Alighiero, 
E  sacrarti  altro  canto  è  in  me  disio? 
Deh  !  perdona  se  inteso  al  gran  subietto 
Tento  audace  ampio  mar  che  mal  si  varca 
In  piccioletta  barca 
Di  remi  e  vele  disarmata  e  ignuda. 
Ogni  encomio  soverchi  !  e  appunto  come 
La  diva  sapienza  creatrice 
Te  glorifican  1*  opre  e  il  chiaro  nome  : 
Men  poi  per  fermo  lice 
Con  fiacche  penne  a  umil  palustre  augello 
All'altezza  mirar  dove  fiammeggi 
Della  moderna  gentilezza  sole: 
Che  se  di  te  favello 

Or  che  all'  anno  centesmo  che  s' insesta 
Il  di  primo  a  illumarci  Ausonia  cole, 
Avvien  perch'  al  tuo  libro  accesi  T  estro 
E  venero  il  maestro; 
Né  offerta  sdegnan  di  sabèi  profumi 
Dal  poverel  di  spirto  ancora  i  numi. 

Nel  queto  penetrale 
Delle  tue  case,  e  nell'  errante  esiglio. 
Tra  gli  estri  sacri  onde  non  più  mortale 
Altrui  t*  involi  al  mistico  viaggio. 
Mentre  qual  madre  a  figlio 
Fama  t*  occorre  e  il  crin  d'  allor  ti  cigne. 
L'italo  genio  susciti  e  rallumi 
Si  che  ovunque  dipoi  diffonda  il  raggio; 
Di  magnanimi  affetti 
Dar  tempra  studi  a'  pigri  e  rei  costumi  ; 


nò  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

De*  fratel  negl*  irosi  emuli  petti 

Fabbricar  tenti  un*  ara 

Al  santo  culto  della  patria;  vuoi 

Che  non  bordel  ma  di  provincie  donna 

Risalutata  sia  madre  d'eroi 

Per  concondia  e  valor  fatta  una  e  forte: 

Che  se  ti  falla  il  braccio. 

Ne  scorgi  ad  unitade 

Le  cento  sue  contrade 

Dell'idioma  gentil  con  Taureo  laccio; 

E  del  mondo  a  stupor  la  voce  intanto 

Levi  a  immortale  incomparabil  canto. 

Qual  di  chi  metta  grido 
Lontan  lontan  dal  lido 

Mentre  irato  il  mar  freme  e  romba  il  tuono» 
Tal  fu  la  voce  appo  gì'  immemori  avi 
Di  lor  veggente;  e  con  perpetua  vice 
O  sott*  aspro  signor  curvarsi  ignavi, 
O  per  discordi  voglie 
In  ree  pugne  tra  lor  strinsero  i  brandi. 
Della  patria  infelice 
La  sorte  a  por  sulle  contese  spoglie 
Cosi  schiudeano  il  grembo 
Alla  libidin  d'  oltramonte:  insana 
Su  lei  versò  di  guerra 
Orrido,  lungo,  ruinoso  nembo; 
Ne  féo  di  sangue  ogni  sua  gleba  tinta; 
L'  oro  ne  trasse;  e  appena 
Restòssi  allor  che  in  rigida  catena 
L' ebbe  al  soglio  Austro-Ibèro  umile  avvinta. 
Ma  no;  suo  prò  non  fénne 
La  dura  età,  ma  fioco 
Della  tua  voce  il  suon  sempre  non  venne: 
Di  Ubertà,  di  patria  il  sacro  fuoco 
Trovò  talor  degno  di  sé  ricetto. 
Ed  infiammò  più  d'un  egregio  petto. 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  II 7 

Fu  volta  è  ver  che  stanco 
Il  popol  parve  appo  tuo  suol  natale 
Dell'  agitato  reggimento  franco, 
E  commise  a  un  signor  li  dritti  e  le  armi. 
O  Fiorenza,  o  Fiorenza! 
Come  fu  a  te  fatale 
La  stolta  prova  e  nel  Brèonio  infinto 
Di  virtù  la  parvenza! 

Ma  s*  ei  fede  non  tien,  se  compra  ed  ebra 
Plebe  far  vuol  suppediano  a  scanno 
Di  feroce  tiranno, 
Assai  gli  fia  per  dieci  lune  Y  arca 
Dell*  oro  suggellato  del  Battista 
Con  ladre  man  far  carca 
E  guazzarsi  nel  sangue. 
Ecco  il  di  vien,  si  vien  sacro  alla  diva 
Madre  di  lei  che  pura  in  Dio  s'incinse! 
Mentre  sospetto  a  celebrarlo  ei  para 
Ridda  cruenta,  all'armi,  all'armi!  viva, 
Viva  la  libertà!  ripete  un  grido; 
E  cresce  in  groppi  e  cresce 
Turba  che  trino  sacramento  vome; 
Volan  sassi,  urtan  brandi,  armi,  bah'ste. 
Valli  il  furor  ministra:  indi  si  mesce 
Concorsa  al  fóro;  e  co'  suoi  cento  e  cento 
Flutti  di  teste  il  tiene  e  regna;  come 
Riviera  in  rabbia  le  cui  tumide  onde 
Con  alto  mormorio  triplice  varco 
Aperto  al  rotto  margo. 
Nella  fiumana  a'  campi  ostil  confonde. 
Entro  al  palagio  l'aborrita  ièna 
Freme  e  paventa  ?  oh  !  lo  mal  tolto  scettro 
Infranga  tosto  se  vuol  salva  appena 
La  vita  abbominosa; 
Altrui  si  celi  occulta  ;  indi  s' involi 
Notturna  pur,  ma  corra,  fugga,  voli. 


Il8  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Porger  vedrai  di  nuovo  Gracco  imago 
Sul  mesto  Campidoglio, 
Verga  gentil  di  picciola  gramigna, 
Cola  di  Rienzo  del  buon  stato  vago 
Che  il  popol  tór  vorria 
Dall'unghie  fiere  del  patrizio  orgoglio: 
Che  se  gli  son  mercede 
Faci  alle  case  e  crudi  ferri  al  seno, 
Pur  novello  tribuno  avrà  Pavia 
Nella  tunica  avvolto 

Che  il  decor  di  Tagaste  a'  suoi  già  diede; 
Né  fia  di  lui  molto  miglior  la  sorte; 
Che  lenta  il  corrà  morte 
Prigionier  sulla  Sesia:  e  allor  che  il  fato 
Al  Viscontèo  serpente 
L'  ultima  indisse  irreparabil'  ora, 
Se  mal  di  nuova  tirannia  soffrente 
Suo  vessil  non  rialzò  sull'  Eridàno 
La  milanese  libertà,  per  voi 
Certo  non  addivenne,  e  assai  v*  onora, 
O  di  Trivulzio  e  Bossio  illustri  spirti. 
Di  Cotta  e  Lampugnano. 
Né  fu  per  te,  che  tanto  in  cor  ne  fervi, 
Stefan  Porcari  ardito  ed  infelice. 
Se  dal  servo  de'  servi 
U  ultima  sua  scintilla 
Venia  sul  Tebro  in  rio  di  sangue  spenta: 
Ma  più  fiate  sul  Pò  non  che  sull'Arno, 
Furibonda  e  cruenta 
Contro  la  forza  rea  che  la  calpesta. 
Di  Bruto  col  pugnale  alto  protesta. 

Vedrai  Gentile  che  dal  fren  Sforzesco 
A  solver  s'  affatica 
Di  Liguria  la  donna; 
Andrea  Doria  dipoi  che  la  districa 
Con  fortuna  miglior  da  quel  Francesco: 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERL  II9 

D*  ardir  civile  riprodur  gli  esempii, 

Onde  conte  suonar  già  Roma  e  Sparta, 

Vedrai  suirArno  Pier  Capponi,  e  in  faccia 

Della  Galla  protervia  in  manto  avvolta 

Carpir  1*  ontosa  carta 

Perchè  in  brani  dal  suol  vegna  ricolta, 

Del  suon  de*  bronzi  suoi  con  la  minaccia; 

E  domo  ei  sol  col  nobile  coraggio 

Lo  straniero  insolente, 

Della  patria  il  decor  salvar  da  oltraggio: 

Il  Ferrarese  cenobita  ardente 

L' inspirata  parola  armar  di  strali 

Contro  la  nuova  Babilonia  e  contro 

Qual  per  febbre  di  regno 

Muti  in  servi  gli  eguali; 

E  far  sua  voce  alla  perìditante 

Libertà  fiorentina  util  sostegno: 

Ma  il  coglie  dell*  Ispano 

Disnor  della  tiara  empia  vendetta; 

Orrida  pira  accesa  e  crepitante 

Gli  è  morte  e  tomba;  e  lingue  acri  e  voraci 

AhiI  miser  lasso!  ha  per  funeree  faci. 

Se  i  spirti  in  lei  languenti 
Con  tra  il  Mediceo  fren  che  la  minaccia 
Il  caldo  zel  di  lui  ne  raccendèa 
Con  le  faville  dei  vibrati  accenti. 
Tuo  forte  braccio  col  fulmineo  brando. 
Che  assiduo  ruoti  a  sanguinosa  caccia, 
Ultimo  le  porgéa 

Schermo  ver  TAustro-Ispane  armate  schiere 
Di  servitù  foriere, 
O  invitto  eròe  di  Gavinana:  quivi 
Neir  inimico  campo 
Semini  stragi  e  morti, 
E  spargi  ove  ferisci  il  sangue  a  rivi; 
Filiberto  si  muor;  le  sue  coòrti 


120  POESIE  DI   MILLE   AUTORI 

Vòlte  impennano  Tali  a'  pie  fugaci, 

E  quasi  in  pugno  hai  la  vittoria:  in  questo 

Novelle  schiere  sol  per  copia  audaci 

Premon  le  tue  già  dalla  pugna  stanche; 

Mentre  ardito  le  sproni 

Con  la  voce  e  1*  esempio  e  le  rinfranche, 

E  di  spade  a  una  selva  il  petto  esponi, 

Te  cadavere  ancide 

L' infamia  di  Calabria  !  e  teco  sparve» 

Mercè  del  fraudolento  perugino, 

Libenà  dal  bel  nido  fiorentino. 

Ricovrossi  sull'Arbia;  e  qui  pur  anco 
L'  avida  sete  nel  superbo  Cosmo 
D'  ampliamento  di  regno 
Trarràrla  in  brieve  agli  ultimi  singhiozzi: 
Se  non  che  tu,  prode  guerrier  che  il  Franco 
Impeto  in  armi  reggi  ed  hai  sostegno, 
O  illustre  Piero  Strozzi, 
Farai  eh'  appo  la  Chiana  egli  suU'  egra 
E  morìente  Vergine  non  abbia 
Oh!  nò,  vittoria  allegra. 
Ma  che?  recisa  da  crudel  bipenne 
Sanguinante  sul  Pò  balza  una  testai 
Perchè  cotanta  rabbia 
Su  sé  chiamò?  come  nomar  si  fèa? 
Di  qual  error  fu  rea  ? 
Godi,  di  Cosmo  e  Carlo  o  coppia  infesta! 
Il  difcnsor  supremo 
Delle  temute  libertadi  Etrusche 
Misero!  s'irretla  nel  vostro  giacchio! 
Cadéa  del  capo  scemo 
Francesco  Burlamacchio  ! 
E  orrida  di  servaggio  tenebria 
L*  itala  terra  tutta,  ohimè  !  covria. 

Ma  s'  ornai  più  non  era 
L' Italia  franca  e  di  sé  stessa  donna. 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  121 

Rimanèa,  tua  mercede, 

L' Italia  del  pensiero  e  della  mano. 

De*  chiari  ingegni  V  onorata  schiera 

Del  tuo  gran  senno  erede, 

Ond'  ella  duolsi  men  del  giogo  strano, 

Chi  noverar  potria?  ritrar  di  tutti 

I  pregi  e  V  opre?  ricantar  di  quali 
Bèi  peregrini  frutti 

L'  alma  pianta  gentil  per  lor  s'  accrebbe  ? 
Dammi  una  penna  delle  tue  grand'  ali, 
E  molti  al  canto  mio  farò  subietto: 
Sebben  ove  di  cento 
Pur  togliessi  di  lor  novero  eletto. 
Ne  frauderia  forse  ben  altri  mille 
Che  tu  scaldasti  con  le  tue  faville. 

L' italo  genio  antico 
Al  crollo  immane  del  Latino  impero 
Sotto  i  ruderi  suoi  giacea  sepulto. 
Di  hbenà  tepido  fiato  amico 

II  ridestò;  ma  tu  gli  fosti  sole, 

A'  cui  raggi  reddiva  in  possa  adulto; 

E  tal  toglièa  rigoglio, 

Che  dal  diletto  ovil  di  San  Giovanni 

Suir  altre  Ausonie  terre 

Non  pur,  ma  si  dall'  uno  all'  altro  polo 

Stese  i  robusti  vanni 

A  benefico  volo. 

Auspice  di  novella  gentilezza. 

Né  con  le  fosche  sue  mortifere  ombre 

A  ridannarlo  d*  ogni  vita  a  orbezza 

Valse  di  servitù  la  mala  pianta: 

Quantunque  assai  gli  nocque;  e  col  suo  tosco 

Men  pura  e  più  sottil  ne  féo  la  vena. 

Egli  obliò  suo  fonte: 

Allor  falUo  la  lena 

All'  italiche  muse;  e  ispanamente 


122  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


Contigiate  e  bugiarde, 

Né  omai  vergini  più  né  d'alti  affetti 

Sacre  madri  ed  attrici, 

O  si  bear  del  canto  fescennino, 

0  di  canore  nughe,  o  più  codarde 
Si  fér  de*  vizii  illustri  assentatrici  ; 
Quasi  non  fosse  assai  la  patria  ancella, 
Di  strani  suon  bruttar  la  sua  favella. 

Ma  già  chiamato  avevi  a  te  d'  appresso 
Di  Sorga  il  cigno;  e  loco 
Pari  a  que'  duo  concesso 
Splendori  di  Ferrara  e  di  Sorrento: 
Retto  avevi  il  terribile  compasso 
Ch*  al  ciel  spinto  incurvò,  miracol  d'  arte. 
Il  sacro  del  tuo  Fior  titanio  sasso; 
Dato  il  trino  portento 
Onde  va  Vinci  altier.  Caprese,  Urbino; 
E  di  Ghiberto  li  spiranti  bronzi; 
E  il  rame  effigiator  per  Finiguerra; 
E  il  cesèl  di  Cellino: 
D'Arno  prodotto  avevi  il  doppio  onore, 
Cui  dotta  penna  e  telescopio  industre 
Con  magistero  alterno 
Féan  si  partisse,  nuovo  a  dar  stupore. 
Della  terra  e  del  ciel  quasi  il  governo: 

1  duo  de'  mari  sfidator  che  dièro 
Un  nuovo  mondo  al  mondo; 

L*  assiduo  Vignolese  a  niun  secondo 

Le  memorie  a  indagar  del  tempio  antico; 

Il  Platon  dell'  istoria  illustre  Vico. 

Però  fa'  quetin  l' ire 
Che  per  gare  di  trono  arma  oltramonte, 
E  ragion  raccesa  dal  tuo  lume 
Il  ver  propugnerà  con  nuovo  ardire: 
E  il  ver  del  buon,  del  bel  sotto  il  sembiante 
Ben  fia  suggello  a  quanto  ingegno  onora: 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I23 

Al  tuo  divin  volume 

Ad  inspirarsi  torneranno  allora 

Gli  Ausoni!  vati,  a  ristorar  tuo  culto. 

O  tu  ch'itala  veste 

Solerte  dasti  al  Caledonio  bardo; 

O  voi  che  chiari  fèste 

Alfonsina  e  Bosisio;  o  sofoclèa 

Coppia  illustre  del  Tanaro  e  dell'Arno; 

O  di  Verona  e  Zante 

Mutua  luce  e  decoro; 

Salve,  o  inteso  a  virile  arte  febèa 

Venerabile  coro! 

Seco  e  per  lei,  duce  Alighiero,  quali 

Studii  Palla  ebber  mastra  e  Dedalo  arti 

D'Ausonia  il  genio  si  recò  suU'  ali 

A  stupefar  l'età  de'  lor  portenti 

E  si  tempràro  i  petti  a'  nuovi  eventi. 

Già  tra  gemiti  e  gridi 
Orrido  il  crine  e  dalle  tórve  luci 
Ignee  fiamme  spirante. 
Furibondo  e  terribile  s'  ergèa 
Sui  Sequanici  lidi 
Mostro  eh'  alto  levato  ostil  coltello 
D'  atro  sangue  regal  tinto  e  fumante 
Rabbiosissimamente  in  man  strignéa. 
Era  il  feroce  messaggier  che  ultrice 
Delle  colpe  dei  re  Nemesi  irata 
Chiesto  avea  dal  destin:  con  vari!  affetti 
Attonita  e  commossa  Europa  il  guata. 
De'  monarchi  la  faccia 
Bianca  paura  tigne; 
E  si  tentano  il  crin  con  dubbie  mani 
A  sicurar  se  la  corona  il  cigne: 
Levasi  a  nuova  speme 
L'  umanità  che  geme. 
Carco  di  merti  ad  una  e  di  delitti 


124  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Al  suon  deir  armi  minacciose  a'  regi 

Ei  ne  proclama  i  dritti: 

Le  guida  italo  eròe;  di  par  col  sole 

Il  mondo  giran  sue  vittorie,  e  scala 

Gli  sono  al  soglio;  a  lui  la  Francia  il  trono. 

Egli  alla  Francia  offre  la  terra  in  dono. 

E  di  sangue  la  tinse... 
E  sotto  a*  suoi  passi  guerrier  paréa 
Quasi  crollar...  ma  il  fato 
Farsi  servo  ei  tentava,  e  il  fato  il  vinse. 
Sparve...  nuovo  argomento 
Ch'ogni  mondan  rumor  non  è  che  un  fiato; 
Sparve  dinanzi  alla  regal  Europa 
Contra  lui  congiurata  insin  fu  spento: 
Lui  che  temuto  in  soglio 
Visto  avéa  gli  altri  re  chini  e  tremanti 
Morte  cogliéa  prigion  sovr*  ermo  scoglio. 
O  folgore  di  guerra 
Avido  di  dominio  eròe  Cimèo, 
Alla  cupida  etade, 
Dell'  ossa  avite  alla  custode  terra 
Perchè  l'armi  posando  ahi!  tu  non  dasti, 
E  ne  avevi  il  poter,  la  libertade? 
Oh!  quanti  guai  cessato  avresti  1  forse 
L*  ira  in  scettro  europèa  eh'  a  tór  vendetta 
Fiera  incontro  t'insorse, 
A  te  non  avria  dato  e  a  noi  catene; 
Fora  la  tua  memoria 
Appo  noi  benedetta 

E  maggior  la  tua  fama  e  la  tua  gloria. 
Ti  sia  lieve  la  terra!  in  sé  raccolto 
Lo  spir  gagliardo  li  suoi  falli  scérsc; 
Che  r  alme  affina  la  sventura  ;  e  molto 
Sua  scuola  insegna  :  tra'  tuoi  falli  ancora 
La  romana  grandezza, 
Che  in  te  rifulse  tanto.  Ausonia  onora: 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  12$ 

Se  non  ne  ofirìsti  che  in  balen  franchezza 
L'  amor  tu  cen  lasciavi  ed  il  disio  ; 
Ed  acciò  la  si  merti  e  si  procacci 
A  ruotar  brandi  ne  addestravi  i  bracci. 

Par  fato  eh'  uman  sangue  il  suol  pria  righi 
U'  di  piantar  si  brighi 
Il  sacro  suo  vessillo! 
Di  quel  del  puro  onor  di  Moncaliero 
Il  manto  comital  di  S.  Andrea 
Pur  gromma,  e  de'  Boveàno  e  de'  Boièro, 
D'altri  martiri  ancor:  Pagan,  Cirillo, 
Eleonora  Fonsèca,  eletti  spirti, 
E  con  lor  mille  e  mille  in  mar  mutàro 
Orribilmente  rosso, 

Vezzeggiato  dal  ciel,  dall'  uom  percosso 
Il  suol  di  San  Gennaro: 
Si  che  meglio  che  in  murice  ne  tinse 
Le  talari  sue  lane,  e  fin  le  labbia 
Neil'  inferna  riviera  ancor  sen  lambe 
La  porporata  calabrese  rabbia. 
L'  ani  mescersi  al  sangue  ! 
Quando  di  lui  la  stella 
Già  rai  mandava  pallidi  e  languenti 
Con  la  Gallica  ancella 
Puttaneggiàro  i  re:  gran  mastra  n'  era 
L'  avara  lupa  dell*  Ercinia  selva. 
Che  pavida  non  posa 
Se  a  sbramarla  di  prede  e  di  vendette 
Non  cinga  il  fioco  lume  ombra  di  morte. 
All'egra  che  si  sta  dubbia  e  pensosa 
Splendidamente  menzognera  astuta 
Pur  lusingando  libenà  promette; 
Ma  in  armi  ladre  e  in  barbare  ritorte 
Ecco  la  fede  muta 
Putta  spergiura;  e  all'infelice  reca 
Di  nuova  servitù  quadrupla  deca! 


120  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Sull*Istro  SUO  nel  monarcal  convegno 
Cieca  ed  ebbra  segnò  la  carta  iniqua. 
Onde  un  bran  rìcarpla  del  bel  paese 
Che  in  settemplice  stato  era  distinto: 
Né  r  assoluto  regno 
Ivi  bastòlle,  se  con  ane  obliqua 
Soggettandone  i  re  tutto  non  l'ebbe 
Al  proprio  soglio  avvinto. 
Di  fibertà  paurosa 
Ogni  spir  ne  preméa; 
Ma  quant' oppresso  più,  tanto  più  crebbe. 
Già  n'eran  commosse 
L*  altre  genti  d*  Enropa:  e  che  ?  potéa 
Non  sentirne  lo  prò,  Tuopo,  il  diritto 
Colei  che  lor  già  fu  madre  e  reina? 
Che  i  natali  a  te  die',  cantor  di  Bice? 
Scuola  non  era  di  ci  vii  dottrina 
Air  età  nuova  1*  immortai  tuo  scritto 
E  l'italo  saver  cui  fu  radice? 
Ed  a  patir  per  lei  non  dasti  esempio? 
E  lo  apprendemmo!  ahi!  quanti 
O  la  parola  franca, 
O  lo  sospetto  giuro 
In  segreti  convegni,  o  le  armi  occulte 
O  in  lor  man  poste  da  pazienza  stanca 
Trassero  a  lungo  affanno, 
O  i  patri!  lidi  a  far  di  lor  vermigli  1 
Sallo  Spielberga  e  del  Sebéto  il  sanno, 
Della  Dora,  del  Panaro  e  del  Tebro 
Le  bipenni  e  le  carceri  che  a*  capi 
E  a' vincoli  mancar,  come  agli  esigli 
Quasi  falllo  la  terra: 
Si  lunga  ed  aspra  fu  l'iniqua  guerra! 

Se  non  che  spesso  avvenne 
Che  più  d'  un  nobil  spirto  all'  egra  patria 
Meglio  di  fuor  eh*  entro  al  suo  sen  sovvenne 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  I27 

Con  più  libera  voce:  oh!  come  quella 

Suonò  potente  che  levava  austero 

Dalla  Schelda  ospitale 

L'  alto  Sabàudo  sofol 

Oh!  come  adombrar  parve  il  suo  pensiero 

Accento  di  perdon  eh'  uscia  pietoso 

Di  vetu  al  Quirinale! 

Fu  sogno...  e  questa  è  si  l'ultima  volta 

Ch'a  por  fé  nelle  chiavi  Ausom'a  impara. 

Ma  onorarle  pur  può;  che  non  volente 

Féasi  lor  pio  custode 

Suscitator  d'unanime  riscossa. 

La  qual  se  di  Custoza  e  di  Novara 

Ahi  !  ne'  campi  fallia,  V  itala  gente 

Strìnse  in  tacito  patto  intomo  al  prode 

Guerrìer  dell'  Alpi,  e  baciar  fece  all'  aure 

Il  sospirato  trìcolor  stendardo. 

Carlo  Albcno  infelice!... 

Tra*  manirì  pur  tu  !...  colà  gittavi 

Brando  e  corona;  ed  un  pietoso  sguardo 

Al  patrio  suol  volgendo  esule  andavi 

Tutto  di  duol  cruccioso  il  sen  trafino. 

Che  ti  spense  al  Duèro  ^ 

Non  manco  di  valor,  ma  ti  vincea 

Dell' oste  mole  in  disugual  conflitto 

Con  fraudi  partigiane! 

Ti  placa,  ombra  onorau!  il  nome  tuo 

Negli  Ausonii  nefasti  eterno  mane: 

L*  evento  nò,  ma  onore  offre  o  vergogna 

La  cagion  della  guerra;  e  spesso  gloria 

Dà  la  sconntta,  e  infamia  ha  la  vittoria. 

Ti  placa,  ombra  onorau! 
Del  nato  al  petto  intrepido  legavi 
La  tua  vendetu  e  l'itilo  riscatto; 
Ed  ei  t'  ha  vendicata, 
Rciiu  è  Italia,  e  fotte  è  cf  armi  e  navi. 


128  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Pur  di  polve  consperso 

Sacramento  ei  ne  féa 

Ne' Novaresi  campi,  allor  che  il  tuo 

Brando  baciò  che  pio  vi  raccogliéa. 

Tra  regoli  spergiuri  ei  sol  fé  tenne 

Al  popol  suo;  dell'Alpi  alle  radici 

Piantò  securo  il  tricolor  vessillo; 

In  aspetto  decenne, 

Prò  facendosi  all'  alta  ardita  impresa 

Del  roman  senno  e  cor  d'  altro  Camillo, 

Maturònne  il  disegno  :  ansio  ed  altero 

Non  d'  altro  onor  se  non  eh'  ei  dir  si  possa 

Di  nostra  libertà  primo  guerriero. 

Ecco  già  la  devota 

Paterna  spada  forbe 

E  a'  santi  assalti  onde  ruotarla  arruota: 

De'  clamidati  il  fulgido  splendore 

Ecco  dell'altra  sovvien  lei  magnanimo. 

Che  terribil  redo  dal  vincitore 

Di  Vagria  e  d'  Osterlizza. 

Lor  gemino  valor  se  è  scorta  e  sprone 

All'  armi  italo-franche,  e  il  generoso 

Petto  ognun  de' duo  prodi  a  gara  espone; 

Se  dell'  inesorabile  di  Nizza 

L' impeto  battagliero  a  lor  s'  aggiugne. 

Che  temi  Italia  ?  ed  Austria  tu  che  speri  ? 

Ecco  li  tre  guerrieri 

D'uomini  no,  ma  di  giganti  in  pugne 

I  bellici  portenti 

Ben  d'  Arcolo  iterare  e  di  Marengo  ; 

E  a  Varese,  a  Marsala 

Alle  attonite  genti 

Mostrar  pur  vivo  il  gran  valor  Latino, 

A  Palestro,  a  Magenta,  a  Solferino. 

Austria  sei  doma!...  né  ti  galli  speme 
Che  la  triegua  dell'  armi  in  Villafranca 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I29 

Ti  sia  ver  noi  di  nuove  fraudi  seme: 

Che  se  all'  aquila  Franca 

L' inclito  eroe  di  Senna 

Colà  prescrisse  il  voi,  pensa  che  il  grande 

Vincer  sa  con  la  spada  e  con  la  penna. 

A  noi  ci  rese:  e  noi 

Dal  sacro  suol  sgombrammo  ardimentosi 

I  satelliti  tuoi. 

E  a  che  al  settentrionale  ultimo  lembo 

Ch*  indi  si  volve  al  sol,  pure  il  pie'  posi. 

Anzi  eh'  a  noi  lo  renda, 

Di  miseri  fratelli  a  fare  scempio  ? 

Vinegia  ornai  gemma  non  è  che  splenda 

Sul  tuo  diadema,  ma  ben  irto  sasso 

Che  sulla  tua  crucciosa  fronte  il  grava: 

Nostra  sarà  perchè  Dio  nostra  fèlla 

Ed  impronta  di  Dio  non  si  cancella. 

E  tu,  o  Tarpèo  sacerdotal,  che  pense  ? 
Or  or  nel  mar  de'  secoli  V  edace 
Veglio  il  nono  travolse: 
Dacché  lo  Suanense 
Cenobita  indomabile  per  entro 
Le  teocratiche  branche  il  mondo  avvolse: 
Pur  schiera  in  febbre  di  terrena  possa, 
Che  mentre  ognor  V  umanità  passeggia 
Immobilmente  sta, 
Anch'  oggidì  vagheggia 
La  rócca  di  Canossa 
E  la  quatriduana  onta  d'Arrigo: 
In  quel  che  di  tai  di  restauro  implora 
II  sacro  capo  suo  la  vacillante 
Tergemina  corona,  ond'  arta  Italia 
In  acefalo  corpo  mal  cavalca 
E  la  fé  le  sue  nevi  incarna  e  plora. 
Sul  camauro  si  calca. 
Sia  re  se  il  vuole  o  il  dèe,  ma  non  governi; 

Dii  Bauo.  Voi.  XIV.  g 


130  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

E  si  meglio  assecuri  a*  suoi  seguaci 

Giuso  i  caduchi  ben,  lassù  gli  eterni. 

O  di  balsami  larga  a'  cori  afflitti 

Alma  figlia  di  Dio! 

Esser  può  mai  che  in  guerra 

Siano  i  tuoi  santi  dritti 

Con  quei  pur  sacri  dell* Ausonia  terra  ? 

Che  se  a  te  basta  un'ara, 

Al  tuo  custode  fia  mestier  d'  un  soglio  ? 

Si  che  il  sir  ne  respinga  e  gli  dinieghi 

D'assidersi  al  suo  lato  in  Campidoglio? 

Deh!  solvi,  solvi  il  divo 

Tuo  labro  e  fa'  eh'  al  ciel  donde  scendesti 

Accesa  in  fiamma  una  preghiera  saglia, 

Onde  di  pace  olivo 

Cessi  l'aspra  battaglia; 

Di  te,  di  libertà,  che  t*  è  sorella 

S'intreccino  le  braccia;  e  l'una  e  l'altra 

In  vostra  congiunzion  splenda  più  bella: 

Raggiante  allor  nel  tuo  natio  candore 

Avrai  novello  ahar  de'  tuoi  nel  core. 

Fia  tosto!...  Intanto  con  serena  e  lieta 
Fronte  mira,  oh!  si  mira. 
Ombra  del  gran  poeta, 
Ne'  di  maturi  ond'età  nuova  sorge 
Lo  stupendo  spettacolo  ch'ai  mondo 
Europa,  ed  all'  Europa  Italia  porge. 
Qual  consenso  di  popoli!  non  sembra 
Si  tendano  le  braccia  onde  un  sol  nodo 
Quasi  li  giunga  in  vivere  fecondo 
Di  studii,  arti  e  commerci? 
Onde  col  giusto  il  vero 
La  forza  rèa  debelli, 
E  a  lei  strappando  l'usurpato  impero 
Le  sue  di  pianto  e  sangue  orme  cancelli? 
Quale  di  genti  e  stirpi 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  I3I 

Coscienza,  e  della  cara 

Libenà  cupidissimo  disio! 

Quanta  d'ogni  savér  nobile  gara! 

Del  genio  invitto  creator  dell'arti 

Quali  a  produr  miracoli  ardimenti! 

Ei  per  doppiare  d'apparato  industre 

Che  vinto  l' interval  tra  sé  risponde, 

In  note  accolti  li  pensier,  gli  accenti 

Ad  elettrico  fil  median  commette; 

E  superate  l'onde 

Pur  del  vast'oceàno 

Dall'un  poi  sino  all'altro  li  trasmette; 

E  tu,  dotto  Casel,  del  traghettante 

Fluido  se  pugna  a  indur  volgi  tue  cure 

Tra  una  ed  altra  corrente  ov'egli  scrive. 

Col  tuo  gemino  pendolo  oscillante 

Riprodurrai  le  note  e  le  figure: 

Muta  il  fumo  in  corsiere 

Ed  animoso  auriga 

Col  pondo  veicolar  su  cento  ruote 

Di  ferrea  stretto  al  fren  gemina  riga, 

Che  freme  sibiloso  e  l'aer  fende 

Segnato  in  bruna  vorticosa  lista. 

Fugge  e  fuggendo  fuggitivo  appare 

Quanto  a  retro  si  lassa, 

Vora  lo  spazio  ed  il  camin  conquista. 

Varca  onde,  abissi,  le  Alpi  bugia  e  passa; 

Né  guari  andrà  che  a  quanto 

Da  Suèsto  s'oppone  ampio  terreno 

Del  refluo  Nilo  alla  Pelusia  foce 

Squarciato  e  reso  atto  alle  vele  il  seno, 

E  il  Mediterreo  mar  con  l'Eritrèo 

Chiamato  ad  imenèo 

Dal  voler  fermo  di  Lessèpio  ardito, 

T'avvicina,  dirà,  di  Gange  al  lito. 

E  Italia!...  oh!  in  brevi  si  giri  di  sole 


132  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Quanta  d'eventi  mole!... 

Italia  è  donna  di  provincie  e  regna; 

In  ogni  sua  città  più  d'una  pianta 

Fiorisce  in  cui  rivive 

De'  Roman  prischi  la  semenza  santa; 

Ed  a  grandezza  tornerà  se  i  figli 

Da  esperienza  instrutti 

Malediranno  a  le  fraterne  gare, 

Fonte  perenne  di  servaggi  e  lutti. 

In  te  stesso  t'esalta,  o  nostra  luce! 

Del  secolo  gentile, 

Di  questo  popol  tuo  che  si  rinnuova 

Tu  sei  l'autore  e  duce. 

Infra  la  prisca  e  nuova 

Civil  età  terribilmente  s'erge 

Maestosa  e  severa  in  volto  e  in  atto 

Col  capo  tra  le  nubi 

Tua  immensurabil  mistica  figura: 

T'ammira  stupefatto 

Della  terra  ogni  popolo,  e  compreso 

Di  religiosa  e  tacita  paura 

S'inchina  a  te  davante; 

A  te  che  la  passata  etade  invadi, 

La  presente  produci,  la  futura 

Prepari;  e  nuovo  Atlante 

Sui  grand'omeri  tuoi  sostieni  il  pondo 

Della  moderna  civiltà  del  mondo. 

Di  studii  a  culto,  a  nesso  ed  a  franchezza 
Appellasti  tu  primo 
Questa  terra  latina  ita  in  bassezza 
Col  magister  della  comun  parola. 
Coi  forti  affetti  e  con  li  chiari  esempi. 
Con  la  sapiente  scuola 
Che  instituisti  e  che  die'  si  larga  mèsse 
Di  discepoli  e  martiri:  da  sezzo 
Quel  gran  ci  ve  indi  uscia,  ch'ahi!  troppo  presto 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  I33 

Duol  dando  a  noi  sacra  più  féa  Superga, 

Col  guerriero  alpigiano: 

Poser  ambi  ogni  lena  al  santo  gesto, 

Cogliendo  alterni  gloriose  palme 

Col  valor  del  consiglio  e  della  mano. 

Ma,  o  magnanimo  eroe,  messo  del  cielo 

Che  sulla  Senna  pel  diritto  impèri 

E  pel  senno  sul  mondo, 

Fora  Italia  ciò  eh*  è  se  tu  non  eri  ? 

Che?  se  ne  féa  difetto 

Del  valor  Franco  e  di  tua  spada  il  pondo 

Potean  nostr'armi  dell'Austriaca  possa 

Sostener  l'urto  e  vincer  l'ardua  prova? 

E  a  noi  francar  non  esponevi  il  petto  ? 

Oh!  di  quel  grato  cor  non  fia  che  muova 

Suon  di  querela!  i  suoi  confin  dell'Alpi 

Se  alla  Francia  rendemmo 

Lo  imponea  tuo  dover;  col  nobil  sangue 

Dessa  li  riscattò;  patto  ne  fémmo. 

Ma  giudici  de'  grandi 

I  posteri  e  la  storia;  ed  ei  ben  sàllo, 

O  gran  padre  Alighiero, 

Che  nutrito  a  tue  pagine  immortali 

V'attignèa  freno  al  cor,  nervo  al  pensiero; 

Né  a  noi  farà  sua  mano  indi  pur  fallo: 

E  s'è  di  Dio  voler  che  Italia  sia. 

Età  più  calma  e  pia 

Di  libertà  sull'ara 

Con  auree  note  inciderà  in  avorio 

Dante,  Napoleon,  Camil,  Vittorio.' 

Serraglio  Serragli,  avvocato  fiorentino,  scrisse  molti  versi  d*oc- 
casioae.  Suo  figlio  vive  in  Firenze,  ma  da  lui  non  ho  potuto  avere 
notizie  intomo  a  suo  padre. 


*  Cbicti 


▼erti  cosi  ti  leggono  in  opuscolo  stampato  dal  Cellini,  in  Firenze,  nel  i8($ 


134  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 


DCCIX. 

Antonio  Angeloni-Barbiani. 

Poesie   dantesche. 
(14  maggio  1865). 

I. 

Dante. 

A  te  I  Magnifica  e  gentile  |  Firenze  |  Il  veneziano  Antonio  An 
geloni-Barbiani  |  Nel  secentennio  di  genetliaco  |  Del  tuo  divin  figlio  | 
Questi  versi  |  Umilmente  consacra  e  dona. 

O  del  mio  bel  San  Marco  armoniose 
Antiche  squille,  banditrici  un  tempo 
Delle  venete  glorie,  al  vostro  suono 
Che  il  secentenne  genetliaco  giorno 
De  l'Alighier  saluta,  all'onde  azzurre 
Della  laguna  mia,  che  tanto  adoro, 
Ecco  mi  prostro  umilemente  in  riva, 
E  la  tenue  sciogliendo  aura  vocale, 
Che  mi  sospira  in  sen,  commosso  io  grido 
Ai  figli  di  Venezia:   «O  miei  fratelli, 
«  Onorate  l'altissimo  Poeta. 
«  Vagliami  il  lungo  studio  e  il  grande  amore, 
«  Che  m' ha  fatto  cercar  lo  tuo  volume.  » 
O  massimo  d' Italia  cittadino, 
O  d'ogni  vate  genitor,  o  vate 
De'  tempi  tutti,  o  della  nostra  lingua 
Autor  sovrano  :  e  quell'ardir  mi  valga. 
Che  a  cantar  la  novella  m'inspirava 


INTORNO   A    DANTE  ALIGHIERI.  13$ 

D' Italia  poesia,  le  prime  angosce 
Del  Redentor,  del  popolo  i  diritti. 
E  tu,  Musa  civil  di  nostra  etade. 
Col  fulgor  di  tua  fronte  gli  ampi!  regni 
Del  passato  m'illustra,  e  d'un  tuo  riso 
Il  carme  infiora  che  intuonar  m'attento. 
Allor  che  Italia  da  quel  ferreo  sonno 
Alla  cui  turpe  vegghiavan  quiete 
Di  barbari  stranieri  i  torvi  rai 
E  la  propria  ignoranza,  si  riscosse 
E  invan  cercò  sulla  scomposta  chioma 
Sua  regal  corona,  arse  di  sdegno, 
Die'  un  alto  grido  e  sui  stupendi  avanzi 
Del  suo  gran  trono  in  maestà  si  pose. 
Al  forte  suon  della  materna  voce, 
I  sacri  a  vendicar  da  la  feudale 
Prepotenza  diritti  e  privilegi, 
Sorgere  in  armi,  generosi  e  belli 
Di  rude  giovinezza  i  suoi  Comuni 
Tostamente  fùr  visti,  e,  insiem  congiunti. 
Di  nazione  a  dignità  poggiare. 
Di  nostra  fede  ai  cenni,  in  Oriente 
Volar  festosi  a  insanguinare  i  brandi; 
E  giù  dall'Alpi  intanto  quel  feroce 
Scendea  Fedrigo,  che  d'Italia  i  danni 
Tra  sé  volvendo,  in  lei  di  libertade 
Mirò  in  vece  spuntar  l'età  primiera. 
Ma  in  Benevento  ed  in  Augusta  un  giorno 
L'itala  Storia,  immerso  in  tetro  lago 
D'italo  sangue  il  calamo,  ai  beffardi 
Angioini  imprecava,  e  di  Legnano 
In  sui  cruenti  ancor  memori  campi 
Raccolto  il  volo,  ad  affrettar  s'accinse 
De  le  sicule  squille  il  suon  fatale. 
O  Secol  tu,  che  d'onorar  col  nome 
Di  secolo  poeta  ognor  m'è  bello. 


156  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 

Oh  quai  vedesti  e  moltiformi  lutte 
Fra  lo  straniero,  che  dall'Alpi  giuso 
Scender  volea  di  forza,  e  '1  cittadino, 
Che  all'irruente  fea  muro  col  petto 
Di  patrio  zelo  armato;  fra'l  vetusto 
Latin  sermone  e  la  recente  e  maschia 
Volgar  favella;  tra  le  argute  fole 
Del  paganesmo  ed  i  cristiani  veri! 
Tu,  la  donna  com' angiolo  adorata 
Mirasti,  e  imperiar  con  cetra  e  voce 
In  varii  modi  i  trovator  sui  cuori; 
Tu,  innumeri  i  pugnali  avvelenati 
Di  compri  sgherri,  e  innumeri  le  funi 
Di  pellegrini  e  peccator  contriti; 
Tu,  spade  a  mille  ad  una  voce  sola 
Uscir  de  la  guaina,  e  mille  bocche 
Baciarsi,  perdonando  al  suon  d'un  inno; 
Tu,  assiduo  un  urto  ed  un  proceder  lento 
Da  servitude  a  libertà,  da  lunga 
Barbarie  a  culto  e  social  costume. 

Solinga  in  Ciel,  da  tutte  cure  sciolti. 
Tua  virile  posava  e  creatrice 
Anima,  o  Dante,  nell'etereo  lume 
Di  radiosa  stella.  E  nove  lune 
Pria  che  le  mal  vietate  Alpi  varcasse 
Il  fatale  Angioino,  a  lieve  un  cenno 
Del  Signor  quel  romito  astro  si  pinse 
Nei  tre  colori  delle  tre  virtuti, 
Che  son  di  tutte  l'altre  inizio  e  guida, 
E  sovr'essi  brillò,  coi  fiori  scritto 
Che  il  cielo  edùca,  di  Fiorenza  il  nome. 
Vide  e  sorrise  l'angelo  custode 
Di  quest'unica  Italia:  in  quel  bell'astro 
Ratto  s' immerse,  e  dall'amante  core 
Vibrando  un  raggio,  che  sul  giovin  grembo 
Di  Tosca  si  posò  nobile  sposa, 


INTORNO  A    DAMTE   ALIGHIERI.  I}7 

È  questo,  disse,  o  pellegrin  novello 
Dell'itale  contrade,  il  tuo  cammino. 
Disse,  e  luogo  quel  raggio  la  sovrana 
Tua  vita,  o  Dante,  nel  suo  fral  discese. 

Sorgi,  o  Divino  1  Argutamente  indaga 
Del  dolor  la  ragione,  il  moto,  il  fine. 
E  il  maggior  tema  disposando  a  metro 
Che  ad  elegia  consuona,  perchè  assai 
Italia  è  mesta  e  di  dolore  ostello. 
Unifica  e  rigenera  la  terra, 
Al  suo  Fattor  la  creatura  annoda. 

Già  il  maschio  de'  Romani  antico  seme 
In  Te  rivive,  e  quel  celeste  segno 
Che  segue  il  Tauro,  la  tua  culla  irraggia. 
De*  tuoi  guelfi  congiunti  amore  e  speme, 
Leggiadro  in  vista  e  con  quell'aura  in  fronte 
Di  soave  tristezza,  che  del  vero 
E  del  bello  i  ministri  ognor  circonda. 
Crescer  ti  veggio;  dal  facondo  labbro 
Di  guelfo  precettor  pendere  immoto; 
Il  poderoso  ingegno  e  il  cor  di  fiamma 
In  tutti  esercitar  d'ogni  bell'arte 
I  campi,  e,  armato  di  robusta  fede, 
I  mal  noti  a'  di  tuoi  fulgidi  spazi 
Della  scienza  visitar  con  ala 
Infaticata,  dominarli,  e  questa 
In  fida  convertire  e  pronta  ancella 
De  la  tua  fantasia,  di  che  più  vasta. 
Ardimentosa  ed  util,  dai  recessi 
D'umano  capo  non  rifulse  unquanco. 
Ma  il  genio  è  l'astro  che  sol  manda  luce 
Quando  amore  lo  scuota  e  il  duol  l'affini: 
E  Te  punsero  entrambi,  e  fùr  primiera 
E  sublime  cagion  del  tuo  Poema 
«  Al  quale  ha  posto  mano  e  cielo  e  terra.  » 
«  Chi  è  costei  che  nella  faccia  come 


138  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

«  Par  tremolando  mattutina  stella, 

«  Vestita  di  color  di  fiamma  viva,  » 

Verde  nel  manto  e  bianca  in  vel,  ti  guarda 

Pudicamente,  e  in  dono  a  Te  porgendo 

Temprata  dai  cherùbi  un'  arpa  d' oro. 

Il  suo  ti  parla  armonioso  nome? 

É  Beatrice,  che  tra  i  fiori  un  giorno, 

Cinta  di  fior  la  bionda  chioma,  il  tuo 

Novenne  core  fea  tremar  si  forte. 

Che  in  tai  parole  uscivi  :  «  Occhi  beati, 

«  Ecco  già  parve  la  letizia  vostra.  » 

È  Beatrice,  la  guelfa  donzella 

Che  il  saluto  mirabile  sorrise, 

Onde  tanta  dolcezza  in  sen  ti  piovve, 

«  Che  di  beatitudine  »  stimasti 

«Ogni  termin  vedere».  È  Beatrice, 

Che  forni  sua  giornata  innanzi  sera. 

Ed  or,  fatta  celeste,  in  Dio  riflesso, 

Il  vale  affinator  del  casto  foco 

Ti  rinnovella,  ed  a  vergar  t'incuora 

(E  sol  degna  di  Te  fu  la  promessa), 

«  Quel  che  d'alcuna  non  fu  detto  mai.  » 

O  della  terra  mia  donne  gentili, 
Pietà  di  lei  vi  tocchi.  Oh  non  indarno 
Di  Beatrice  il  venerando  nome 
A  voi  dall'Alpi  al  Faro  oggi  risuoni! 
Ma  la  sua  fama,  che  quaggiuso  dura 
«  E  durerà  quanto  il  moto  lontana,  » 
V'innamori  cosi,  che  il  dolce  raggio 
Della  vostra  beltà,  che  del  Signore 
È  vivente  parola,  unqua  non  torni 
De  lo  spirto  ad  ingiuria,  ma  le  sozze 
Del  paganesmo  ultime  nubi  strugga, 
Ai  domestici  lari  ornai  ridoni 
Il  sacro  culto,  e  sia  cagion  perenne 
Di  leggiadri  costumi  e  d*  opre  eccelse. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  159 

Ma  del  secolo  mio  la  grave  Musa, 
Che  il  parteggiar  disdegna,  le  funeste 
Di  Guelfi  e  Ghibellini  ire  feroci 
Armonizzarmi  col  civil  ricusa 
Magistero  del  verso,  e  in  Te  saluta, 
«  O  degli  altri  poeti  onore  e  lume,  » 
Più  che  '1  maggior  de'  Bianchi  Guelfi,  il  sommo 
Dell'itala  unitade  inspiratore 
E  d'  universa  civiltà,  che  a'  piedi 
De  la  Croce  si  atterra  incoronato 
Delle  spine  del  Cristo,  e  a  non  più  inteso 
Suon  de'  Profeti  risvegliando  l'arpa, 
A  le  discordie  cittadine  impreca; 
Che  all'unica  di  Dio  promessa  aita 
La  libenà  del  successor  di  Piero 
Cristianamente  affida;  che  ogni  etate 
Previene  ed  ogni  secolo  trasvola; 
Che  d'un  popolo  i  fasti  e  le  sventure 
Co'  propri  duoli  e  sdegni  intreccia,  eterna; 
Che  per  se  stesso  si  fa  parte,  e  sotto 
L'egida  santa  dell'avita  Fede 
A  pace  appella  ed  a  virtude  il  mondo. 

Ahi!  degl'itali  esigli  la  dolente 
Storia  dinanzi  agli  occhi  miei  si  schiude. 
Oh!  d'ogni  di  martirio  e  d' ogn' istante. 
Lento  veneno,  che  dell'uomo  il  frale 
Consumi  ad  oncia  ad  oncia,  sconfinato 
Dell'anima  deserto  e  sol  di  larve 
Popolato  mestissime,  incessanti, 
O  esilio,  che  freddare  invan  presumi 
Di  patria  l'ineffabil  caritade, 
Oh  quante  e  quante  di  precoci  solchi 
Stampasti  fronti  venerate,  e  stampi! 
Che  se  dell'arte  il  freno  al  verso  mio 
Narrar  divieta  delle  più  famose 
Tue  vittime  gli  affanni,  i  sacrifici. 


140  POESIE  DI    MILLE      AUTORI 

L'ardue  virtudi;  oh!  mi  sia  dato  almeno, 
Al  più  flebile  suoq  che  in  lei  s'asconda, 
Svegliar  quest'arpa,  e  con  pietoso  affetto 
L'indegno  esilio  d'AUighier  plorando, 
In  un  esilio  sol  piangerli  tutti. 

Oh,  che  ti  valser  mai,  Padre  infelice. 
Di  poeta  il  gran  nome,  i  forti  studi, 
La  prode  mano  e  quell'arguto  senno. 
Che  illustre  di  Fiorenza  ambasciatore 
Ben  sette  volte  e  sette  ti  rendea, 
E  per  due  lune  in  fra  i  Prior  t'ascrisse? 
Già  tace,  oimè,  del  tuo  Comun  la  squilla... 
E  dell'intento  popolo  al  cospetto, 
Uom,  cui  deturpa  atroce  gaudio  il  viso. 
Te  alle  fiamme  condanna,  ove  ghermito 
Alcun  t'avesse  de'  i\emici  tuoi. 
Oh!  maledica  in  sempiterno  il  genio 
Del  civile  poeta  ogni  odioso 
Gante  de'  Gabrielli  antico  e  novo. 
Addio  per  sempre,  o  di  pensier  celesti 
Feconda  ognor,  di  Beatrice  tomba! 
Addio,  figli,  consorte,  amici!  Addio, 
Bel  tempio  di  Giovanni,  ove  commisti 
Ai  flebili  de  l'organo,  levavi 
Tuoi  profondi  sospiri!  Addio,  cospicua 
Città  dei  flori,  ove  ogni  sasso  un  nome, 
E  dolce  nome,  ti  destava  in  core. 
Ahi,  die  tormento  per  dieci  anni  e  nove. 
Ritessendo  del  vivere  le  trame. 
Vagar  di  loco  in  loco!  Ahi,  che  tormento 
«Lo  scendere  e  il  salir  per  l'altrui  scale,» 
La  compagnia  di  cortigiani  abbietti, 
E  quel  superbo  compatir,  che  attosca 
Il  benefizio.  Indarno  affetto  ed  ira 
T'aggiunsero  in  Arezzo  ai  Ghibellini, 
Invan  fidasti  nell'  ornato  eloquio 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  141 

E  nella  erculea  d'  Uguccione  possa. 

Vinto  a  Mugello  il  tuo  gigante  amico, 

Al  deluso  tuo  cor  fu  primo  e  breve 

Rifugio  il  tetto  di  quel  prò'  Lombardo, 

Che  in  sulla  Scala,  da  cui  prese  il  nome, 

L'imperiai  ponò  romano  augello. 

E  Te  ospitava  fra'  suoi  dotti  alunni 

Bononia,  u'  forse  al  popol  suo  si  ingiusto, 

Lagrimando,  scrivevi  :   «  O  popol  mio, 

«Che  t'ho  mai  fatto?»  Te  l'antiqua  accolse 

Antenorèa  cittade,  Tu  fra  i  bianchi 

Suoi  marmi  Lunigiana,  ove  si  schietta 

T'addolcia  l'amistà  del  Malaspina, 

Che  sovra  tutti  della  tua  fùr  degni 

Immortale  mercè  nel  trino  Carme. 

E  quando  in  basso  ogni  affannosa  speme 

Di  riveder  Fiorenza  a  Te  fu  tolta, 

E  di  fuggir  le  rimembranze  amare 

Necessità  premeati  imperiosa, 

L'Alpe  varcavi,  e  tua  versarli  mente 

In  Lutezia  nel  vico  degli  strami 

«  Sillogizzò  invidiosi  veri.  » 

E  nota  pur  fu  tua  grave  sembianza 

Agli  austeri  britanni,  e  n'ammirasti 

I  sodi  affetti  ed  i  pensier  profondi. 

Ultimo  arrise  di  letizia  un  raggio 

Al  tuo  spirito  affranto,  allor  che  il  bello 

Italo  sole  rischiarò  la  fulva 

Chioma  d'Arrigo:  ma  svanla  ben  tosto. 

Poiché  lo  spense  di  Maremma  il  suolo, 

E  Te  riebbe,  patria  tua  seconda. 

Verona,  che  cantar  t'udia  le  note 

Di  quel  secondo  Regno,  che  la  parte 

Più  gentil  del  tuo  cor  appien  rivela. 

Oh  amabile  quel  canto!  Oh  come  dolce 

Lo  governa  armonia  che  al  vivo  esprime 


142  POESIE   DI    MILLE  AUTORI 

Dell'esule  scorato  i  disinganni 

E  le  care  memorie!  Oh!  qui  la  voce 

Melodiosa  dell'estinto  amico, 

«  Che  ti  solea  quetar  tutte  le  voglie,  » 

La  tua  canta  d'amor  prima  canzone: 

Qui,  nella  Pia,  con  flebil  metro  sveli 

Acerbissimo  fato,  ed  in  Bordello 

Tal  patrio  amor,  che  non  ha  core  in  petto 

Chi  a  tanto  foco  non  s'accenda  ed  opri. 

Oh  il  patetico  stile  onde  per  bocca 

D'Oderisi  proclami  d'ogni  umana 

Gloria  la  vanitade!  Oh  qual  sicuro 

Della  verace  poesia  precetto 

A  Buonaggiunta  porgi!  Oh  di  Matelda 

E  Lia  pitture  graziose!  Oh  quante 

Ineffabili  d'angeli  parvenze, 

In  aspetti  e  in  accenti  e  varie  e  nove, 

E  quali  e  quante  vision  divine 

Pria  che  tua  vista  d'aquila  s'inalzi 

«  A  disbramare  la  decenne  sete  !  » 

Oh  potenza  d'amore,  oh  Beatrice! 

Ma  non  sempre  colui,  die  t'ospitava. 
Fé'  tesor  de'  tuoi  pregi,  e  forse  d'aspri 
Accenti  punse  tuo  sdegnoso  spirto, 
Che,  dalle  feste  e  dai  tripudi  offeso, 
Onde  ognor  più  fervea  di  quel  si  prode 
Giovine  prence  l'adulata  reggia. 
Drizzò  tuoi  passi  d'esule  a  montana 
Solitudin  selvosa,  e  alcuna  pace 
Porgeati  V  umbro  suolo,  ove  non  breve 
Ora  del  Catria  in  sulla  vetta  assiso, 
Dell'Arno  a  la  città  cupidamente 
Appuntavi  lo  sguardo:  e  su  quel  giogo 
(Degno  sgabello  a  Te,  che,  in  fiamma  acceso 
Di  nobil'  ira,  per  vigliacca  ammenda 
Del  tuo  rimpatriar  vergavi  '1  niego). 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  I43 

Fra  terra  e  ciel  sospeso  divinasti 

«  La  gloria  di  Colui  che  tutto  move.  » 

Deh,  sorga  un  di  su  quella  vetta,  o  Padre, 

Gigante  sorga  il  simulacro  tuo! 

E  a  Italia  accenni  per  sua  legge  il  verso  : 

«  Ogni  viltà  convien  che  qui  sia  morta.  » 

Ma  sciolto  alfìn  dell'amor  tuo  fu  il  voto. 
Il  gran  Poema,  che  gli  sparsi  rai 
Dell'italica  vita  come  in  terso 
Speglio  immortai  riflettere  dovea, 
L'eterno  Dramma  in  una  fiera  ambascia 
D'amor  concetto  e  dell'amor  nutrito 
Per  ben  sei  lustri,  negli  amici  ostelli 
De'  Torrìani  e  del  gentil  Signore 
Di  Ravenna  chiudesti,  e  insiem  con  esso 
(Reduce  appena  da  Vinegia  mia), 
Nel  di  che  i  fasti  della  Croce  esalca. 
La  procellosa  vita;  e  l'alma  tua, 
A  voi  portata  dalle  sue  virtudi. 
Trionfalmente  a  contemplar  levossi 
«  L'amor  che  move  il  sole  e  l'altre  stelle.  » 

O  giovani  d'Italia  cittadini. 
Cui  d'anni  tanti  gli  olocausti  e  l'opre 
Fùr  seme  genitor  d'attesi  frutti. 
Gran  giorno  è  questo,  che  in  un  sol  pensiero, 
In  un  affetto  sol  dall'Alpi  al  mare 
Tutti  ci  annoda.  Già  placato,  e  pago 
Del  nostro  culto,  ecco  fra  noi  discende 
Il  virile  Cantor,  non  veglio  iroso. 
Ma  quale  in  pegno  d'amistà  perenne 
Reverente  pingcalo  il  cor  di  Giotto. 
Tre  gli  fulgono  in  petto  e  quattro  al  nero 
Crine  d'intorno  radianti  stelle: 
A  simbol  strigne  sua  gagliarda  mano 
La  trionfale  dei  redenti  insegna 
Di  corrusche  del  Ciel  gemme  contesta: 


144  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

E  mentre  a  noi,  che  dell'etade  l'arco 

Scendiam  pensosi,  de  le  nostre  in  premio 

Faticanti  virtù  celeste  Ei  volge 

Incuorator  saluto,  a  voi,  sereni 

Di  vita  e  forti  in  volontade,  o  cari 

Giovani,  che  le  nostre  da  precoci 

Colpi  di  morte  diradate  file 

Ad  integrar  venite,  il  suo  Poema 

In  lieta  fronte  Ei  porge  e  al  ciel  rivola. 

All'opra,  all'opra!  e  di  novelli  fregi 

Pia  che  s'onori  della  Madre  il  nome. 

Non  la  sola  del  Vate  maestria 

E  il  puro  fonte  de  la  patria  lingua 

Notar  vi  basti  nel  divino  Carme; 

Ma  quel  civil  pensier,  che  il  dritto  assoda, 

E  il  vero  e  il  giusto  per  età  non  muta. 

Ma  dell'alta  dottrina  che  s'asconde 

«  Sotto  il  velame  delli  versi  strani  » 

Chi  non  audace  interprete  sicuro? 

L'Allighieri,  il  suo  tempo  e  l'opre  sue 

Viviamo  or  dunque,  o  giovani,  viviamo 

Nella  Nuova  sua  Fifa:  a  quel  salubre 

Sediam  Convivio  che  imbandir  gli  piacque: 

Come  a  strignere  insieme  le  sparte  membra 

D'Italia,  ei  miri  nel  Volgare  Eloquio^ 

Avidamente  udiamo:  odasi  alfine 

Sillogizzar  di  Monarchia  sui  dritti, 

E  il  caduto  evocar  di  Roma  Impero. 

Oh  di  nobile  studio  ampia  mercede! 

Ecco  il  trino  Poema  in  sua  verace 

Intima  essenza  a  noi  sfavilla,  ed  apre 

Dell'itala  feconda  poesia 

L'ultima  etade  e  '1  glorioso  regno. 

Che  non  indarno,  più  che  agli  occhi,  al  senso 

Dell'anima  profondo  de'  futuri 

D'Italia  vari  la  sua  pompa  tutta 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  145 

Oggi  disvela.  Ecco  la  sacra  Musa, 

Che  a  Dio  si  lancia  estatica  sull'ali 

D'incrollabile  fede,  e  la  solenne 

Illuminare  oscuriti  s'attenta 

De'  rivelati  nel  Vangel  misteri. 

Ecco  l'arte  al  suo  Dio  quasi  nipote, 

Che  in  solo  un  quadro,  ove  son  centro  e  fine 

Del  Paradiso  le  viventi  gioie. 

L'universo  ritragge  e,  ognor  congiunte. 

Le  tre  fortune  dell'umano  seme, 

La  caduta,  la  pena,  il  premio  eterno. 

Ecco  la  ingenua  italica  favella. 

Che,  a  guisa  di  balen  rapida  e  viva. 

Ad  ogni  forma  dell'idea  s'atteggia. 

Ecco  un  sol  dramma  alfin,  che  tre  dispiega 

Perfetti  drammi  e  tre  perfetti  eroi» 

Dante,  il  popol  d'Italia  e  Y  alma  Chiesa. 

E  tu,  Genio  inspirato  e  ispiratore. 
Che  i  precipui  tesor  della  vetusta 
E  moderna  pingesti  civiltade, 
La  terra  e  il  cielo,  la  natura  e  Dio, 
Del  tuo  secolo  i  vanti  e  le  sciagure. 
Le  fiu'isaiche  infamie  e  le  sublimi 
De*  martiri  vittorie,  a  me  perdona. 
Se  quella  eccelsa  e  sfolgorante  imago. 
Che  di  te  mi  favella  entro  dell'alma, 
Ad  aggiunger  non  valsi;  e  le  pietose 
Stille  mirando,  che  sull'arpa  io  verso, 
V  Eterno  invoca  per  Venezia  mia.  ' 


i^         ^^eni  Ttrsi  cosi   Icggonti    |rabblic«ci    '    Venezia,   1865.   Premiato  stabilimento  ti. 
f^^  J^^ascolo  di  p«g.  «3  col  titolo:   Dtnt*,    1    pografico  di  P.  Naratovieh,  a  spese  dell' au- 
^d  MT.  Antonio  Angtloai-Barbiani.    |    tore. 


Dii  B*Lxo.  VoL  XIV.  IO 


146  POESIE  DI  MILLI  AOTOU 

IL 
Dante  Alighieri. 

Se  da  lungi  ti  seguo  e  anch'io  t'adoro, 
O  de'  Poeti  estremo  e  Citudino 
D'Italia  primo,  e  in  Te  dell* Uno  e  Trino 
Il  più  sublime  laudatore  onoro; 

S'io  pure  all'ombra  del  tuo  sacro  alloro 
Ben  legger  tento  il  pensicr  tuo  divino, 
E,  a  civiltà  seguace  nel  cammino. 
Far  del  vero  col  canto  altrui  tesoro; 

Scendi  invocato  su  Vinegia  bella, 
Che  d'eventi  sinistri  tirannia 
In  tapina  mutò  vedova  ancella; 

E  membrando  qual  fu  la  Madre  mia 
In  tanta  eclissi  di  sua  vaga  stella, 
Per  lei  prega  in  tal  di,  prega  Maria.  ' 

Antonio  Angeloni-Barbiani,  nato  in  Venezia,  il  21  agosto 
come  ogni  buon  veneto,  si  laureò  in  leggi  neir  Università  di  Fa 
a  ventidue  anni.  Nel  1848-49  fu  milite  per  la  difesa  della  sua 
nezia,  e,  come  ufficiale,  si  battè  valorosamente  contro  gli  Aust 
E  dal  1856  venne  pubblicando,  in  Venezia  sempre,  versi  e  prò 
cui  si  sente  Taaima  sempre  giovine  del  cittadino  che  aveva  esj 
il  suo  petto  per  la  redenzione  morale  e  materiale  del  suo  paese, 
notevoli  i  suoi  canti:  Menanotte,  Getsemaniy  il  Popolo;  e  i  sue 
scorsi  :  Dei  sentimenti  di  fami^ìia  nella  commedia  nuova  dei  Grui  — 
Sandro  Manzoni  e  il  secondo  Coro  dell* Adelchi  —  Tommaso  Campa 

Sarebbe  opera  utile  raccogliere  gli  scritti  di  lui.  Si  leggerei 
con  vero  profìtto.  Perchè  non  ci  pensa  qualcuno  de*  suoi  co 
tadìni? 

'  Qjiiesto  sonetto  cosi  si  legge  *  p«gg.  3-7  |        Questo  sonetto  dell' Angtlonì-Barl 

in    un   opuscolo    dal    seguente   titolo  ;    A  •  preceduto   nell'  opuscolo  d*  un*  ca 

Dantt  Alighitri,  a  Gemma  Donati^  a  Beatrici  DamU,  di  Emuiuele  CelesU,  che  è 

Portin,iri.  Versi.  In  Firenze,  pubblicati  pel  dal  Celeti*  composta  nel  1843,    e   > 

sesto  centenario  di  Dante  dai  direttori  del  :  riprodotta,  a  pag.  {06  e  segg  del  vi 

giornale  La  Gknentù,  1865.  |  di  questa  Raccolta. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I47 

DCCX. 

Pietro   Raffaellt. 


Dantb  Alighieri. 
(14  maggio  1865). 

Dall'  Alpi  al  mar  ciascuna  itala  terra 
Un'ara  innalzi  a  Dante! 
Come  Mosè  che  lampi  ancor  disserra 
Dal  suo  divin  sembiante 
Che  un  angelo  scolpiva,  egli  diffonda 
Di  mortai  luce  inesauribii  onda. 

Questo  è»  padre  Alighier,  l'almo  paese 
Ove  schiudevi  i  rai, 
£  l'aer  tosco  dove  amor  t'accese 
Che  non  ti  lasciò  mai 
Per  la  fanciulla  che  col  suo  sorriso 
Ti  addusse  per  le  vie  del  paradiso. 

Qui  ti  vibrò  la  truce  ira  di  parte 
Il  dardo  dell'esigilo. 
E  vagolando  in  compagnia  dell'arte 
Pel  suol  fatto  vermiglio 
Di  civii  sangue,  mendicavi  il  pane, 
O  mente  immensa  fra  le  menti  umane. 

Sentivi,  ahi  quanto  I  dell'  Italia  i  danni, 
E  tua  voce  sublime 
Imprecava  terribile  ai  tiranni. 
Qual  le  più  ardue  cime 
Il  vento  scuote,  essa  feria  la  cupa 
Ingorda  fame  dell'oscena  lupa. 


I  jS  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

E  tu  dal  tempio  dell'Eterno  vero. 
Di  tua  parola  armato, 
Ricreasti  V  Italia  in  tuo  pensiero 
In  unità  di  stato. 

É  tua  mercè,  se,  infranta  la  nemica 
Catena,  sorse  alla  grandezza  antica. 

Salve,  Alighieri:  la  mirabil  mole 
Di  tutto  r  universo 
Corresti  come  la  virtù  del  sole; 
E  il  tuo  libero  verso 
Ritrasse  i  mali,  i  beni  e  l'infinita 
Tristezza  e  i  gaudi  di  più  bella  vita. 

Tu  traggi  Italia  dall'inerte  limo 
E  lei  nel  giusto  accendi. 
Tu  la  radduci  all'alto  inizio  primo, 
E  poesia  le  rendi. 

Una  divenga,  e  alfin  le  terga  il  pianto 
La  carità  che  ti  dettava  il  canto.  ' 

Qjiesta  poesia  cosi  li  legge  a  pagg.  i  !•    '■    è  preceduta  da  tei  ottave  t  di  una  Vcneu  • 


12  nell'opuscolo  citato  a  pag.  146  di  questo 
volume. 
Questa  poesia  del  Rafiaelli  nell'oposcolo 


(Erminia  Fui-Fusinmto)  le  quali  tono  state 
già  pubblicate  a  pagg.  93-94  del  voi.  XII 
di  quesu  Raccolta. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  I49 


DCCXI. 
Emilio  Ferrari. 


Dante  nel  monastero  del  Corvo. 

(14  maggio  1865). 

Sulla  terra  di  Luni  si  desta, 
Della  sera  neir  ombra  soave. 
Un  sospiro  divin  come  l'Ave, 
Che  in  tal*  ora  la  Vergine  udì. 
Ora  dolce  al  terrier,  ma  funesta 
Allo  stranio  che  va,  né  risolve 
In  qual  angolo  scuoter  la  polve 
Che  il  suo  sandalo  ha  còlta  nel  di. 

Quel  sospiro,  con  Iene  susurro. 
Tremolar  delle  querce  le  chiome 
Fa  suirerta  del  monte,  che  il  nome 
Ha  dal  Corvo,  che  v'  agita  il  voi. 
Bagna  il  monte  il  suo  pie  nell'azzurro 
Mare  a  destra,  a  sinistra  nell'onda 
Della  Magra,  e  vicino  alla  sponda 
Sorge  un  chiostro  nel  rustico  suol. 

La  marina  si  tace  distesa, 
E  del  vespero  l'ultimo  squillo 
Va  morendo  nel  cielo  tranquillo. 
In  cui  pallido  il  giorno  si  muor. 
Fra  i  cipressi,  dinanzi  alla  chiesa, 
Frate  Ilario  di  Luni,  al  bel  piano 
E  dei  monti  al  bell'arco  lontano. 
Volge  gli  occhi  ove  splende  l'amor. 


150  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Bianca  barba  sul  petto  gli  scende, 
E  il  suo  macero  volto  ha  la  calma. 
Non  di  chi  l'ebbe  ognora  nell'alma, 
Ma  di  chi  le  tempeste  provò. 
E  sospira  pensando  che  orrende 
Fra  i  signori  del  piano  e  del  monte 
Fremon  Tire,  e  che  Telmo  ogni  fronte 
E  l'usbergo  ogni  petto  cerchiò. 

—  Oh  beato  il  mortale,  cui  gli  archi 
Solitari  dan  ombra  di  pace, 
E  raccende  nell'are  la  face 
E  l'estinta  speranza  nel  seni 
Né,  del  tempio  tra  i  funebri  varchi. 
Della  terra  l'antica  memoria 
Più  l'abbaglia,  ma  un  raggio  di  gloria 
Alla  mente  dall'alto  gli  vien.  — 

Sceso  il  veglio,  con  mesto  sorriso, 
Leva  il  guardo  seren  come  il  cielo, 
'Ve  il  tramonto  di  porpora  un  velo 
A  ponente  dispiega  leggier. 
Ma  lo  china,  si  scuote  improvviso; 
Un  estranio  dinanzi  rimira. 
Fosco,  immobil,  che  tace  e  sospira: 
—  Che  vuoi  ?  —  Pace!  —  Il  tuo  nome  ?  —  Alighiei 

Notte  e  silenzio  nelle  mura  sante: 
Un  cereo  brilla  in  arcuata  stanza; 
Ambo  seduti  stanno,  Ilario  e  Dante. 

La  pupilla  in  cui  l'anima  s'avanza 

Sdegnosa,  il  labbro  inferìor  che  ascende 
A  premer  l'altro  in  atto  di  costanza. 

Ed  il  naso  aquilin  che  altero  scende 
Fra  le  guancie  consunte,  il  color  bruno. 
La  nera  barba  che  più  cupo  il  rende. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I5I 

Si  maestoso  fan  colui,  che  ognuno 
Che  Taspetto  fuggevole  ne  vide, 
Lo  rivede  fantasma  inopportuno. 

—  O  frate,  il  pellegrìn  che  qui  si  asside, 
Cominciò,  dell'asilo  e  della  mensa 
Ti  ringrazia,  e  del  volto  che  sorrìde. 

Se  ignaro  pur  di  mia  sciagura  immensa 
Tu  fosti,  io  tacerei,  che  l'alma  il  duolo 
Rinnova  più  se  il  dice,  e  men  se  il  pensa.  — 

Tragge  il  veglio  un  sospiro.  Ed  egli:  —  Or  solo. 
Un  mio  pensiero  ti  dirò:  la  speme 
Che  alata  m'alza  sull'umano  stuolo, 

E  rattempra  il  dolor  che  il  cor  mi  preme, 
È  in  questo  sen,  che  non  è  più  solingo; 
Batte  con  essa,  né  morrà  che  insieme. 

Io  maledetto,  dannato,  ramingo. 
Io  nell'inferno  dannerò  gli  avversi. 
Nell'inferno  che  creo,  dove  li  stringo. 

Un  di  cantai  gli  spiriti  perversi 
Nell'estinto  sermon  che  visse  in  Roma... 
Forse  il  potean  risuscitar  quei  versi. 

Cadde  l'antica  gente,  e  l'idioma 
Tacque  latin  con  lei:  sta  sulla  spenta 
La  nova  stirpe,  e  barbara  si  noma. 

V'è  il  fanciullesco  suo  volgar  chi  tenta 
Far  linguaggio  viril:  ciò  ad  altri  spetta, 
Ad  altri  sol  cui  di  crear  talenta. 

Imparerà  la  patria  mia  la  schietta 

Lingua,  il  mio  sacro  poema,  a  cui  mano 
Pongono  il  ciel,  la  terra,  e  la  vendetta. 


152  POESIE   DI  MILLE   AUTORI 

Né  mutazion  di  secoli,  né  umano 

Rovescio  fia  che  l'uno  e  T altra  estingua 
Giammai.  Frate  perdona!  —  E  il  veglio  umano: 

—  Dio  t'insegnò  cosi  possente  lingua, 
E  Dio  rischiari  la  tua  gente  alfine 
Perché  il  bene  dal  male  essa  distingua. 

—  Frate,  se  il  vento  dell' esiglio  il  crine 
Debbe  agitarmi,  e  il  focolar  paterno 
Spegnersi  dell' ostel  fra  le  mine, 

Forse  cosi  decreta  il  senno  etemo. 
Che  va  più  lunge  che  1'  uman  desio. 
Perch'io  dipinga  nel  mio  novo  inferno. 

Non  solo  il  peccator  loco  natio, 

Ma  regni  pur,  genti  e  costumi  estrani. 
Ciò  che  fuori  somiglia  al  popol  mio. 

E  il  poema  divin  pieno  d'arcani, 
Più  che  1*  esilio  mi  farà  ben  macro, 
Cantando  sotto  cieli  aspri  e  lontani; 

Ed  egli  apparirà  qual  simulacro; 
E  i  vili  che  mi  fecero  vii  guerra, 
Spavento  avranno  dall'  aspetto  sacro.  — 

Pensa,  e  riprende:  —  E  pur  nella  mia  terra 
Dolce  mi  fora  trar  vita  serena. 
Sol  cantando  d'amor,  che  il  ciel  disserra.  — 

Ma  un  amaro  sorriso  gli  balena 
Sul  volto,  sorge  disdegnoso,  e  tace. 
Il  veglio  s'alza,  e  con  amor,  con  pena. 

Per  man  lo  prende,  e  sclama:  —  Abbi  qui  pace!  — 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  153 

Tra  lievi  nugoli 
Spunta  l'aurora, 
E  li  colora 
E  il  cielo  pingesi 
Nell'altro  lato 
D'un  bel  seren. 

Stan  fuor  deiratrio 
Ilario  e  Dante; 
Ambo  il  sembiante 
D'affanno  han  pieno. 
Il  vecchio  r  esule 
Si  stringe  al  seno, 
Né  il  pianto  tien. 

Dintorno  i  monaci 
Ristanno  muti, 
Capi  canuti, 
E  grigi  e  neri, 
Ma  tutti  pallidi 
Scarni,  severi, 
Funebre  stuol. 

—  O  Padre,  l'umile 
Vale  ricevi! 

—  Figlio,  deh!  brevi 
I  giorni  amari 

Ti  faccia,  e  al  tenero 
Sen  de'  tuo'  cari 
Ti  renda,  il  ciel! 

Verga  le  nobili 
Carte  leggiadre... 
Spera.  —  Mio  padre, 
Fratelli,  addio!  — 
Flebil  sollevasi 
Un  mormorio: 

—  Addio  fratel!  — 


154  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Parte,  e  nel  scendere 
L'esule  tetro 
Si  volge  indietro; 
Sofferma  il  piede, 
E  fargli  un  ultimo 
Cenno  rivede 
Il  dio  drappel.  * 

*  Q^iotA  poesia  cosi  ti  legge  epagg.  13-17  neiropiucolo  citato  a  pag.  146. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I55 


DCCXII. 
Eugenia  Pavia-Gentiluomo  nei  Fortis. 

Dante   Alighieri. 
(14  maggio  i86s). 

(A  Gaetano  Ghivii^ani), 

Un  fior  mi  chiedi,  un  odoroso  fiore, 
Ed  intrecciarlo  vuoi,  nell'arte  esperto, 
Del  divino  Alighieri  sacro  all'onore 
In  vago  serto  ? 

O  prestante  garzon,  se  l'alto  invito 
Tener  non  posso,  degna  son  di  scusa: 
Pallido  oftirti,  o  fiore  inaridito 

La  man  ricusa. 

Potrei  fissarmi  nell'ardente  raggio 
Che  dall'italo  centro  il  mondo  alluma? 
Sterminato  compir  potrei  viaggio 

Con  breve  piuma? 

Posar  mi  lascia  in  duro  sonno  avvinta 
Fin  che  torni  vigore  al  frale  stanco; 
Dolci  sogni,  da'  sensi  alma  discinta 
Avrà  fors'anco. 

E  mentre  giaceran  le  membra,  i  vanni 
Spiegando  ratta  al  tuo  bell'Arno  in  riva, 
Oblìerà  per  poco  onte  ed  affanni 
La  fuggitiva. 


156  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Oh  qual  torrente  di  letizia  abbonda 
Entro  le  vene  a*  cittadini  tuoi  ! 
Colui  che  l'orbe  di  sua  gloria  inonda 
Nacque  tra  voi. 

La  sesta  aurora  secolar  già  perde 

I  raggi  da  quel  di  ch'ei  venne  in  terra; 
Ma  la  sua  fama  splendida  rin verde 

Col  tempo  in  guerra. 

Nulla  il  tempo  sovr'esso  fa  rapina; 
Mille  e  mille  non  sono  anni  potenti 
A  offuscar  della  sua  fronte  divina 

I  rai  lucenti. 

Colui  che  all'orbe  e  all'universo  diede 
Fondo  nei  carmi,  e  divinò  l'ignoto, 
E  finché  duri,  al  tardo  oblio  non  cede, 
Lontano  il  moto. 

Gran  madre  Italia,  esser  dovea  tuo  figlio, 
Farti  estremo  sospir  del  petto  anelo! 
Che  te  maestra  di  civil  consiglio 
Creava  il  Cielo. 

Il  suo  sdegnoso,  immenso,  alto  intelletto 
T' imprecava  rubella  a  tue  gran  sorti 
Quando  folgoreggiò  d'ira  e  d'aflFeito 
Ne'  regni  morti  ! 

Sublime  lampo  trasparia  dai  torvi 
Battaglianti  pensier,  quando  l'estrano 
Correttor  chiese,  saldo  morso  a  porvi 
Con  forte  mano. 

Pria  che  Tulrimo  fato  su  lei  caggia 
Tra  gare  inique,  e  fieri  odii  fraterni, 
Costei  eh*  è  fatta  indomita  e  selvaggia 

II  fren  governi. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  157 

Oh  se  tanto  potean  reliquie  sparte 
Tra  sé  pugnanti,  che  farà  V  intero 
Popolo  eletto,  per  natura  ed  arte 

Nato  air  impero? 

A  tutte  genti  in  lieta  pace  unito, 
Tra  lor,  del  sol  che  tra  i  pianeti  splende. 
Di  sue  prische  virtudi  redimito 

Sembianza  rende. 

Mite  gioco  d'amor  la  terra  doma 
D' un  soglio  air  ombra  che  non  ha  secondo: 
Col  gran  Cesare  suo  felice  Roma 

Governa  il  mondo. 

Una  legge  comune,  un  sol  linguaggio 
Armonioso,  nobile,  soave 
Di  tutti  cori  neir  uman  linguaggio 
Volge  la  chiave! 

Serena  immago  di  futuri  eventi, 
Per  allentargli  in  cor  1*  infìtto  dardo, 
Quegli  a  cui  tutti  i  tempi  son  presemi 

Schiuse  al  suo  guardo? 

O,  sognando,  l'eccelsa  fantasia 
Oltre  Tuso  mortai  trasvola  audace, 
E  pellegrina  in  altre  etadi  oblia 

La  cura  edace  ? 

Faro  che  al  navigante  in  procelloso 
Pelago,  sotto  ciel  di  luce  muto, 
L'orror  molce  del  corso  avventuroso. 
Io  ti  saluto. 

Ah!  qual  vivido  raggio  sulla  densa 
Dell'evo  tenebria  spargi,  o  divino! 
S'oltre  il  segno  varcò  l'anima  accensa 

Dritto  è  il  cammino» 


IS8  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Scendi  al  suono  di  cetre  e  di  viole. 

De'  canti  all'echeggiar,  del  plauso  al  grido. 
Al  belligero  tuon  d*  Itala  prole. 

Nel  tuo  bel  nido. 

Augusto  ei  sembra  al  popolo  irruente 
Che  di  fede  s'innebrìa  e  di  speranza 
Della  tua  patria  carità  fervente 

Che  tutte  avanzai 

Per  deprecar  1*  antico  suo  delitto 
Die'  voce  ai  sassi,  airaure,  al  fiume,  al  monte; 
Cancellarne  vorrla,  se  in  ciel  fu  scritto. 
Dal  ciel  le  impronte. 

Poggia  la  cara  tua  città  natia 
Suir  emule,  e  a  te  sacro  indice  culto 
Perchè  Torrido,  appien,  tuo  bando  sia 
Lavato  ed  ulto. 

é 

Reverente  t'adora  Italia,  e  voto 
Unanime,  solenne  alzar  si  gode; 
Non  ha,  quanta  si  stende,  borgo  ignoto 
Chiuso  a  tua  lode. 

Le  rida  terso  il  ciel,  o  buio  nembo 
Ne  contenda  il  fulgor,  in  te  s'affisa, 
Della  tua  luce  si  raccoglie  in  grembo 
Gente  divisa. 

Ordiscono  per  te  l'arti  ghirlande, 
Ma  sovra  tutte  come  aquila  vola, 
Quella  che  immortalmente  informa  e  spande 
La  tua  parola. 

Onorate  l'altissimo  Poeta 
Voi  che  attigneste  al  suo  carme  sovrano; 
Che  ogni  desio  del  bello  in  voi  disseta 
Quell'Oceano! 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I59 

Dehl  perchè  non  poss'io  sposar  la  cetra 
Al  festivo  fragor  che  suona  intomo? 
Chi^  chi  la  morta  fantasia  mi  spetra 
In  si  gran  giorno! 

Tace  la  musa  alla  diserta  in  riva 

Laguna,  o  sorda  a  dive  note  io  sono? 
No!  precursor  degl*  inni  Taura  avviva 
Un  dolce  suono. 

Più  e  più  sempre  s'effonde...  esala  pieno 
Concento  che  riempie  cielo  e  mare; 
E  la  voce  che  il  tempra  uscir  del  seno 
D'angelo  pare! 

Sull'arpa  che  di  sacri  inni  e  civili 
Per  le  patrie  contrade  eco  si  feo. 
Poeta  degno  impose  le  virrili 

Corde  d'Alceo. 

Odilo  o  prò'  garzon,  cui  non  caduca 
Fiamma  riscalda  il  generoso  petto: 
Anco  per  lo  tuo  seno  un  fiore  educa 
Con  puro  affetto. 

Perdona  se  al  gran  tema  i  pensier  mesti 
Levar  non  seppi,  e  l'elegiaco  stile, 
E  il  mio  spargi  sui  fior  che  raccogliesti 
Pianto  non  vile.' 


QpcsU  po«sìa  coil  si  legge  •  pagg.  18-22  nell'opuscolo  già  cit.  a  pag.  146. 


l6o  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 


DCCXIII. 
Mari  o    R  a  p  i  s  a  r  d  r , 


Dante    Alighieri. 
(14  maggio  i86s). 

Poi  che  dal  nido  antico 
In  bando  ti  cacciò  la  parte  avversa, 
E  quattro  lustri  indarno, 
Ramingando  magnanimo  e  mendico 
Per  le  tinte  di  sangue  itale  prode, 
Invocasti  l'amico 
Sorridere  degli  astri  a  la  diversa 
Di  profumi  e  di  fior  sponda  de  l'Amo, 
Teco  venia  secreta 
L' Itala  Musa,  o  primo 
Del  futuro  d'  Italia  astro  e  profeta  ; 
E  allor  che  più  da  V  imo 
Cor  la  vigil  sentivi  ira  rompente, 
E  scolorarsi  i  sogni  e  l'ardimento 
De  lo  spirto  sdegnoso,  Ella  venia 
A  incorarti  co  'I  canto  i  giorni  mesti. 
Ed  il  desio  longanime  e  bollente 
Con  la  speranza  e  l'avvenir  lenia. 

Disingannato  e  stanco 
Di  si  lunghi  fraterni  odi  e  dolori. 
Onde  questa  deserta  Itala  donna 
Lacerato  e  gemente 

Dimostrò  lungamente  '1  petto  e  *1  fianco. 
Ed  infusi  di  fango  i  primi  allori. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  l6l 

Pellegrin  novo  e  solo 

Da  questa  aSr  corrotta  a*  primi  veri 

Del  presago  pensier  levasti  il  volo, 

Ardimento  immortal.  Siccome  larve 

Dileguar  ti  fu  visto  al  novo  lume 

Del  ciel  le  fiere  e  tante 

Sanguinose  e  cozzanti  Itale  insegne, 

Precipitar  da  l'usurpate  sedi 

Turba  di  Regi  e  di  Leviti  avari 

Che  irta  discordia  avean  ne*  petti  accesa, 

E  troni  infranti,  e  rovesciati  altari, 

Da  cui  Giustizia  e  Dio  moveano  in  bando, 

E  al  lontano  orizzonte 

Sorger  su  '1  Campidoglio 

Una  sola  bandiera,  un  tempio,  un  soglio. 

Or  che  la  presagita. 
Dopo  lunga  d'affanni  aspra  fortuna. 
Ora  a  noi  sorge,  se  di  noi  pur  serbi 
Da  la  luce  ove  sei  memoria  alcuna. 
Se  di  nostr'armi  gloriose  il  suono 
Fino  a  Te  si  levò,  benché  terrena 
Gloria  in  faccia  a  la  tua  sia  polve  ed  ombra. 
Vieni  a  mirar  Costei, 
Che  battezzata  ne  la  tua  parola, 
Scote  il  mesto  sudario,  il  brando  cinge; 
E  riaccesa  l'itala  saetta 
A  la  mortai  tenzone 
Rugge  de  l'Alpe  minacciata  in  vetta 
L'Allobrogo  Leone. 

Sovra  cocchio  fulmineo,  e  in  viso  ardente 
De'  ridestati  lampi 

Dal  pian  lombardo  a  la  sicana  sponda 
Scorre  stridendo  l'Itala  vendetta; 
Su'  combattuti  campi 
Passa  la  Morte  sibilando,  e  ingombra 
D'ammucchiati  cadaveri  nemici 

DtLBàuo.  Voi.  XIV.  II 


102  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

A'  vincitori  il  varco; 

Siede  Vittorio  a  l'ombra 

De*  nuovi  lauri  del  Sabaudo  trono, 

E  ne  r  immense  braccia 

Le  partite  città  Concordia  abbraccia. 

Padre,  sul  fronte  ardito 
De  la  rinata  prole 

Rinnovato  or  non  è  d'Ausonia  il  serto? 
Splender  non  vedi  il  sole 
Entro  a'  lor  occhi  e  di  Quirino  il  foco? 
Dal  più  remoto  loco 
Mover  vedi  ciascun  devotamente 
A  baciar  la  tua  sponda, 
E  a  deporre  al  tuo  pie  la  sua  corona, 
Onde,  o  Padre,  Tu  sei  la  prima  fronda. 
Cosi  soleva  il  giovinetto  Argivo 
Vittorioso  da  Telèo  cimento 
Al  genitor  canuto 
Superbo  rassegnar  V  inclito  ulivo, 
Ed  era  intorno  a  lui  lungo  saluto 
Di  gareggianti  carmi. 
Sorgon  da*  sacri  marmi 
Ove  dormir  lunghi  anni  in  Santa  Croce 

I  magnanimi  spirti. 

Ripetendo  il  tuo  nome  ad  una  voce; 

Da  r  iperboreo  nido 

Leva  pauroso  la  squallida  faccia 

II  domato  stranier,  che  il  novo  e  santo 
Di  speranze  e  d'amori  Italo  grido 

Gli  par  voce  d'oltraggio  e  di  minaccia. 

Ma  a  r  Italo  banchetto 
Propiziami  non  vedrai  due  sole. 
Su  la  cui  fronte  pensierosa  e  mesta 
Nullo  raggio  ancor  manda  il  nostro  sole. 
E  mentre  ornate  a  festa 
Convengono  a  libar  V  Itale  suore, 


IJTHmXO  A  DANTE  ALIGHIERI.  163 

Su'  tuo'  memori  coIli> 
O  sposa  di  Quirin,  siede  il  dolore, 
E  di  cipresso  cinta  e  in  veste  bruna 
La  violata  sposalizie  antica 
Piange  Venezia  da  la  sua  laguna. 

Pur  del  tuo  sdegno  il  fulmine  su  noi, 
Padre,  non  piombi  ancora. 
Che  in  noi,  benché  repressa,  ira  non  dorme. 
Né  vi  sdegnate,  o  voi 
Del  Tirreno  e  de  l'Adria  esuli  mesti, 
Cui  non  é  dato  incoronar  la  prora 
Del  novo  italo  mino, 
E  pellegrin  con  voi  recate  il  santo 
Penate  a  queste  etnische  ospiti  mura. 
Ove  agli  accolti  eroi 
Sarà  stille  di  foco  il  vostro  pianto. 

E  già  del  gran  mattino 
Feconda  aura  commove  Adige  e  Tebro; 
Su  le  fuggenti  nubi  io  veggio,  o  parmi. 
L'aquila  di  Quirino; 
Per  ogni  loco  io  sento 
Scalpitar  di  cavalli  e  fragor  d'armi; 
Ecco  Furio,  ecco  Bruto,  ecco  le  cento 
Legioni  di  Roma,  ecco  son  carchi 
D'ostili  spoglie  i  trionfanti  carri. 
Ecco  avvinti  i  monarchi 
A  la  ruota  de  l'Itala  fortuna; 
Sorgi,  mio  Genio,  e  a'  prodi 
Leva,  che  teco  é  un  Dio, 
Su  le  corde  Tebane  ItaU  modi. 

Gaggia  r  inauspicato 
Giorno  dal  tempo,  che  sui  nostri  petti 
De  le  meste  Reine  obblio  s'assida, 
Hd  il  mavorzio  alloro 
Non  verdeggi  di  nuovo  i  colli  eterni, 
E  fra'  plausi  fraterni 


104  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Di  votive  corone  inghirlandato    • 

A  le  nozze  non  torni  il  Bucintoro; 

Gaggia  quel  di  che  V  italo  soldato, 

Come  timor  d'estrana  ira  lo  sprona. 

Fulmini  i  nostri  voli, 

E  brutti  inesorato 

Del  miglior  sangue  Y  Itala  corona. 

Tu  se  vedrai  su  TArno 
Addormentarsi  1*  Itala  vendetta, 
E  fremer  V  ira  in  pochi  petti  indarno, 
Pria  che  su'  clivi  profumati  e  molli 
L'aquila  scordi  la  tarpea  saetta, 
Sveglia,  o  Padre,  il  temuto  estro  possente, 
E  come  turbo  investa 
I  codardi  d'Ausonia  e  i  traditori, 
Fra  gli  obliati  allori 

Caccia  a  T  Italia  la  destra,  e  il  Regio  seno 
Sfrondale  in  su  le  chiome, 
Onde,  se  alfin  si  desta. 
Di  sé  stessa  vergogni  e  del  tuo  Nume  1  * 

Mario  Rapisardi,  poeta  civile,  forte  carattere  di  cittadino  e  dì 
combattente,  nacque  in  Catania  il  25  febbraio  1844.  Fece  nella  sua 
città  natia  buoni  studi,  e,  tutto  chiamato  alla  poesia,  compose  di 
buon'ora  buoni  versi  che,  per  concetto  e  per  forma,  annunziarono 
un  nuovo  e  vigoroso  poeta.  Le  previsioni  non  furono  smentite,  quando 
egli,  a  ventiquattro  anni,  nel  1868  pubblicava,  in  Firenze,  presso  il 
Lemonnier,  il  suo  poema  in  dieci  canti:  La  Palim^enesi^  tutto  caldo 
delia  speranza  e  della  convinzione  che  una  nuova  religione  debba 
comparire  sulla  terra,  apportatrice  di  pace  e  di  prosperità. 

Le  sue  Ricordante  (raccolta  di  versi)  e  Catullo  e  Lesbia  (volume 
di  traduzione  e  di  critica)  non  aggiunsero  molto  al  suo  merito;  pur 
gli  procurarono  il  posto  di  professore  di  letteratura  italiana  nelP Uni- 
versità di  Catania. 

Aveva  fatto  il  suo  nido  e  un  altro  si  sarebbe  accomodato  alla 
carriera  ufficiale,  per  beccarsi  quattrini  ed  onori;  ma  Tanima  sua  ri- 
belle, assetata  del  vero,  sdegnata  delle  odierne  ingiustizie,  gli  ispirò 

'  Q.uesu  poesia  cosi  si  legge  a  pagg.  13-27  nell'opuscolo  già  cit.  a  pag.  146. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIEUI.  16) 

il  poema  Lucifero  (Milano,  Brigola,  1877)  al  quale  è  legato  il  suo 
nome.  Crìtici  grandi  e  piccoli,  invidiosi  e  impotenti,  volteggianti  ed 
aposuti  gli  corsero  alle  calcagna  e  cercarono  di  buttarlo  per  terra. 
Le  crìtiche  passarono,  il  poema  rimane  I 

il  Rapisardi  non  si  riposava  su  i  contrastati  allorì,  e,  neiranno 
stesso,  il  Brìgola  metteva  fuorì  la  sua  traduzione  del  poema  di  Lu- 
crezio. Indine!  suoi  versi  intitolati  Giustina  (Catania,  Giannotta,  1884) 
leva  una  virile  protesta,  sgorgante  dal  cuore,  rinvigorita  dal  cervello, 
contro  la  miseria  dei  lavoratori;  protesta  che  si  sviluppa,  si  completa 
nel  suo  poema  Giobbe^  in  cui  è  personificata  tutta  V  umanità  che  la- 
vora e  soffre  e  attende. 

Altre  opere  ci  ha  dato  il  Rapisardi,  ma  più  d*ogni  altra  cosa  ha 
dato  esempio  di  dignità  e  di  carattere  ai  giovani.  Ei  rimane  povero! 
Ai  flessibili  di  schiena  Toro,  ai  forti  la  postuma  lode  degli  ipocriti. 
Ma  la  soddisfazione  ineffabile  del  sentimento  del  dovere  compiuto 
vale  più  di  tutti  i  tesori  della  terra. 


l66  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 


DCCXIV. 

Erminia  Fuà  nei  Fusinato. 

Gemma   Donati. 

(14  maggio  1865). 


Città  dei  fiori  oh!  sei  pur  bella  e  lieta 
Or  che  fra  il  plauso  dell'accolta  gente 
Festeggi  il  tuo  Poeta 
Come  la  nuova  libertà  t' assente! 
Mentre  ogni  cetra  le  virtù  ridice 
Di  Dante  e  Beatrice, 
Tu  dell*  istesse  frondi 
Di  que'  figli  diletti  il  crin  circondi. 

Oh  si!  da  presso  al  suo  cantore  un*ara 
Innalza  a  quell'eletta  alma  cortese; 
Ma  non  perciò  discara 
Ti  sia  la  donna  ch'Ei  per  sua  si  prese. 
Colei  che  il  lutto  dell'amor  primiero 
Tornavagli  men  fiero 
E  gli  addolcia  gli  esigli. 
Crescendogli  d' intorno  incliti  figli. 

Né  t' incresca  se  a  lui  seconda  musa 
Ella  non  fu  di  cantici  immortali. 
Ma  pensa  che  rinchiusa 
Nei  domestici  sacri  penetrali 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  I67 

Quanto  poteva  dar  tutto  Ella  ha  dato 

A  quell'unico  amato, 

E  umilmente  sommessa 

Visse  per  lui  della  sua  vita  istessa. 

Di  quante  angosce  che  nessuno  avvisa 
Fu  segno  allor  quell'esistenza  oscura! 
Con  lo  sposo  indivisa 
Gloria  no,  ma  soltanto  ebbe  sventura. 
Dello  splendor  delle  paterne  case 
Nulla  più  a  lei  rimase, 
Languì  povera  e  mesta, 
Pur  nessuna  pietà  di  Lei  si  desta! 

Oh!  quante  volte  mentre  intenta  solo 
Alle  miti  apparia  cure  materne. 
Forse  seguiva  il  volo 
Del  suo  Poeta  per  le  vie  superne, 
E  se  d'un' altra  mormorare  il  nome 
L'udiva,  oh!  chi  sa  come 
Invidiò  la  sorte 
Della  rivai  temuta  oltre  la  morte  ! 

E  forse  allora  un  gemito  profondo 
Reprimendo  a  fatica,  i  lacrimosi 
Occhi  sul  capo  biondo 
Dell'ultimo  suo  nato  avrà  nascosi. 
Perchè  quelle  gelose  ansie  tremende, 
Che  sol  chi  ama  intende. 
Non  turbino  un  momento 
Lui  eh'  è  in  un  la  sua  gioia  e  il  suo  tormento. 

No,  non  piangere  o  Gemma  !  e  a  Te  sia  noto 
Che  mentre  ai  carmi  il  nome  dell'amata 
Affida  il  vate,  ignoto 
Brama  il  nome  di  Lei  cui  fé  ha  giurata. 


l68  POESIE  DI   MILLE   AUTORI 

Questo  Ei  scrive  del  cor  nell'ima  parte, 

Non  sovra  dotte  carte, 

E  quel  cor  per  te  vale 

Più  del  poema  suo  benché  immortale! 

Ma  intanto  il  mondo  che  intender  ricusa 
Questa  d'amor  pudica  ritrosia, 
D'una  bugiarda  accusa 
Pria  vilmente  ti  offese,  ed  or  t'oblia, 
Talché  nel  giorno  consacrato  al  rito 
Di  chi  ti  fu  marito. 
Ahi  !  per  te  il  mondo  intero 
Un  accento  non  ha,  non  ha  un  pensiero! 

Pur  se  da  te,  cui  la  dolente  vita 
Sol  confortaro  i  domestici  affetti, 
D'  un'  anima  romita 
Trovino  grazia  i  poveri  concetti, 
Nel  nome  d'ogni  madre  e  d'ogni  sposa 
Pia,  qual  fosti  e  amorosa. 
T'offro  un  canto  e  un  saluto. 
Di  simpatia  fraterna  umil  tributo. 

Poiché  a  noi  donne,  che  onoriam  del  pari 
La  virtù  ascosa  o  ricinta  di  gloria. 
Di  Gemma  il  nome  è  caro 
Come  di  Beatrice  la  memoria. 
Ambo  errar  le  vediam  col  lor  Poeta 
Di  pianeta  in  pianeta, 
E  questa  d'arte,  e  quella 
Di  iamiglia  soltanto  a  lui  favella. 

Ed  all'Arte  Ei  sorride  e  alla  Famiglia 
Con  pari  affetto  e  con  egual  sorriso; 
Poi  quasi  padre  a  figlia 
A  me  parla  cosi  dal  paradiso: 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 


169 


«Fra  i  mille  fior  dell' immortai  corona 

Ch'Italia  oggi  mi  dona, 

Porrò  Tumil  tuo  fiore 

Sol  perchè  alla  mia  donna  hai  fatto  onore.  »  ' 


'  Questa  poeaU  coti  si  legge  «  psgg.  aS- 
30  nell'opuscolo  ciuto  «  pag.  I46.  Per  le 
notizie  biografiche  e  bibliografiche  della  Fa- 


■ioato,  vedi  a  pag.  93  del  XII  volume  di 
questa  Raccolta. 


lyO  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXV. 

Giuseppe  Regaldi. 

Beatrice. 

(14  maggio  1865). 

Del  vago  Arno  sul  margine 
Ricco  di  fior,  di  storiati  marmi, 
Onesta  donna  ai  lirici 
Voli  solca  levarmi 
Con  r  aura  sacra  de'  sublimi  accenti 
Fra  il  grave  orror  de*  tumuli, 
Perenne  scuola  delle  nostre  genti. 

Prona  colà  sui  lugubri 
Ceppi  parea  la  donna  al  guardo  mio 
Il  cherubin  benefico, 
Cui  di  sua  luce  Iddio 
La  veste  splendidissima  compose, 
E  nella  grama  Ausonia 
Fidò  la  guardia  delle  patrie  cose. 

Oh  !  come  assorta  in  estasi 
Mi  ragionava,  con  mirabil  senno. 
De*  sepolti  magnanimi, 
E  mentre  ella  fea  cenno 
Di  tragici  coturni  e  di  scarpelli. 
D'astri  rotanti  e  principi, 
Agitarsi  io  vedea  gl'illustri  avelli! 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  I7I 

Salve  iterava  all'  esule 
Che,  punto  il  cor  di  ghibellini  sdegni, 
Dal  genio  suo  fatidico 
Per  patria  ebbe  tre  regni, 
E  s'accendea  di  nobil  ira  in  volto 
Perchè  non  fosse  il  cenere 
Del  gran  Poeta  entro  que'  marmi  accolto. 

Fremea  la  bella  e  il  mistico 
Libro  impalmando  del  poema  sacro 
Colà  ne  trasse  attonito 
Appiè  del  simulacro 
Che  ad  emendar  le  avite  ire  nefande 
Votò  Firenze  al  massimo 
De'  figli  suoi  che  la  facea  si  grande. 

Questo,  mi  disse,  è  l'inclito 
Padre  del  trino  insuperabil  canto 
Che  io  dono  a  quel  qual  unico 
Pegno  d'amore;  intanto 
Di  lagrime  bagnò  le  caste  gote, 
E  al  caro  don,  che  trepido 
Io  strinsi,  accompagnò  si  dolci  note: 

Tutta  cosa  di  ciel,  Beatrice 
Ispirava  il  poèta  infelice: 
E  col  lampo  sereno  del  ciglio, 
Coir  ardore  de*  casti  sospir 
Gli  aspri  dumi  del  misero  esigilo 
Gli  Ésicea  come  rose  fiorir; 
Generosa!  d'un  estro  sublime 
Gli  scaldava  le  vindici  rime. 

Queir  amor  che  rimorsi  non  teme, 
Che  di  fé  si  nutrica  e  di  speme. 
Queir  amor  che  gli  spiriti  bea 
D'una  gioia  che  move  dal  ciel. 


ly^  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 

Queir  amor  mi  governa  e  ricrea 
Fra  le  insidie  del  mondo  crudel; 
Quell'amor  di  te  m'arde,  o  Poeta, 
Di  tue  glorie  vivaci  m'asseta. 

Tu  ramingo  per  Y  itale  vie 
Spargerai  del  pensier  T armonie; 
Io  fra  r  are  al  gran  Labaro  alzate 
Su  quest'urne  famose  verrò; 
Inchinando  l'altissimo  vate 
Per  l'amico  fedel  pregherò; 
E  ben  fia  che  dai  supplici  marmi 
M'oda  il  Sir  degli  italici  carmi. 

Pregherò  che  t'apprenda  il  Vangelo 
Le  più  care  melodi  del  cielo, 
Che  la  fiamma  degli  estri  sinceri 
Nella  mente  ti  ferva  e  nel  cor. 
Che  siccome  il  divino  Alighieri 
Sciolse  un  gemino  carme  d'amor, 
La  tua  cetra  abbia  un  inno  per  Dio, 
Un  ricordo  pel  suolo  natio.  ' 

Giuseppe  Regaldi,  novarese,  nato  nel  1809,  uno  dei  più  illustri 
e  meritamente  celebrati  poeti  improvvisatori,  incominciò  col  farsi 
riprovare  in  un  esame  di  diritto;  ma  la  sera  appresso,  2  agosto  1833, 
fu  salutato  grande  ed  affascinante  poeta  in  una  solenne  accademia 
nel  teatro  d*Angeunes  in  Torino. 

Biondo,  dai  capelli  spioventi,  dagli  occhi  vivi,  dall*  ampia  fronte, 
inspirato,  dalla  voce  sonora  e  melodiosa,  tutta  la  sua  giovinezza  fu 
una  ghirlanda  di  fiori,  di  onori  e  di  amori.  Percorse  da  trionfatore 
r  Italia.  Gli  austriaci  lo  cacciarono  da  Milano,  ben  comprendendo  il 
senso  delle  sue  rime,  sebbene  non  fossero  improvvisate  in  lingua 
tedesca.  Critici,  poeti,  e  dame  gli  facevano  la  corte,  e  la  moda  lo 
faceva  ricercare  anche  dalle  piccole  Corti  del  nostro  paese.  Fu  a  Mo- 
dena, dove  quel  duca  Io  invitò  a  cantare  di  s.  Ignazio  di  Loiola,  e 
quell'anima  ardente  e  ribelle  se  la  cavò   col    ricordare  la  leggenda 

'  Q]ae«t«  poesU  cosi  si  legge  s  psgg.  31-3)  nell'opuscolo  ciuto  «  p«g.  146. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  175 

dell* apparizione  di  Maria  al  ferito  di  Guiposcoa.  A  Lucca  il  suo  ta- 
lento dovè  addentrarsi  nelle  sottigliezze  delle  antiche  corti  d*  amore, 
avendogli  Carlo  Ludovico  chiesto  che  cantasse  sul  tema  seguente: 
se  sia  meglio  veder  la  donna  amata  e  non  udirla,  o  udirla  senza 
vederla. 

Sazio  degli  allori  paesani,  corse  a  Parigi,  dove  Victor  Hugo, 
Lamartìne,  il  Quinet  lo  proclamarono  gran  poeta.  Lo  storico  delle 
rivoluzioni  d'Italia  esclamava:  «  On  dit  que  l'Italie  est  morte: 
d'autres  disent  qu'elle  est  seulement  endormie.  C*est  au  poete  de 
la  réveillcr,  si  elle  dort;  de  la  resusciter,  si  elle  est  morte.  » 

Tra  il  1840  e  il  1849  passò  la  sua  vita  tra  Napoli  e  Palermo, 
fra  una  vera  idolatrìa  di  grandi  e  piccoli,  di  accademici  e  di  dilet- 
tanti, di  grandi  dame  e  di  gran  signori.  Fu  il  profeta  della  reden- 
zione d'Italia.  La  reazione  lo  ghermì  nel  '49;  gli  sgherri  borbonici 
lo  tennero  in  prigione  per  parecchi  giorni,  rovistarono  e  frugarono 
tutte  le  sue  carte,  non  seppero  leggere  nei  suoi  Canti  biblici  e  lo 
fecero  imbarcare  p<r  Malta  per  sbarazzarsene.  Allora  il  poeta  visitò 
r Oriente:  l'Egitto,  la  Sina,  poi  la  Grecia  e  Costantinopoli.  E  in 
un  libro  mirabile  raccontò,  poi,  il  suo  viaggio  di  sognatore,  di  eru- 
dito, di  poeta  e  di  italiano. 

Nel  1853  rìtomò  in  Piemonte,  dove  si  sprofondò  negli  studi  di 
erudizione  e  di  stona,  per  cui,  dopo  il  1860,  sfrondati  i  vecchi  allori^ 
incominciata  la  fulva  chioma  ad  apparir  bianca,  bisognoso  di  riposo 
e  di  un  quieto  nido,  si  fece  nominare  professore  di  storia.  Lo  man- 
darono prima  a  Parma,  poi  a  Cagliari,  poi  a  Bologna,  dove  visse 
luogamente  fra  l'amore  riverente  di  tutti.  Cosi  morì  professore,  la- 
vorando come  un  novellino.  In  un  altro  paese,  in  Francia,  per 
esempio,  Giuseppe  Regaldi  sarebbe  morto  milionario. 


174  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


DCCXVI. 

Un    Veneto. 


Dante. 
(14  maggio   1865). 

Al  marchese  Gino  Capponi. 

Quanta  stagion  dal  giorno  in  cui,  divino 
Alighieri,  nascesti  e  sulla  fonte 
Del  tuo  bel  San  Giovanni 
Fosti  cristiano!  O  vate,  o  cittadino 
Doppio  serto  intrecciaro  alla  tua  fronte 
Italia  e  poesia,  cui  né  degli  anni 
Valse  contro  T  oblio,  né  invidia  o  sdegno 
Di  prepotenze.  E  Tu  cacciato  lunge 
Dall'ovile  natio,  Tu  festi  prova 
Per  qual  mai  strada  che  affatica  e  punge, 
In  mezzo  a  gente  fastidiosa  e  nova, 
Camminino  quaggiù  core  ed  ingegno 
A  incerta  meta,  ad  infelice  segno: 
E  pure  nell'esiglio  a  frusto  a  frusto 
Cercando  un  pan  che  ti  sapea  di  sale 
Ora  a  Pietro  chiamavi,  ora  ad  Augusto, 
Non  per  te,  ma  per  lei  che  a  sé  non  vale, 
E  d'uopo  ha  d'uom  che  ben  le  inforchi  il  dorso 
E  ne  la  batta  ai  fianchi  e  regga  il  morso. 

Poi  quando  chiuso  il  tuo  poema  sacro 
Per  lo  sperare  e  per  lo  attender  lasso 
Venisti  a  miglior  porto, 
Al  corpo  tuo,  da  tante  veglie  macro, 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 

Ravenna  fu  ospitai  d*un  umil  sasso, 

E  là  presso  un  allor  surse  di  cono, 

Cui  il  sol  benigno  od  il  terren  fecondo 

Cosi  che  spazioso  dìlargava 

Subitamente  e  stando  dritto  e  saldo 

Non  perdea  foglia  o  si  discolorava 

Dalla  sua  prima  tinta  di  smeraldo, 

Per  che  altro  albero  mai  non  vide  il  mondo 

Giganteggiare  a  lui  pari  o  secondo; 

Anzi  d'allora  ad  ogni  cor  che  il  foco 

Vivo  serbasse  della  patria  Vesta 

Perdurò  santo  e  venerato  il  loco, 

E,  come  in  Delfo  alla  vocal  foresta, 

Popol  veniva  interrogando  i  veri 

Responsi  alla  tua  tomba,  e  Tu,  Alighieri, 

Levato  dalla  coltre  il  capo  antico 

Dalla  coltre  dell*  ultimo  riposo, 

E  dritto  in  su  1*  avello, 

Qual  chi  sorride  a  desiato  amico, 

Già  salutavi  il  giorno  avventuroso 

Che  la  tua  Italia  di  dolore  ostello 

A  libere  fortune  apra  e  rinnovi; 

Vana  speranza!  Ognora  i  falli  istessi, 

Ognor  di  servitù  Tistessa  scola, 

E  tradimenti  ed  oppressori  e  oppressi, 

E  il  grido  spento  ai  generosi  in  gola 

Dalla  mannaia,  e  ribaditi  i  chiovi 

Dalle  catene  e  nuovi  aflFronti  e  nuovi 

Tiranni,  si  che  fremente  e  disfatto 

Tu  supin  ricadevi  alzando  le  ossa 

D'ambe  le  man  contro  gli  orecchi  in  atto 

Di  chi  serrar  U  voglia,  onde  non  possa 

Una  crudele  illusì'on  ancora 

Tentarli  del  sepolcro  a  parer  fuora. 

Pace  pace  al  lunghissimo  desio 
E  tu  sicuramente  ergi  la  faccia 


176  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

E  guarda  e  ti  conforta, 
O  disdegnoso  spirito,  che  Dio 
A  fugare  la  bestia  e  darle  caccia 
Insin  che  ne  l'ha  morta, 
II  magnanimo  Duce  a  cui  profeta 
Vaticinasti  0  ucciderai  la  fuia  » 
Combatte  il  primo  fra  la  gente  nostra; 
Come  sereno  a  dissipar  la  buia 
Tenèbra  secolar  il  di  si  mostra, 
E  questa  terra  al  ridestarsi  lieta 
Intende  la  virtù  del  suo  pianeta! 
Or  vedi  quale  sì  consumi  e  roda 
Chi  attizzò  il  fuoco  all'ira  maledetta, 
E  torca  lo  scorpione  in  sé  la  coda 
Ministro  ei  stesso  dell'altrui  vendetta: 
Un  voto  sol  ne  univa,  un  sol  pensiero 
Dall'Etna  ardente  al  gelido  Brennero. 

Ciò  che  fu  fatto  (e  un  lusinghier  pareva 
Sogno  d'infermo  allora,  un  voto  a  stento 
Possibile  al  futuro) 
Ciò  che  fu  fatto  in  embrion  giaceva 
Entro  gl'itali  petti  e  in  quel  fermento 
A  lungo  ribollito  e  già  maturo; 
Come  favilla  che  un  incendio  desta 
Corse  il  tuo  nome  e  fu  con  pompa  indetto 
Il  sesto  celebrar  secol  dappoi 
Che  t'ebbe  il  mondo.  Usciva  il  primo  detto 
Dalla  tua  patria  e  volea  ognun  di  noi 
Sua  parte  aver  nella  fraterna  festa; 
Quando  un  grido  di  guerra  e  all'armi  presta 
Star  in  campo  l' Italia;  indi  la  gloria 
Di  Palestro,  gli  eroi  di  San  Martino, 
E  alla  vigilia  di  certa  vittoria 
Un  arrestarsi  al  mezzo  del  cammino; 
E  poi  nuove  speranze  e  co'  suoi  baldi 
Guerrieri  auspice  e  stella  Garibaldi. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  177 

Per  Tattonita  Europa  ancor  s'udla 
Fremir  ia  voce  che  gridò  d'attorno 
Libera  Italia  ed  una, 
E  Italia  nel  trionfo  onde  gioia 
Si  rìsovvenne  del  natal  tuo  giorno. 
Ed  oggi  nel  favor  della  fortuna 
Al  patrio  giubileo  chiama  la  gente. 
Eccola  l'alba  annunziatrice  alfine 
Di  questo  di  sacro  all'ingegno.  Oh  quale 
Inneggiare  di  voci  cittadine 
Al  cantore  sovrano  ed  immortale! 
A  lui  statue  e  corone  1*  irrompente 
Plauso  che  dentro  l'anima  si  sente; 
A  lui  splendide  feste  e  d'ogni  parte 
Pressa  di  pellegrini  a  cui  tien  guida 
Reverenza  del  vero  e  amor  dell'arte, 
E  ovunque  il  sol  di  civiltà  sorrida 
Comune  eredità  suona  il  suo  verso, 
Perchè  patria  del  genio  è  l'universo. 

M'odi,  padre  Alighier  —  già  ben  ti  stette 
Dormir  là  basso  a  fianco  la  pineta, 
E  che  Firenze  invano. 
Invidiando  le  ossa  benedette, 
Domandasse  a  Ravenna  il  suo  Poeta; 
Quando  assali  discordia  in  modo  strano 
La  partita  cittade,  e  un  mercatante 
Della  madre  in  suo  prò  volte  le  offese 
Inaugurava  a  tirannia  le  Palle, 
Quando  sedeva  a  Pitti  il  lorenese 
Era  degno  di  te  voltar  le  spalle 
Dal  popol  tuo  che  nel  sonno  di  tante 
Vergogne  mal  si  ricordò  di  Dante  ; 
Ma  adesso  a  che  lo  sdegno  od  il  rifiuto? 
Libera  è  fatta  la  tua  dolce  terra 
Che  degnamente  nobile  tributo 
Pagò  di  sangue  cittadino  in  guerra, 

DtL  Bako.  Voi.  XIV.  la 


178  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

E  le  gare  natie  vinse  la  prima 

Onde  oggi  a  tutte  le  altre  è  messa  in  cima. 

Prova  si  egregia  è  la  continua  voce 
Che  oblioso  ti  vuol  de'  vecchi  insulti. 
Vincati  alfine  e  renda 
Pacificato  si  che  in  Santacroce 
Delle  ceneri  tue  la  patria  esulti. 
A  compiere  però  questo  s'attenda 
Un  breve  tempo  ancor,  s'attenda  un  anno: 
Né  ti  sia  lungo;  il  cor  dina  più  tosto 
Se  ognun  di  noi  potesse  oggi  felice 
Prendere  a  festeggiarti  il  proprio  posto. 
L'antica,  ohimè!  di  Romolo  nutrice 
E  il  veneto  Leone  ora  si  stanno 
Incatenati  e  in  disparte  e  in  affanno! 
Tengono  Roma  in  frusti  lacci  avvolta 
Del  pescator  di  Galilea  le  reti, 
E  al  re  de'  boschi  la  gran  giubba  ha  tolta 
Nordico  tosator;  ma  a'  suoi  secreti 
Dio  del  servo  Sanson  crebbe  la  chioma, 
E  Dio  non  scorderà  Venezia  e  Roma  ! 

Ma  combattuta  la  suprema  pugna 
(Cosi  spirasse  il  ciel  giusti  consigli 
A  chi  sfidar  ne  vuole) 
Allor  che  salvo  allo  stranier  dall'ugna 
Non  mancherà  al  banchetto  alcun  dei  figli. 
Allora  raggi  in  Oriente  il  sole 
All'atteso  ritorno,  e  mova  in  pria 
A  Ravenna  la  turba  e  all'onorato 
Loco,  di  cui  ti  fu  la  terra  lieve, 
Come  a  chi  della  patria  ha  meritato 
Renda  grazie;  le  sante  ossa  indi  leve 
Movendo  all'Arno  e  lungo  della  via 
Ognuno  applauda  tripudiante  e  dia 
Sul  tuo  passaggio  a  piene  man  ghirlande; 
Mentre  seguiterà  del  carro  accanto 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  ìj^ 

La  ben  cresciuta  prole  di  quel  Grande 

Cui  lo  scettro  ed  il  trono  è  il  minor  vanto, 

E  via  prosegua  il  trionfai  corteggio 

Al  paese  che  tien  tra  i  fiori  il  seggio; 

Ivi  da  un  nodo  stretta,  ivi  concorde 

Ogn' itala  città  su  la  nuova  ara 

Dal  cener  tuo  famosa 

Gli  assassini  di  parte  odii  si  scorde, 

Pianga  i  lutti  civili  e  in  miglior  gara 

Di  mutiìe  virtù,  volonterosa 

Pel  ben  d'altrui  sacrifichi  se  stessa. 

E  tu  dal  patrio  avel  ti  piaci  in  questa 

Ecatombe  solenne  ove  a  novelli 

Segni  d'amore  il  nome  tuo  ridesta 

Color  che  terra  e  del  voglion  fratelli! 

Cosi  si  compia  la  tarda  promessa, 

E  quale  al  tempo  che  l'inverno  cessa 

Rinverdisce  la  terra  e  fiori  e  frutta 

Mette  dal  grembo  la  feconda  madre. 

Tale,  o  divino,  ti  mostra  per  tutta 

Italia  animator  d'opre  leggiadre 

E  a  chi  di  noi  pur  dubitasse  insegna 

Che  la  tua  patria  ora  di  Dante  è  degna.  ' 


'  Q]Msu  poesia  cosi  si  legge  «  p«gg.  34-40  nell'opuscolo  gii  ciuto  s  psg.  146. 


l80  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXVII. 

Amedeo  Digerini  Nuti. 


L'amor  di  Patria. 

(14  maggio  1865). 

Amor  di  Patria!  O  dolce,  o  santo  affetto, 
Che  la  mente  c'esalti  e  infiammi  il  core! 
Per  tj  s'avviva  ogni  mortale  oggetto, 
Tu  sei  d'ogni  virtude  ispiratore. 

DeirAlighier  nel  generoso  petto 
All'opre  eccelse  tu  crescevi  ardore, 
E  il  possente  di  lui  divo  intelletto 
Tornar  volea  la  Patria  al  prisco  onore. 

E  fia  che  torni,  se  concorde  il  brando 
Sorga  dei  figli  all'ukimo  cimento, 
Coli  dove  Vittorio  andrà  pugnando. 

Allor  trionferà  d'Italia  il  dritto, 
E  del  massimo  Vate  al  monumento 
Le  palme  appenderem  del  gran  conflitto.' 


'  Questo  sonetto  cosi  si  legge  a  pag.  40  nell'opuscolo  citato  a  pag.  146. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  1%Z 


DCCXVIII. 

Giuseppe  Gaxdo. 

Ob  Dantis  Alligherii  solemnia. 
Carmen  Seculare. 
(omaggio  1865). 

Mazimi  ci  vis  patrìaeque  vatis 
Festa  bis  terno  celebranda  sedo 
VerWfer  cunaas  Italùm  per  urbes 

Nunciet  ignis: 
Nunciet  totum  rapici us  per  orbem; 
Nam  decet  cunctis  resonare  terris 
Inclytum  nomen  simul  et  Latinae 

Stirpis  Honores. 
Sole  ceu  primo  tenebrae  fugantur, 
Et  micat  rerum  facies,  Etrusci 
Sic  Patris  caeco  rutilavit  aevo 

Musa  creatrix. 
Mente  conceptam  valida  poesim 
Iste  romanis  sodare  chordis 
Splendide  exorsus;  medio  sed  anceps 

Constiti:  ausu. 
Quippe  natalis  melos  atque  robur 
Sendens  linguae  decus  et  futurum, 
a  Ceteris,  inquit,  potiora  fingam 

a  Carmina  Tuscis. 
«  Me  suts  flammis  amor  intus  urget, 
«  Cuncta  qui  dio  moderatur  aestu, 
«  Quo  bene  afflanti  bene  cuncta  vernant, 

«  Cuncta  resurgunt. 


l82  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

«  Me  Deus  Vatera  rapir  ;  omne  caelum, 
a  Et  quod  est  inter  superos  et  imos 
«Omne  complectar:  duce  cum  Marone 

«  Tartara  visam. 
«Qui  premunt  aegram  patriam  tyrannos» 
i<  Qui  Deum  laedunt  propriosque  fratres, 
«  Quolibet  foedi  graviore  turpem 

«  Crimine  vìtam  ; 
ft  Horridis  ponam  barathris  Averni, 
«  Et  pios  nondum  macula  carentes 
«  Sedibus  tutis  ubi  poena  culpam 

a  Purgat  amica. 
«  Sed  mihi  ut  scandam  peregrinus  astra, 
«  Una  dux  esto,  comes  una  semper, 
«  Qua  magis  virgo  mihi  nulla  falsit, 

«  Diva  Beatrix. 
«  Integros  cives,  animaeque  magnac 
a  Prodigos,  almae  fidei  sequaces 
«  Ipse,  te  fretus,  mea  lux,  Olympi 

«  Coetibus  addam.  » 
Quidquid  audendum  fuerat  locutus, 
Quidquid  ardenti  sacer  ille  vates 
Pectore  aggressus  valuit  perenni 

Sculpere  versus... 
Mysticum,  nulli  simile  aut  secundum, 
Triplicis  regni  stupuit  poema 
Nostra  gens,  doctae  stupuere  gcntes 

Totius  orbis. 
Salve,  io  salve,  Pater  Alligheri, 
Certa  spes  nostrae  columenque  terrae, 
Rite  credentum  decus  atque  lumen, 

Rite  canentum! 
Coelica  blandis  oculis  ab  urbe 
Cerne  terrenam  generosus  exul, 
Quae  tuos  moesta  cineres  Ravennam 

Voce  poposcit. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  183 

Quae  tibi,  ut  patrum  scelus  expiaret, 
Extulit  magna  Crucis  aede  bustum, 
Umbraque  anriquae  redeas  precatur 

Immemor  irae. 
Inspice,  o  mirum!  tua  dives  Arni 
Urbs,  tibi  solvens  revertente  festos 
Seculo,  en  gaudens  Itali  coruscat 

Principis  aula. 
Militum  proles  animosa  regum 
Atque  divorum,  bonus  hic  Sabaudus, 
Qui,  triumphatis  patriae  tyrannis, 

Regnar  amanter, 
Nonne  praecellens  tuus  ille  Cacsar, 
Quem  peroptabas  Italis  adesse. 
Ut  forent  uno  domus  una  rege? 

Scilicet  ipse  est. 
Hic  Dei  servans  populique  jura, 
Ac  tuo  complens  properata  cantu, 
Omnium  votis  aderit  redemptor 
Ausonidarum.  ' 

Giuseppe  Gando  nacque,  il  4  agosto  1816,  in  Albaro,  sobborgo 
di  Genova.  Studiò  prima  sotto  la  direzione  paterna,  poi  passò  nel 
seminario  arcivescovile,  infine  all'  Università  genovese,  dove  inco- 
minciò il  suo  corso  di  diritto  civile.  Interruppe  i  suoi  studi  chiamato 
a  Parigi  da  Antonio  Brìgnole-Sale,  che  era  colà  ambasciatore  per 
il  re  di  Sardegna.  In  qualità  di  suo  segretario  particolare,  vi  rimase 
dal  febbraio  1842  fino  all'agosto  di  quell!anno  stesso.  Ritornato 
in  patria»  volle  abbracciare  lo  stato  ecclesiastico  e  fu  ordinato  prete 
nell'ottobre  del  1843.  Si  era  già  fatto  bellamente  conoscere  per  le 
sae  poesìe  italiane  e  latine,  e,  dedicatosi  del  tutto  agli  studi,  crebbe 
in  gran  fama,  specialmente  qual  latinista.  Nel  184)  gli  Arcadi  di  Roma 
lo  vollero  tra  loro.  Nel  1848  segui  in  Roma  il  Gioberti,  al  quale, 
bene  esperto  del  dedalo  romano,  rese  notevoli  servigi.  Nel  1873 
si  ridusse  nel  paesello  natio,  dove  attese  a  riordinare  i  suoi  scritti, 
disseminati  in  molte  riviste  e  giornali.  Fu  uomo  pio  e  cittadino 
«elante. 

'  QjMSto  cftrme  cosi  fu  stampato  a  pag.  299  e  seg.  nell'  htitutore  di  Torino,  1865. 


l84  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXIX. 
Francesco   Bagatta. 

Bice  Alighieri. 

Tragedia   lirica   in   q.uattro   atti. 

(Musica  dtl  maestro  Ahssandro   Saie). 
(14  maggio  1865). 

Personaggi  :  Guido  Novello,  signore  di  Ravenna  -  Gabriella,  moglie 
di  Guido  -  Ostasio,  di  lui  fratello  -  Bice  Allighieri  -  Moldo, 
giovane  guerriero  -  Mercuriale,  famigliare  di  Guido  -  Nonna 
Menica,  tavernaia  -  Abitanti  di  Ravenna  -  Dame  della  Corte 
di  Guido  -  Vassalli  e  famigliari  di  Guido  -  Scherani  di  Ostasio 
-  Claustrali  -  Pescatori  -  Popolani  -  Marinai. 

La  scena  ha  luogo  in  Ravenna,  epoca  1320. 

ATTO    I. 
Scena  I. 

Piazza  di  Ravenna.  Si  vedono  in  lontano  le  cime  della  Pineta.  A 
sinistra  V  ingresso  del  torneo.  A  destra  palazzo  di  Guido.  Abi- 
tanti di  Ravenna,  vassalli  di  Guido. 

(Ufio  squillo  di  tromba  annuu:^a  il  tormo), 

I.  Odi  le  trombe  squillano 
Apprestasi  il  torneo. 

IL  Vedi  sfilar  de'  Principi 
Lo  splendido  coneo. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  185 


Scena  IL 


J)ifila  il  cortéggio^  precedono  gli  Alabardieri,  seguono  i  Paggi,  ìe  Dame 
e  Grandi  della  Corte  di  Guido,  poi  Guido  con  Gabriella. 

Inno. 

Coro. 

Salve,  o  Prence,  a*  tuoi  piedi  sMnchina 
Dell*  luiia  r  intera  contrada. 
Già  dall'Alpe  alla  doppia  marina 
Sorge  un  plauso  di  gloria,  d'onor; 
E  deposta  per  sempre  la  spada 
Toma  lieta  agli  amplessi  d'amor. 

Guido. 

Dio  preservi  da  strage  e  ruina 
Deir Italia  l'intera  contrada  (ecc,  ecc.  fino  alla  fine 
del  coro). 

(JS^ avviano  al  torneo). 


Scena  III. 
MoLDO  in  armatura. 

MOLDO. 

Alla  tenzoQ  d'onore 

Corrono  i  prodi;  anch'io 

Bramo  dell'armi  cimentar  la  sorte; 

Anch'io  guerrier  di  questa  patria  cara... 

Ove  discordia  ha  regno.  —  a  Oh  miseranda 

«Ira  di  parte!  Una  sol  terra  i  figli 

«Non  ha  concordi  e  da  Fiorenza  in  bando 

«Erra  AlUghier.  »  —  Oh  Bice!  ove  t'aggiri? 

L'eco  non  giunge  a  te  de'  miei  sospiri. 


l86  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Prostrata  e  supplice 

Ti  vidi  all^ara 
Bagnar  di  lagrime 
Un'urna,  o  cara... 
Il  ciel  richiedere 
Di  sua  mercè. 
Sentii  prorompere 
Nel  petto  mio 
Ardente  palpito 
Dolce  desio... 

Io  vissi,  o  vergine, 
D*amor  per  te. 

(Odesi  squillo  di  tromba  dal  torneo). 

Vadasi  omai  che  del  cimento  è  Torà 
Di  nuovo  allór  mi  fregierò  le  chiome 
E  la  vergine  mia 
Più  glorioso  ridirà  il  mio  nome. 

(5*at'via  al  torneo). 

Scena  IV. 
OsTASio  entra  accigliato,  e  ratfvolto  in  ampio  mantello. 

OSTASIO. 

Ella  verrà.  —  Qui  nei  paterni  lari 

Del  mio  spregiato  amore  avrò  vendetta. 

In  mezzo  al  sen  cresciuta 

Cinta  d'affanni,  e  di  perigli,  io  sento 

Divampar  la  mia  fiamma...  Oh!  Beatrice 

Tu  mia  sarai... 

(5i  ode  una  marcia  daW  interno). 

Ma  il  popolo  ritorna 
E  il  vincitor  saluta.  — 
No,  la  mia  speme  non  sarà  perduta. 

{Si  allontana). 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  187 

Scena  V, 

La  scena  si  riempie  di  popolo.  Ritorna  il  corteggio  dal  torneo.  Guido, 
MoLDo  colla  visiera  calata,  Gabriella,  poi  Mercuriale  e  Bice, 
ultimo  OsTASio. 

Coro. 
Viva  il  Guerriero  intrepido 
Nel  vallo  deironore, 
A  lui  si  cinga  il  lauro 
Emblema  del  valore 
E  fulminando  in  campo 
Della  sua  spada  il  lampo 
Di  gloria  sia  forier. 
(Gabriella,  Guido  conducendo  Moldo). 

Guido. 
Vieni  t'appresta  a  cogliere 
Il  guiderdone  al  merto: 
Ecco  tue  chiome  a  cingere 
Del  conquistato  serto 
La  sposa  mia  giuliva... 

{Accennando  a  Gabriella). 

Mercuriale 

{inoltrandosi). 

Sire,  a  tuoi  lari  arriva 
La  Figlia  d'AUighier. 
{Entra  Bice  accompagnata  da  due  Damigelle). 

Bice. 
Guido... 

Guido 

(movendo  incontro.  Gabriella  lo  segue  ed  abbraccia  Bice). 
Al  mio  seno... 

Coro. 

Ohi  giubilo. 


l88  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Guido. 

Ognuno  in  te  festeggia 
Oe*  suoi  poeti  il  principe, 
Onor  della  mia  reggia. 

MOLDO 
(da  sé). 
Oh  Bice!  Oh  lieto  giorno! 

Guido. 
Rifulga  d'ogni  intorno 
La  gioia  e  lo  splendor. 

Bice. 

Ma  di  qual  pompa  allegrasi 
Questa  beata  terra  ? 
Tutte  le  sue  dovizie 
Il  Ciel  su  voi  disserra. 

Quanto  m'alletta,  o  Principe, 
La  gioia  che  diffondi 
Ne'  tuoi  fedeli  sudditi 
Che  a  libertà  secondi. 

Questa  mi  fa  dimentica 
Della  sventura  mia, 
Questa  del  cielo  italico 
Luce  novella  or  sia. 

Santo  e  divino  è  il  vincolo 
Che  di  concordia  e  amor 
Rannoda  Prence  e  popolo 
Nel  voto  sol  d'un  cor. 

Guido. 
Oh!  del  poeta  italico 
La  prole  in  te  ravviso 
È  un'  eco  de'  suoi  palpiti 
Della  tua  voce  il  suon. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  189 

Per  te  ritorni  a  splendere 
Sovra  quel  volto  il  riso» 
Per  te  il  suo  labbro  sciolgasi 
Al  canto  del  per  don. 

Bice. 
Troppo  è  l'affanno,  o  Principe, 
Che  affligge  il  genitor. 
Lenir  noi  può  una  misera 
Oppressa  dal  dolor. 

Fiorenza  soltanto 
Concorde  ed  unita 
Può  render  la  vita 
All'egro  cantor. 

Le  rabbie  fraterne. 
Le  truci  vendette, 
Oh!  sien  maledette 
Dagl'  Itali  cor. 
Sorgi  mia  patria  splendida 
Come  il  pensier  di  Dio, 
Sulle  tue  colpe  stendasi 
Un  denso  vel  d'obblio: 

Torna  ridente  e  impavida 
Come  a^  vetusti  di. 
Fiera  nel  sen  del  perfido 
Che  la  tua  strage  ordì. 

(Sopra^^iun^e  Ostasio). 

Guido. 
O  Bice  a  te  sollecito 
Il  mio  german  s'appressa. 
Volgi  il  soave  ciglio... 

Bice 

(da  sé  agitata,  scorgendo  Ostasio). 
Cieli!  che  miro? 


190  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

OSTASIO 

(a  parte,  atfvicinandosi  a  Bice). 
£  dessa. 

Bice 

(a  Guido,  ricomponendosi). 

E  il  genitor? 

Guido. 

Legato 
Al  Veneto  Senato 
Merca  novelli  onor. 

Il  rito  ornai  si  compia. 
Per  la  tua  man,  donzella, 
La  chioma  a  lui  del  lauro 
Risplenderà  più  beila. 

Coro, 
Viva  r  eroe  che  in  campo 
Della  sua  spada  al  lampo 
Gloria  conquista  e  amor. 
(Due  paggi  si  avanzano  recando  Vuno  V alloro,  V altro  la  spada;  Bice 
è  nel  me^io,  Moldo  si  china  ai  suoi  piediy  Ostasio  si  pone  al  loro 
fianco^  Guido  daW  altro  lato^  Gabriella   si  accosta  alle  sue  Dame, 
tutte  le  persone  si  vengono  accostando), 

Bice 

(prendendo  in  mano  V  alloro). 

Il  tuo  nome  ? 

Moldo 

{aliando  la  visiera), 

Moldo  io  sono! 

Bice 

(a  parte). 

Moldo!  Oh  cielo!  oh  me  felice! 

(Ripigliamìo). 

Cavaliere  io  t' incorono. 

{Lo  incorona). 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  19I 

MOLDO. 

Tanta  gioia  non  si  dice. 

OSTASIO 

(fra  i<\  guardando  Moldo). 

Questo  istante  è  a  te  fatale. 

Bice 
(dando  a  Moldo  la  spada). 

Cingi  o  prode  il  forte  acciar. 

OSTASIO 

(guardando  Bice  e.  s.). 

È  palese  il  mio  rivale... 
Moldo 

(da  sé). 

Quale  arcano  palpitar! 

OSTASIO 

(ad  un  tratto,  traendo  Bice  in  disparte). 

O  donna!  Ti  leggo  nel  pallido  aspetto... 
Palesa  lo  sguardo  la  piena  del  cor... 
Se  a  Moldo  d'amore  pronunci  un  sol  detto. 
Dal  ferro  d*  Ostasio  fia  vittima  allori 

Bice 

(scostandosi  da  lui). 

O  cielo,  che  ascolto?  quai  sensi?  quel  detto 
M'agghiaccia  le  vene,  m'assidera  il  cor. 
Proteggimi,  o  Madre,  dal  Ciel  benedetto, 
Dell'orfana  afflitta  proteggi  l'amor. 

Moldo 

(a  parte,  guardando  Ostasio  con  ira). 
Io  leggo  d'  Ostasio  nel  torbido  aspetto 
Un  ghigno  feroce  che  lacera  il  cor.  — 

(a  Bice). 
Perchè  sul  tuo  labbro  non  suona  un  sol  detto 
Che  i  dolci  mi  sveli  trasporti  d'amor? 


192  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Guido 

(girando  intorno  lo  sguardo). 
Dei  volti  ridenti  mutato  è  l'aspetto 
E  regna  d' intorno  segreto  terror. 
Disperda  la  gioia  d'allegro  banchetto 
Il  triste  presagio  che  piomba  sul  cor. 

Gabriella  e  Coro 

(a  parte). 

Perchè  della  festa  mutato  è  l'aspetto 
E  regna  d'intorno  segreto  terror? 
Ricusa  ogni  labbro  lo  sfogo  d'un  detto, 
E  un  triste  presagio  ripiomba  sul  cor. 

(Ad  un  cenno  di  Guido,  il  corteo  s'ai'Z'ia  al  pala^:;^). 
Fine  dell'atto  primo. 


ATTO  ir. 

Scena  I. 

Cortile  d*una  taverna  ;  a  sinistra  il  fabbricato,  panche  e  sedili. 

Popolani,  Pescatori,  Scherani  d'Osusio. 

Nonna  Menica  va  distribuendo  loro  del  vino  e  dicefido  la  buona  ventura. 

Coro. 
La  zingarella 
Vivace  e  snella, 
Versa  da  bere 
Nel  mio  bicchiere.  — 
Viva  l'amor! 
Viva  il  liquor! 
Col  suo  sorriso, 
Col  suo  bel  viso, 
Legge  l'arcano 
Sulla  mia  mano.  — 
Viva  r  amor! 
Viva  il  liquori 


mrOKNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  193 

Scena  IL 
OsTASio  e  detti. 

OSTASIO. 

Ah,  d»  gioite...  Il  tempo  a  voi  non  conti 
L'ore  col  duolo,  da  diversi  aflPettì 
Agitato  è  il  mio  cor,  libero  un  giorno 
Ora  uno  schiavo...  Oh!  rabbia,  io  son  lo  schiavo 
D'una  fanciulla,  ma  nel  petto  altero 
Toma  r ardir  primiero; 
Trionferò,  fia  vano 
Il  rifiuto,  o  crudel,  della  tua  mano. 
Sciagurata!  all'amor  mio 

Più  resistere  non  puoi, 

Al  fulgor  degli  occhi  tuoi 

Si  risveglia  in  me  l'ardir. 
Coprirò  d'eterno  oblio 

Il  mio  duolo,  il  mio  martir. 

{Volgendosi  agli  Scherani). 
O  miei  bravi,  a  me  venite, 
Neil'  impresa  mi  seguite.  — 

Coro  di  Scherani, 
Parla,  imponi,  al  tuo  comando 
Presteremo  l'opra,  il  brando. 
(Popolani  e  Pescatori  internandosi  nelVosteria). 
Dileguiamo  :  nel  mister 
Muor  l'ebbrezza  del  bicchier.  — 

OSTASIO 
Ccircondato  dagli  Scherani  che  lo  accompagnano  nel  canto). 
Quando  il  ciel  sarà  più  nero. 
Nel  silenzio,  nel  mistero, 

R»pCo  1»  1*  bella 
^  remo        tua 

La  tra/«^„  al  ™'°  castel. 
remo        tuo 

|>BL  B4U0.  Voi.  XIV.  13 


194  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Se  ^'  arride  la  ^^^^  stella 

Fien  contenti  i  ^     -  fedel. 
tuoi 

(Foci  interne  dalV osteria). 

Viva  Tamor! 
Viva  il  liquor! 

OSTASIO 

{con  fuoco). 

Più  fiero  e  più  gagliardo 
È  nei  cimenti  amor, 
Non  ci  farà  codardo 
D'una  fanciulla  il  cor. 

Preci,  sospiri,  e  lagrime, 
Non  otterran  pietà, 
Degna  di  sprezzo  è  l'anima 
Che  trionfar  non  sa. 

{Partono). 

Scena  III. 

Deliziosa  villa  con  approdo  sul  mare;  a  sinistra  si  scorge 

il  palazzo  di  Guido. 

Bice,  poi  Moldo  con  abito  da  hallo. 

Bice. 
Volge  il  sole  al  tramonto.  Anima  mia 
Che  pensi?  ove  t'aggiri?  Una  speranza 
Per  me  non    hai  ne*  tuoi  colori  o   sera... 
Ma  tempestosa  e  nera 
La  procella  sovrasta  al  capo  mio. 
Lungo  d'amor  desio 
Muto  è  sul  labbro,  eternamente  muto. 
Dalla  natal  mia  terra 
Ne  discacciaro  i  crudi,  e  dalla  madre 
Mi  separa  la  tomba... 
Chi  mi  sostien? 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I95 

MOLDO 

(comparendo  improvviso). 

Di  Moldo 
L'ardire,  il  braccio. 

Bice. 
Ah!  va,  fuggi,  t'invola... 

Moldo. 
Potrei  lasciarti  abbandonata  e  sola? 
Dunque  non  sai  qual  fremito 
Mi  scorre  per  le  vene. 
Che  per  me  sei  tu  Y  unica 
Speranza  d'ogni  bene. 
Solo  un  desire  ho  in  cor. 

Bice. 
Cerca  altri  lidi...  il  candido 
Sorrìso  d'una  sposa. 
Estinguerà  l'incendio 
La  man  della  pietosa; 
Lasciami  il  mio  dolor. 

iPiangendó). 
MoLDO. 

Donna,  tu  piangi... 

Bice. 

Io...  gemo... 
La  patria  a  tanto  estremo. 
Lontano  il  genitor. 

Moldo. 
Stretto  in  mia  mano  il  brando 
Pian  da  Piorenza  in  bando 
Cacciati  i  traditor. 

Bice. 
Lasciami  il  mio  dolor. 


196  POESIE  DI   MILLE   AUTORI 

MOLDO. 

Solo  un  desire  ho  in  cor. 
Dal  di  che  ti  vidi  ncU'esul  sentiero 
Il  foco  d'amore  nell'alma  brillò. 
Ma  il  core  tu  coprì  di  tanto  mistero 
Che  i  verì  suoi  moti  comprender  non  so. 
Ah!  parlami  alfine  di  tenero  amor. 
Può  solo  un  accento  temprarmi  il  dolor.  — 

Bice 

(da  sé  con  angoscia). 

M'affanna  il  suo  duolo,  mi  desta  nel  petto 
Il  fiero  contrasto  la  gioia,  il  dolor.  — 
Perchè  non  poss'  io  parlargli  d' afifetto, 
I  dolci  sospiri  confonder  d'amor?  — 
Mi  strazia  il  crudele,  non  sente  pietà... 
Più  misera  donna  la  terra  non  ha. 
{È  sera.  La  campana  dei  morti  suona  a  rintocchi). 

MoLDO. 

Odi  quel  suono?  È  il  mistico 
Saluto  a  chi  si  muore... 
Doman  sul  mio  cadavere 
Quel  suon   ti  condurrà. 

Bice 

(con  disperazione). 

Barbaro  taci!... 

MoLDO. 

Al  misero 
Respinto  dal  tuo  core 
Più  non  ri  man  che  un  feretro... 

Bice. 
Ti  calma  per  pietà... 
Un  orrido  arcano  mi  tronca  gli  accenti, 
Tremenda  minaccia  sul  capo  mi  sta.  — 
Verranno  altri  giorni  di  gioia  ridenti, 
E  d'  altri  il  mio  core  giammai  non  sarà. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I 

MOLDO. 

Se  un  orrido  arcano  ci  tronca  gli  accenti. 
Se  d'altri  il  tuo  core  giammai  non  sarà, 
Il  cielo  ti  ascolta,  se  adesso  tu  menti. 
Il  cielo  spergiura  colpirti  potrà. 

Scena  IV. 

I  precedenti.  Scherani  in  costume  di  pirati,  poi  Ostasio 
pure  in  costume  di  pirata. 

MoLDO 

(scorgendo  i  pirati  che  a  poco  a  poco  io  circondarono, 

mentre  alcuni  sorvegliano  la  riva). 

(con  terrore). 

Siam  traditi.  In  tal  periglio 
Solo  inerme... 

(Fa  per  trascinare  Bice  dalla  partii  opposta,  dalla  quale  s' inoltra). 

Ostasio 

(con  fiereiia). 

Olà!  t'arresta 
Era  stolto  il  tuo  consiglio. 

Bice 

(corre  al  capo  opposto  della  scena  e  con  angoscia). 
Dunque  ogni  ora  è  a  me  funesta? 

MOLDO 
(con  furore  verso  Ostasio). 

T'infondono  ardire 
Dei  vili  le  braccia.  — 

Ostasio. 
Risparmia  dell'  ire 
La  vana  minaccia. 

Bice. 
È  troppo  il  martire 
Che  Y  anima  agghiaccia.  — 


198  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Pirati. 
Noi  vili!  sul  mar 
Ten  vieni  a  pugnar.  — 
{Sopraggiungono  Guido,  Gabriella,  Dame  e  Cortigiani  in  àbito  da  festa 
e  sen:(  armi.  Famigliari  con  fiaccole). 

Guido  e  Gabriella. 
Quai  grida!  quai  grida! 

Dame  e  Cortigiani. 
Spettacol  d'orror. 

MOLDO 
(ai  Cortigiani). 

L'indegno  si  uccida, 
Si  salvi  il  mio  cor. 

Bice. 
Chi  adesso  m'  affida 
Dal  mio  disonori 

Ostasio 

(a  Moldo). 
Da  lei  si  divida... 
Trionfa,  o  mio  cor! 
(l  Pirati  collocatisi  fino  dalV  apparin  dei  Cortigiani  a  ministra  fra  Bice 
e  Moldo,  impedendo  la  loro  unione,  ad  un  atto  di  Ostasio  si  ser- 
rano ancor  più  %'icini:  Moldo  fa  cenno  ai  Cortigiani,  i^m^rd  alia 
destra,  di  scagliarsi  sopra  i  Pirati;  mentre  i   Cortigiani  fanno  per 
moversi,  i  Pirati  levano  i  pugnali  in  atto  di  ferire). 

Guido  e  Cortigiani. 
Ardire  infernali 
Brandito  è  il  pugnai! 

Moldo. 
Quai  tema  v'  assai } 
V'arresta  un  pugnai? 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  I99 

Gabriella  e  Dame. 
Preghiera  non  vai! 
Brandito  il  pugnai! 

Bice. 
Istante  fatai! 
Mi  sveni  un  pugnai! 

OsTASio  e  Pirati. 

Inganno  non  vai. 
Brandito  è  il  pugnai! 

{Una  barca  approda  alla  riva). 

Marinari 

{dalla    barca). 

Al  vento  le  vele 
Spiegate  son  già.    — 

OSTASIO 

(afferrando  Bice  e  passando    attraverso  i  Pirati). 

Di  vane  querele 
Non  sento  pietà. 

Bice. 
Mi  lascia,  crudele, 
Ti  stringa  pietà. 

Guido  e  Gabriella. 
T'  arresta,  crudele. 

Dame  c  Cortigiani. 
Ti  stringa  pietà. 

MOLDO. 

Vendetta!  il  crudele, 
Rimorso  non  ha. 


200  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Pirati 

{ad  un  cenno  di  Ostasio  trascinano  Moldo  alla  barca). 
Coi  vili!  sul  mar 
Ten  vieni  a  pugnar. 
(Ostasio,  Bice,  Moldo,  Pirati  sono  sulla  barca  :  questa  prende  il  largo. 
Guido,  Gabriella,  Dame,  Cortigiani  accorrono  alla  riva). 

La  barca  scompar 
Da  lunge  sul  mar!... 
(Quadro  di  desolaTiionc). 

Fine  dell'  atto  secondo. 


ATTO  III. 

Scena  I. 
Sotterraneo  nel  Castello  di  Ostasio. 
Bice  è  addormentata  sopra  un  masso.   Uno  scherano  reca    un*  idria  che 
depone,  quindi  si  allontana  con  atto  di  commiserazione. 

Bice 

(destandosi). 
Quale  orribile  sogno!  Aperto  il  petto 
Da  cento  colpi  e  cento 
Moldo  m' apparve,  e  dal  suo  labbro  uscia 
Lungo  singulto.  —  Ahi  vista!  Oh  mio  terrore! 
Tu  che  mi  vedi  in  core 
L*immagin  sua,  per  lui  pietade  imploro. 
Dammi  forza,  gran  Dio,  nel  mio  martoro. 

Scena  IL 

Ostasio  riccamente  vestito,  da  una  porta  secreta,  e  detta, 

(Bice  vedendo  comparire  Ostasio  corre  spaventata  in  fondo  della  scena). 

Ostasio. 
Non  turbarti! 

Bice. 

È  desso!...  Ostasio! 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  201 

OSTASIO. 

Ti  spaventa  il  mio  sembiante  ? 

Bice. 
Ei  mi  appar  siccome  un  demone... 

OSTASIO 

(con  dolcej^f^). 

Calma,  o  donna,  il  cor  tremante, 

Del  tuo  duol  vo'  tronco  il  corso. 

Bice. 
Ma  non  senti  alcun  rimorso? 

OSTASIO. 

Cedi,  vedrai  rinascere 
L'aprii  della  tua  vita, 
Avrai  di  fiori  un  talamo 
Alla  mia  sorte  unita  ; 
Mercè  del  lungo  amore 
Che  mi  tormenta  il  core, 
E  un  eden  di  contento 
Il  viver  tuo  sarà. 

Bice. 
Cessa,  deh,  cessa...  Ah!  lasciami... 
Vedi,  ho  bagnato  il  ciglio... 
Non  mi  coprir  di  triboli 
Il  calle  dell'  esigilo  ; 
Col  favellar  d'  amore 
Insulti  al  mio  dolore. 
Pietà  del  mio  tormento, 
Del  mio  soffrir  pietà  ! 

OSTASIO 

{con  for:ra). 

Troppo  varcasti  il  limite 
Dal  mio  voler  segnato. 
Mi  rifiutasti  docile, 
Ora  m'  avrai  sdegnato. 


202  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Bice. 
Sola,  infelice,  oppressa, 
Mi  dà  fidanza  il  ciel 
Che  a*  tuoi  desir  sommessa 
Tu  non  m'  avrai,  crudeli 

OSTASIO 

{con  ira). 

Vana  speme  t'avalora, 
Niun  da  me  sottrar  ti  può; 
Se  al  mio  cor  resisti  ancora 
Il  tuo  sangue  verserò. 
La  mia  man  da  te  reietta 
Questa  lama  impugnerà. 
Più  feroce  la  vendetta 
Sul  tuo  capo  scenderà. 

Bice 

(con  fertneiia). 

Sciagurato!  invano  tenti 
Trascinarmi  a*  tuoi  desir. 
Dio  pietoso  a*  miei  tormenti 
Darà  forza  al  mio  soffrir.  — 
Pieno  il  cor  d*  un  altro  affetto 
L' ira  tua  sfidar  saprà, 
Sempre  viva  nel  mio  petto 
Quella  fiamma  brillerà. 
(Ostasio  parte  trascinando  Bice  nd  fondo  del  sotterrante). 

Sceka  IH. 

Magnifico  parco  con  atrio  nel  Palazzo  di  Guido. 

Guido,  poi  Armigeri. 

Guido. 
Né  riede  alcun...  irrequieto  il  core 
Si  dibatte  nell'  ansia,  e  nel  dolore. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  203 

Un  sospetto  —  un  fier  sospetto 
Mi  ricolma  di  terror, 
Del  fratel  l'indegno  affetto, 
La  ferocia  del  suo  cor. 

Bice,  ah  !  Bice,  il  tuo  periglio 
Fia  crudele  al  genitor, 
Non  s'  aggiunga  al  triste  esigilo 
Di  tua  sorte  il  rio  dolor. 
Quai  nuove? 
{Entrano  gii  Arm  gerì,  Guido  va  loro   incontro). 

Armigeri. 

Ognuno  a  lagrimar  si  appresti. 

Al  tuo  cenno  sciogliemmo  la  prora 
Inseguendo  l'audace  corsar; 
Neil*  inceno  crepuscolo  ancora 
Ogni  sguardo  s'  affissa  sul  mar. 

a  Una  vela,  una  vela;  »  a  tal  voce, 
Grìdiam  tutti  :  vittoria  o  morir; 
Già  la  barca  trascorre  veloce 
Già  nei  petti  raddoppia  T  ardir... 

Ahi!  sventura,  sventura,  sventura! 
Come  un*  ombra  la  vela  scompar... 
Vuota  intorno  è  l'immensa  pianura 
Non  un'  orma  dei  miseri  appar. 

Visitammo  ogni  tacito  speco 
Delle  faci  all'  ardente  chiaror. 
Rispondeva  alle  grida  sol  l'eco. 
Poi  regnava  silenzio,  e  terror. 

Trafelati  dal  lungo  cammino 
A*  tuoi  piedi  torniamo,  o  signor. 
Ah!  di  Bice,  e  di  Moldo  il  destino 
Desta  in  tutti  spavento  e  dolor. 


204  POESIE   DI   MaLE  AUTORI 

Scena  IV. 

MoLDO  dal  fondo  colU  vesti  in  disordine  e  detti.  Gabriella   e 

sopr aggiungono  dal  Palalo. 

Coro 

(con  sorpresa  scorgendo  Moldo). 

Moldo  vive!  Il  nostro  duce 
Sopra  i  campi  dell*  onor, 
Lieta  sorte  il  riconduce 
Redivivo  al  nostro  amor. 

Moldo. 
Non  v'allegrate  or  voi,  più  gioia  alcuna 
A  me  non  è  serbata,  — 
Solo  vendetta  anelo. 

Guido. 
Oh  valoroso! 
Salvo  tu  se'  fra  noi, 
Narra  gli  affanni  tuoi,  come  fuggito 
A  rio  periglio  estremo 
Ritorni  al  nostro  amor.  — 

Moldo. 

M'  udite,  io  fremo  ! 
Fugge  suir  onda  rapida 
La  scellerata  prora, 
Bice  in  balia  del  perfido 
Invan  pietate  implora; 
Stretto  fra  ceppi  io  sono  — 

Ma  de'  suoi  pianti  al  suono 
Freme  imprecando  il  cor. 
Del  rio  covil  mi  gettano 
Entro  prigione  oscura.  — 
Del  suo  misfatto  il  barbaro 
Compiuta  ha  la  misura. 
In  mar  lanciato  io  sono... 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  205 

Ma  de'  suoi  pianti  il  suono 

Sempre  mi  torna  in  cor. 
Lottai  coi  flutti  impavido... 
Presso  a  morir  son  io... 
Un  pescator,  sollecito, 
Vola  al  soccorso  mio, 
A  voi  tornato  io  sono... 

Ma  de'  suoi  pianti  il  suono 

Sempre  mi  strazia  il  cor. 

Scena  V. 
Mercuriale  frettoloso,  e  detti. 

Mercuriale. 
Prigioniera  d'Ostasio  al  Castello, 
Sta  su  Bice  periglio  novello. 

Guido,  Gabriella  e  Dame. 
Che  mai  sento?  qual  turpe  mistero, 
Un  delitto  ha  commesso  il  fratell 

(Si  allontanano    mestamente). 

Moldo  e  Armigeri. 
Che  mai  sento?  del  turpe  mistero 
È  squarciato  agli  sguardi  ogni  veli... 
Su  compagni,  l'ardire  primiero 
Pia  pur  or  benedetto  dal  ciel. 
Proromperà  terribile 
De  nostri  ferri  il  suono; 
Senza  accordar  perdono 
All'  empio,  al  traditor. 

Sopra  i  dispersi  ruderi 
Noi  canterem  vittoria, 
Coronerà  la  gloria 
I  voti  dell'  amor. 


206  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


Armigeri. 


Coronerà  la  gloria 
I  voti  dell'  amor. 
(Partono  coUe  spade  brandite). 

Fine  dell*atto  terzo. 


ATTO  IV. 


Scena  I. 
Gran  vestibolo  gotico  della  Chiesa   di  S.  Chiara,  presso  Raven 

Bice. 

Moldo  peri  —  d' invereconda  gioia 

S'inebriava  Ostasio,  — 

Ed  io  fra  ceppi.  —  La  pietosa  destra 

D'uno  scherano,  cui  commosse  il  core 

Il  mio  grave  dolore, 

Alle  abbonite  mura, 

Con  gran  periglio,  mi  sottrasse,  —  in  questo 

Cenobio  augusto  cingerommi  il  velo:  — 

Unica  speme  di  mia  vita  —  il  cielo. 

Oh,  dolce  patria  —  Fiorenza  addio  I 
Addìo  memorie  —  del  viver  mio! 
L'ore  non  riedono  —  de'  miei  prim'anni, 
M'assalse  un  cumulo  —  di  lunghi  aflFanni; 
Sul  labbro  solo 

Favella  il  duolo;  — 

Non  brilla  più 

La  gioventù. 
«  La  cara  imagine  —  d'  un  vero  aflFetto, 
«Mai  non  cancellasi  —  di  donna  in  petto; 
«A  Moldo  un  vincolo  —  di  puro  amore 
«  Indissolubile  —  mi  strinse  il  core,  — 


INTORKO  A   DANTE  ALIGHIERI.  207 

Per  l'aure  io  sento 
Suon  di  lamento 
Che  viene  a  me... 
—  Eì  più  non  è! 
Esecrato  uno  spirto  d' A  verno 
A  noi  tolse  ogni  gioia  d'amor... 
Maledetto  d'innanzi  all'Eterno... 
Che  mai  dissi?...  mi  perde  il  dolor. 
Gran  Dio,  perdonami  —  Tu  mi  consola 
Nel  mio  delirio  —  deserta,  e  sola... 
Terreni  palpiti  —  per  sempre  addio! 
Tutta  quest'anima  —  tutta  è  di  Dio! 
Da  mane  a  sera 
La  mia  preghiera 
Implorerà 
La  tua  pietà. 

(Entra  nel  Tempio), 

Scena  li. 
-/^«^  la  Processione;  precedono  ^//Alabardieri,  i  Cantori,  i  Paggi  che 
recano  V abito,  la  cintura,  lo  scapolare,  Panello;  seguono  i  Corti- 
giani, Guido  e  Gabriella.  Durante  la  Processione  si  canta  Tinno 
ddla  vesti:^ne  monacale.  Le  Claustrali  si  fanno  incontro  sulla  porta 
del  Tempio, 

Cantori. 
Vieni,  le  menti  visita 
O  Spirto  creator, 
La  tua  suprema  grazia 
Spargi  a'  tuoi  figli  in  cor. 

Claustrali. 

Lode  al  Signori 

Cantori. 
Qual  detto  sei  Paraclito, 
Messaggio  del  Signor, 
Dolcezza  d'ogni  spirito, 
Fonte,  favella,  amor. 


208  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Claustrali. 

Lode  al  Signori 

Cantori. 
«  Co'  doni  tuoi  settemplici 
«  Sei  dito  del  Signor, 
«  Te  multilingue  ai  popoli 
«  Promise  il  Genitor. 

Claustrali. 

Lode  al  Signor! 

Cantori. 
I  nostri  sensi  illumina, 
Spira  nell'alme  amor, 
Ai  corpi  infermi,  ai  deboli, 
Dona  al  patir  vigor. 

Claustrali 

Lode  al  Signor' 

Cantori. 
a  Scaccia  le  ostili  insidie, 
ft  Pace  ne  versa  in  cor, 
«  Tu  condottier  dell'anime 
«  Ne  salvi  d'ogni  error. 

Claustrali. 

Lode  al  Signor! 

(La  Processione  al  suono  dell'  organo  è  entrata  mi  Tempio,  La  se 
resta  muta  alcuni  istanti). 

Scena  III. 
MoLDO  solo,  poi  Bice,  indi  Ostasi©. 

MOLDO. 

Tanto  valor  perchè.'*  vinto  il  Castello, 
Bice  ancor  mi  fu  tolta; 
In  questi  chiostri  accolta 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  2O9 

Ella  mi  sfugge  ognor.  —  L'armi  di  Ostasio 
Inseguono  i  miei  prodi,  —  O  mie  speranze 
Come  svanite! 

{Si  odo  ddVinterno  il  suono  dell'organo). 

Oh  ciel!  quai  suono  è  questo? 

Claustrali 

(Dal  Tempio). 

Lode  al  Signor! 

MOLDO. 

Colà  si  compie  un  rito. 
Ah!  qual  pensieri  —  Già  tutto 
Odora  intorno  di  profumi  il  loco. 
Che  mai  sarà? 

Bice 

(comparisce  sul  limitare  del  Tempio  in  abito  monacale). 
(Con  dispera:iione). 

Di  questo  core  il  foco 
No,  non  è  spento.  Il  labbro  proferia, 
Ma  in  quei  voti  non  è  Tanima  mia. 

MOLDO 

(raffigurando  Bice  e  accostandosele). 

Che!  non  m'inganna  il  giubilo? 
Io  ti  rivedo  ancora? 
Vieni,  il  mio  petto  ognora 
Batte  per  te  d'amor. 

Bice. 
Ah!  non  parlarmi  incauto 
D'un  palpito  terreno. 
Più  non  mi  vive  in  seno 
Altro  che  il  mio  dolor. 

MoLDO 

(con  trasporto). 

Dunque  gli  affanni  miei.^.. 

Cu  Balso.  VoL  XIV.  14 


2 IO  POESIE   DI    MILLE  AUTORI 

Bice 

(ititer  rompendo). 

Rapirmi  a  Dio  non  dei. 
Rispetta  queste  mura, 
Rispetta  questo  vel. 

MOLDO. 

Contro  di  me  congiura 
Fin  ne'  suoi  riti  il  ciel! 

OSTASIO 

{inoltrandosi  non  visto  fra  h  colonne). 

O  coppia  rea,  sicura 
Mi  dà  vendetta  il  ciel. 

MoLDO. 

M'ami  tu?  rispondi  ingrata... 
Bice 

(da  si). 
Chi  m'assiste  in  tal  momento? 

Moloc. 
Dimmi,  ah!  dimmi  un  solo  accento 
Né  mai  più  ti  rivedrò... 
Non  m'amasti  tu  giammai? 

Bice 

(fuori  di  sé). 

Più  frenarsi  il  cor  non  può. 

(con  trasporto) 

T'amo,  t'amo... 

OSTASIO. 

Sciagurata! 
La  sua  morte  hai  pronunciata. 
Muori...  muori. 

(^Ferisce  Moldo  al  cuore). 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIBRI.  211 

MOLDO. 

Son  ferito! 
(cade). 

Bice. 
Il  mio  labbro  m*  ha  tradito! 

OsTAsro. 
Di  vendetta  ho  pago  il  cor. 

Scema  Ultima. 

I  precedenti.  Le  Claustrali  escono  dal  Tempio.  Gli  Armigeri 
Irrompono  condotti  da  Mercuriale. 

Claustrali. 
Vieni,  o  suora...  Ahi,  vista  orribile! 

Mercuriale 

(a^li  Armigeri), 

Si  circondi  Tuccisor. 

(Bice  ha  suUe  ginocchia  il  capo  di  Moldo,  h   Claustrali   le  fanno 
'ow-ona,  Ostasio  h  circondato  dagli  Armigeri). 

MOLDO 

(sollei'andosi). 

Al  seno  stringimi... 
Mia  Bice  addio... 
Bagna  di  lagrime 
11  cener  mio. 
In  ciel  quest'anima 
T'attenderà. 

Bice. 
Insiem  fra  gli  Angeli 
T'accolga  Iddio, 
Avran  tue  ceneri 
Il  pianto  mio. 
In  ciel  quest'anima 
Con  te  sarà. 


212  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Claustrali. 
Pace  ai  due  manin 
Conceda  Iddio, 
In  del  dimenticb 
Del  fato  rio, 
Il  loro  spirito 
Esulterà. 

OSTASIO. 

Nella  sua  collera 
Avventa  Iddio, 
Onta  ed  infamia 
Sul  capo  mio, 
Per  me,  fra  gli  uomini. 
Non  v'  è  pietà. 

Mercur.  ed  Arm. 
Nella  sua  collera 
Ti  colga  Iddio, 
Onta  ed  infamia 
Del  suol  natio, 
Per  te,  fra  gli  uomini, 
Non  v'  è  pietà. 

Moldo. 
Per.. .do.. .no  al  mio  ri.. .vale... 
In  ciel...  ti...  ri. ..vedrò. 

(Muore). 

Bice. 
Oh!  vita  a  me  fatale! 
In  ciel  ti  rivedrò. 

Tutti. 
Perdona  al  suo  rivale. 
Il  misero  spirò. 
(Le!  Claustrali  strappano  Bice  dal  cadavere  di  Moldo.  Gli  Armi- 
geri traggono  seco  O stasi o). 

Fine  dell'atto  quarto.  ' 


'  Questa  tragedia  lirica  cosi  fu  stampata  in  Verona,  con  i  tipi  Daldò,  ntl  iSé^. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  213 

Il  conte  Francesco  Bagatta  nacque  il  6  novembre  i8:o  in 
Verona  e  vi  morì  il  29  agosto  1894.  Ebbe  vita  operosa,  occupnniiosi 
specinlmente  di  problemi  concementi  lo  sviluppo  della  sua  ciua 
Dopo  aver  pubblicato  in  Venezia,  nel  185 1,  uno  studio  sull* ordina- 
mento della  pubblica  beneficenza,  nel  1860  nella  sua  città  stampava 
i  suoi  Cenni  statistici  sulla  mortalità  della  popolazione  veronese  dal  1S46 
d  iSj4.  Seguirono  :  Storia  degli  spedali  e  degli  istituti  di  beneficenza  in 
VerotuL  àaìTepoca  cristiana  ai  giorni  nostri  (Verona,  1862);  La  Provincia 
ài  Verona,  quadro  geografico,  naturalistico,  statistico,  amministrativo 
(Verona,  1865);  Considerazioni  sullo  svolgimento  storico-amministrativo 
ieUa  beneficenza  in  Fenezi^,  Verona,  Padova  (Padova,  1870). 

Si  hanno  poi  dì  lui  le  seguenti  produzioni  letterarie  e  teatrali: 
Fkmberto  e  V Indipendenza  italiana  al  X  secolo  (Verona,  1870);  //  Co- 
mune antico  e  moderno  (Padova,  1872);  Ercole  Strozzi,  dramma  in 
5  atti  (Verona,  1876);  Iacopo  da  Carrara,  primo  signore  di  Padova, 
dramma  storico  in  5  atti  (Padova,  1877);  ^l*^i**io  da  Lentini,  episodio 
della  guerra  del  Vespro  siciliano,  dramma  in  5  atti  (Verona,  1884); 
Macalda,  melodramma  in  5  atti  (Milano,  i8^'6^  Scrìsse  non  poche 
poesie  patriottiche. 


2^14  POB8IE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXX. 

Ano  nimo. 

Poesie  intorno  a  Dantb. 
(1865). 

Due  nomi. 

I. 

Fatevi  alla  finestra,  o  bambinella 
Che  siete  vaga  e  gentilina  tanto; 

10  vi  contemplerò  come  una  stella 
Che  può  mirarsi  e  non  andarle  accanto. 
Dell'alma  vi  dirò,  dolce  sorella, 
V'invocherò  pietoso  angelo  santo. 

E  sempre  nella  nona  ora  del  giorno 
Sotto  il  vostro  balcon  farò  ritorno. 
Vi  chiamerò...  vi  chiamerò...  che  amore 

11  nome  vostro  insegnerà  al  mio  core; 
Al  mio  povero  cor,  che  già  vi  dice, 
Se  vi  guardo  negli  occhi:  Beatrice. 

IL 

Se  negli  occhi  mi  guardi  tu  vedrai 
Ch'  io  pur  gli  ho  fissi  al  lume  d'una  stella. 
Tu  forse  un  giorno,  dopo  me,  verrai 
Spirto  felice  ad  abitare  in  quella, 
E  se  al  tuo  giunger  là  mi  cercherai, 
«  Non  mi  ti  celerà  l'esser  più  bella.  » 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  215 

Dove  un  canto  udirai  drizza  il  pensiero, 
«Seguendo  noi  per  tutto  T  inno  intiero;» 
E  fra  l'altre  confusa  in  armonia 
Tu  riconoscerai  la  voce  mia; 
La  voce  mia  che  sola  in  mezzo  a  tante. 
Nota  ti  si  farà  chiamando:  Dante. 

Firenze  e  Roma. 

Firenze. 
O  Rondinella  che  scorri  leggera 
Dell*  infinito  la  serena  via, 
Ti  prego,  in  carità,  la  tua  carriera 
Per  ascoltarmi  un  brev' istante  oblia. 
Vorrei  che  tu  n'andassi  messaggera 
Sul  Tebro  dove  sta  la  madre  mia, 
E  le  dicessi,  con  gentil  maniera: 
La  tua  figlia  diletta  a  te  m'invia. 

A  te  m'invia  la  tua  figlia  più  cara, 
Firenze  che  al  gran  giorno  si  prepara, 
Si  prepara  al  gran  giorno  in  cui  festante 
Nel  sacro  nome  esulterà  di  Dante; 
Ma  che  d'uopo  non  ha  d'altro  decoro, 
E  corona  non  vuol  di  gemme  o  d'oro; 
E  non  vuol  che  le  pesi  in  sulla  chioma 
La  corona  che  è  tua,  splendida  Roma. 

Roma. 
Torna,  o  gentile  Rondinella,  al  nido 
Donde  partisti,  e  il  pensier  mio  riporta; 
Torna  amorosa  al  tuo  compagno  fido, 
Eia  figliuola  mia,  deh!  riconforta; 
Dille  che  amante  al  suo  cortese  lido 
Un  secreto  disio  teco  mi  scorta, 
E  che  l'anima  mia  risponde  al  grido 
Che  de'  trionfi  suoi  l' eco  mi  porta. 


2l6  POESIE   Dì    MILLE  AUTORI 

Dille  che  per  amor  del  suo  Poeta 
Cinga  la  mia  corona,  e  ne  sia  lieta. 
Ben  so  che  delle  sue  gemme  più  belle 
Si  dispogliò  con  le  città  sorelle 
Per  darmi  quella  nobile  corona 
Che  deir  Italia  mi  facea  padrona; 
Ma  finché  Italia  ha  uno  straniero  in  seno, 
a  Senz'  essa  fora  la  vergogna  meno.  » 

I. 

Donde  vieni }  chi  sei  ?  povera  mesta. 
Che  rechi  in  dono  un  fior  molle  di  pianto  ì 
E  mentre  tutta  la  cittade  è  in  festa, 
Che  suona  ovunque  di  letizia  il  canto, 
Muovi  tra  noi  con  la  tua  bruna  vesta 
Come  se  tu  n'andassi  al  Camposanto? 

Orna  le  tombe  il  fiore  del  pensiero, 
O  gentile  d'amor  chiude  un  mistero; 
Ma  qual  fregio  non  sta  sui  monumenti 
Che  son  gloria  dei  popoli  redenti; 
Non  sta  intrecciato  alla  ghirlanda  lieta 
Di  che  onora  Firenze  il  suo  Poeta. 

II. 

E  il  suo  Poeta  ad  onorare  anch'  io 
Benché  misera  vengo  e  in  veste  bruna; 
Dal  caro  loco  ove  tornar  disio 
Vengo  il  suolo  a  baciar  che  gli  die  cuna. 
Vengo  ad  offrirgli  il  fiorellino  mio 
Che  furtivo  spuntò  sulla  laguna. 

E  grato  gli  sarà,  che  glielo  manda 
Una  gente  che  a  lui  si  raccomanda; 


INTORNO    A    DANTE   ALIGHIERI.  21  7 

Si  raccomanda  a  lui  che  vi  rammenti 
Che  di  nome  non  basta  esser  redenti, 
E  che  redenti  ci  potrem  chiamare 
Quando  Italia  sarà  dall'alpi  al  mare. 

Ravenna. 

Salve,  o  bella  Firenze!  alle  tue  mura, 
D*onde  l'aveva  discordia  bandita, 
Del  divin  Cantor,  calma  e  secura 
«L'ombra  ritorna  eh* era  dipartita.» 
Salve,  o  Firenze,  a  cui  si  gran  ventura 
Mercè  del  pentimento  è  alfin  largita. 

Ma  poi  che  1'  ombra  sua  ti  torna  in  seno. 
Lascia  a  Ravenna  una  memoria  almeno; 
Una  memoria  che  si  deve  al  dritto 
Di  chi  l'accolse  povero  e  proscritto; 
Una  memoria  che  rammenti  ai  suoi 
Che  Tonor  della  tomba  ebbe  da  noi. 


Torino. 

Quando  gemevi  in  servitù  straniera 
Sotto  il  peso  dell'odio  e  degl'  inganni, 
De*  figli  tuoi  la  più  nobile  schiera 
Esulava  dal  tuo  bel  San  Giovanni^ 
E  all'ombra  amica  della  mia  bandiera 
A  piangere  venia  sopra  i  tuoi  danni. 

Or  chiedi  a  questi  tuoi  diletti  come 
Fin  d'allora  mi  fu  caro  il  tuo  nome; 
Chiedi  e  saprai  qual  per  la  tua  sventura 
Mi  premesse  nel  cor  pietosa  cura; 
Chiedi  e  saprai...  che  in  questo  di  sincero 
S*  unisce  alla  tua  festa  il  mio  pensiero. 


2lS  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Milano. 

A  lui  che  di  Francesca  innamorata 
Pianse  all' affanno,  e  ricordò  la  Pia] 
A  lui  che  vide  Piccarda  beata 
Che  con  la  gran  Costan:^a  in  del  s' india. 
Deh  1  vanne  tu,  che  in  tua  parola  ornata 
Pesti  cari  ad  ognun  Ren:;io  e  Lucia. 

Vergin  di  servo  encomio,  onesto  e  saggio 
Degno  tu  sei  del  nobile  messaggio, 
Vanne,  deh  vanne  -  ed  al  Cantor  sovrano 
Reca  il  saluto  che  gì*  invia  Milano; 
Reca  alla  sua  città  d'amor  fraterno, 
Di  concordia  e  di  fede  il  patto  eterno. 

Napoli. 

Agita  Tali,  e  via  corri  sull'onda 
«  Con  un  vasello  snelletto  e  leggiero  ;  » 
Agita  l'ali  e  raggiungi  la  sponda 
Rapidamente,  o  celestial  nocchiero. 

Firenze  aspetta  gli  spiriti  magni 
Che  traggi  dal  Sebeto  ed  accompagni  ; 
Agita  Tali,  e  va',  corri,  t'affretta, 
Angiol  di  libertà,  Firenze  aspetta. 

Angiol  di  libertà,  secura  mena 
L'eletta  schiera  alla  città  felice; 
Son  gli  eroi  di  Pi  cerno  e  di  Vigliena, 
La  povera  Fonseca  e  Sanfelice. 

Son  tanti  e  tanti  martiri  d'  amore, 
Che  a  rammentarli  non  mi  basta  il  core; 
Sono  i  miei  figli,  che  in  sembianza  lieta 
Vanno  a  onorar  Valtissimo  Poeta. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  219 

Palermo. 

Candido  spirto  che  migrando  vai 
AI  vivo  lume  delle  luci  sante, 
Dimmi,  saresti  tu,  saresti  mai 
D'una  donna  gentil  l'anima  errante, 
Che  di  nostra  favella  i  primi  rai 
Più  chiarì  fé'  colla  canzone  amante  ; 
Ed  or  la  sfera  ove  sereno  stai 
Lasci  al  caro  per  te  nome  di  Dante  ? 

Al  nome  di  colui  ch'ebbe  il  tuo  core. 
Benché  quegli  non  sia  cui  fanno  onore, 
Ti  sei  commossa,  o  sicula  donzella, 
E  a  lui  ti  volgi  dalla  terza  stella? 
Se  a  lui  ti  volgi,  oh  digli  tu  per  noi 
Quante  dolci  d'amor  cose  tu  puoi; 
Digli  che  contro  a  ogni  straniero  ancora 
Pronto  è  Palermo  a  gridar:  mora  mora. 


POESIE  DI   MILLE   AUTORI 


DCCXXI. 
P.  P.  Marangoni. 

Ad  un  lodatore  di  Dante. 

(i86$). 

E  fino  a  quando,  dico,  fino  a  quando 
Viver  dovremo  in  questo  basso  mondo 
Per  avere  ogni  di  i  tamburi  rotti  ? 
E  fino  a  quando  il  pondo 
Di  vane  ciarle,  d'oziosi  motti 
Soffrir  dovremo?...  E  dove. 
Dove  vivono  mai  quei  babbioni 
Che,  del  progresso  in  barba  all'ampie  prove. 
Fan  con  discordi  suoni 
Di  poetiche  ciancie 

Degli  orecchi  e  del  cor  aspro  governo? 
Povera  poesia,  quanto  ti  piango! 
O  cacciata  nel  fango 
Se'  tu  dai  mangiapane,  o,  vedi  caso. 
Coi  favolosi  numi, 
Spenti  i  veraci  lumi, 
Ti  vorrien  far  tornar  lassù  in  Parnaso. 

O  poveri  poeti 
Che  sudaste  quaggiù  per  aver  gloria. 
Dai  vostri  vaghi  e  lucidi  pianeti 
Deh!  torcete  lo  sguardo  a  tanta  scoria, 
E  primo  sdegni  il  Ghibellin  fuggiasco 
Quei  tanti  che  in  lodarlo  preser  fiasco. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 

O  Dante,  Dante  mio. 
Se  hanno  pregio  nel  Ciel  i  canti  tuoi, 
Deh!  ti  difenda  Iddio 
Da  quei  di  Pindo  sedicenti  eroi, 
Che  la  rabbia  feroce 
Dei  giorni  lor  miseramente  persi 
Sfogan  scrivendo  orribilmente  in  versi, 
E  con  sorriso  audace, 
Lodandoti,  disturban  la  tua  pace. 
«  Ma  se  le  mie  parole  esser  dén  seme 
Che  frutti  infamia  »  agli  schifosi  nani 
Che  soltanto  per  sé,  non  pel  tuo  merto. 
Posanti  al  crine  un  appassito  serto. 
Pria  che  dagli  altri,  o  Dante,  Dante  mio, 
Deh!  ti  difenda  Iddio 
Dai  freddi  elogi  di  Messer  Tafani. 
E  chi  è  costui  che  nato  all'Alpe  in  seno 
Ebbe  patria  comun  con  grand' ingegni, 
E  pur  tanto  da  loro  appar  diverso?... 
Messere!  è  tempo  perso 
Quello  che  impieghi  discorrendo  i  regni. 
Con  impossenti  vanni, 
Ove  il  genio  sereno 
Securo  balenò  per  anni  ed  anni. 
Oh,  smetti,  smetti,  smetti 
L'aria  da  Machiavello  e  da  Baretti, 
Se  mostrarla  nell'opre  tu  non  sai. 
A  che  de*  versi  sciorinando  vai 
Che  offendono,  lodando. 
L'altissimo  poeta 

Cui  dovresti  pensar  solo  tremando, 
E  all'Italia  li  doni. 
Usa,  dai  figli  suoi. 

Da  tant'anni  ad  udir  ben  altri  suoni?... 
Oh,  scendi,  scendi,  scendi 
Da  quello  scanno  ove  ti  veggio  assiso: 


222  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


Abbassa  pure  il  viso 

Sulle  volture  e  sui  catasti  onci*  hai 

Pane  securo,  ma  su  Dante...  mai. 


'  Q}ic«u  poesia  cosi    leggesl  «  p*g.  i)  e  Mgg.  in:   Ftrsi  di  P.  P.  M«nuigoai,  Ve- 
neiÌAno.  G«sp«ri,  Veneiit.   1865. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  223 


DCCXXII. 

Faustino  Bonaventura. 


I\NO   A   Dante. 

(14  maggio  1865). 

A  te  voli  quest'  Inno,  o  dell'  Italia 
Primo  decoro  e  vanto, 
E  primo  cittadino, 
A  cui  l'eguale  non  fu* mai  né  tìa, 
0  Poeta  divino, 

Che  del  sapere  uman  T  ultima  cima 
Toccasti  col  valor  della  tua  rima. 
Oh!  quanto  esulterebbe 
0  la  terra  teutonica,  o  l'ispana, 
0  il  formidato  S.irmata, 

0  il  Belga  o  il  Franco  in  suo  pensiero  audace 
Che  d'ogni  vanto  vuol  rapir  la  palma, 
0  TAnglia  ampio-regnante 
Se  dir  potesse  al  mondo: 
Mio  cittadino  è  Dante. 
Ma  sol  r  Itala  terra  alle  presenti 
Etadi  e  alle  future 

Può  mostrar  questa  gloria,  consolarsi 
Sol  per  questa  di  sue  tante  sventure. 

Molti  celebri  ingegni  e  molti  eroi 
Visser  dopo  di  te,  famoso  Vate, 
E  si  cinser  di  gloria,  e  in  mezzo  a  noi 
Chiaro  sonò  di  loro  imprese  il  vanto. 
Eppur  quel  gtido  a  poco  a  poco  scema 


224  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Come  la  face  che  sempre  più  languc. 

Se  la  provvida  man  non  le  rinnova 

II  solito  alimento; 

Ma  del  tuo  lume  è  l'alimento  etemo, 

E  la  tua  gloria,  o  Grande, 

Quanto  divien  più  vecchia, 

Sempre  più  bella  e  fulgida  si  spande. 

Come  l'astro  maggior  della  natura 

Quanto  più  l'erta  ascende 

Tanto  più  intorno  splende: 

E  in  suo  stupor  profondo, 

O  dell' uman  sapere  archimandrita, 

Più  ognor  ti  riverisce  e  plaude  il  mondo. 

Tu  spingesti,  com' aquila,  il  tuo  volo, 
Quasi  dicendo:  O  secoli,  venite 
A  queste  region  che  «on  per  voi  ; 
O  figli  della  terra,  al  mio  salite 
Aere  non  anco  per  alcun  tentato: 
E  i  secoli  e  i  monali 
Quel  magnanimo  grido  hanno  ascoltato, 
Ma  da  volar  con  te  non  avean  l'ali; 
E  d'etade  in  età  quel  glorioso 
Poema  quasi  ignoto  al  mondo  giacque; 
E  di  vuote  parole  e  di  trastulli 
L'Itala  Musa  a  lungo  si  compiacque; 
E  di  strane  ed  esangui  poesie 
Le  umane  menti  fur  piene  e  le  carte; 
E  dietro  a  tanto  esempio  unico  e  solo 
Il  pensiero  non  surse  e  rase  il  suolo. 

Ma  la  tromba  sonò  che  dal  letargo 
Profondo  risvegliò  la  neghittosa: 
S'udì  lo  squillo  in  pria 
Dal  subalpin  paese  ; 
E  rimbombar  s'intese 
Dalla  bocca  del  gran  Sofocle  d'Asti 
L' aspro  verso  e  tremendo  entro  le  sale 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI. 


225 


Dei  capaci  teatri; 

E  a  quello  squillo  con  rimbombo  eguale 

Rispose  un  altro  nell'ampia  Milano 

Entro  i  carmi  famosi,  onde  del  giorno 

Pur  cantate  le  parti, 

E  si  scosse  il  Lombardo 

Che  giaceva  nel  molle  ozio  infingardo: 

E  dell'  Italia  poi  per  ogni  dove 

S'udì  la  dolce  rima 

Del  Cantor  di  Basville, 

Che  poscia  di  giocondi  itali  versi 

Rivesti  r  implacata  ira  d'Achille. 

Ed  altri  cento  fecer  chiaro  al  mondo 

In  più  sereni  tempi 

Con  magnanimi  esempi 

La  Commedia  Divina; 

E  gl'itali  intelletti 

Corser  avidi  a  quel  cibo  robusto, 

E  si  formar  le  menti, 

E  l'italo  pensiere  ebbe  sua  veste, 

Suo  colore,  sua  impronta; 

E  si  gridò  da  cento  parti  e  cento 

Per  r ausonie  riviere: 

Al  gran  Padre  dell'italo  sapere. 

Esci  fuor  dalla  tomba,  o  Generoso, 
E  vedi  il  frutto  della  tua  semenza. 
Loco  non  v*è  tanto  romito  e  strano 
Dove  giunto  non  sia 
Il  chiaro  suon  della  tua  Commedia: 
Ogni  favella  della  eulta  Europa 
Gli  alti  tuoi  sensi  fa  chiari  ed  aperti  : 
Gli  strani  '  Coronati  han  per  costume 
Con  raro  esempio  e  degno 


i.  n  GioTuoi  di  Stcsonìa  ht  voi* 
»  pugno  la  DÌTÌo«  Commedia  in 
eschi   e    di    copioti  eruditissimi 


commenti  illustrato  spezialmente  U  cantica 
del  Paradiso  ;  lodatissima  versione  e  avida- 
mente letta  in  tutta  Germania. 


Bàlio.  Voi.  XIV. 


15 


226  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Suir  immortai  volume 

Vegliai;  le  notti  ed  aguzzar  T  ingegno. 

Tu  maestro  di  Europa  e  tu  del  mondo. 

Tu  seme  d'ogni  bella 

Arte,  e  tu  della  nostra  alma  favella 

Artefice  sovrano, 

E  tu  autore  primiero 

Della  dolce  e  robusta  poesia, 

Onde  s'onora  Italia  nel  cospetto 

Delle  genti  sorelle; 

Per  cui  può  dire  con  secura  fronte 

Agli  avversari  sui: 

Nel  bello  stile  e  nell'amor  dell'arti 

Da  veruno  giammai  vinu  non  fuL 

Giacea  V  Europa  e  il  mondo 
Dell'ignoranza  nell'error  profondo, 
E  sol  dai  cheti  chiostri, 
Dove  della  pietate  e  del  sapere 
Il  santo  foco  s'accoglieva  ancora, 
A  rischiarar  la  tenebrosa  notte 
Qualche  fiamma  talora 
Di  fuor  si  diffondea; 
Ma  tu  sorgesti,  v«iloroso  ingegno, 
Quando  più  fitte  e  crebre 
Suir  intelletto  umano 
Si  stendean  le  tenèbre; 
E  fosti  come  il  Sol,  che  la  natura. 
Che  parea  morta,  in  sul  mattino  avviva. 
E  la  luce  divina 

Di  questo  italo  Sole  alle  lontane 
Nazìon  si  diffuse, 

E  a  novello  saper  le  menti  schiuse. 
Né  sol  quanto  tesor  di  sapienza 
Fu  nei  passati  secoli  raccolto 
Tutto  ti  stava  nella  mente  accolto, 
Mfi,  come  un  inspirato, 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  227 

Nel  presente  pontando»  il  guardo  acuto 

Deir  intelletto  a'  tempi  ancor  non  nati 

Forte  spìngesti,  e  il  prezioso  seme 

Del  futuro  saper  lasciasti  al  mondo. 

Tu  l'avvenir  vedesti;  e  le  fraterne 

Ire  affogate  nel  fraterno  sangue, 

E  le  galliche  spade 

Invocate  sull'itale  contrade. 

Che  costar  tanto  sangue  e  tanto  pianto; 

E  colla  tua  robusta  alta  parola 

All'italiche  menti 

Aprir  volesti  di  virtù  la  scuola. 

Di  virtù  cittadina,  onde  la  patria 

S'aiuta  più  a'  fatti  onesti  e  grandi 

Che  di  stranieri  supplicati  brandi. 

Sempre  nella  memoria,  o  padre  Dante, 
L'affanno  tuo  m'è  fitto  e  il  molto  pianto 
Che  della  patria  sulle  rie  sventure 
Senza  posa  versasti. 
E  per  le  cerchie  dell*  inferno  oscure, 
E  per  lo  monte  santo 
Di  color,  che,  patendo,  toman  belli, 
E  per  fin  nel  sorriso 
Di  Beatrice  indiata 
Donde  pioveati  tanto  Paradiso, 
Questo  santo  dolor  entro  dal  fondo 
Dell'anima  sentivi; 
Né  t'accorava  tanto 
L'affanno  dell'esilio. 
Né  Tamaro  disprezzo  dei  Potenti, 
Né  Tira  delle  genti. 
Né  l'odio  della  patria,  che  da'  tuoi 
Lari  t'espulse,  e  le  minacce  dure, 
Che  nelT  orrida  valle 
T'avventò  dietro  alle  incolpate  spalle, 
Né  il  pane  che  sapea  di  tanto  sale 


i 


228  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Dei  Grandi  alteri  mendicato  a  frusto 

Per  r  odiose  scale, 

Quanto  di  questa  Italia  entro  dal  core 

Ti  traffiggea  '1  dolore  ; 

E  colla  voce  di  sant'ira  piena 

L'età  discorde  flagellar  t'intese 

Degrimi  i  vizi  e  dei  grandi  le  colpe, 

E  l'oscure  malizie. 

Invitando  ciascuno 

A  spogliar  gli  odi  maledetti  e  crudi, 

A  gareggiare  di  pietà,  di  studi. 

Di  generose  imprese; 

E  lo  stranier  che  viene 

Le  dolci  a  visitare  itale  arene 

Possa  dir:  ben  ne*  figli 

Passò  degli  avi  antichi 

La  virtude  e  il  valore,  e  in  sua  favella 

Ridica  altrui:  l'Italia  è  ognor  più  bella. 

O  sventura  ineffabile  e  feroce! 
Quel  Grande,  quel  Signor  dell'  intelletto, 
A  cui  scarso  era  il  mondo. 
In  suo  dolor  profondo 
Fu  a  ramingar  costretto 
Dalla  patria  proscritto, 
Come  l'uom  del  delitto. 
Ma  taci,  o  Musa;  né  le  rie  memorie 
Ricordar  dei  vetusti:  oggi  la  patria 
Emendò  largamente  quel  peccato. 
Forse  non  è  peccato:  è  la  severa 
Dei  tempi  onnipotenza:  è  la  divina 
Volontà  che  decreta  in  suo  consiglio 
Ai  grandi  la  sventura, 
Seme  di  gloria  e  di  virtù  futura. 
Ma  benedetta  in  tutti  i  tempi  e  in  tutti 
Gl'itali  cor  sia  la  pietà  di  Guido, 
Che  al  tosco  vate  e  onore  e  plauso  e  nido 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  229 

E  conforto  e  compianto  porse  -  e  pane, 
E  a  lui  dappresso  volti  amici  ei  vide, 
E  ospitai  posa  al  suo  morir  provvide. 
E  non  Musa  profana 

I  cantici  tremendi  t'  ha  inspirato, 
Onde  Signor  del  mondo 

II  passato  e  il  futuro  hai  raunato. 
Onde  sul  dorso  ai  secoli  passeggi 
Vincitore  del  tempo  e  dell'oblio; 
Ala  dal  seno  di  Dio 

Venne  tua  Musa;  e  del  Vangel  la  pura 

Morale  eterna  nell'arduo  cammino 

Ti  fu  lume  divino. 

Te,  quando  aperse  il  sommo  Sacerdote 

Le  porte  del  perdono. 

Te  la  gran  Roma  accolse 

Colla  pia  turba  dei  Cristian  devoti 

A  scioglier  preci  e  voti; 

E  a  veder  tanta  gente  ire  lo  scoglio 

A  dispogliarsi  delle  sue  peccata, 

Entro  le  celle  delle  mente  accese 

Ferver  sentisti  il  glorioso  tema 

Dell* immortai  poema, 

A  visitar  col  volo  dell'ingegno 

E  della  Fé  robusta 

Il  trino  e  vario  regno, 

Ove  il  pensier  non  falla, 

E  dove  giunge  ogn'uom  fatto  farfalla. 

Tu  riverente  delle  somme  chiavi 
Del  successor  di  Piero, 
Tu  delle  leggi  della  santa  Chiesa 
Osscrvator  sincero, 
Tu  dal  sen  della  mistica  Beatrice 
Suggesti  il  latte  dell'eterno  Vero. 
Più  che  l'ingegno  ed  i  profondi  studi, 
La  Fede  fu  che  sull'ali  potenti 


150  POESIE  DI  MILLE  AUTOftl 

Ti  portò  dentro  alle  scerete  cose, 
E  in  chiari  versi  e  nitide  parole 
Dell'auguste  dottrine  il  senso  apristi; 
E  su  di  cielo  in  cielo  per  le  stanze 
Dell'eterno  palagio 
La  secura  pupilla  in  Dio  fissasti; 
E  alla  madre  di  Dio  che  mane  e  sera 
Invocavi  propizia  a'  vori  tuoi, 
E  al  gran  Mistero  delle  tre  persone 
Che  una  sostanza  unisce 
Di  sotto  al  denso  impenetrabil  velo; 
E  agli  altri  molti  cittadin  del  Cielo 
Che  tu  con  Talta  fantasia  vedesti. 
Sublimi  inni  sciogliesti. 
Quella  è  la  fonte  dalla  qual  deriva 
In  copia  l'acqua  viva 
Onde  la  sete  naturai  si  sazia, 
La  Fede  io  dico  nelle  cose  eteme: 
Quella  Tuomo  solleva  oltre  natura, 
E  robuste  ali  aggiunge  al  suo  disio 
E  lo  avvicina  a  Dio; 
E  tu  pien  d'està  Fé  la  mente  e  il  petto 
Unisti  nel  tuo  nuovo  alto  poema 
Gioie  e  sventure  della  vita  umana, 
Vizio  e  virtude,  tenebre  e  splendore, 
I  veri  fatti  e  i  simulati  fatti, 
Saper  sacro  e  profano. 
Gli  anni  che  furo  e  quei  ch*ancor  non  sono. 
L'uomo  creato,  e  l'uomo  quando  fia 
Rinnovato  e  da  sé  tanto  diverso. 
La  terra  e  il  Ciel,  l'Italia  e  l'universo. 
E  tu  insegnasti  amor  vero  e  perfetto, 
A  sprezzar  la  beltade  ove  congiunta 
A  virtude  non  sia  e  ad  intelletto; 
Che  Tuom  non  fu  creato 
A  viver  come  bruto. 


IKTORHO  A  DANTE  ALIGHIERI.  23 1 

Ma  per  seguir  virtute  e  conoscenza. 

E  la  scura  procella  in  sua  rovina 

Eternamente  porta 

L'infelice  Francesca,  e  paga  caro 

Nel  suo  tormento  amaro 

Il  piacer  breve  del  non  dritto  aflFetto. 

Tipo  e  santo  modello 

D'amabile  vinude  è  la  tua  Bice, 

La  cui  bellezza  e  leggiadria  di  forme 

Coir  innocente  e  bella  alma  gareggia, 

E  degli  affetti  tuoi  siede  reina, 

E  forma  una  beltà  nova  e  divina. 

Io  quando  vidi  nella  tua  Fiorenza 
L'illustre  monumento, 
Che  la  tarda  pietà  de'  tuoi  nepoti 
T'innalzò  fra  cotanti  itali  egregi, 
E  vidi  il  tetto  umll  dove  nascesti, 
Te  beata  gridai,  Donna  dell'Arno, 
Occhio  d'Italia,  non  già  per  le  liete 
Aure  piene  di  vita  e  pel  sereno 
Cielo  e  i  colli  ridenti  e  il  suolo  ameno, 
E  per  gli  antichi  gloriosi  fasti, 
Ma  perchè  al  mondo  un  Alighier  donasti. 

Ecco  voglioso  anch'io 
Ad  onorar  la  tua  chiara  memoria, 
Porto  quel  che  mi  dice, 
I  voti  io  porto  e  il  riverente  amore 
Della  gentil  Trevigi, 
Dove  nel  duro  esiglio 
Segnar  ti  piacque  i  tuoi  santi  vestigi, 
Ch'alle  sorelle  italiche  cittadi 
S'accompagna  esultante  ; 
E  all'Italia  s'unisce  il  mondo  intero, 
Riconoscendo  in  te  la  prima  gloria 
Onde  l'uomo  è  capace; 
E  in  quante  or  sono  e  in  quante  ai  di  futuri 


2J2 


POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


Alme  saranno,  un  monumento  avrai 
D'animo  grato  e  di  lode  verace, 
Che  starà  finché  il  mondo  si  dissolva, 
E  tutte  cose  una  rovina  inveiva.* 

Faustino  Bonaventura,  trevigiano,  abate,  fu  ardente  cattolico. 
Coltivò  le  lettere  latine  e  italiane  e  fu  uno  dei  soci  ordinari  del- 
l'Ateneo patrio. 


'  QyiMto  inno  cosi  si  legge  a.  p«gg.  69- 
78  in  un  opuscolo  in-8  col  titolo:  AUtuo 
éi  Trtviso,  SoUmtu  tornata  pel   sesto  centt- 


natio  di  Dante,  14  maggio  i86f,   Treriso» 
stab.  tip.  AndreoU  Medesin. 


IKTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  2^3 


DCCXXIII. 

Enrico  Poerio  Capitano. 

Dante  nell'età  nostra. 
Terza  rima. 

(14  maggio  1865). 

0  precursore  dell'età  future, 
Che  a'  tempi  tuoi  spingendo  il  vivo  sguardo 
A  trovar  luce  in  fra  tenebre  oscure 

Con  alta  voce  e  con  pensier  gagliardo 
Tuonasti,  Ghibellin,  contro  un  potere 
Che  a  far  Cristo  tiranno  non  è  tardo, 

E  il  volo  sostenesti  dell'altere 
Aquile  che  nel  sen  d' Italia  antica 
Esser  mai  non  potranno  che  straniere; 

Or  pel  seme  novel  che  la  nutrica, 
E  ch'onda  è  in  pane  del  tuo  largo  fiume, 
Avresti  nuova  idea,  voce  più  amica. 

Tu  del  pensiero  tuo  nell'alto  acume 
Bando  al  Guelfo  daresti  e  al  Ghibellino, 
Che  italo  invan  pur  questi  si  presume. 

n  Guelfo  non  è  vero  cittadino. 
Che  due  poter  difende  in  uno  stretti, 
E  ond'è  che  tristo  è  il  popolar  destino. 

Ma  dimmi,  o  Ghibellino,  e  non  affretti 
Tu  del  paese  tuo  la  schiavitude. 
Se  le  ritorte  dell'estraneo  accetti? 


234  1>0ESIE  DI  MILLE  AUTORI 

La  morte  dell' ItaUa  in  sé  racchiude 
L' Impero,  o  vate  Ghibellino,  e  suono 
Ha  diverso  dal  tuo  quello  ch'ei  schiude. 

Perchè  libera  alfin  s'assida  in  trono 
La  patria  mia,  divin  poeta  e  nuovo. 
Vuoisi  che  più  su  lei  non  strida  il  tuono 

D*uno  stranier,  che  vi  facea  suo  covo. 
Né  d'un  Apostol,  che  di  Cristo  in  nome 
Avversario  di  Cristo  al  vero  io  trovo. 

Queste  due  forze,  che  già  fecer  dome. 
Di  guerre  e  paci  con  lunga  vicenda. 
Quelle  che  a  Italia  cinsero  le  chiome 

D'un  seno  che  conviene  le  si  renda. 
Queste  due  forze  dén  sparir  dal  mondo 
Perché  alfine  aspetto  unico  ella  prenda. 

Cosi  avverrà  che  in  lei  taccia  il  profondo 
Stimolo  che  i  comuni  ne  divise, 
E  che  di  quelle  due  forze  era  pondo. 

E  libera  sarà:  non  più  conquise 
Ne  potrà  le  potenze  far  dell'alma 
L'uom,  che  sedendo  in  Roma  al  cielo  arrise. 

E  indipendente  riavrà  sua  calma. 

Poiché  alfine  non  più  d'armi  straniere 
Temerà  l'urto  alla  compatta  calma. 

Ah!  se  potessi  tu  vivo  vedere. 

Come  dal  ciel  certo  veder  t'è  dato. 
Il  corso  che  novel  s'apre  ad  altr'ere; 

Ti  sentiresti  tu  forte  ispirato 

Ad  un  nuovo  poema,  che  più  degno 
Saria  del  nome  ond'  è  l'altro  chiamato. 


IHtORNO  A  DAMTB  ALtGBIERI.  335 

Tu  canteresti  sol  d'un  doppio  regno, 
Più  fedele  al  Signor  che  all'uom  di  Roma, 
Più  giusto  tra  Tuom  giusto  e  l'uomo  indegno. 

Daresti  al  fuoco  del  £illir  la  soma. 
Della  virtù  coroneresii  i  frutti, 
Poiché  ha  la  morte  la  creatura  doma. 

Tutti  di  Dite  correresti  i  flutti, 
Conteresti  del  ciel  tutte  le  stelle. 
Purgatorio  non  v'  ha  che  fiamma  erutti. 

Sacerdote  saresti  tu  di  quelle 
Pagine  del  Vangelo,  ove  sta  scritto: 
Le  buone  alla  mia  destra,  e  le  rubelle 

Anime,  che  si  perser  nel  delitto. 
Alla  sinistra  mia;  che  il  mondo  umano 
È  purgatorio  del  cammin  diritto. 

All'uomo  Dio  non  concedette  invano 
Dell'intelletto  il  libero  volere, 
Che  sceglie  l'empio  oprare  o  l'oprar  sano. 

Non  vorresti  tu  perdere  il  pensiere 
Delle  pecore,  fide  al  divin  sangue, 
In  un  mare  d'ubbie  tremanti  e  nere. 

Non  vorresti  che  in  lor  sitibond'angue 
L'amor  di  Dio  tornasse,  e  gran  paura, 
Ond'è  che  non  si  vive,  ma  si  langue. 

La  fé  di  Cristo  tu  vorresti  pura 

Da  ogni  arte,  che  al  monarca  il  papa  annoda, 
E  che  dell'uom  fa  schiava  la  natura. 

Sol  grideresti  :  ve*  come  s' inchioda, 
O  popolo,  per  te  Cristo  alla  croce. 
Come  su  quella  a  riscattarsi  ei  goda! 


236  POESIE   DI   MILLB  AUTORI 

Sua  fede  a  nostra  libertà  non  nuoce; 
Quella  d  nuoce  di  chi  re  si  dice, 
E  che  di  lui  non  parla  mai  la  vocel 

L'idolatrìa,  che  fa  Tuomo  infelice 

Del  proprio  inganno,  tu  bandir  vorresti, 
E  il  mercato  dall'aula  redentrice. 

Posciacchè  corse  di  Oocito  avresti 
L'acque,  tu  correresti  il  mar  del  cielo 
Col  battei  dell'idee,  ch'alte  ti  avesti. 

Tu  nell'inferno  puniresti  anelo 

Tutti  quei,  che  punirvi  già  ti  piacque. 
Della  rosa  del  ciel,  ch'eterno  ha  stelo, 

Al  bacio,  in  che  tuo  cuor  pria  si  compiacque 
Per  quella  Bice,  a  te  stella  infantile, 
L' Italia  innalzeresti,  che  se  giacque 

Dopo  lunghe  vittorie  e  parve  vile, 
Non  cessò  di  risorgere,  e  vincea 
Ogni  ostacol  maggior  che  le  fu  ostile. 

Si,  la  faresti  tu  immortale  idea 

Splendere  in  Paradiso  a  Dio  sul  volto. 
Che  Tuom  creando  una  patria  gli  crea. 

E  il  nuovo  Sol  del  vero  quivi  accolto 
Per  quella  penna  tua  precorritrice, 
Cui  sempre  l'occhio  Italia  ebbe  rivolto. 

Di  novello  avvenir  sarebbe  altrice 

Fiamma,  d'un  avvenir  che  ognor  s'immeglia 
Nell'onda  dell'età  ricorritrice, 

E  in  che  ognor  più  l'uman  pensier  si  sveglia.' 


'  Questo  componimento  cosi  si  legge  in  un        nell*  età  nostra,  terza  rima,  per  l'occasione 
opuscolo  in-8  di  pag.  6  col  titolo  :  Dants    1    delle  feste  del  maggio  1865,  pel  barone  En- 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  2)7 

Enrico  Poerìo  Capitano,  appartenente  a  distinta  famiglia  di  origine 
calabrese  (dei  baroni  Poerìo),  coltivò  le  lettere  e  la  poesia  con 
qoalche  genialità  ed  originalità.  Scrisse  molti  versi  d'occasione. 


rieo  Pomo  Gipiuno.  Firenze,  tip.  G.  Ma*  '  le  seguenti   parole  t   «  QjMntunqoe  ecritto 

fini,  1865.   Fu  ecrìito  nel  novembre  del  j  anteriormente,  non   estendo   ancore  stelo 

1 8(9.  L'autore  vi  pone  in  nou,  nel  pub-  .  dato  alla   luce,    pure   questo  canto  è  ao- 

blkarìi  nel  i86s  in  occasione  del  centenario,  >  concio  al  momento  che  corre.  ■ 


2^8  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCXXIV. 
Domenico    Carletti. 

Sonetti  danteschi. 

(14  maggio  1865). 

I. 

Risposta  di  Dante  alia  sua  Patria. 

Or  che  disciolto  dal  mortai  mio  velo 
Lungi  da  Lei  che  mi  fé'  tanta  guerra 
E  ripurgato  nell'ardor  del  cielo 
Nullo  livor  in  me  più  si  rinserra; 

Pace  abbia  pur  l'eccelsa  etrusca  terra 

Per  quel  ch*ora  ha  per  me  materno  zelo. 
Or  che  Dio  l'avvenir  ben  mi  disserra, 
Suoi  futuri  destin  io  non  le  celo. 

No,  non  sarà  più  timida  e  meschina, 
Né  di  forza  straniera  umil  ancella, 
Ma  dell'Italia  sederà  regina. 

Risplenderà  su  lei  l'antico  raggio 
Che  fra  le  belle  la  facea  più  bella 
E  i  suoi  nemici  ancor  faranle  omaggio. 

IL 

Opinione  deW  autore  intorno  alle  tre  belve  incontrate 

dallo  Alighieri  nel  suo  viaggio. 

Ben  volge,  o  Ghibellina  ombra  sdegnosa. 
Nella  sua  mente  inferma  idee  sconvolte 
Chi  alludere  a*  tuoi  vizi  affermar  osa 
Le  torve  belve  incontro  a  te  rivolte. 


INTORKO  A  DANTE  ALIGHIERI.  2)9 

Non  vizi  s'  ebbe  ma  virtudi  accolte 
L'  anima  tua  sublime  e  generosa. 
Si  squarci  il  velo,  e  1'  opinioni  stolte 
Stenebri  Verità,  dì  Dio  la  sposa. 

Al  patrio  suol  che  si  fu  teco  ingrato 
Coli' empia  Lonza,  alluder  vuoi,  ravviso; 
Col  Lion  a  Carlo  già  pe*  Guelfi  armato:  ' 

E  della  Lupa  la  tremenda  fame. 
Che  si  temesti,  del  tuo  esigilo  è  avviso 
Ch*  ond'  essa  è  stemma,  usci  il  decreto  infame.  ^ 


in. 

Da^^^tt  che  sorge  dal  monumento,  e  che  vedendo  i  rappresentanti 
delle  varie  città  S  Italia,  uniti  a  fargli  onore,  s*  allegra, 
e  predice  che  V  Italia  presto  s' avvierà  alla  felicità,  il- 
luminata dai  due  Soli  mistici  di  cui  parla  nella  Divina 
Commedia,  il  Papa  cioi  nello  spirituale  ed  il  Re  nel 
temporale. 

Dalle  cento  città,  drappel  cortese, 
Con  tanto  amore  ad  onorarmi  eletto. 
Dal  monumento  con  paterno  aflPetto 
L* ombra  dell'Alighiero  a  dir  imprese: 

Alfine  Italia  il  voto  mio  comprese. 
La  discordia  bandi  dal  patrio  tetto, 
I  diversi  ridusse  a  un  sol  concetto, 
E  dei  cento  formò  un  sol  paese. 

Ella  si  goda  a  libertà  risorta; 
Ma  pensi  a  rassodar  vieppiù  sua  sorte; 
Sopita  è  tirannia,  ma  non  è  morta: 

2     Otflo  di  ValoU.  I    donde    utd   il    decreto    di    esigilo   contro 

«^oou,  che  ha   p«r  emblema  la  Inpa,    |    Dante. 


240  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


Si  oprando,  allieterassi  al  chiaro  lume 
Dei  due  gran  soli,  che  le  diede  a  scorta 
La  provvidenza  dell*  eterno  Nume.  ' 


'  Vedi  a  jMg.  )$,  )6  e  70  in  :  Pm$U  del  1        Per  le  notizie  Uogrufichee  bibliograScbe 

caT. Domenico  Ctfletti.donore legale, mem-  I  del  Carletti  vedi  ■  peg.    $31  del  toL  VII 

bro  di  diverse  accademie  letterarie  d' Italia.  1  di  questa  Raccolta. 

Pesaro,  tip.  fratelli  Rossi.  z8b6.  I 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  24 1 

DCCXXV. 

Nereo  Mertghi. 

Pell*  erezione  del  monumento  a  Dante. 

(14  maggio  1865). 

Sonetto. 

Quando  col  suon  degl'  ispirati  accenti, 
D*  un'  invocata  civiltà  foriero, 

I  fraterni  d'  alterna  ira  frementi 
Rampognasti,  fatidico  Alighiero, 

Ahi  tcco  ramingò  fra  cieche  genti 
Incompreso  1*  altissimo  pensiero  : 
Ma  nel  giro  de*  secoli  fuggenti 
Trionfa  il  Giusto,  e  folgoreggia  il  Vero. 

Ecco,  auspicato  aitar  di  nostro  culto, 
S*  erge  un  marmo,  fra  plausi  a  te  devoti, 
Del  prisco  tempo  a  riparar  l' insulto  : 

E  valga,  o  Grande,  ad  appagar  tuoi  voti. 
Più  che  plauso  sonante,  o  marmo  sculto, 

II  concorde  voler  de'  tuoi  nepoti.  ' 

Kereo  Mcrighi  nacque  in  Verona  ti  1823;  studiò  nella  sua  città 

'J*^^*  e  prese  la  laurea  di  dottore  in  medicina.  Ha  parecchie  pub- 

*^c^^oni  dì  versi  per  nozze,  e  un  melodramma  Isabella  Orsini,  in  tre 

*^^    e  prologo  (Verona,  1S66).   Occupò  parecchie   cariche  civiche, 

^^^ando  specialmente  l'istruzione    pubblica.  Morì    in  Verona  il   15 

**^enibre  1879. 

^      '   Qpctco  looctto  coti  si  leg^e  a  pag.  2$  in  un  libro  col  titolo  :  .4lhp  damttsco  vtromne. 
"'^^•«o.  tip.  Lombardi  A.,  iftés. 

Oli  BufO.  VoL  XIV.  16 


142  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 


DCCXXVl. 
F.  S. 

A  Dante  Alighieri. 

(f4  maggio  1865). 
Sonetti. 

I. 

Fu  certamente  Iddio,  che  non  sofferse 
L*  atroce  oltraggio,  e  Y  ossa  tue  difese 
Da  chi  nemico  del  gentil  paese 
Le  volea  dissepolte,  e  al  vento  sperse. 

Fu  Iddio,  che  a  prò  comune  i  sensi  aperse 
Del  tuo  poema,  e  ognor  più  sacro  il  rese; 
Iddio,  che  le  fallite  ire  ed  offese 
Del  falso  zelo  a  gloria  tua  converse. 

É  Iddio,  che  di  crear  sola  una  mente 
Ne'  cittadini  dell'  Italia  mia, 
Oggi  ^*  tuoi  detti  la  virtù  consente, 

Perchè  si  strugga  delle  turpi  some 
Pur  la  memoria...  Or  chi  negar  potrìa 
A  te  e  al  tuo  canto  di  divino  il  nome? 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  243 

IL 

A  Volìaxrt 
pel  suo  giudixio  sulla  Divina  Commedia. 

Vieni  ed  apprendi  quanto  fu  possente 
Del  sacro  canto  la  severa  rima. 
Tu  che  dicesti  un  di  con  losca  mente, 
Soverchio  il  culto  onde  fra  noi  s'estima. 

Gran  vanto  è  certo,  eh*  or  1*  estrania  gente 
Scorga  tesori  non  veduti  in  prima, 
E  conosca  ella  pur,  che  il  sapiente 
Cantor  toccò  d'  ogni  saver  la  cima. 

Ma  vai  ben  più,  che  la  dottrina  ascosa 
«  Sotto  il  velame  delli  versi  strani  » 
Oprasse  alfin  tanto  mirabii  cosa: 

La  concordia  comun  che  i  figli  rese 
Maggior  degli  avi,  gì*  intelletti  sani, 
Forti  i  voler,  magnanime  le  imprese.  ' 
t 
F.S.  (cioè  Filippo  Salomoni)  nato  in  Verona  il  2^  novembre  1801, 
^^<iiò  il  diritto.  Dal  1825  professò  procedura  civile  e  ordinamento 
Kjudixiario  ncir  Università  di  Padova.  Ebbe  gioventù  agitata  e  dure 
^*^^ndc  nella  vita:  schietto  liberale,  nel  1866,  lece  parte  della  Giunta 
^^V'xrisoria,  che  resse  Padova  fino  all'  arrivo  del  commissario  regio. 
^^^^issimo  giureconsulto,  egli  f^  consulente  ricercato  e  stimato  assai. 
^^    Hanno  di  lui:   DeW  influenza   degli  studi  nel  benessere   dei   giovani 
j^^^rona,  1822);  Sulla  tucessità  di  promuovere  nella  provincia  veronese 
^Sgrassamento  digli  aniimdi  bovini  (Verona,  1824);  La  spada  ruggi- 
*P^«»  versione  di  un  carme  latino  di  Tommaso  Ceva  (Padova,  1826); 
r^  Pau  di  ViUafranca  e  U  genti  venete^  epistole  (Torino,  1859);   Una 
*^iOft^  di  procedura  civile  (Padova,  1872);  A  Francesco  Petrarca    nel 
CiniUnario  della  sua  morte.  Sonetti  (Padova,  1874),  e  altre  pubbli- 
^a«ioni  minori.  Mori  il  4  agosto  1888. 

'  QmmI  toactd  coti  il  leg^poo  a  pagg.  36-27  àtàVAÌbo  danUtco  xtrowst,  già  ctuto. 


244  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

DCCXXVII. 
Ramazzini  P.  Vincenzo. 


La    Trilogia    di    Dante. 

(14  maggio  1865). 

Sonetti. 

I. 

Inferno. 

E  chi  è  costui  che  fremebondo  dira, 
Coir  intrepida  fé  che  lo  governa, 
Sol,  contro  un  mondo  che  in  furor  delira. 
Arbitro  sta  con  la  virtù  superna? 

Questi  che  al  buio  de  la  selva  d'ira 
Spalanca  ai  tristi  V  infernal  caverna, 
Che  il  vindice  flagello  intorno  gira 

E  li  travolge  nell'infamia  eterna? 

Questi  è,  Italia,  il  tuo  Vate;  ei  del  feroce 
Giusto  dispetto  a  popoli  e  a  potenti 
Va  fulminando  la  terribil  voce: 

E  di  quei  carmi  liberi  ^e  frementi, 

Sprone  ai  codardi,  ai  rei  supplizio  atroce. 
Tutte  le  età  ripeteran  gli  accenti. 

IL 

Purgatorio. 

Volge  lontan  da  le  terrene  sponde 
L'  esul  cantore  a  un*  Isola  solinga, 
E  dopo  un  lungo  mareggiar  suU*  onde 
V^i  cala  il  volo  de  la  prua  raminga. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  245 

Qui  ai  miti  abitator  che  in  seno  asconde 
Un'aura  sacra  il  sospirar  lusinga, 
Sol  di  flebili  canti  un  suon  si  effonde 
E  par  che  tutto  a  la  pietà  costringa. 

Ma  quei  mesti  a  blandir  qualche  immortale 
Talor  discende,  e  coli'  afflitta  schiera 
Scambia  il  sospiro  degli  affetti  e  il  vale. 

E  il  Poeta  li  canta.  Oh  la  sincera 
Voce  del  cor  che  sola  esprimer  vale 
L'Amor  che  soffre,  e  la  Virtù  che  spera! 

IH. 
Paradiso. 

Tratto  al  desir  che  V  alta  via  gli  sterne, 
Al  fantastico  voi  Tali  distende 
L*  inclito  cigno,  e  via  per  gli  astri  ascende 
Oltre  i  confin  de  le  region  superne. 

A  interrogar  le  meraviglie  eterne, 

Gli  è  guida  Amor  che  più  capace  il  rende, 
E  in  ogni  del  eh'  esplora  e  ogiior  più  splende 
Gli  spirti  eletti  in  vivi  rai  discerne. 

Sfavillanti  di  luce  e  d'esultanza 
Mille  divi  osannando  al  lor  Desio 
Vede  rotarsi  con  perpetua  danza. 

E  anch' ei  raccolto  in  quel  tripudio  pio 
Il  gran  Trionfo  a  contemplar  s'  avanza, 
Fissa  lo  sguardo,  e  lo  consuma  in   Dio.  ' 

Vincenzo  Ramazzini  nacque  a  Padenghe  in  provincia  di  Brescia 
il  27  settembre  1825.  Si  diede  agli  studi  ecclesiastici;  fu  ordinato 
prete.  Fu  per  qualche  tempo  professore  di  lettere  italiane  nel  ginnasio 
di  Verona.  È  autore  di  lodate  poesie,  che  tgli  raccolse  nel  volume: 
Armonie  liriche  (Verona,  1889).  Mori  il  13  maggio  1897. 

'  Qacsd  sonetti  coti  ti  leggono  a  p«fg.  28-30  dcir.^i^o  dantesco  veren*u,  gU  citato. 


246  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 


DCCXXVIII. 

Fra  Giovanni  da  Verona. 

Sonetti. 

(14  maggio  1865). 

I. 

Ritratto   di   Dante. 

Di  tre  mondi  pittor,  d'  ogni  scienza 
Inclito  lume,  artefice  sovrano 
Del  sublime  e  del  bello,  in  cui  V  umano 
Genio  par  quasi  angelica  potenza; 

Di  virtù  vera,  e  d'  ogni  pia  credenza 
Sostenitor,  che  punì  sempre  il  vano 
Fasto,  e  crebbe  vergogna  al  vizio  insano 
Con  tai  verghe,  che  ognun  n'  ebbe  temenza; 

Mentr'  ei  nulla  temea  spirto  severo, 
Ma  generoso  insieme,  e  dolce  amico 
Di  quanti  aveano  il  cor  netto  e  sincero; 

Questo  è  il  divo  Alighieri...  la  cui  parola 
Lega  il  mondo  moderno  al  mondo  antico, 
E  di  due  grandi  età  forma  una  sola. 

II. 
La  scuola  di  Dante. 

Avido  sempre,  e  insaziato  ai  carmi 
D*  Alighiero  m'  accosto,  e  dal  convito 
Di  quel  Vate  divin  non  so  cessarmi, 
Ch'ivi  tutto  ha  sapor  quasi  infinito. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  247 

Solo  fra  gli  altri  vati  ei  valse  a  trarmi 
In  signoria  di  sé;  solo  ha  ferito 
D*  ogni  parte  il  cor  mio,  che  di  quell'  armi, 
Belle,  quant'  altre  mai,  sento  invaghito. 

Oh  nerbo,  o  vita,  o  signoria  del  canto! 
Quando,  in  luce  d'  amor  vera  e  sublime. 
Pura  gioia  è  la  gioia,  e  il  pianto  è  pianto. 

Questa,  oh  questa  è  la  scola,  itali  vati, 
Onde  in  vera  beltà  vassi  a  le  cime, 
A  cor  di  poesia  serti  onorati! 

III. 
//  cuore  di  Dante. 

Oh  il  bel  cor  d' Alighiero  I...  impietosito. 
Per  vivo  aflFetto,  alle  miserie  altrui, 
Tal  ne  svolge,  cantando,  il  colorito, 
Che  ognun  s'accorda  a  lagrimar  con  lui. 

Perchè  Francesca  il  cor  gli  ha  tramortito. 
Tutta  l'ambascia  ne  trasfonde  in  nui; 
E  per  ciò  stesso  in  tal  fama  è  salito 
L' infelice  Ugolin  co'  figli  sui. 

Oh  !  il  bel  cor  d*  Alighier,  che  in  Paradiso 
Tutto  vede,  e  contempla,  e  intende,  e  gode. 
Ma  negli  occhi  soltanto,  e  nel  sorriso 

Dell'amata  sua  donna!...  a'  cui  sembianti. 
Poi  che  scarsa  gli  parve  ogn' altra  lode. 
Die'  per  corona  in  cielo  angioli  e  santi. 

IV. 
Dante  e  V  Italia, 

Sorge  tra  '1  suon  di  barbare  favelle 
Nella  città  de*  fior,  qual   per  incanto, 
Dante,  il  divo  Poeta,  e  di  novelle 
Forme  e  suoni  rivive  e  lingua  e  canto. 


248  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

E  già  ricca  è  la  lingua,  e  da  le  stelle 

Par  sceso  il  Vate,  che  di  nuovo  ammanto 
Veste  la  patria  Musa,  e  tra  le  belle 
Fa  che  niun'  altra  sia  bella  altrettanto. 

Italia,  Italia  mia!...  non  volger  mai 
Da  quel  tuo  sol  di  sapienza  il  ciglio 
E  sempre  cari  a  te  splendan  que*  rai!... 

Che  quante  volte  abbandonasti  i  lumi 

Di  quel  grande,  languir  nerbo,  e  consiglio, 
Begli  studi  e  scienze,  arti,  e  costumi! 

V. 

Amor  di  Religione  e  di  Patria  in  Dante. 

Religione  e  Patria  eran  gli  amori. 
Che  profondi  ed  acuti  arsero  il  petto 
Di  Lui,  ch'esule  andò  dal  patrio  tetto. 
Vittima  eccelsa  di  que'  santi  ardori. 

Indi  piobbe  la  luce,  indi  i  colori 

Su  l'immenso  Poema,  ove  il  concetto, 
Preso  vigor  dal  concitato  affetto, 
S'alza  gigante,  e  signoreggia  i  cori. 

Con  tai  penne  montò  l'itala  scola 
E  r  apogeo  dell*  arte  in  Alighiero, 
Né  con  diverse  penne  oggi  si  vola; 

Che  qual  per  altra  via  si  spinga  al  segno. 
Mai  te  raggiunge,  o  divin  Bello,  intero, 
E  si  dibatte  invano  ala  d'ingegno.  ' 

Fra  Giovanni  da  Verona,  cappuccino  Jella  provincia  di  Trei 
al  secolo  Andrea  Bonuzzi,  nacque  il  1804,  morì  V  1 1  luglio  1885. 
socio  dell'Accademia  degli  Ai:,iati  di  Kovereio.  Moltissimi  sonetti  di 
si  trovano  negli  Atti  di  quell'Accademia  (vedi  anni  1883,  1885,  I9< 


*   Questi  sonetti  così  si  leggono  a  pogg-  31-3S  àcWAlbo  danttuo  '^trontUp  già  cttat 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  249 


DCCXXIX. 
G.  L.   P.vruzzi. 

L'Arte    e    Dante. 
(14  maggio  1865). 

V  arie 
(prima    di    Danto). 

Quando  nascesti  ?  Del  pensier  coi  voli 
Cominciaro  i  tuoi  voli  interminati! 
Posasti  a  Menfi  in  suli'aeric  moli. 
Opra  di  cento  popoli  ignorati. 

Ti  vide  il  Sina  e  ti  scaldaro  i  soli 
Del  ritnoto  Imalaja,  onde  spiegati 
I  poderosi  vanni  ad  ambi  i  poli 
Recasti  il  Verbo  degli  umani  fati. 

Che  lungo  amor  de  l'Eliade  ti  vinse! 
Ed  essa,  cui  cingesti  ali  cotante, 
In  amplesso  fecondo  a  te  si  strinse. 

Roma  corse  nell'  alto  il  tuo  sembiante 
E  quando,  o  casta,  il  suo  fango  ti  attinse, 
Volasti  al  bacio  redentor  di  Dante. 


250  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

I. 

Nicola   Pisano 
(scult  ura). 

Anno  milleoo  centum  bis  bitque  trideno 
Hoc  opus  insigne  sculpsit  NleoU  Pisanns. 

Ben  della  bizantina  arte  l'insidia 
Tentò  la  fiamma  nel  tuo  petto  accesa. 
Al  prode  ingegno  fé'  tremenda  oflFesa 
La  ferità  del  secolo  e  l'invidia. 

Ma  tu  sfidando  ogni  mortai  perfidia 
Mirasti  in  alto  e  di  lassù  t'è  scesa 
Tanta  virtude,  che  nell'  ardua  impresa 
Di  rinnovar  fra  noi  Tetà  di  Fidia, 

Fosti  tu  primo;  ed  or  convien  che  abbassi 
Il  capo,  a  tue  stupende  opre  dinnante, 
Lo  strano  che  pei  lidi  itali  passi. 

E  un  di  vider  quell'opre  un  meditante 
Genio  arrestarsi  e,  contemplando,  i  lassi 
Propositi  allenar  l'alma  di  Dante. 

IL 

Giotto 

(pittura). 

...  ha  Giotto  il  grido. 

Ei  se  ne  stava  sovra  un  colle  assiso 

Guardando  un  branco  di  paterne  agnelle, 
L'azzurro  cielo  d'infinito  riso 
Parea  vestir  tutte  le  cose  belle. 

Di  tratto  a  un'agna  il  grande  occhio  tien  fiso. 
Che  disgiunta  giacca  da  le  sorelle, 
Da  un'armonia  di  linee  conquiso, 
Ond'ei  divina  la  virtù  d'Apelle. 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  2SI 

E  sulla  pietra  le  segnò,  T  indotto. 
Tal  che  seco  lo  volle  un  viandante, 
Che  all'arte  il  crebbe  e  gli  restò  di  sotto. 

Di  natura  discepolo  costante, 
Eterna  e  bella  nominanza  ha  Giotto; 
Né  gloria  ultima  a  lui  Tamor  di  Dante. 


III. 

Casella 
(musica). 

Che  mi  solca  queiar  tutte  mie  voglie. 

Involare  io  vorrei  per  farti  festa 

Le  note  all'usignol,  gli  olezzi  al  fiore, 

O  fra  tutti  dolcissimo  cantore, 

Che  gU  quetavi  in  petto  la  tempesta 

Melodiando  con  la  voce  mesta: 

a  Donne  che  avete  intelletto  d' amore,  » 

SI  ch*ei  sentia  riviversi  nel  core 

Le  grazie  e  il  riso  de  la  donna  onesta. 

Il  fascino  dei  canti  e  del  liuto. 
Colle  aurette  balsamiche  vagante. 
Per  le  piagge  fiorite  andò  perduto; 

Oh!  ma  perdute  non  andar  le  tante 
Angeliche  dolcezze,  onde  hai  saputo 
Ammaliar  la  fantasia  di  Dante. 


2  52  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

IV. 

Gaia  scieitT^a 
(riforma). 

Si  l'oa  me  demAnde  à  qui    mei   eh 
t'adressent,  j'en  fais  un  tnystère. 

Ug9  di  Brani 

Trema  il  léuto,  d'amorosi  omei 
Risonano  i  palagi  ed  i  manieri, 
Maraviglian  le  dame  e  i  brandi  rei 
Depongono  stupiti  i  cavalieri. 

Nelle  corti  vagando  e  pe'  tornei, 
Che  mai  cercate  voi  mesti  trovieri? 
Qual  amore  vi  spira  e  do^'e  è  Lei, 
La  donna  arcana  de'  vostri  pensieri  ? 

La  donna  arcana  dentro  il  petto  ha  regno. 
Non  osa  il  labbro  nominarla  e  frante 
Sarien  le  corde  che  ne  desser  segno; 

Che  di  fisarsi  ne  le  luci  sante 
Il  secolo  feroce  non  è  degno, 
Se  noi  gastighi  il  verso  igneo  di  Dante! 


V. 

Monaci 

(codici). 

Dottor  Mariano 
È  il  veder,  di  qui,  profondo. 
All'eterno,  in  mezio,  e  «1  mot 

Nuota  lo  spirito. 

(Goethe,  Fautt.  II  P: 

Di  catafratti  popoli  son  irti 

Gl'itali  campi  dove  scorre  il  sangue, 
Intorno  gira,  insidiando,  un  angue 
Che  avvelena  le  spade  e  attosca  i  mirti. 


INTORKO  A   DANTE  ALIGHIERI  253 

Voi  paurosi  de  le  orrende  sirti 
Ove  una  gente  impera  e  l'altra  langue. 
Ne  Tasil  riparate  in  che  l'esangue 
Virtù  s'aflForza  e  a  Dio  salgon  gli  spirti. 

In  che,  con  voi,  racchiudesi  un  tesoro 
D'antico  senno  e  di  leggende  sante. 
Che  vegliate  in  assiduo  lavoro. 

Oh  benedetto!  il  cielo  alto  e  fiammante 
A  ragione  t'aperse  e  il  lieto  coro, 
Più  che  il  cenno  papal,  quello  di  Dante! 


VI. 

Beatrice 

(amore). 

Amor,  che  a  cor  gentil  ratto  s'apprende. 

Forse  in  celeste  vision  rapita 
Creotti  la  novenne  alma,  o  fanciulla; 
Ma  non  certo  sperò  che  mai  largita, 
Beatrice,  tu  fossi  a  umana  culla. 

Quando  apparisti  splendida  di  vita 
Terror  lo  colse,  indi  senti  la  brulla 
Fecondarsi  esistenza  e  un'  infinita 
Plenitudine  d'astri  uscir  dal  nulla. 

Guardò  la  terra  che  te  sostenea, 
Di  beltà  sovrumana  radiante. 
Ed  angusta  la  vita  e  troppo  rea. 

AUor  nel  capo  del  divino  amante 
Surse,  smagliando,  una  superba  idea. 
Ed  un  cielo  fu  fatto,  il  ciel  di  Dante. 


254  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

L'arte 
(dopo   Dante). 

Poi  che  il  suo  bacio  ti  redense  e  forti 
Di  nove  tempre  ti  sentisti  1*  ale, 
Ferocemente  perseguisti  il  Male, 
Spegnendo  i  vivi  o  suscitando  i  morti. 

Ricca  di  novi  amor,  novi  conforti, 
Per  te,  diva  pietosa,  ebbe  il  morule; 
Ed  or,  veloce,  su  lucenti  scale. 
Verso  il  Ben  ch'egli  anela  e  tu  lo  porti. 

Deh,  giammai  non  s'  arresti  !  Il  riso  tristo 
D'Amleto  e  Fausto  il  punga,  e  il  trionfante 
Inno  lo  spinga  della  fé  di  Cristo! 

E  allor  che  tu  vedessi,  al  trepidante, 
Cessar  la  brama  del  divino  acquisto, 
A  lui  l'Inferno,  allor,  mostra  di  Dante.  ' 

Luigi  Gaetano  Patuzzi,  letterato  e  rimatore,  nacque  a  Bardolino, 
sul  lago  di  Garda,  nel  1 842.  A  diciotto  anni  fu  costretto  ad  emigrare 
a  Torino,  dove,  non  ostante  mille  strettezze,  continuò  i  suoi  studi. 
Nel  1871  venne  nominato  professore  di  storia  e  geografia  nell'isti- 
tuto tecnico  di  Verona,  e  poi  di  belle  lettere.  I  suoi  romanzi,  come 
Volo  d'Icaro  e  Diana  Lionard^  sono  dimenticati,  ugualmente  che  i 
suoi  versi  Erbacce  e  Bolle  di  sapone.  Sì  possono  leggere  con  utile  e 
diletto  le  sue  biografìe  del  Dupré,  del  Gazzoletti,  del  Betteloni  e  di 
Caterina  Bon-Brentoni. 


*  Questi  otto  sonetti   così  si  leggono  a.  pagg.  36-4)  dciV Albo  damltsco  veroius*,  già 
dtato. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  255 

DCCXXX. 

N.    Vecchietti. 


Dante. 

(14  maggio  1865). 

Al  retto,  al  bello  dell'eterna  Idea, 
I  mirabili  informa  alti  disegni, 
E  di  saper  quell'universo  crea 
In  cui  stancano  il  voi  tutti  gl'ingegni. 

Censore  austero  sulla  turba  rea 
Folgori  piove  di  sublimi  sdegni 
Ed  inebbrìa  lo  spirto,  i  sensi  bea 
Dove  a  santa  milizia  infiora  i  regni. 

Mente  sovrana  ogni  cagion  penetra, 
E  la  possanza  della  sua  parola 
Tutto  scuote,  ravviva,  abbatte,  e  spezza. 

Ei  levò  al  cielo  dall'  abbietta  culla 

La  favella  e  il  pensier,  sua  gloria  è  sola 
Com'  ei  fu  solo  a  edificar  dal  nulla.  ' 

Nicolò  Vecchietti  di  Coloffna  Veneta,  nato  il  26  aprile  1801, 
morto  il  17  ottobre  1871,  fu  accademico  della  Crusca.  Stampò  un 
poema  in  tre  canti  II  Baco  da  seta  (Milano,  1846);  le  Versioni  bibliche 
(Vicenza,  1853).  Tradusse  pure  alcune  Odid\  Orazio  (Padova,  1880). 
Scrìsse  una  tragedia  intitolata:  //  Pascià  di  Giannina  e  altre  poesìe.' 


*  QlMHO  sonetto  cosi  leggesi  a  pag.  44    '    vtiuta,  Venezia,  1B76,  apagg.  391-391  e  lo 
èii'Jlèo  iénttuo  vtrontM,  già  cit.  '    stesao  Cardo.  Vita  t optn  diVUolò  VécchUtH, 

*  Vedi  in:  G.  Gudo,   Storia  di  Ctlogns    j    Saggio  biografico- critico.  Kovara,  1893. 


2S6  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

DCCXXXl. 

C.    PUPPA. 


A   Dante   Alighieri. 

(14  maggio   1865). 

O  gran  Padre  Alighier,  se  vera  è  fama 
Che  deiresiglio  negli  amari  passi 
Quest'amena  Città  ch^ Adige  pane 
Te  di  tetto  ospitale  e  di  possente 
Signoria  proteggeva,  e  colle  vive 
Aure  del  cielo  suo  gli  estri  raccese 
Nel  tuo  petto  magnanimi,  e  più  allegre 
L'ire  ti  fece  nel  Poema  Sacro; 
Vuoi  Tu,  gran  Padre,  rammentar  quegli  anni, 
E  dalla  sede  degli  eterni  allori 
Mandar  sopra  l'antica  ospite  un  guardo 
In  questo  di  ?  —  Per  tutta  Italia,  vedi, 
Fumano  incensi,  e  un  cantico  si  leva 
Al  tuo  nome  superbo,  e  Re  t'adora 
Degli  altissimi  canti;  —  e  fra  le  cento 
Inneggianti  Citti  la  Patria  mia 
Effigiate  in  simulacro  attolle 
Le  tue  sembianze  sotto  aperto  cielo, 
Che  l'arco  sol  del  firmamento  è  degno 
Di  ricoprire  V  immortai  tuo  capo. 
Questi  siti  rimira  e  le  fatiche 
Dei  secoli  novelli.   —  In  seno  ai  colli, 
Diadema  gentil  della  sua  fronte, 
E  sino  ai  lembi  de'  suoi  verdi  piani 
Guarda  quante  eruttar  bastite  immani 
E  rócche  e  torri  di  minaccia  piene. 
Lugubre  cinto  alla  serena  altrice 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  257 

Di  giulivi  figliuoli  1  —  Anco  daccanto 
Al  nostro  ultimo  asilo  orrida  veglia 
Dall'alte  gole  della  sua  vedetta 
La  paura  di  guerra.  —  Un  cittadino 
D'arti  tesoro  in  lunghi  anni  prepara 
Di  cippi  e  d'urne  e  monumenti  ornata 
Cinta  custode  della  nostra  polve: 
Ma  dal  grembo  degli  anni  una  cruenta 
Alba  rinasce,  e  i  suoi  tetti  prostrati 
Vede,  e  Tonor  delle  colorfne  e  gli  archi 
Dalla  saetta  della  guerra  eversi, 
E  della  polve  eccidiale  il  nembo 
Contaminar  gli  scoperchiati  avelli, 
E  l'ugna  dei  cavalli  innebriati 
Scalpitar  sulle  nostre  ossa  dormenti. 
Pur  non  è  questo,  o  Padre,  ira  e  paura 
Tra  i  fratelli  che  il  mare  e  l'Alpe  serra, 
Qual  di  tua  Musa  il  ghibellino  affanno 
Rimpiangeva  fremente  ed  invocando 
La  sella  e  il  freno  del  Tedesco  Alberto. 
Son  le  risse  civili  e  le  funeste 
Lotte  già  spente,  il  sai,  che  dimembrato 
Hanno  il  gigante  e  ne  spezzar  la  possa, 
E  dal  battesmo  del  comun  dolore 
Germogliò  la  concordia.  E  il  di  nascendo 
Ornai  dall'Etna  alla  gioconda  riva 
Dell'altero  Benaco  un  sol  rischiara 
Italo  Regno.  E  poserà  il  suo  core 
Nella  tua  culla,  se  inspirar  Io  possa 
A  magni  spirti  e  a  palpiti  divini. 
Però  che  in  grembo  di  fecondo  suolo. 
Pur  negletto  talora,  apre  Natura 
Eletti  semi,  e  piante  erge  superbe, 
E  sotto  il  cielo  che  perenne  allieta 
De*  suoi  vividi  rai  nitido  il  sole 
Regna  la  fiamma  dell'ingegno  eterna, 

Du  B4tfo.  Voi.  XIV.  17 


258  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

E  coir  antica  polvere  dei  Grandi 
Novelli  Grandi  l'avvenir  procrea. 

Ma  in  poco  addensa  opre  sublimi  il  foco 
Di  sua  virtù  Natura  e  crea  portenti 
Nelle  primiere  età:  —  dirada  il  tempo 
E  attenua  i  raggi,  e  li  comparte;  e  volti 
Al  tramonto  i  supremi  astri,  più  mite 
Lampa  di  civiltà  splende  diffusa 
Neir  universo  popolo.  —  La  mente 
E  il  cor,  gran  Padre,  che  tu  solo  avesti 
Più  redivivi  non  vedrà  la  terra, 
Perchè  nel  sen  d'  innumeri  nepoti 
Per  lunghe  età  scintillano  dispersi. 

E  cogliea  del  tuo  Genio  una  favilla. 
Ad  avvivar  le  splendide  sue  larve 
Il  Poeta  d'Orlando  e  di  Ruggiero. 
Il  novator  tuo  cantico  Cristiano 
Spirò  la  tromba  onde  immortali  e  cari 
Suonan  l'armi  pietose  e  il  Gran  Sepolcro; 
E  al  pio  fervore  del  Cantor  d'Adelchi 
Colla  tua  fede  liberasti  il  volo. 
Ai  paurosi  strali  onde  erompea 
Della  tua  bile  sovrumana  il  vampo 
E  di  patria  l'  amor,  Vittorio  attinse 
Il  folgorar  della  sua  nova  Euterpe: 
Bevve  Parini  V  ironia  sublime; 
E  la  Musa  sdegnosa  Ugo  nutria 
Che  dei  sepolcri  la  pietà  civile 
E  il  culto  scosse  dal  codardo  obblio; 
E  Aleardo  temprò  d' Italia  nova 
E  della  nova  libertade  il  verso. 

Itale  gemme  della  tua  miniera 
Son  queste:  esulta,  o  spirto  Creatore, 
Che  il  seme  tuo  nei  secoli  discende, 
E  istoria  ancor  di  gloriosi  altari 
E  d*  inni  avrai  dal  popolo  futuro. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  259 

Non  isdegnar  dei  memori  figliuoli 

Il  pio  tributo  se  ti  par  nei  petti 

Dei  prisco  oprar  la  gagliardla  prostrata. 

Son  nei  tepidi  cuori,  è  ver,  più  lente 

Deli'  onor  le  superbie  istigatrici, 

Chino  dei  voti  e  degli  affetti  il  segno, 

E  tra  povere  stoppie  e  sterpi  ignudi, 

Per  sentier  desolato,  egra,  negletta, 

E  solitaria  la  vinù  sospira. 

Mentre  solo  ogni  premio  usurpa  Toro, 

E,  di  se  guiderdon,  crescendo,  accentra 

Fatai  magnete  ogni  splendore  umano. 

Ma  non  alligna  una  virtude  in  terra 

Senza  rampollo  che  non  sia  peccato, 

Ed  ogni  età  di  popolo  si  noma 

Pur  da  una  colpa.  —  Né  la  speme  è  tolta 

D' alti  destini  :  che  se  amor  cotanto 

Di  sapienza  e  di  viril  favella 

Ridestaro  i  tuoi  canti;  un  di  secondo 

Ai  valenti  pensier  fia  che  ritorni 

Delle  geste  il  vigor;  poi  che  operosi 

Nello  spirito  uman  fremono  i  germi 

Della  parola  e  informano  la  vita. 

Come  il  fiotto  del  vento  a  primavera 

Le  fonti  avviva  di  natura  occulte. 

Il  di  verrà  che,  qual  ti  palpitava 

Nel  sentimento  dell'ambascia  arcana, 

La  patria  tua  rifulgerà  nel  mondo. 

E  come  contemplando  il  suo  Creato 

Nelle  perfette  cose  Iddio  si  piacque, 

Alla  Figlia  regal  del  tuo  sospiro 

Sorriderai  dell*  immortai  sorriso.  ' 

Cesare  Pappa,  avvocato  veronese,  nacque  il  i8i  i,  morì  nel  1868. 
*  hanno  di  luì  alcuni  versi  dì  occasione. 

Qpmi  nrsi  cosi  ti  leggono  «  p^gg.  4S-49  dell'^i^  ianUtco  tteromst,  già  cit. 


lÓO  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 


DCCXXXII. 
ANTONiE'n'A  Dal-Covolo  Mestre. 

Ad    ERKflNlA    FUÀ    FUSINATO. 
(14  maggio  1865). 

Ecco  il  sole  d'Italia,  il  sol  che  indora 
Di  Fiesole  le  magiche  colline, 
E  più  soave,  Erminia,  e  più  lucente 
Oggi  riflette  sulla  tua  cittade. 

O  d'Allighiero  immane  ombra  t'innalza. 
In  questo  giorno  la  tua  terra  esulta 
Dall'  Alpi  air  Etna,  e  al  tuo  gran  nome  educa 
I  serti  immarcescibili  ed  i  carmi. 
Passò  sul  cener  tuo,  esule  ancora 
Dalla  sua  culla,  un  lungo  ordine  d'anni; 
E  qualche  generosa  anima  solo 
Tremando  a  Te  venia  pellegrinando, 
E  giunta  innanzi  all'umile  tuo  avello 
Profondamente  meditava. 

Iroso 
Uno  spirto  vedea  sorger  dall'urna, 
E  irrequieto  vagolar  per  l'ampio 
Regno  dell'aure,  qual  chi  senta  in  core 
Della  patria  perduta  acre  tormento. 
Dai  segni  dell'  antica  ira  conobbe 
L'  aquila  della  tua  musa  raminga 
Un  calice  di  fiel  colto  allo  Stige 
Su  Fiorenza  versar,  mentre  sclamava: 


INTORNO    A   DANTE  ALIGHIERI.  2ÒI 

«  Ahi  serva  Italia  di  dolore  ostello,  » 
Quindi  serena  alla  region  degli  astri 

Spingere  il  volo 

E  nel  giardin  beato, 

Ove  il  mal  seme  della  colpa  nacque, 
Donna  Ti  apparve  di  beltà  celeste. 
Vestita  di  color  di  fiamma  viva. 
E  trasvolando  estatico  pei  cieli 
Cosa  di  Ciclo  già  parca  Tu  fossi. 
Ma  in  seno  all'  onda  luminosa  un  detto 
Fatidico  ti  colse,  e  in  tanto  gaudio 
Cupo  il  dolore  ti  gravò  la  fronte, 
Ahi  Ghibellin,  e  Tu  provasti  quanto 
Sappia  di  sale  il  pane  dell*  esilio. 
Alla  scienza  splendida  degli  avi, 
Mendicando  la  vita  a  frusto  a  frusto, 
Temprasti  il  core,  ed  incompreso  e  solo 
Li  scettri  fulminando  e  le  tiare 
Unico  fosti  imperator  del  canto. 
E  ancora  ascolto  per  la  mia  Verona 
Il  grido  dì  dolor  che  disposava 
Il  tuo  pletro  immortai  alla  fremente 
Onda  del  fiume. 

Quante  volte  assiso 
Sulla  cima  de'  miei  colli  ridenti 
Melanconicamente  un  pio  desiro 
L*  anima  straziata  ti  compunse. 
Si  che  pel  vasto  e  limpido  orizzonte 
Più  mite  rimiravi  all'  Apennino, 
E  un'insùeta  lagrima  dal  ciglio 
T'avvivò  l'arbuscel  della  Speranza. 
Prendi  l'arpa  dei  Padri,  Erminia,  e  canta. 
Queir  arbor  pollulò  sacro  un  rampollo 
Che  libertà  si  noma,  e  quella  terra 
Che  preme  il  gentilissimo  tuo  piede 
Terra  è  d'  eroi  e  d'  alto  senno  altrice. 


262  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Una  sublime  melodia  celeste 
Pei  zefflri  s'avanza. 

Maritate 
Alle  querele  tenere  d'Olindo 
Senti  d' Orlando  le  follie  divine  : 
E  in  suon  più  dolce  temprasi  la  lira 
Che  il  lombardo  pungea  Sardanapalo: 
E  il  cantor  di  Maclodio,  e  cento  e  cento 
Grandi  d'Ausonia,  intrecciano  ghirlande 
Ed  il  sire  dei  carmi  incoronando 
Un  saluto  d*  amor  mandano  in  terra. 

Prendi  1'  arpa  dei  Padri,  Erminia,  e  canta, 
E  allora  che  un  mestissimo  concento 
La  tua  soave  cétera  commuova, 
Ti  volgi  all'Alpi,  ed  alla  tua  Venezia 
Manda  pietoso  a  consolarla  un  carme.* 

Antonietta  Dal-Covolo    Mestre  nacque    in    Feltro  il  9    sette 
bre  1832  e  morì  il  24  gennaio  1889.  Si  hanno  di  lei:  Versi.  Visi 
(Feltre,  1857);  A  Caterina  Bon-Brenioni^  elegia  (Verona,  1859); 
cordo  agli  amici  (Feltre,  r888).  Altre  sue  poesie  furono  pubblicate 
nozze  e  nelle  Strenne  veneziane  (1865  e  1867). 


'   Questi  versi  cosi  leggonsi  a  r«gg-  $o-$2  dell'Albo  dantesco  vtroius*,  già  cit. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  263 


DCCXXXIII. 
Carlo    F a  c  c i o  l i  . 

La  morte  di  Dante  Alighieri. 
Carme. 

(14  maggio  1865). 

Ma  chi  pensasse  il  ponderoso  tema 
K  l'omero  mortai  che  se  ne  carea, 
Noi  biasmerebbe  se  «^ott'esto  trema. 
{Paradiso,  C  XXIII). 

Lìmpida  e  fresca,  come  avvien  sovente 
Ne'  giorni  primi  del  soave  autunno, 
Sorgeva  l'alba.  Una  purpurea  striscia 
Ch*  era  di  luce,  e  d*  infinite  rose 
Un  intreccio  mirabile  parea, 
Verso  Oriente  difFondeasi,  e  V  ampia 
Curva  azzurrina  dell'adriaco  mare 
Separava  dal  cielo.  Invan  lo  sguardo 
Rapido  intorno  si  volgea,  chiedendo 
D*  una  candida  vela  ove  posarsi. 
Però  eh' è  dolce,  ad  ingannar  la  mesta 
Solitudine,  in  traccia  ir  del  naviglio 
Che  sorge  lento,  avanza  e  si  fa  grande, 
0  picciolo  trascorre  entro  i  vapori 
Dell'  ondoso  orizzonte.  A  gara  intanto 
Dalla  pineta,  che  verdeggia  immensa 
Lunghesso  il  lido  e  nome  ha  da  Ravenna, 
Uscian  garrendo  gli  augelletti;  e  a  stormi 
Aggirarsi  lievissimi  pel  terso 
Aér  fulgente,  e  si  vedean  scherzosi 


204  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Discendere,  inseguirsi  e  stanchi  alfine 
Nel  profondo  tornar  della  boscaglia. 

In  quest*  ora  si  placida,  prosteso 
Sopra  letto  di  morte,  un  uom  languia 
Miseramente.  —  La  Natura  spesso 
Illumina  del  suo  riso  sereno 
Non  soltanto  d'un  uom,  ma  d'un  intero 
Popolo  il  fine  ahi!  luttuoso,  e  immota 
Neir  armonia  dell*  opre  sue  rimane.  — 
Dal  vegliar  lungo  e  dall'acuta  febbre 
Che  gli  serpe  nei  polsi,  attenuate 
Quegli  ha  le  tempie,  sovra  cui,  stillanti 
Un  sudor  freddo,  scendono  le  ciocche 
De'  grigiastri  capei.  L'  occhio,  già  privo 
D*  ogni  moto  e  splendor,  sembra  da  lieve 
Ombra  velarsi  quasi  fosse  in  pianto; 
L'  occhio  istesso  che  a  tempi  altri  men  tristi 
Potentemente  affascinando,  il  lampo 
Diffondea  degli  affetti  !  E  il  sen  traspare 
Livido,  emunto  dai  socchiusi  lini  ; 
Solo  gonfiasi  a  tratti  allor  che  manda 
Un  respir  faticoso.  Ei  tien  le  braccia 
Sulla  coltre  allungate,  e  nella  destra 
Il  crocefisso.  —  Se  saper  tu  brami 
Che  nome  ha  quel  morente,  odilo;  e  nullo 
Elogio  che  idear  possa  la  mente 
Un  tal  nome  accompagni,  unico  al  mondo: 
Dante  Alighieri!  —  In  dolce  atto  pietoso 
G^i  stanno  appresso  trepidanti  i  figli 
Piero  e  Iacopo;  e  tale  han  la  sembianza 
Che  ti  rivela  V  anima.  Fiducio 
Dei  Milotti,  compagno  a'  suoi  begli  anni. 
Fisico  illustre  da  Certaldo,  siede 
Sollecito  al  guanciale,  ogni  accidente 
Deir  agonia  notando.  In  sulla  soglia 
Inquieti  si  accalcano  gli  amici 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  26) 

E  i  miglior  di  Ravenna:  e  in  mezzo  ad  essi 
Guido  Novello  da  Polenta,  il  prence 
Che  a  lui  ramingo  per  diverse  terre 
D*  Italia,  apriva  un  onorato  asilo 
Liberalmente,  onde  ottenea  più  gloria 
Che  di  splendido  trono  altri  o  di  vinte 
Sanguinose  battaglie  e  di  conquisti. 

Taccion  tutti.  A  fatica  ora  V  infermo 
Sui  gomiti  si  leva,  e  ne*  suoi  figli 
Lo  sguardo  drizza  ed  il  pensier.  Raccolto 
Ogni  spirto  di  vita  in  sulle  labbra, 
Quindi  favella:  «Oh!  ben  per  mia  cagione 
Mestissimi  voi  foste  e  sventurati. 
Per  mia  cagioni  Mi  dissentite  indarno 
Col  crollar  della  testa;  io  nel  profondo 
Leggo  del  vostro  cor...  L'amaro  csiglio...  » 
«  No,  padre  mio,  —  con  subite  parole 
Pier  lo  interrompe  —  ogni  loco  e  destino, 
Se  diviso  con  te,  non  parve  amaro.  » 
A  cui  Dante:  «  L'affetto  e  una  cortese 
Indole,  o  figlio,  menzogner  ti  fanno. 
Simili  a  foglie  che  dal  vivo  ramo 
Distacca  il  vento  e  su  pel  cielo  aggira 
O  nella  polve  della  via,  n'andammo. 
Mendicando  la  vita  a  frusto  a  frusto, 
Per  lunghi  anni  fuggiaschi.  Ostello  e  pace 
È  ver  che  poscia  con  pietà  gentile 
A  noi  Guido  largiva.  —  E  al  limitare. 
Si  dicendo,  mirò.  —  Tutto  egh  fece 
Che  far  potea;  ma  a  chiuder  la  ferita 
Mortai  che  geme  in  mezzo  il  cuore  aperta 
Pel  crudele  martirio  immeritato, 
Non  il  tempo,  che  oblio  reca  e  conforto 
Di  lieti  eventi,  né  sarebbe  valsa 
L^opra  istessa  d'un  dio!  Balsamo  a  quella 
Ei  fu  soltanto;  e  se  il  dolor  non  tolse, 


266  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Almen  temprollo.  A  lui  perciò  sien  grazie, 
E  premio  tal  che  il  buon  voler  pareggi.  » 
Qui  un  istante  fé'  posa;  indi  accorato, 
Ma  con  più  forza  ripigliò:  «  Per  quella 
Terra  che  ai  giovinetti  occhi  sorrise 
Primieramente  e  che  obliar  non  posso. 
Cinsi  al  fianco  una  spada.  Aduho  poscia 
Nella  pubbHca  cosa  io  la  giovai; 
E  la  sua  gloria,  non  la  mia,  cercando, 
Con  libera  parola  impetuosa 
Le  sue  ragioni  francheggiai  dinanzi 
Alle  corti  d'ItaHa  e  dell'Europa, 
Non  troppo  audace  che  imprudente  io  fossi, 
Né  si  prudente  da  sembrar  codardo. 
Ma  da  ciò  ch'ebbi?  Odio  e  calunnie!  E  fede 
Die'  all'accuse  di  pochi  invidi  e  abbietti 
Più  assai  del  verme  che  nel  fango  striscia, 
Il  mio  Paese;  onde  fui  prima  esposto 
All'ignominia  d'un  giudizio  e  quindi 
D'una  condanna  all'universo  nota.' 
Pur  attenti  m'udite;  e  quanto  grande 
E  indomabile  amor  nel  petto  accolsi 
Pel  mio  loco  nativo,  apprenda  ognuno. 
Sebben  d'ingratitudine  e  di  cieca 
Ingiustizia  bruttato  esso  m'apparve, 
Neppur  nell'ira  e  il  parteggiar  feroce 
Un  momento  vi  fu,  che  non  provassi 
Di  sue  glorie  allegrezza  e  duol  profondo, 
Quantunque  ascoso,  delle  sue  sventure. 
E  desiai,  dovunque  il  passo  errante 
Volsi  o  sostenni,  che  alla  fin  scoverta 


*  La    condanna    pronunciata    da    Gante     1    duto  nelle  mani  della  Repubblica.  Vedi  Ce 
de'  Gabbrielli    da    Gubbio,  podestà   di  Fi-     '    sire  Balbo,   llta  H  Danti,  Felice  Le  Mos»' 


renze,  contro  Dante  portava  per  effetto  la    |    nier,    185),   capo    XII,  libro   I;  e  Pt« 
confisca  degli  averi,    l' csiglio    e  la  morte     1    Fraticelli,  Storia  dtlla   vita    tU   Dantt  Jl^ 
sul  rogo,  se  fosse  egli  per   avventura  ca-    |    ghieri,  G.  Barbèra,  1861,  capitolo  V. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  267 

L'innocenza  e  il  crudele  animo  vinto 
De*  miei  nemici,  richiamato  e  accolto 
Foss'io  di  nuovo  nel  suo  dolce  grembo.' 
Ed  or  che  moro...  non  piangete,  o  figli,.- 
Insieme  colla  vita  ora  non  langue 
Quel  si  pio  desiderio;  anzi  s'accresce 
Quanto  più  intendo  che  impossibil  torna 
Il  satisfarlo.  Oh!  se  qualcun  di  voi 
Che  mi  sta  muto  e  pensieroso  intomo, 
Il  suol  rivegga,  ch'Arno  bagna  e  infiora 
Col  tesoro  di  chiare  onde,  e  i  bei  colli 
Che  fan  ghirlanda  alla  gentil  Firenze; 
A'  suoi  superbi  cittadin  ripeta 
Quel  eh* io  dissi  in  quest'ora,  in  cui  sarebbe 
Vano  il  mentir  poiché  il  futuro  è  tolto, 
L'ultimo  voto  mio:  se  vivo  il  cielo 
Non  volle,  estinto  almanco  e  fredda  spoglia 
Ch'io  là  ritorni,  ov'ebbi  sempre  il  cuore!» 

Supin  ricadde,  e  in  un  cupo  singhiozzo 
Le  parole  finirò.  Allor  Fiducio 
Levossi;  e  alle  convulse  aride  labbra 
Del  moribondo  il  refrigerio  porse 
Di  alcune  stille  d'acqua.  Intenerito 
Parve  Dante  al  pietoso  atto,  gli  stese 
La  destra  e  mormorò  :  «  La  coscienza 
E  ti  rimerti  Iddio  delle  sincere 
Prove  d'affetto,  che  tu  ognor  mi  desti. 
Sin  dalla  balda  giovinezza.  » 

E  1'  altro 
Pronto  rispose:  «  Amarti  era  una  dolce 

^  Tale  dettderio  TiTiuinio  di    Dante  di         Se  mai  continua  che  M  poema  tacro 

Ritornarsene  a  Firenie,  come  da  ogni  sua  ;        Al  uuule  ha  posto  mano  e  cielo  e  terra, 
^■Uiont.riwltapnrchiarodaogni.oo.critto.  Si  che  m  ha  fatto  per  molt  ann.  macro, 

■fc^  _^  .     1        '«-     •.  _s     »   L     •      .    uu  Vmca  la  crudeltà,  che  fuor  mi  «erra 

^«ti,  tra  k  molte  c.taaonl  che  ..potrebbero  ^^^  ^„^  ^^^j^;  ^^.  .^  ^^^^..  ^     ^^ 

^àn,  qaesu  del  principio  del  Canto  XXV  Nimico  a'  lupi  che  gli  danno  guerra; 

^4cl  PmwJii»'.  Con  altra  voce  omai,  con  altro  vello 

Ritornerò  poeta,  ed  in  sul  fonte 
,        Del  mio  batteamo  prenderò  '1  cappello. 


268  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Necessità  dell'  anima.  »  E  que'  giorni, 
Assai  lontani,  richiamògli  a  mente 
Che  allegri  insiem  divisero  i  gagliardi 
Fervidi  giuochi,  e  i  primi  studi. 

«  Donde  — 
L'Alighier  lo  interruppe  —  alto  conforto 
Poi  si  ritrasse  nell'acute  angosce 
Di  cui  si  trama  Y  esistenza.  » 

Un  pio 
Detto  di  ricordanza  anche  Fiducio 
Agli  amici  concesse;  e  pria  d'ogn*  altro 
A  Guido  Cavalcanti,  a  lui  che  in  guisa 
Tanto  leggiadra  poetò  d'amore, 
E  a  Compagni,  l'istorico.  Pensiero 
Da  pensier  scoppia;  ed  a  quel  tempo  alluse 
Che  più  adulti  ne  andarono  alla  guerra, 
Sfidando  le  fatiche  aspre  del  campo 
E,  impavidi,  il  furor  delle  battaglie. 
Sol  come  disse  che  talvòlta  il  gaudio 
Ansioso  provar  della  vittoria. 
Parve  il  Poeta  conturbarsi;  in  sulle 
Piume  agitossi;  e  mentre  a  lui  stupiti 
Si  appressa van  gli  astanti:  «  Oh  meglio  assai 
Sommesso  proferi  —  meglio  l'esiglio 
E  questa  paurosa  ora  di  morte 
Che  quei  trionti  sciagurati  !  »  Gli  occhi 
Ratto  egli  chiuse;  e  forse  dalla  vista 
Si  voleva  sottrar  d*orribil  cosa, 
Che  la  memoria  gli  facea  presente 
Sebben  fosse  da  molti  anni  avvenuta. 
E  un  torpor  lo  sorprese. 

A  lui  dinanzi 
Apparve  in  sogno  (che  talor  continua 
I  pensier  della  veglia)  una  diserta 
Valle,  che  per  confine  avea  le  grigie 
Falde  e  i  dirupi  d'una  gran  montagna; 


IMTORNO  A   DANTK  ALIGHIERI.  269 

E  la  montagna  nell*  accesa  mente 

Appennin  gli  sembrava.  Il  ciel  per  tutto 

Si  distendea,  come  sospeso  mare. 

Lieve,  azzurrino  e  immenso.  Un  sol  di  giugno 

Fiamme  spargeva  e  tremuli  baleni. 

Nel  delirio  febbrile  allor  l'infermo 

Qua  e  là  vide  per  quella  ampia  campagna 

Nembi  di  polve  sollevarsi;  e  un  suono 

Airimprovviso  gli  ferì  l'orecchio 

D'armi  e  di  voci  concitate  ad  ira. 

Soffiò  il  vento,  e  squarciaronsi  quei  groppi 

Turbinosi  di  polve;  e  al  vivo  lume 

Del  giorno,  elmetti  scintillaro  e  usberghi 

Di  terso  acciaio  e  argento,  e  brandi  e  lancie 

E  spiegate  bandiere.  Una  di  queste 

Candida,  il  campo  da  purpureo  giglio 

Contrassegnato,  su  destrier  gagliardo 

Iva  tra'  suoi  compagni  alto  agitando 

Taciturno  un  garzon,  che  il  quinto  lustro 

Non  avea  forse  tocco.  Alla  sembianza 

Nobile  e  altera,  al  portamento  e  agli  atti 

Che  svelavano  tosto  una  gentile 

Baldanza  e  la  infondeano,  il  moriente 

In  quel  garzone  affigurò  sé  stesso. 

Sobbalzò  dalla  coltrice,  e  la  mano, 

Qual  fa  chi  attento  in  lontananza  miri, 

Tese  sul  ciglio;  e  il  fido  suo  vessillo 

Nel  tumulto  segui  della  battaglia. 

Già  di  mezzo  scomparso  era  il  terreno 

E  gli  eserciti  avversi  orrendamente 

Si  azzuffavano  insieme.  A  simil  modo 

Nubi  sorgenti  da  contrarie  bande 

Dell'orizzonte,  veggonsi  nerastre 

E  solcate  da  folgori  affollarsi 

In  un  turbine  solo.  E  fra  quell'aspra 

Confusion  di  carri  arrovesciati 


270  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

E  di  corsier',  che,  infranto  ogni  ritegno, 
Gittavansi  talor  precipitosi 
Per  i  liberi  campi;  e  in  mezzo  a  tante 
Schiere  d'armati,  vincitrici  o  vinte, 
II  drappo  bianco  comparia  pur  sempre 
Della  nota  bandiera.  A  cento,  a  mille, 
Per  quell'aere  percosso,  ed  infinite 
Volavano  le  freccie.  * 

«  Oh!  mi  togliete  — 
Dante  a  un  tratto  esclamò,  dal  reo  letargo 
Sciogliendosi  in  sussulto,  —  a  quella  vista 
Orrenda  al  par  d'un  abisso  d'inferno. 
Per  carità  toglietemi!» 

Atterrito, 
Come  a  rifugio,  nelle  aperte  braccia 
Cadde  e  sul  petto  de'  suoi  figli. 

«  Infausto 
Giorno  di  Campaldino,  a  che  mi  torni 
Vivamente  cosi  nella  memoria, 
Come  se  rinnovato  innanzi  agli  occhi 
Tu  mi  fossi  davvero  ?  E  in  questa  estrema 
Ora  mi  torni?...  Oh  la  cagion  ne  intendo! 
Qua  dunque  tutti,  che  il  dolor  m'inspira 
E  fors'  anco  il  rimorso.  » 

E  a  gran  tristezza 
Composto  il  viso,  con  più  ferma  voce 
Ei  ripigliò  :  «  Sien  le  fraterne  guerre 
Sien  maledette!  e  abbominoso  sempre 
Suoni  ad  orecchio  italiano  il  nome 
Di  Guelfo  e  Ghibellin,  di  Bianco  e  Nero, 
E  di  quale  altra  fazion  men  nota 


'  La  battaglia  che  qui  tentai  descrivere  i  istesso  la  ricorda  nel  Purgatorio,  Gante 
si  è  quella  di  Campaldino,  avvenuu  addi  v.  91-1)0.  Vedi  pura  U  Cronita  di  D 
IX  di  giugno  1289  tra  gli  Aretini  e  i  Fio-         Compagni, 

rentini,  con  la  vittoria  dei  secondi.  Dante  , 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  271 

E  perciò  meno  infame.  '  Oggi  e  per  quanto 
Il  mondo  duri,  ognun  rifugga  e  abborra 
Dalle  fraterne  scellerate  guerre. 
Che  l'onta  a  vendicar  d'una  famiglia 
O  pei  capricci  d'un  superbo  accese, 
Questa  Italia  partirò  e  da  reina 
L'ban  fatta  serva,  povera  e  schernita. 
Deseni  i  campi  e  isteriliti;  in  tetro 
Lutto  e  silenzio  le  città  converse, 
Cosi  floride  un  tempo!,  e  da  tiranni 
Contaminate:  perfidi  tiranni 
Quanto  oscuri  e  minuti:  ebber  vita 
Come  alla  state  in  putrefatta  gora 
Schifosi  insetti  e  serpentelli.  E  al  sangue 
Corse  avida  la  gente;  e  stragi  orrende 
Sulle  pianure  accaddero,  ove  aperto 
Nel  suo  cerchio  infinito  il  ciel  sorride, 
O  in  cittadine  anguste  vie,  per  entro 
A  case  smantellate  e  a  templi  in  fiamme, 
Si  vider  poscia,  ahi  vitupero  eterno!. 
Tradotte  al  loco  del  supplizio  intere 
Torme  di  vinti,  la  catena  ai  polsi, 
E  lo  scherno  negli  occhi  e  sulla  bocca 
Dei  circostanti.  E  quei  ch'ebbero  in  grazia 
La  vita,  nelle  carceri  languirò 
O  fur  dannati  ad  un  perpetuo  esiglio. 
Ma  nell'esiglio,  i  miseri!  con  fioca 
Timida  voce,  che  dal  fino  orecchio 
Dello  stranier  fu  però  intesa,  questo 
A  soccorso  chiamaro,  onde  alla  Patria 


,^^^^^*H«  Oadm  ìb  esigilo   abbia  abbando-  |  Averti  fatta  parte  per   te   stesso . 

j^      S^ashmqiM  partito,  puossi   facilmente  j        Vedi  a  maggiore  illustrazione  d'un  ule 

^     ***^^  dalle  tanto  famose  parole  che  Cac-  "  "    ' '^  "* 

r^~^^*t«,   ioo   trisavolo,    gli   rivolge    nel 


'"**»    XVII  del  P^ii$4,  V.  68-69. 
A  te  fia  beUo 


argomento,  gli  Scritti  vari  di  Giuttpfi  Giù- 
sti^  pbublicati  per  cura  di  Aurelio  Gotti, 
Felice  Lemonnier,  186),  pag.  300  e  se- 
guenti. 


272  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Riedere.  E  lo  stranier  pronto  sen  venne; 
E  fu  Testremo,  ma  il  maggior  dei  danni 
Che  ci  percosse,  —  e  come  suon  per  l'etere 
Pia  propagato  ai  secoli  venturi. 
Udite,  udite!  Giovanil  vigore 
Abbia  qui  la  mia  lingua,  e  nella   morte. 
Al  par  d'uno  scalpello,  ogni  parola 
V'incida.  Io  che  furente  un  di  m'opposi 
Alla  calata  del  mendico  Carlo 
Di  Valoè:*  sedotto  poscia  e  vinto 
Da  una  fallace  illusion  di  gloria 
E  di  perfetto  universal  dominio,* 
Anch'io,  stolto  e  infelice,  aiuto  chiesi 
Agli  alemanni  imperadori  e  a  nome 
Della  mia  gente  gì' invocai  fatali 
Restauratori  del  Romano  Impero.  »  ^ 

Esausto  era  di  forze,  e  abbandonossi 
Nuovamente  sul  letto.  Avea  le  labbra 
Però  composte  a  placido  sorriso; 
E  negli  occhi  splendeagli  un  mite  gaudio, 
Qual  prova  quei  che  satisfece  a  sacro 
Obbligo  e  dalla  terra  è  alfin  disgiunto. 
Da  dolor,  da  pietà,  da  reverenza 
Compresi  eran  gli  astanti;  e  genuflessi 


'  La  ragione  vera  per  cui  Dante   venne  I        Guadagnerà,  per  sé  unto  più  grave 

esigliato,  fii  l'aversi    opposto    alla  discesa  Quanto  più  lieve  simil  danno  conta. 

di  Carlo    di    Valois.  Quanto    fosse  l' olio  '■        Qu^to  principe    fu    per   dileggio    chU- 

che  nutriva  contro  questo  principe  avve..-  ■     „^,^  Qarlo  Seniaterta,  non  avendo  mai  pò- 

turiero,  si    può    conoscere    dal    modo   col         ^^^^  impossessarsi  di  alcun  paese  ;    al  che 

quale  lo  nomina  nel  Purgatorio,  canto  XX,  |    alludono  le  terribili  parole  dell'ultiraa  ter- 

^*  7^~79  •  zina  :  «  Quindi  non  terra  guadagnerà,  ma 

Tempo  vejjg'io,  non  molto  dopo  ancoi,  peccato  ed  onta  ». 

Che  tragj,^  un  altro  Carlo  fuor  di  Francia,  \         ^  Vedi  l'opera  di  Dante  :  D»  MonarthU^ 

Per  far  conoscer  meglio  e  so  e  i  suoi.  '    "«11*  q«>»'e    egl«    desidera   una    moiarchìa 

e       »  •     ,  •  I     I       •  universale  collo  ristabilimento  dell'  Impero 

oenz  armi  n  esce,  e  solo  con  la  lanci.i,  '^ 


Con  la  qual  giostrò  Ginda  :  e  quella  ponta  , .    ^ 

CI      u»     e»     ^      e  -1  •  5  AlludesialrepistolalndinxtaudeDante 

SI,  eh  a  Fiorenza  fa  scoppiar  la  pancia.  ^  a'  i  w 

Quindi  non  terra,  ma  peccato  ed  onu 


Romano. 
3  Alludi 
ad  Arrigo  dì  Lucemburgo. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  273 

I  suoi  figli  gemevano,  la  faccia 
Nelle  palme  ascondendo. 

Il  sol  frattanto 
Sorto  già  nitidissimo,  una  striscia 
Di  raggi  diffondea  per  la  funebre 
Stanza. 

A'  que'  raggi,  come  a  un  lieto  annunzio, 
Parve  il  morente  ravvivarsi  :  «  Addio 
Piero,  Iacopo:  e  voi  teneri  amici, 
E  tu,  gentil  Fiducio,  addio  per  sempre. 
Siavi  raccomandato  il  mio  Poema, 
In  cui  me  stesso  e  il  secolo  ritrassi 
Con  sue  glorie  e  peccata  e  sue  sventure. 
A  te  grazie  di  nuovo,  illustre  Guido, 
E  la  fortuna  abbi  propizia.  Accanto 
Or  tutti  mi  venite,  e  un  altro  amplesso, 
L'ultimo!...  oh!  ch'è  mai  questo?...  Entro  odorosa 
Nube  di  fiori,  e  tal  vivace  lume 
Spargendo  che  già  velasi  l'aspetto 
Di  voi,  fidi  compagni,  ecco  apparirmi. 
Un  angiolo...  e  s'arresta  a  me  di  fronte 
Nel  lieve  aér  sospeso.  O  Beatrice, 
Sebben  trasumanata,  io  ti  ravviso 
E  benedico.  Guardami!  Ogni  aflPanno, 
Se  mi  guardi  e  sorridi,  illanguidisce, 
E  rapido  con  te  nella  serena 
Regi'on  della  gioia  io  mi  sollevo.  » 

Disse;  e  le  braccia  ch'alto  protendea. 
Caddero  in  sulla  coltre.  Era  lo  spirto 
Glorioso  di  Dante  al  ciel  salito!' 

.  CZarlo  Faccioli,  veronese,  nato  nel  1S40,  è  piò  conosciuto  per 

*^«  traduzioni,  che  per  i  suoi    scritti   originali,  sia    in  prosa  che 
^^Tsi.  Fatti   i    suoi  studi   legali   in   Padova,  gettò  presto  la  toga 


Cjpttti  veni  coti  si  leggono  «  pagg.   S3~^3  àtìY  Albo  JanUsco  vtrontse^  dt. 
DiL  BALto.  Voi.  XIV.  18 


274  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

per  la  cattedra.  Si  consacrò  ali* insegnamento,  e  scrìsse  un  buon 
libro,  //  Vademecum  del  maestro^  seguito  dalla  Sapienia  della  vita,  de^ 
dotta  dai  libri.  Le  sue  poesie  liriche  hanno  un  certo  valore,  ma  è  più 
lodato  per  la  fedeltà  e  l'eleganza  delle  traduzioni  del  Pellegrinaggio 
del  giovine  Araldo  del  Byron,  di  alcune  poesie  del  Tennyson,  e, 
specialmente,  deìVEvangelina  del  Longfellow. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  275 


DCCXXXIV. 

Tullio  Mestre. 


Per  Dante. 

Carme. 
(14  maggio  1865). 

O  glorioso  Spirito  de'  Grandi 
Itab'ani  avvivami  nel  petto 
L'aura  de'  Carmi,  e  mi  rapisci  al  Canto.  — 
Ripetimi  i  gementi  inni,  e  le  lunghe 
Trenodie  del  passato,  ove  gli  affanni 
Dell'Italo  compendi,  e  se  talora 
Rompi  in  accenti  d'ira,  oh  ti  disfrena 
Sulle  vie  del  mio  cor,  che  dispettoso 
Medita  al  brago  dei  fratelli,  e  piange. 
Dimmi  un'ora  di  Dio:  l'ultimo  dimmi 
Pianto  del  tuo  poeta,  a  cui  la  bile 
Ghibellina,  e  i  domestici  deliri 
Di  parte,  e  il  cruccio  dell'esigilo  il  trasse.  — 
Ei  parla. — 

O  tempi  del  futuro,  il  vostro 
Grembo  m'aprite,  e  d'una  stella  ahi!  presso 
Al  suo  tramonto  raccogliete  il  raggio.  — 

10  già  vacillo,  e  da  quel  Ciel,  che  è  suo, 
Beatrice  mi  chiama  entro  il  Sepolcro.  — 
Ma  pria  che  s'apra  a  prendermi  l'amplesso 
Della  pietà  di  Dio,  cogliete,  o  genti, 

11  senno  del  Poeta:  esso  sfavilla. 


276  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Esso  cresce  pei  secoli,  né  teme 
Reboato  di  bieche  orde  —   l'udite. 

Fin  dal  primo  vagito  il  fato  appronta 
Ai  mortali  una  meta,  e  invan  gagliardo 
Colla  legge  del  Ciel  l'uomo  contende.  — 
Svanir  popoli  e  tempi,  e  sol  rimase 
Sulla  lor  polve  questa  legge  eterna, 
Che  le  cose  balestra  entro  gli  abissi 
Dell'obblio,  che  all'obblio  toglie  ed  insempra; 
Tra  monumenti  squallida  ruina 
O.fra  ruine  eterno  monumento.  — 
Questo  fato  all'Italia  un  volo  indisse: 
E  fu  doma  la  terra.  Indisse  il  pianto: 
E  un  turbine  di  barbare  cavalle 
La  desolò.  —  Ma  a  che  narrar  ^li  strazi 
Già  troppo  conti,  e  troppo  pianti?  In  Lei 
Tutto  fu  spento,  e  il  suo  vedovo  Cielo 
Sol  peregrine  navicar  due  stelle  — 
Stella  del  Genio,  che  i  contrasti  abbatte 
Della  carne,  che  il  cinge,  e  ardimentosa 
Si  svincola  dall'ombra,  e  intende  a  Dio: 
Stella  di  Speme,  di  universo  Amore, 
D'amor  di  patria  indomito  ed  immenso  — 
E  fu  fatai,  che  dall'Italia  uscisse 
Novellamente  l'alito  di  vita.  — 
Ella  fu  l'Angiol,  che  protesse  il  sonno 
Lunghissimo  del  Mondo:  Ella  che  al  mondo 
Sonnolento  gridò:  Sorgi  e  cammina.  — 
Quinci  credei  che  il  redentor  dovesse 
Redimere  sé  stesso,  e  che  il  paese 
Di  si  splendide  sorti,  immaculato' 
Starebbe  all'occhio  de'  Celesti.  — Ahi  cieco! 
Io  stesso  in  omicide  ire  travolto 
A  Campaldin  m'abbeverai  nel  sangue 
Di  cognati  micidi,  e  ancora  ascolto 
I  fratelli,  che  imprecano  sul  capo 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  277 

De'  fratelli,  e  sconsacrano  la  terra. 
Che  solo  di  Gain  germina  il  frutto.  — 
Cercatevi  d'intorno:  ove  si  gode 
Di  pace?  A  che  sulla  funerea  scena 
D'Italia  quei  fantasimi  di  morte .^ 
Freme  Vinegia,  e  Baiamonte  e  fatto 
Ludìbrio  delle  perfide  lagune:  — 
La  Meloria  d'  un  popolo  è  sepolcro  ; 
E  ringhiano  i  tiranni,  e  Tun  dell'altro 
Fa  terribile  scempio.  E  chi  compone 
Tanto  lacere  membra,  e  riconsola 
Questa  povera  mia  patria  dolente? 
Fastidito  di  tante  ire  cercai 
Sotto  il  voi  delle  antiche  aquile  il  figlio 
Della  Vittoria,  che  Tarcion  ponesse 
All'indomita  fera,  e  che  appuntando 
A  una  meta  i  suoi  sdegni  entro  la  via 
La  spingesse  del  moto.  —  E  fui  dannato 
E  maledetto,  e  mi  negdr  nel  duro 
Pellegrinaggio  un  tetto,  una  bevanda. 
Chi  siete  Voi,  che  all'esule,  che  piange 
Sulla  madre  morente,  una  rampogna 
Di  viltà  fulminate?  Non  ha  il  mondo 
Tanto  splendor  di  libertà,  che  un  solo 
Palpito  a  saziar  valga  di  Dante!... 
Se  Firenze  sapesse  il  cor,  che  m'ebbi 
Limosinando  il  pane  a  frusto  a  frusto, 
Ben  potrebbe  gridar:  Levati,  o  Sire 
Dei  tre  Canti  divini.  —  Io  ti  trafìssi 
CoU'arco  dell'esilio,  e  tu  coU'arco 
Che  saetta  le  colpe,  e  le  infutura 
Mi  mandasti  da  lor  —  Levati,  io  sono 
La  redenta  tua  Madre;  il  diadema 
Che  al  tuo  fronte  porrò  simile  al  sole 
Sfavillerà  pei  tempi,  e  le  sue  fronde 
Rinverdiranno  le  rugiade  eterne... 


278  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Malaspini,  Scaligeri,  Polenta, 
Salute  a  Voi!  —  Finché  si  giri  il  cielo, 
Tributo  avrete  d'anime  gentili 
Ove  alberghino  amore  e  cortesia, 
Perchè  l'aspra  blandiste  arpa  fremente 
Al  Poeta  fuggiasco.  —  O  meste  sere 
Quando  fendeami,  come  freccia,  il  core 
Del  mio  povero  ostel  la  rimembranza: 
E  Bianchi  e  Neri,  e  d'Aragona  e  Francia 
La  rea  colluvie  a  disertar  discesa 
Il  giardin  dello  Imperio,  e  dell'avara 
Babilonia  le  tresche. .,  oh  senza  Voi 
Venerabili,  e  magni  Itali  Spirti, 
Questo  iniquo  alternar  d'odii  ferigni 
Avria  la  cetra  d'AUighiero  infranta.  — 
E  Voi  veniste  a  lusingarmi  i  sonni 
Amabilmente,  e  nell'ombria  de'  sonni, 
Pel  tremolio  delle  pioventi  stelUe, 
A  me  apparia  la  bella  creatura 
Che  amato  ho  in  terra,  e  mi  levò  pel  cielo 
A  parlarmi  di  pace  e  di  perdono, 
E  dalla  esulcerata  anima  il  grido 
Mi  proruppe  di  pace  e  di  perdono... 
Addio  Fiesole  beila,  addio.  Tu  muori 
Illacrimata.  Invano  i  generosi 
Mani  de'  padri  tuoi  levano  a  Dio 
Le  braccia  a  deprecar  le  tue  sciagure, 
Perchè  Tu  muori,  e  immemore  banchetti 
Gli  aspidi  del  sepolcro.  —  I  tuoi  guerrieri 
Si  cozzano  com'  ebri  ;  i  tuoi  Priori 
Siccome  orbi  vacillano,  e  li  assale 
L'agonia,  che  s'avanza.  —  O  Dio  m'assenti 
Solo  una  prece.  —  Assentimi  riposo 
Nel  mio  bel  Sangiovanni,  e  allor  che  i  guai 
Lunghi,  incresciosi  evocheran  la  stanca 
Italia  a  un  primo  palpito  di  vita. 


INTORNO   A  DANTE   ALIGHIERI.  279 

E  come  in  Ciel  s' inneggia  inneggieranno 
Tutte  ritale  cetre,  unicamente 
Donami,  che  dal  mio  cenere  ascenda 
La  parola  d'  un  Angelo,  che  ì  petti 
De'  fratelli  congiunga  eternamente  — 
L'ultimo  sguardo  mio  fissi  per  l'aure 
Monda  di  sangue  l'Itala  bandiera: 
E  mi  rallegri  un  bacio  ultimo,  il  bacio 
Della  concordia,  eppoi...  se  lo  comporta 
Il  mio  Voto;  se  ipocrita  fu  il  core, 
E  fatale  ebbi  il  senno,  a  me  d'incontro 
Metti  i  posteri  tutti,  e  mi  condanna 
Pei  secoli  a  stancar  l'Itale  pene... 
Un'  ultima  parola  :  Iddio  m' ispira 
Questa  cetra  fatidica.  L'  udite.  — 
Veggo  un*  aurora,  e  questa  Italia,  questa 
Prediletta  di  Dio  s'alza  ed  innonda 
I  popoli  di  luce,  e  l'aspettato 
Veltro  dalle  sue  brulle  alpi  disceso, 
Pei  valli  fulminati,  e  lungo  i  mari 
Terribile  galoppa,  e  sotto  il  carro 
Della  vittoria  i  vecchi  idoli  infrange.' 
Dio  combatte  pei  giusti:  e  se  abbandona 
All'obbrobrio  del  Golgota  la  fronte 


'^     Veltro  aspettato  da  Dante  era  1*  im-  !     della  spada,  e  la    vigna    sua    allogherà  ad 

J;'^****''*  Arrigo  VII.   Alla  sua  calata  dalle  !     altri  lavoratori,  i  quali  renderanno  il  frutto 

t  R     *^    «U»lno  poeta  scriveva  agli  Italiani:  '    della  Giustizia  nel  tempo,  che  si  miete.  ■ 

j^    *"**grati  oggimai  Italia,    di    cui  si  dee  E  più  presso  :  «  Ecco  ora  et  tempo    ac- 

.  *^iserìcordia,    U   quale  inconunente  ceptabilc  nel  quale  surgano  i  segni  di  con- 

,^.    *'    P«r  tutto    il   mondo  essere  invidiata  solazione  e  di  pace.  In  verità  il  di  nuovo 

^     ^^*0  da  Saraceni  :  però  che  il  tuo  Sposo,  comincia  a  spandere  la  sua  luce  mostrando 

pll  1^    «iclizia  del  secolo  e  gloria  della  tua  da  Oriente  l'aurora,  che  assottiglia  le  te- 

Q.^^/    Il  pietosissimo   Arrigo    chiaro    ac-  nebre  della  lunga  miseria.  Noi  vedremo  U 

^       *^*^re  et  —  Cesare  alle   sue  nozze    di  aspettata  alle^^rezza,  i  quali  lungamente  di- 


Kì; 


.^.  — —  -'» f 'T — -O 

^    s  affirctta. —  Asciuga,  o  bellissima,         moriamo  nel  deserto.  Imperocché  il  pacifico 
-   .^^    lagrime,  e  gli  andamenti    della  tri-         sole  si  leverà,  et  la  giustizia  la  quale  era 


(^1    ^    ^sfiai:    imperocché    Egli    é    presso  senza  luce  al  termine  della  retrogradazione 

ni^l     *»    che    ti    libererà    dalla    carcere  dei  impigrita,  rinverdirà  inconunente  che  ap- 

top>   ^tf  >  1)  qiulc  percuotendo  li  perpetra-  parirà  lo  splendore.  • 

^«Uc  fieiikmie    gli  dannerà  nel  uglio  i 


280  POESIE   DI   MaLE  AUTORI 

Del  martire,  il  moraento,  il  sospirato 

Momento  riconduce,  in  cui  raggiando 

L'Angelo  della  Fede  e  dell'Amore 

Dai  rovesciati  tumuli  ripete 

Ai  figli  dell'Amore  e  della  Fede: 

La  vittoria  è  pel  Giusto:  Egli  è  risorto.' 

Tullio  Mestre,  nato  a  Sanguinetto  (Verona)  nel  1825,  morto  a 
Feltre  nel  1887,  fu  avvocato  e  letterato.  Pubblicò  le  Osservazioni  so- 
pra Caio  Giulio  Cesare,  lettera  (Verona,  1865);  ^  Veronesi  a  Pontida, 
commemorazione  (Verona,  1867);  Manuale  per  i  giurati  (Verona,  1871) 
e  molti  versi  d'occasione. 


'  Qpetto  carme  cosi  si  legge  a  pagg.  66-70  déiVAlbo  iamUtco  veronese^  gii  cit. 


INTORNO   A    DANTE  ALIGHIERI.  281 


DCCXXXV. 

Luigi   Segala. 

Dante  in  Verona. 

Epistola. 

(14  maggio  1865). 

I. 

Vieni,  dolce  amor  mio:  ride  sereno 
Per  li  campi  e  nel  eie)  Maggio  odoroso, 
ì  la  festa  di  Dante.  Ohi  comMo  sento 
La  gioia  d'esser  italo!  Vien  meco 
Fuor  dalle  anguste  cittadine  vie,« 
E  di  placidi  gaudi  ne  circondi 
La  libera  Natura.  Un  inno  udrai 
Che  mi  sgorga  dall'anima  commossa. 

Salve,  o  gentil  Verona!  Ostello  primo, 
Primo  rifugio  all'Alighier  fuggiasco; 
0  benedetta  dal  suo  carme,  salve. 
Forse  il  sorriso  de'  tuoi  miti  soli 
E  de'  tuoi  colli  floridi  l'aspetto 
Fur  benigni  di  qualche  ora  di  pace 
All'afflitta  sdegnosa  alma  del  Grande. 
Ma  più  agl'Itali  cara,  o  mia  Verona, 
Perchè  pria  nel  tuo  grembo  al  Ghibellino 
Cadean  dall'alto  cor  l'ire  di  parte: 
Quando  ne  lo  Scaligero  Palagio 
Splendido  d'armi  e  cortesia  regale, 
Ove  accorrean  da  tutta  Italia  i  prodi, 
Ei  potè  meglio  ravvisar  l'Italia. 


282  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Vivo  era  il  genio  e  la  fierezza  antica; 

Ma  né  plebi  né  prenci  uni  di  core, 

Superbi  e  stolti  si  rodean  Tun  l'altro: 

E  libertade  non  avvampa  i  petti 

Ove  é  misto  al  valor  l'odio  fraterno. 

Si  volse  all'avvenir,  giubilò...  e  vide, 

Vide  il  Veltro  magnanimo,  all'incanto 

D'un  vessillo  adunar  da  cento  parti 

I  popoli  divisi,  e  a  le  battaglie 

Quasi  a  festa  volar,  vittorioso 

Di  villa  in  villa,  e  benedetto,  un  regno 

Fondar  di  pace  per  giustizia  saldo. 

E  la  sua  voce  allor  fu  come  vento 

«Che  le  più  alte  cime  più  percuote;» 

E  il  pan  cibato  al  signoril  banchetto 

Seppe  di  sale  al  libero  poeta. 

Oh!  quante  volte  consigliati  invano 

Sapienti  propositi  d'amore 

Ai  parteggiapti,  errava  solitario 

Lungo  la  riva  d'Adige  sonante, 

La  fuga  delle  fiere  onde  mirando 

Con  gaudio.  Oh!  quante  volte  in  l'alta  notte 

Su  le  ruine  dell'antica  Roma 

Che  si  vaste,  o  Verona,  hai  nel  tuo  grembo 

S'assidea  senza  pace.  Oh!  quante  volte 

Se  la  luna  pendea  queta  sui  merli 

De  le  due  torri,  l'Alighieri  pianse; 

Che  gli  sovvenner  le  fraterne  guerre. 

Quando  più  Taffiianava  il  suo  gran  core. 

Ne'  templi  venne  a  cercar  pace:  l'aura 

Senti  del  Dio  vivente,  e  degli  umani 

L'egualità.  iMesto  dicea:  —  Sublime 

Religion,  che  degli  schiavi  infrante 

Hai  le  catene,  a  mille  empi  la  bocca, 

A  pochi  il  core.  Non  s'innalzi  l'uomo 

Sui  deboli  fratelli;  e  sol  primeggi 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI  283 

Coi  lumi  e  con  l'amor  beneficando, 
Non  col  dominio.  O  delle  vilipese 
Plebi  Signor,  quanti  superbi  fanno 
Soffrir!  dov'è  giustizia?  e  dove  alberga 
Di  caritade  la  soave  fiamma?  — 
Quel  terribile  re  della  parola, 
Che  allegro,  se  di  colpe  eran  pollute, 
Fulminò  le  corone  e  la  tiara, 
Lagrimava  pensando  alla  divina 
Della  croce  follia,  follia  d'amore 
Che  innovò  l'universo. 

O  mia  cittade 
Avventurata,  esultai  Ei  che  di  tanti 
Sulle  pagine  eterne  il  vitupero 
Alle  genti  svelò,  di  te.  Verona, 
La  cortesia  registra.  E  questa  luce 
E  quest'aere  avvivar  l'alma  di  Dante. 

II. 

Mira,  o  diletta  mia:  questa  ghirlanda    * 
Di  collinette  amene,  e  le  fiorite 
Aperte  piagge,  e  il  flessuoso  fiume 
Somiglian  tanto  alla  gentil  Firenze. 
Quante  memorie  della  Vita  nova, 
Di  Beatrice  sua  quanto  desio 
Risvegliar  del  poeta  esule  in  seno. 
Oh!  la  sua  storia  ti  sovvien?  Rideva, 
Come  ora,  il  Maggio;  la  città  del  Fiore, 
A  salutar  dei  fiori  la  stagione. 
Era  tutta  una  festa:  e  per  le  vie 
Frequenti,  e  nelle  liete  radunanze. 
Di  quella  gioventude  itala  il  core 
Come  l'italo  sol  brillava.  Dante 
Mirò  la  prima  volta  una  fanciulla, 
Angelica  al  sorriso  e  come  sogno 


284  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Dolce:  in  quell'ora  lo  inondò  infinita 
Gioia,  in  quell'ora  si  senti  più  grande. 
Oh!  il  mondo  ascolterà  cose  inudite 
Di  quella  benedetta!  Un  cielo  novo 
Gli  apparve  a  quel  sorriso;  e  inebriato 
E  scosso,  il  re  degl'itali  intelletti 
Il  cor  cantò,  cantò  la  patria  e  Dio. 
Quello  era  amore!  —  e  la  perdea  si  presto... 

Oh!  più  mai  non  lasciarmi,  unica  mia: 
Quand'io  ti  miro  si  piacente  e  pura 
«  Mi  vien  per  gli  occhi  una  dolcezza  al  core 
«  Che  intender  non  la  può  chi  non  la  prova.  » 
Quel  che  in  me  desti,  o  amata,  esprimer  godo 
Con  la  favella  d'Alighier;  sol  esso 
Ragionar  osi  del  suo  dolce  affetto: 
Par  che  si  muova  ancor  da  le  sue  rime 
«  Uno  spirto  soave  e  pien  d'amore 
«Che  va  dicendo  all'anima:  sospira.» 
Quella  cara  beltà  fin  da'  prim'anni 
Lo  sostenne  a  seguir  loda  e  virente; 
Onde  mai  sempre  al  generoso  amante 
Il  piacer  ozioso  e  il  fango  increbbe. 
Disdegnando  e  fremendo  in  fra  i  tiranni 
E  gl'ipocriti  visse  immacolato: 
Della  santa  ira  sua  li  turba  ancora 
La  terribilitade.  Ei  primo  i  vulghi 
Ond'era  scissa  Italia,  uni  rendea 
Nell'idioma,  vincolo  d'amore. 
Libero  vate,  con  la  sua  parola 
Evocò  l'avvenire:  —  A  salde  voglie 
Nella  virtude  e  nel  saver  temprate, 
O  Italiani,  i  petti!  Ogni  trionfo 
«  Tra  quei  che  un  muro  ed  una  fossa  serra  » 
Non  è  gloria,  è  sventura.  Oh!  a  vincer  Tire 
Sacrileghe,  senz'armi  il  sacerdote, 
Mite  segno  d'amor,  levi  la  croce.  — 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  285 

Volle  col  soffio  creator  del  genio 

Innovar  le  sue  genti;  e  fu  proscritto 

Siccome  un  reo.  Ma  dopo  lunga  etade 

Miseranda,  il  suo  sdegno  oggi  si  allegra. 

Contemplando  a'  suoi  di  Tun  contra  l'altro 

I  fratelli  ringhiosi,  oh!  se  fu  triste 

La  grande  alma  di  Dante!  Or  da  la  bella 

Gloriosa  Palermo  all'Alpe  mesta 

Ove  il  léon  ruggiva,  Italia  tutta, 

Una  di  cor,  nel  suo  gran  nome  esulta.  ' 

Luigi  Segala  nacque  a  S.  Massimo  in  qud  di  Verona  nel  1836; 
^crcita  ravvocheria  a  Verona.  È  consigliere  ed  assessore  comunale. 
E  autore  di  molti  versi  per  occasioni  diverse,  e  di  molte  memorie 
gitiriciìche  in  materia  civile. 


Qpctta  epUtoU  cosi  ti  legge  *  pAgg*  72-76  deìVÀlbo  dantesco  vtrotuse,  già  duto. 


286  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXXXVL 

Bartolomeo  Biadego. 

Il  culto  di  Dante 
espressione  dell'odierna  civiltà. 

(14  maggio  1865). 


Tutti  gli  accenti  suoi  fur  luce  e  acampo. 
Tutta  1*  viu  auA  fu  tinp«reggÌAto 
Rimbrotto  a'  tìU,  e  sprone  ai  generosi. 
Un  uom  divino  egli  è! 

(Silvio  PeUico). 


È  solenne  del  tuono 
Il  tempestoso  rombo,  che  la  via 
S'apre  di  nubi  dense 
In  fra  la  turbinosa  tenebria. 
L'uom  s'affisa  alle  immense 
Vie  del  baleno,  e  un  Dio  sente  in  quel  suono. 
Memore  che  dal  Sina 
Parla  Ei  così,  quando  vèr  lui  s'inchina. 

Tal  dell'Italo  Vate 
Che  *i  trino  regno  pinge  in  sua  canzone 
Il  verso  onnipotente 
Di  rei  secoli  vinse  la  tenzone; 
E  più  la  forza  sente. 
Perchè  più  al  vero  amica  è  nostra  etate. 
Già  come  a  tutelare 
Suo  nume  ogni  città  gli  erge  un  aitate. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  287 

Fu  mai  di  ciotte  rime 
Fabbro  più  industre,  o  Sofo  si  profondo, 
Che  di  più  eccelsa  fama 
Tutto  occupasse  quanto  è  vasto  il  mondo? 
Ben  Diviìto  si  chiama 
Chi  del  saver  poggiò  sull'alte  cime, 
E  ad  ogni  fallo  rio 
Ruppe  la  guerra  per  guidarti  a  Dio. 

La  prìgion  tenebrosa 
Fatta  è  patente,  dove  in  foco  e  in  gelo 
L'empio  ha  sua  giusta  pena. 
Non  fu  livor,  si  ben  diritto  zelo 
Ond'ei  ti  mostra  in  scena 
Tanta,  pur  de'  suoi  di,  gente  odiosa; 
Volle  a  tal  fiera  vista 
La  scissa  terra  sua  render  men  trista. 

Poi  dove  più  sereno 
L*àer  si  spande,  e  al  ciel  s'aderge  un  colle, 
È  svolto  il  magistero 
D'un  pio  dolore  che  a  virtude  estolle. 
Quale  desio  sincero 
Spira  quel  canto  di  dolcezza  pieno! 
Quanti  mai  sono  presti 
All'opra  santa  Messagger  celesti! 

Ma  già,  deposto  il  peso 
D'ogni  ingombro,  con  lui  t'innalzi  a  volo 
Fin  sopra  de  le  stelle. 
Oh  Bi^atricel  o  mezzo  a  fruir  solo 
Di  tutte  cose  belle! 

Tanto  impeto  d'amor  omai  t'ha  preso, 
Che  per  fulgente  via 
L'alma  tua  di  lei  piena,  in  lei  s'india. 


a88  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Volse  stagione  in  cui 
Nel  tempio  istesso,  un  popolo  felice 
Si  erudiva  alla  scuola 
Del  Cristo  e  insieme  del  Cantor  di  Bice; 
Quanti  ebber  la  parola 
Sapiente,  Tattinser  tutti  in  lui, 
Dal  gentil  Certaldese, 
A  chi  die*  l'Inno  sacro  al  bel  paese. 

Non  de'  giacer  negletta 
Ninna  gente  lor  che  le  glorie  avite 
Religiose  accoglie 

E  queste  più  che  mai  le  son  gradite. 
Se  da  sue  lunghe  doglie 
È  nostra  etade  a  riposarsi  eletta, 
N'  ha  il  merto  sol  chi  tante 
Cure  adoprò  per  richiamarla  a  Dante. 

Ed  havvi  pur  chi  stolto 
Morir  dice  fra  noi  la  prisca  fede. 
Mentre  addoppiarsi  tanto 
L'aflFetto  al  Re  dei  carmi  oggi  si  vede? 
Forse  non  è  ad  un  santo 
Fine  questo  comun  foco  rivolto? 
E  la  fraterna  festa 
Nobili  sensi  in  ogni  cor  non  desta? 

Italia!  —  Poi  che  onori 
L'altissimo  poeta,  e  gli  hai  tal  culto. 
Bene  augurar  mi  è  dato 
Di  tue  sorti.  —  Confondi  il  bieco  insulto. 
Mostra  che  s'ei  donato 
T'ha  in  quel  Volume  il  sommo  dei  tesori. 
Tu  sai  cercarlo,  e  altera 
Lo  levi  in  alto  come  tua  bandiera.  * 


Questi  versi  cosi  si  leggono  a  pagg.  77>8o  dell'io /^0  dantesco  veronese,  già  eit. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  289 

Bartolomeo  Biadego  nacque  in  Verona  il  1812.  Fu  ordinato  prete 
e  divenne  abate.  Fu  sacerdote  e  cittadino  di  non  comuni  virtù.  Soffrì, 
per  i  suoi  sentimenti  patriottici,  molestie  e  persecuzioni  sotto  la  do- 
mìndurìone  austriaca.  Dal  1868  in  poi,  fino  alla  sua  morte,  avvenuu 
VH  maggio  1887,  insegnò  lettere  italiane  nel  collegio  femminile  degli 
An^li  in  Verona.  Fu  poeta  dialettale  di  vena  facile  e  gioconda.  ' 


*  Vedine  un  cenno  nell'opuscolo:  Ptr  l*  non*  Savini-Zueeari  (Verona,  1884),  pub- 
blicACO  da  Giateppe  PUtelH. 


^«L  Balio.  Voi.  XIV.  I9 


290  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

DCCXXXVIL 
P.    Antonibon. 


Ad  Ugo  Zanxoni  che  scolpiva  la  statua 
DI  Dante. 

(14  maggio  1865). 

V  mi  ton  OH  che  qiun 
Amore  spira,  noto. 

(Dante; 

O  giovinetto  che  nel  cor  ti  senti 
Lo  spirto  di  Canova  e  Tenerani, 
E  penetri  gli  arcani 
Santuari  dell'arte,  e  non  paventi, 
Sotto  la  man  che  crea 
Non  tremava  il  tuo  giovine  scalpello. 
Quando  ti  apparve  alla  feconda  idea, 
Tutto  avvolto  nel  suo  bruno  mantello, 
Il  divino  sembiante 
Della  grande  e  sdegnosa  ombra  di  Dante? 

Il  Titano  de'  vati,  alto  disegna 
De*  tempi  foschi  nella  notte  oscura 
La  nobile  figura, 

E  ancor  su  tutti  alteramente  regna; 
Dal  sole  della  gloria  irradiato, 
Dall'esiglio  e  dal  duol  santificato... 
Fra  i  popoli  divisi  egli  passava 
Con  r  amore  d' Italia,  e  Sacerdote 
Del  canto,  preludiava 
Col  forte  immaginar  dell'intelletto 
La  sapienza  dei  secoli  avvenire. 
Cieche  fremevan  Tire 
Dietro  il  fuggiasco,  che  in  tremende  note 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  291 

Con  lo  sdegno  nel  core  e  col  dispetto, 

Ai  porporati  poveri  gridava: 

Curvatevi  —  son  io  re  del  pensiero  ! 

Cieco  mendica  Omero, 

Ma  vive  eterno  il  Bardo,  e  non  è  morta 

La  cetra  che  cantava 

Ilio  due  volte  rasa  e  due  risorta. 

E  il  divino  Àllighiero 

Vide  pur  sempre  una  perenne  aurora, 

Che  amor  di  Dante  è  amor  d' Italia  ancora. 

Ugo  m*  ascolta.  —  Era  un  giorno  d' Aprile 
E  un  giovinetto  dalla  fronte  bruna, 
Dall'occhio  mesto,  pallido  e  gentile 
Fra  Tonda  delle  liete  Fiorentine, 
Vestite  a  festa,  una  fanciulla  nota, 
Dalle  labbra  soavi  e  porporine, 
Bella  cosi  e  devota, 

Che  gli  occhi  non  ardiscon  di  guardare, 
Perchè  nel  Paradiso  ebbe  la  cuna. 
Mentre  ei  cantava  le  pupille  care. 
La  bocca  le  baciò  tutto  tremante. 
Ella  beata  dell'amor  di  Dante. 

Ahi!  che  il  duro  cammin  di  nostra  vita 
Non  era  degno  di  si  gentil  cosa. 
Ella  cadeva  come  fragil  rosa 
Sull'infecondo  cespo  inaridita. 
Di  Fiesole  movea  per  le  colline 
L' Àllighiero  dolente,  lo  pungea 
Il  desìo  della  morte,  allor  che  mesta 
La  voce  delle  squille  vespertine 
Flebile  si  spandeva  intorno  intorno. 
Ancor  egli  volea  morir  col  giorno. 
Ma  l'ansia  del  dolore  e  la  tempesta 
Ridestò  la  divina  aura  segreta 
Che  dal  nume  movea, 
E  Dante  si  riscosse...  egli  è  poeta. 


292  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

E  caldo  ancor  del  sol  della  battaglia 
Che  a  Campaldino  colorò  il  vermiglio 
Giglio  Palvese  della  Guelfa  insegna 
Combattuta  d'Arezzo,  il  vate  impara 
Il  cammin  dell' esiglio. 
Che  questa  terra  sventurata  e  cara 
Dal  di  che  il  si  suonava,  e  che  s'udia 
Una  favella  ed  una  gente  nova, 
Della  sventura  e  del  dolor  fu  Y  ara. 
E  l'esule  fuggia  del  santo  uccello 
Sotto  i  vanni  cortesi,  e  qui  ritrova 
Lo  suo  primo  rifugio  e  primo  ostello. 
Che  questo  sole  agguaglia 
Il  sol  che  batte  e  muore 
Sulla  gentil  Santa  Maria  del  Fiore. 
Che  Firenze  e  Verona  amiche  e  belle 
Son  due  perle  d*  Italia  e  son  gemelle. 

Son  due  vaghe  gemelle 
Redemite  di  colti  e  di  colline. 
Culla  di  fiori  e  di  leggiadre  e  belle 
Scaligere  fanciulle  e  ghibelline. 
Là  consola  di  molli  ombre  un  cipresso 
La  tomba  di  Riccarda,  e  qui  Giulietta 
Dorme  a  Romeo  d'appresso. 
Una  si  specchia  in  Arno 
E  l'altra  il  vorticoso  Adige  bagna, 
E  si  chiamano  sempre  e  sempre  indarno. 
Qui  i  vecchi  monumenti,  illustri  altari 
Della  superba  Maestà  Romana, 
Le  porte  trionfali 

Liete  dell'  inno  e  della  uscente  schiera 
Che  di  Raudio  a  pugnar  nella  campagna 
Con  Mario  affretta,  e  vince  le  fatali 
Orde  dei  Cimbri.   Là  d'  Etruschi  Lari 
L'orma  repubblicana, 
E  San  Miniato  e  la  cupola  altera 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  293 

Di  Brunellesco  che  mirò  lontana 

Vinta  cader  la  libera  bandiera 

Coirultimo  Toscano  a  Gavinana. 

Là  Michelangiol  pinsc,  e  qui  Ciliari, 

Ed  or  r  inno  dei  Bardi 

Ancor  risuona  in  numeri  divini, 

E  al  cantico  fedel  di  Nicolini 

Il  cantico  risponde  d'  Alcardi  ; 

Che  Verona  e  Firenze  amiche  e  belle 

Son  due  perle  d'Itaha  e  due  gemelle. 

D'una  selva  selvaggia  ed  aspra  e  forte 
Ei  qui  discese  tra  i  funesti  giri, 
Nei  cerchi  ardenti  ove  regna  la  morte 
Ei  raccolse  le  lagrime  e  i  sospiri; 
E  il  pianto  di  Francesca  ancor  risuona 
Nei  silenzi  del  vespro,  e  cento  e  cento 
Italiane  fanciulle,  innamorate 
Ripetono  il  lamento 
Da  un  senso  arcano  di  dolor  portate, 
Che  amore  a  nullo  amato  amar  perdona. 
E  il  carcere  di  Pisa,  e  il  violento 
Teschio  corroso,  e  nella  torre  infame 
La  terribile  lotta  della  fame, 
Gaddo,  Anselmuccio,  e  l'ansia  d'Ugolino 
Morto  caduto  a'  suoi  figliuoli  accanto. 
Tale  ridesta  un  fremito  divino. 
Che  chi  non  piange,  non  conosce  il  pianto. 

Ma  quel  divino  spirito  s'innalza, 
Solcato  il  mar  crudele. 
Dove  vicino  già  si  sente  Iddio. 
Un  angiol  mesto  e  pio 
Per  correr  miglior  acqua  alza  le  vele. 
Sale  di  balza  in  balza; 
E  dietro  i  passi  del  poeta  nasce 
Il  fior  della  speranza  ed  il  sorriso... 
Che  r  anima  si  pasce 


294  POESIE  DI   MILLE   AUTORI 

Del  barlume  che  vieti  dal  Paradiso^ 

Perchè  U  fede,  eterna 

Fiamma,  il  dolor  governa. 

E  il  bruno  pellegrin  passa  e  conforta 

L'aflFanno  della  Pia  cui  la  maremma 

Rubò  la  gemma  e  della  vita  il  fiore, 

E  la  prima  cnnzon  ode  d'amore 

Del  suo  Casella,  e  porta 

La  rugiada  d'un  bacio  a  quelle  arcane 

Figure  di  Metelda  e  della  Lia 

Che  ancor  non  san  d'umane. 

Freme  sdegnoso  e  piange  con  Sordello 

Su  questo  antico  di  dolore  ostello. 

Ma  là  dove  s'  acqueta  ogni  speranza, 
Dove  non  move  piccioletta  barca 
Sali,  o  poeta.  —  Una  gentil  sembianza 
L'aere  beato  varca 
E  pei  ridenti  tramiti  ti  mena 
Della  region  serena, 
Dove  s*  appura  in  Dio  ogni  sustanza. 
Angelica  farfalla,  e  tu  disveli 
Le  ignote  forme  degli  ignoti  cieli 
E  penetri  per  entro  agli  andamenti 
Di  quei  mondi  lucenti, 
Dove  oscillanti  e  belle 
Palpitano  le  stelle 
Coi  lor  fidi  pianeti. 
Sovrano  dei  poeti! 
Tu  vedi  in  coraggiosa  vicinanza 
Di  Dio  l'aspetto  e  quell'amor  che  splende 
Pegli  atomi  di  luce  e  si  matura, 
Vita  riceve  e  lume 
Come  dall' iri  l'iride,  alla  pura 
Fiamma  immortai  del  Nume.  — 
Dante,  se  a  te  fea  guerra 
La  fiera  umanità,  che  tutto  vende, 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  295 

Pellegrino  dei  cieli  vagabondo, 
Fuggi  pei  calli  di  un  etereo  mondo. 
Che  al  tuo  genio  divin  scarsa  è  la  terra. 

Ma  di  Dante  nel  cor  batte  1'  estrema 
Ora  di  morte  e  l'anima  commossa 
Ritoma  ancora  alla  magion  suprema 
Che  vide  viva.  Ravenna  Ospitale 
Solo  vegliava  attonita  e  percossa 
Del  gran  ramingo  al  povero  guanciale... 
Una  mesta  visione  indefinita 
Al  morente  appariva 
L'ultime  addolorando  aure  di  vita. 
Nuova  Cassandra  al  Simoenta  in  riva 
Egli  allor  del  destin  l'ordine  apriva... 
Venezia  altera  e  bella,  *  ora  i  tuoi  scalzi 
Eneti,  pescator  grandi  son  fatti, 
E  sui  cedri  del  Libano  t'innalzi! 
Repubblicana  tu  rifiuti  i  patti 
Delle  sorelle  tue...  ahi!  che  lontano 
S'agita  un  uragano; 
Il  pugnai  che  tu  affili  è  il  tuo  pugnale! 
E  l'aurato  vedea  corno  ducale 
Piombar  nell'onda  con  l'anello  d'oro, 
Lacero  il  Bucintoro 
Dormire  col  Leone  in  Arsenale, 
E  la  nova  Vestale 
Cader,  no  morta,  ma  sepolta  viva 
Nel  formidabil  campo  scellerato.  ' 
E  il  capo  recUnato 
Amaramente  pianse  il  gran  profeta. 
Ma  il  vento  che  movea  dalla  marina 
Un  angiolo  giocondo 
Destava  allor  dalla  palude  Altina. 


1  ^  -    - 

■ori.  ^^    «vtadp   odPMBhMdcrU  Ji  VcneiM  Dastc  o-t*-.vo  e.',   ch«  loIIc,  iuitrmò  • 


296  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

E  venne...  e  accanto  al  fatai  letto  assiso. 
Parlò  segretamente  al  moribondo 
Un'arcana  parola,  e  niun  Tudia.  — 
Mentre  la  cara  vision  svania 
In  fronte  al  vate  balenò  un  sorriso.* 
E  il  sol  d' Italia  riposò  un  istante 
Sulla  pallida  testa  del  poeta... 
E  il  domani  splendeva  sulla  fossa 
Che  serba  le  invidiate  ossa  di  Dante. 
Udisti  giovinetto  ?  —  Ora  i  nepoti 
Han  sciolto  il  voto,  e  sorta  la  reina 
Dell'Arno  antico,  un  di  guelfa  caduta 
Imperatrice  nova  e  ghibellina, 
Alza  l'aitar  dei  popoli  devoti  — 
E  r  Adige  saluta 

L'  ospite  eterno,  ed  or  tutto  risplende 
Dell'opra  tua  sotto  le  bianche  bende 
Questa  storia  d'amore,  e  tu  lo  sai  — 
Tu  che  movendo  vai 
L'orme  felici  pei  senticr  dell'arte. — 
Va  giovinetto.  —  Sei  l'erede  degno 
Del  prepotente  ingegno 
Del  povero  Torquato,  e  tanta  parte  * 
Batte  di  quel  suo  cor  entro  il  tuo  core. 
Ei  ci  donò  la  Pia,  Gaddo  che  muore; 
Tu  con  novo  ardimento 
Alzi  la  pietra,  e  doni  la  parola 
Alla  pietà  del  sacro  monumento. 
E  la  patria  vi  mira,  e  si  consola, 
E  pone  sulla  fronte 
D'  Ugo  e  Torquato  una  corona  sola.  ^ 

Pasquale  Antonibon    nacque  a  Nove    in    provincia  di  Vic< 
Studiò  neir  università  di  Padova  e  si  laureò  in  diritto.  Esercitò 


1  II  Bembo.  3  Questi  versi  cosi  si  leggono  a  p«| 

'  Torquato  della  Torre.  ;    87  deir.4/^o  dantesco  vtromtu,  già  ci 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  297 

digTììxk  e  splendore  Tavvocherìa.  Fu  principe  nel  Foro  veneto.  Per 
molti  anni  sindaco  del  paesello  natio,  fu  consigliere  provinciale  e 
deputato  per  quattro  legislature.  Si  ricordano  i  suoi  discorsi  alla 
C-amera  contro  la  pena  di  morte.  Fu  poeta  gentile  e  letterato  ge- 
nj^tle.  Nel  corso  dì  questo  anno  (1907)  gli  è  stata  consacrata  una 
Jaj>i<ie  sulla  facciata  del  municipio  di  Nove,  sormontata  dal  suo  rae- 
da^^lione  e  recante  quest'epigrafe  dettata  dal  Marchetti: 

«La  patria  ricorda  con  orgoglio  di  madre  |  un  altro  nome  di 
gLoria  I  Pasquale  Antonibon  |  sindaco  per  molti  anni  di  Nove  |  m^- 
selcisi  figura  di  uomo,  d'italiano,  nel  foro,  ne  la  magistratura,  al 
Pstrlamento  |  disse  gagliarde  parole  di  verità,  di  giustizia  |  e  le  con- 
sacrò ne  l'azione  intensa,  feconda  |  Il  Comune,  la  cittadinanza  |  la 
scia  ola  di  disegno  |  le  società  di  mutuo  soccorso  |  V  Opera  pia  Giu- 
seppe de  Fabbris. 


298  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

DCCXXXVIII. 
Vittorio    Merighi. 

Emilio  dei  Mazzanti  e  Virginia  dei  Musel 

Dante. 

Ballata. 
(14  maggio  1865). 

I. 

L'alba  è  appena;  cala  il  ponte 
Del  Castel  di  Villafranca: 
Il  berretto  obliquo  in  fronte, 
Giustacor  serrato  all'  anca 
Di  perfetta  leggiadria; 
Stretta  maglia  che  gli  intona 
D'  un'  arcana  melodia 
La  vaghissima  persona; 
Franco  piglio  qual  s*  aspetta 
Ad  intrepido  guerrier. 
Via  pel  ponte  il  passo  affretta 
Giovinetto  cavalier. 

Oh,  r  impronta  ampia  e  sovrana 
Di  quel  fronte  e  di  quel  viso! 
Dolce  il  fascino  che  emana 
Dal  mestissimo  sorriso! 
E  non  sai  se  sia  maggiore 
Nel  cilestro  sguardo  intento 
O  la  fiamma  dell'  amore, 
O  il  vulcan  dell'ardimento: 


INTORNO  A    DANI  E   ALIGHIERI.  299 

E  la  molle  onda  che  scende 
Giù  pegli  omeri  dai  crin, 
Sembra  l'oro  ciie  risplende 
Sulla  testa  a  un  cherubin. 

E  ogni  donna,  allor  eh'  e'  usciva 
Per  le  strade  di  Verona, 
Ne  ammirava  almen  furtiva 
La  vaghissima  persona: 
Né  fanciulla,  o  altera  sìa. 
Sia  pur  fredda  e  vereconda. 
Di  baciar  negato  avria 
Quella  testa  cosi  bionda; 
Saria  ognuna  a  lui  volata 
Come  in  braccio  del»  Signor 
A  dividere  chiamata 
Le  sue  gioie  e  i  suoi  dolor. 

Era  sangue  di  una  schiatta 
Ladra,  avara,  prepotente, 
E  per  esser  cosi  fatta 
In  orrore  della  gente: 
Schiatta  atroce  in  pace  e  in  guerra. 
Nominata  dei  Mazzanti, 
Perchè  entrata  in  una  terra 
Vi  mazzava  tutti  quanti: 
Ed  appunto  perchè  nato 
Da  si  orribile  magion, 
Doppiamente  è  caro  e  amato 
Il  vaghissimo  garzon. 

L'  epoca  era  atroce  e  rea 
Che  in  cittadi  ed  in  borgate 
Tutta  Italia  misfacea 
In  contese  scellerate: 
Che  per  fisco,  per  confini, 
Per  camifici,  per  bandi, 


300  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 

I  più  integri  cittadini 
Eran  fatti  miserandi; 

Ma  che  pure  a  la  sventura. 
Desco  e  tetto  e  usbergo  a  offrir, 
Si  schiudevano  le  mura 
Del  men  barbaro  dei  Sir. 

Oh,  Verona,  antico  nido 
Di  fortezza  e  cortesia, 

II  mio  cor  t'  è  sempre  fido, 
Gonfio  ai  palpiti  di  pria! 
Sol,  coni'  è  dei  forti  usanza. 
Taccio,  amando,  ed  opro,  e  penso; 
Ma  r  amor  cogli  anni  avanza, 

Ma  si  fa  più  bello  e  intenso; 
E  da  altri  invidi  impedito. 
Da  fiacchezza,  da  rancor. 
Nelle  lotte  ingagliardito, 
Si  ritempra  a  nuovo  ardor! 

Oh  Veronal...  E  l'alma  oppressa 
Scuoti  e  tu,  Cantor  Divino! 
Alto  avrai  conforto  in  essa 
Contro  al  barbaro  destino. 
Senza  patria  e  senza  tetto. 
Calunniato,  vagabondo, 
Avrai  patria  ad  essa  in  petto. 
Avrai  fama  in  lutto  il  mondo: 
Mentre  ogni  invido  nemico 
Od  il  nulla  avvolgerà, 
O  Cain,  come  V  antico, 
Abbruciato  in  fronte  andrà! 

Si,  superba  la  ghirlanda 
Dei  dolori  immeritati  ; 
La  vittoria  miseranda 
Degli  obbietti  fortunati! 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  30I 

A  coprir  lor  vita  immonda 
Sfoggiai!  auri,  acciar,  blasoni; 
Ma  una  voce  li  circonda  : 
—  Via,  progenie  di  lenoni!  — 
Mentre  il  giusto  calunniato, 
Torre  agli  odj  ed  ai  livor, 
Passa  altero  e  salutato 
Dal  rispetto  e  dall'amor! 

Torno  adesso  al  giovin  bello: 
Parteggiante  con  Romeo, 
Dei  Montecchi  insiem  con  elio 
Le  battaglie  combatteo: 
Ma  fur  poi  dubbiosi  i  fati, 
Ma  poi  venne  la  sventura; 
Ed  a  morte  condannati. 
Addio  patrie  amate  mura! 
Sol  che  il  Sir  di  Villafranca, 
Tocco  a  un  fato  si  crude), 
Li  nasconde  e  li  rinfranca 
Nel  fortissimo  castel. 

A  che  intende  adesso?  Intende 
Riveder  le  mura  amate, 
Or  che  feste  ampie  e  stupende 
Fur  da  Cane  pubblicate: 
Nobil  là  fanciulla  ha  sede, 
Che  da  lungo  ignoto  adora; 
Che  è  il  suo  cielo,  la  sua  fede, 
Dì  sua  vita  la  signora: 
Chiuso  in  armi,  la  più  bella 
Ei  la  intende  proclamar; 
Un  istante  rivedella, 
Ed  in  bando  ritornar. 


;02  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 

IL 

Di  gloria  e  gaudio  è  di!  Ma  a  mille  e  mille 
Piangono  madri  e  spose,  orfani  e  vegli. 
E  messi  arsero  e  case,  e  sradicati 
Alberi  furo,  e  aperte  acque,  e  innondate 
Campagne  e  ville...  e  gaudio  e  gloria  è  questo? 
Di  gaudio  e  gloria  è  di!  Ma  a  mille  e  mille 
Caddero  umani,  ed  insepolte  ancora 
Son  le  salme  sformate,  e  orrendo  a  lupi 
Pasto  e  a  grifagni;  ed  eran  belli  e  prodi, 
E  d'  una  lingua,  e  d'  una  terra,  e  d'  una 
Famiglia  istessa...  e  gaudio  è  questo  e  gloria? 
Inutili  ansie,  non  compresi  accenti, 
Lugubri  i  tempi,  e  scellerato  il  mondo! 

Di  gloria  e  gaudio  è  di!  Tutto  in  Verona 
Pompa  spira  e  tripudio:  è  dalla  torre 
Battuto  a  festa  da  tre  giorni  il  Rengo; 
Ed  ai  balconi  ammanti  aurei  e  broccati, 
E  da  tre  giorni  a  cittadini  e  agresti 
Deschi  imbanditi  ognor,  liberi  vini, 
E  più  libere  danze.  Avea  d'  un  colpo, 
Improvviso  pei  tempi  e  fulminato. 
Il  felice  Scaligero  abbattuta 
Del  Carrara  la  possa,  e  trionfante 
N'  era  tornato  ;  tra  fraterne  spoglie 
Tripudiava  la  plebe  ebra  agli  aperti 
Padiglioni  del  cielo,  e  dentro  alle  aule 
Quella  dei  grandi!  E  pure  era  pei  tempi 
Inver  magno  signor  Cane,  e  il  migliore, 
E  colto  e  prode  e  riverito  e  amato: 
Lugubri  i  tempi,  e  scellerato  il  mondo! 
Oggi  è  il  di  del  torneo;  domani  quello 
Sarà  dei  trovatori,  e  poi  le  feste 
Chiuse  con  esso;  e,  ad  eco  prolungata, 
Invidiati  e  cari  resteranno 


INTX>RKO   A   DANTE  ALIGHIERI.  3O3 

I  dolci  nomi  delle  due  bellezze 

Che  avrà  il  voto  maggior  scelte,  e  levate 

Della  fesu  a  regine»  e  i  due  campioni 

Vincitori  del  canto  e  degli  armeggi. 

E  se  una  sola  la  bellezza  fosse 
IDoppiamente  regina,  e  doppiamente 
Solo  uno  il  vincitore? 

Ecco,  air  occaso 
IDeclioa  il  sole,  e  mitigate  molto 
Son  le  vampe  del  di;  pronto  il  torneo. 
Squillan  le  trombe  ad  annunciar  che  arriva 
XI  magno  Prence:  cavalieri  e  dame 
Sorgono  a  un  tratto;  ed  egli  baldo  incede 
1)*  una  maschia  beltà,  d'  una  serena 
fronte  abbronzata,  d'  uno  sguardo  aperto 
Tra  cortese  e  guerriero,  e  circumfuso 
IDa  quella  aureola  arcana  abbagliatrice 
Che  il  trono  dona,  e  la  virtù  delle  armi, 
X  gioventude,  e  studio,  e  cortesia. 
Saluta  intorno,  e  di  sedere  accenna. 
Cd  ei  s'  asside,  ed  a'  suoi  fianchi  stanno, 
Con  prenci  e  grandi,  l'Alighiero  e  il  prode 

TJguccione,  e  quanti  altri  avea  più  illustri 

Cacciati  in  bando  fratricida  istinto 

Delle  città  insensate  italiane. 

Un  altro  squillo!  —  Cavalieri  e  dame. 

Clama  un  araldo,  il  granzìoso  Sire 

A  sccr  vi  invita  la  beltà  che  segga 

Della  festa  a  Regina!  —  In  questo  istante 

Rompe  a  carriera,  e  dell'  arena  in  mezzo 

S'arresta  a  un  colpo  e  sta,  chiuso  nelle  armi, 

Un  ignoto  campione,  a  tutta  voce: 

—  Virginia,  grida,  dei  Muselli,  dessa  ! 

Si,  la  più  bella,  la  più  savia  e  santa 

Vergine  in  terra;  la  più  pura  perla 

De'  tuoi  gran  regni,  o  Cane:  o,  meglio  ancora. 


304  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Il  primo  giglio  del  giardin  di  Dio!  — 
Fondo  segue  un  silenzio.  Avea  Y  audace 
Le  leggi  infrante,  che  non  stava  ad  esso 
Né  sceglier,  né  parlare.  Ognun  fissato 
Tiene  in  Cane  lo  sguardo:  egli  favella: 

—  Cavalier,  non  a  te  la  scelta  stava, 
E  troppo  osasti  :  pur  tale  V  hai  fatta 

Che  t' é  il  faflo  rimesso;  oh!  ma  rimembra 
Che  non  tutto  dicesti,  e  che  rivale 
Altro  potresti  aver  che  non  in  armi. 

—  Spiegati,  Sire  !  —  T'  é  Virginia  nota  ? 
Favellasti  con  lei?  Ti  conosce  ella? 

—  Mai  Tonore  ebbi  della  sua  presenza, 
Né  mi  nosce  la  vergine!  —  Ed  allora 
Sappi  eh'  ella  é  pregiata  e  amata  molto 
Qui  dal  nostro  Alighiero  e  la  più  eletta 
Che  canti  alla  sua  scola,  e  che  declami 
Air  illustre  Maèstro  il  carme  etemo. 

Se  non  nelle  armi  allor,  bene  il  potresti 
In  Beatrice  ritrovar  rivale! 

—  Possibile  una  sola  é  Beatrice 

Per  chi  arda  casto  in  cor,  Principe!  —  É  fama 

Che  un  pò*  le  labbra  si  mordesse  il  Sire, 

E  che  il  guatasse  TAllighier  sottecchi 

Con  quel  sorriso  che  ti  esprime:  —  Prendi!  — 

Ma  ancor  Cane  sorrise,  e  fece  intorno 

Cortese  inchiesta,  se  la  scelta  fosse 

Di  comun  gradimento,  e  mille  voci 

La  designata  proclamar  Regina. 

Ma  la  donzella  intanto  ?  Ella  che  stava 
Schiva  e  modesta  alla  sua  madre  a  canto. 
Allo  improvviso  proclamar  del  proprio 
Nome  cosi  solenne,  ai  mille  sguardi 
Sov*  essa  intenti  ad  un  tratta,  al  bisbiglio, 
Al  piglio  altero  dell'  ignoto  in  armi. 
Da  tal  fu  invasa  turbamento,  a  tanto 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  305 

Rossore  incensa,  che,  nascoso  il  volto, 

Della  sua  madre  rifugiossi  in  seno, 

E  a  un  pianto  disfrenato  il  varco  aperse 

Di  sgomento  e  dispetto  !  Olà  V  audace, 

Ch'  osa  il  suo  nome  profferir...  che  ardisce 

Quasi  d'amarla...  e  il  grida  intorno...!  Offesa, 

Immensa  offesa!...  Oh  tergi  il  pianto  inconscia 

Vergine  del  Signore,  e  i  conturbati 

Spiriti  calma!  Ahimè,  ben  d'  altra  punta 

Ei  t'  avrà  in  breve  trapassata,  il  prode. 

Ma  che  vorrai  più  sempre  in  core  infìtta. 

Che  compagna  sarà  cara  de'  tuoi 

Giorni  pensosi,  e  ancor  più  cara  a  canto 

Sui  tuoi  guanciali  ;  che  sarà  1'  oggetto 

Fidato  al  cielo  dalle  tue  preghiere. 

Che  sarà  la  tua  vita  e  la  tua  morte! 

Ma  ti  calma  per  ora,  e  ti  componi. 

A  mille  voci  ognor  più  acute,  e  a  mille 

Mani  ognor  più  agitate,  odilo,  sei 

Proclamata  Regina:  il  seggio  accetta, 

E  t'  apparecchia  di  tua  mano  il  serto 

Sulla  fronte  a  posar  del  vincitore. 

Ella  è  tutt'  ora  colla  fronte  ascosa 
Nel  sen  materno;  ma  cessato  è  il  pianto, 
Manso  a  la  nota  voce  e  a  le  carezze. 
—  Dante,  parla  il  Signor,  vanne  alla  tua    • 
Gentil  scolara,  e  1'  anima  e  rinfranca 
Della  maschia  parola,  e  di  tua  mano 
Sopra  il  trono  Y  inseggia!  —  E  il  Ghibellino 
Iva,  e  pressava;  e  docile  ai  conforti 
Dell'  amato  Maèstro,  ella  il  seguia 
Al  seggio  dell'  onor.  Calma,  composta, 
Alra  la  fronte  alfìn...  Dio,  che  fanciulla!! 
Pieno  crescente  un  mormorio  si  leva 
Di  maraviglia  misto  e  di  piacenza... 
Squillan  le  trombe,  alto  silenzio;  araldo: 

*^%i  Bàlio.  Vd.  xiv.  ao 


306  POESIE   DI   MILLE   AUTOItl 

—  Il  campo  è  aperto;  cavalieri,  a  voi!  — 
Dodici  sono  baldanzosi  in  sella. 

Fitti  in  banaglia,  splendidi,  piumati, 
Ai  colori,  alle  foggie  ed  alle  insegne 
Montecchio  un  solo,  Cappelletti  il  resto. 
Rompe  ei  la  riga,  e  in  mezzo  al  circo  sprona  : 

—  Un'  altra  volta  ancor  :  V  impareggianda 
Vergine  dei  Muselli  io  la  più  saggia, 

La  più  bella  proclamo  e  la  più  ornata: 

Dissente  alcuno  ?  —  Ha  ognun  la  sua  —  risponde 

Voce  fra  i  cavalieri,  e  gli  altri  :  —  È  vero  !  — 

Ed  ei:  —  Che  monta?  —  E  siamo  undici,  e  istess 

E  solo  tu,  e  Montecchio...  —  E  buon  per  tutti  ! 

Un  dopo  r  altro,  Cappelletti,  avanti!  — 

Era  troppo!  Il  primier  sprona;  di  sdegno 

Tremante,  ogni  ritardo  indegno  indugio 

Il  superbo  a  punir  cogita,  e  dritto. 

Lancia  in  resta,  precipita  sovr'  esso. 

Scansa  il  colpo  il  Montecchio;  oh,  ma  V  attende 

Air  assalto  secondo  !  Eccolo  !  Para 

Asta  con  asta:  scivola  l'avversa 

Innocente  e  sviata;  ei  colla  sua 

Proprio  nel  mezzo  alla  corazza  ha  colto, 

E  lo  sventola  là  !  Sprona  il  secondo  : 

Vola,  ritorna,  si  ripiega,  fugge, 

Para,  investe,  ripara,  investe  ancora. 

Eccolo  a  terra!  Sprona  il  terzo,  e  il  quarto, 

E  il  quinto,  e  il  sesto  e  un  dopo  l'altro  anch'  essi. 

Siccome  i  primi,  fuor  di  sella,  e  giù! 

A  un  cenno  del  Signor,  squillo  improvviso 

La  sosta  suona:  —  Cavalier,  sei  prode, 

Cane  ragiona,  e  ti  riposa  alquanto. 

—  Grazie,  cortese  Sir;  ma  omai,  tu  il  vedi. 
Più  non  restan  che  cinque,  ed  abbastanza 
Valgo  per  essi  ancor!  —  E  allora...  —  Allora 
Sprona  furente  il  settimo,  ed  investe 


IMTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  307 

Direttamente  senza  finta  o  guardia... 
Riverso  !...  E  quattro  un  dopo  V  altro  ancora, 
Ed  essi  air  aria  ancor  :  1*  ultimo  resta  ! 
Sprona  pure  ei;  ma  benché  franco  agli  atti. 
Lento  procede  e  riguardoso;  ha  forse 
Visto  che  un  cotal  poco  al  gran  campione 
Tremava  il  braccio,  e  faticata  in  punta 
Pendea  la  lancia  agli  ultimi  certami. 
Eì  stancherallo  più,  finché  lo  renda 
Tardo  a  colpire  ed  a  parare  infermo. 
L'  altro  ba  compreso  e  ripagarlo  pensa 
D*  egual  moneta»  simulando  offese, 
E  solo  intento  a  riparar  le  avverse, 
Finché  lo  scopra  alla  final  puntata. 
E  già  da  lungo  dubbioso  e  lento 
Segue  il  certame,  e  già  due  volte,  al  petto 
Strisciati  i  cavalier,  piegaro  a  destra 
Ed  a  sinistra  sugli  incerti  arcioni... 

Oh,  ma  che  è  mai,  bellissima  Regina? 
Tu  sei  turbata?  Ansante  il  seno,  gli  occhi 
Umidi  e  gonfi  ognor  più  assorta  intendi 
Sopra  un  sol  cavalier,  e  il  Cappelletto 
Non  é  r  oggetto  della  tua  pressura  ! 
Ma  dove  dunque  giti  sono  i  tuoi 
Spiriti  risentiti;  ove  l'offesa?... 
La  vide  il  cavalier;  virtù  ne  trasse 
A  sovrumana  prova,  e  tutte  in  una 
Le  esauste  forze  accolte,  entrambi  i  fianchi 
Punse  al  corsiero,  V  avverti  alle  fauci, 
In  resta  pose,  si  chinò  in  arcione, 
Investi  dritto,  parò  a  destra  e  a  manca. 
Lo  sfiorò  appena  il  Cappelletto  all'  elmo, 
Bi  calzò  al  petto,  e  lo  mandò  riverso. 
Alto  prorompe,  forsennato  cresce, 
Al  del  si  spande  generale  un  grido. 
S'  agitan  lini  trionfali,  e  palme 


308  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Battono  a  palme,  e  di  vittoria  i  squilli 
Assordai!  V  aria  di  letizia  intorno. 

E  la  Regina  respirò  si  come 
Dair  incubo  fantasma  egro  svegliato, 
Ma  bianca  in  fronte,  semispenti  i  cigli, 
Pendenti  i  bracci,  e  la  persona  affiranta. 

Tutte  consunte  avea  nell'  ansia  orrenda 
Dell'  alma  le  virtudi  e  delle  membra  : 
Ell'ama!  Oh  se,  poc'anzi  appena,  offesa 
Tutta  fremette  e  conturbata?  EU' ama! 
Oh  ma  se  ignora  ancor  chi  si  nasconda 
Dentro  all'  armi  del  prode  ?  Ama  !  Ma  ignoto 
Se  le  fu  sempre  amor,  se  visse  ognora 
Sola  e  studiosa  alla  sua  madre  in  seno? 
Ed  è  per  questo  ancor  eh'  ama,  e  più  forte  ! 

Cane  fa  cenno,  e  cessan  gridi  e  trombe. 

—  Cavaliere,  in  ginocchio;  e  tu.  Regina, 
Gli  cingi  al  fronte  dei  vincenti  il  serto!  — 
China  il  ginocchio  il  cavaliere  ai  piedi 
Della  Regina,  e  ben  gli  sta  che  il  cinge 
Corazza  al  petto,  e  gli  nasconde  il  fronte 
Fitta  celata,  che  altrimenti  a  ognuno. 

Dal  tempestar  del  seno  e  dal  rossore. 
Saria  palese  V  amorosa  fiamma. 
Prende  ella  in  ambe  man  1*  aurea  ghirlanda 
Per  cingerlo  al  cimieri  —  Regina  (il  Sire), 
Attendere  ti  piaccia  anco  un  istante: 
Deve  posare  la  ghirianda  in  prima 
Sul  fronte  al  vincitor;  l'elmo  ti  leva, 
O  cavaliere,  e  la  sùeta  grazia. 
Concessa  al  vincitor,  chiedi  al  tuo  Sire! 

—  Mio  Sire  il  fosti,  e  rispettato  e  amato 
Tho  sempre,  e  sempre  ti  rispetto  e  t'  amo... 

—  Ebben?  —  Ma  adesso  in  bando  son...  —  Proseguii 

—  Dannato...  —  libbene  ?  —  E  mal  reggendo  all'acre 
Desio  crescente,  che  consuma  a  morte. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  309 

XDalie  mura  paterne  osai  furtivo 

Qui  penetrar,  tentar  la  giostra,  ed  ove 

^e  uscissi  vincitor,  chieder  la  grazia 

IDi  riveder  questa  Verona  tua 

(E  mia  puranco!)  cosi  bella  e  amata, 

IDi  chiuder  gli  occhi  a'  miei  vegliardi,  e,  il  giorno 

Che  Iddio  fissasse,  i  miei  chiudervi  ancora. 

JE  se  non  vincitore,  una  adorata 

fronte  un  istante  rivedervi  almeno, 

E  cosi  confonato  al  bando  amaro. 

Se  ignoto,  ritornare  ;  o,  discoperto, 

JDelle  leggi  ai  rigor  chinar  la  testa... 

J\iz  riposare  al  natio  nido  in  seno! 

Prode  sei,  cavaliere,  e  ornato  e  onesto... 

-A.'  fianchi  miei,  credo,  pugnasti.  —  È  vero!  — 
I^resso  a  Vicenza?  —  É  il  terzo  anno...  —  Or  t'aggiungo 
dlhe  vago  sei  quanto  sei  prode  e  onesto  : 
iratta  è  la  grazia:  cavalier,  ti  scopri!  — 

Bello  esser  forte  ha  Y  uom!  V  hanno  momenti 
dlhe  tutto  quanto  ei  si  disface,  e  sviene 
Cignale  eco  in  monti,  qual  vapore  in  fumi, 
^^ual  mente  in  sonno.  Egli  tuttor  posava 
XJn  ginocchio  per  terra  :  all'  improvviso 
Xliflui're  del  sangue  a  tanto  annuncio, 
<Zome  gli  manca  qualche  cosa  in  petto, 
-Soffocato  è  il  respir,  la  testa  incendio, 
Cartel  le  tempie,  e  vorticoso  il  guardo. 
"Vacilla,  e  già...  no,  d*  ambo  i  pugni  ha  fatto 
Puntello  al  suol:  vuole!  E  come  sospinto 
i)a  occulta  molla  è  in  pie*  scattato,  e,  scossa, 
X^otentemente  la  persona,  entrambe 
^dene  all'elmo  le  mani,  e  svita  e  slaccia, 
^  r  elmo  toglie  alteramente,  e  sta! 

Emilio  I  Emilio  dei  Mazzanti!  —  è  il  grido 

M)ì  dolce  meraviglia  inaspettata. 

Di  mal  domi  rancor,  d'affetto  immenso. 


310  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Ei  richina  il  ginocchio,  e  la  ghirlanda 
Gli  posa  in  fronte...  ed  isfioràr  funivi 
Una  candida  man  due  labbri  ardenti, 
E  voce  mornìorò:   —  Virginia,  io  t'amo! 
E  per  tal  guisa  era  il  torneo  finito. 


III. 

E  poi  venne  1'  occaso  ;  e  là,  di  retro 
li  campanile  San  Zeno,  il  sole 
Pomposamente  si  corcò  tranquillo. 
E  poi  spuntò  la  luna;  e  i  solitari 
Spazi  del  firmamento  ascese,  e  splende 
Dei  silenzi  regina  e  dei  pensieri, 
E  mormora  sommesso  Adige;  e  intorno 
In  sulle  rinfrescate  aure  accarezza 
Alberi  e  fiori,  vigili  e  dormenti; 
Ed  è  il  cuor  della  notte!  Ancor  passeggia 
Una  forma  bianchissima  ondeggiante 
Su  e  giù  un  veron  che  lambe  Adige  ai  piedi. 
Oh,  roco  e  triste  un  martellar  risuona! 
Della  tor  dei  Muselli  è  il  coprifoco. 
Basta,  Virginia!  Son  talor  fatali. 
Troppo  notturne,  quelle  fresche  e  crude 
Aure  atesine;  ti  ritira,  e  requie 
Nel  sonno  invoca  ai  conturbati  spirti. 
Ebben,  si,  audace,  se  tale  ti  giova. 
Audace  pur  lo  sconosciuto  in  armi 
Cosi  solenne  a  proclamarti  a  tanta 
Gente  in  cospetto...  ma  poi  che  t'  amava 
Di  cosi  puro  amore,  egH,  il  più  bello. 
Egli  il  più  prode,  egli  il  più  dolce  e  ornato  .^, 
Ebbene,  e  sia,  più  audace  ancora  osare 
Dirtelo  io  t'  amo,  ed  un  ardente  bacio 
Sulla  tua  mano...  ma  poi  che  t'amava 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  3II 

Tanto,  e  da  tempo  si  lungo,  e  di  fiamma 
Si  pura  e  sviscerata  ?...  —  Offesa,  offesa  !  — 
Oh  ma,  Virginia,  insieme  ad  esser  quella 
Della  vergine  amata,  era  la  destra 
Che  allora  allora  V  avea  cinto  in  fronte 
Del  serto  dell' onore!...  —  Offesa,  offesa!  — 
E  vuol  bene  ella  coricarsi  alfine, 
Oh,  ma  nel  seno  della  madre  sua 
Contro  air  audace  troverà  un  rifugio  ! 

Dorme;  sogna!  Le  varie  e  tante  sono 
Immagini  del  giorno  ed  i  pensieri 
dhe  sulla  mente  le  fan  specchio  e  ressa. 
Oh,  il  sen  le  batte  ognor  più  gonfio,  e  cresce 
I^iù  frequente  il  respiro  e  faticato! 
fi  desso,  desso,  il  giovinetto  audace 
Che  supplicante  del  verone  ai  piedi 
XJn  sguardo  sol  le  chiede,  una  innocente 
Stretta  di  mano!...  Ed  una  forza  arcana 
Soavemente  la  costringe  e  tira 
I^resso  al  supplice,  là...  là  abbasso!  Oh  via! 
Xndietro!...  Indietro!...  Ha  vinto:  e  la  fatale 
forza  è  domata;  e  omai  ampia  respira, 
£  di  sé  donna  e  libera  si  sente! 
Oh,  ben  si  può  ciò  che  si  vuole!...  Cielo! 
Spavento!  Inverso  ha  il  corso,  e  la  fatale 
Forza  che  prima  la  tirava  in  basso, 
Costrìnge  adesso  il  giovinetto  ad  essa! 
1^0, non  s'inganna!  ..  Ei monta...  e  monta...  e  ancora 
Monta!...  Gran  Dio!  Eccolo,  giuntaci...  Il  capo 
Gli  spunta  dal  verone!...  Indietro!...  Aiuto, 
O  madre  mia!  Sopra  il  tuo  sen  mi  salva!... 
E  la  madre  compare,  ed  ella  entrambe 
I-e  braccia  stende,  e  desolatamente 
le  si  gitta  sul  sen  gridando:  —  Aiuto!  — 

È  che  tu  sogni  !  Ma  del  resto,  come, 
Imprudente  carissima,  vorresti 


312  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Trovar  difesa  alla  tua  madre  in  seno 
Contro  amor  come  il  tuo?  Ara  di  sacro 
Foco  è  il  sen  della  madre,  e  al  suo  contatto 
Tutto  s' infiamma  quanto  è  puro,  e  il  tuo, 
Benché  cosi  respinto  e  paventato, 
È  castissimo  amore,  almo,  celeste, 
Da  far  superbo  ogni  mortale  in  terra. 
Da  farlo  in  terra,  avanti  al  ciel,  felice! 
Oh  non  avesser  li  primieri  nostri 
Padri  peccato  innanzi  al  Nume,  e  fosse 
Eden  rimasto  il  mondo,  e  immacolato 
Spirito  l'uomo,  ed  a  novello  eliso 
Non  redenturo,  e  sopra  il  mio  cammino 
Incontrata  ti  avessi,  oli  con  che  core 
Salutata  t*  avrei,  piena  di  grazia. 
Ma  per  me,  ma  per  me  —  Ave  Maria/  — 

Il  sogno  segue.  E  della  madre  al  collo 
Ognor  serrata  più  la  giovinetta. 
China  alla  spalla,  e  colle  labbra  presse 
A  una  sua  guancia,  chiude  gli  occhi,  e  parie 
Rassicurata  alfin  cader  sopita. 
Quando  una  voce  non  ignota  suona: 
—  Ah,  madre  nostra!  —  Schiude  il  guardo,  e  ve 
(Oh,  sogno  sogno,  illusion,  delirio!) 
Emilio  vede  che  suU'  altra  guancia 
Posa  alla  madre  le  sue  labbra,  e  sente 
1/  alito  istesso  suo:  sente,  a  traverso 
Del  sen  materno,  i  palpiti  trasmessi 
Di  queir  ardente  cor!...  Battono  eguali 
Coi  propri...  eguali  di  candor,  di  fede... 
Soavi,  pudibondi,  immacolati  !... 
E  da*  suoi  sguardi  fissi  umidi,  pieni 
D' immenso  affetto,  ella  un'  ignota  beve 
Dolcezza  e  una  fidanza...  e  sta  la  madre 
Senza  sgomento...  e  a  poco  a  poco  parie 
Più  assicurata  ancot  cader  sopita. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  513 

Ed  ecco  a  un  punto  quella  voce  istessa: 

—  Mia!  Mia  !  —  suonar  :  schiude  gli  sguardi,  e  trova 

(Sogno  due  volte,  illusion,  delirio!) 

Altra  la  guancia  che  la  sua  combacia. 

Altro  il  sen  su  cui  posa,  altro  V  amplesso 

Che  la  serra  alla  vita!...  Oh  Dio  Signore!... 

Fra  le  braccia  d'  Emilio  ella  si  trova 

E  la  madre  sparita  !  A  disperati 

Crolli  vorria  disciorsi,  e  senza  lena 

Sono  le  braccia  immobili  e  gelate; 

Vorria  fuggir,  ma  son  pur  essi  al  suolo 

Come  inchiodati  i  piedi!  Esterrefatta 

Volge  intorno  gli  sguardi...  oh  ciel,  la  madre 

Che  proprio  li  sopra  le  teste  loro, 

Piena  d'  amor  la  guarda-  e  le  sorride, 

E  r  assecura,  e  ad  accettar  la  incuora 

Del  dolcissimo  amante  anima  e  vita!... 

E  Emilio  che  più  ognor  —  Mia!  Mia!  —  ripete. 

Ella,  la  madre,  a  raddoppiati  amplessi 

In  fronte  bacia,  e  poi  li  bacia  entrambi. 

Leva  in  alto  le  mani,  e  benedice! 

Delizia  del  Signor!  Ella  si  sente 

Tutta  cambiata  a  un  punto:  un'  aura  intorno 

Di  fidanza,  d'  amor,  di  tenerezza 

Tutta  l'avvolge:  a  poco  a  poco  come 

Liquefarsele  il  core  insiem  le  sembra 

Con  quel  d'  Emilio...  colle  sue  le  braccia 

D'  Emilio  assimilarsi,  e  i  due  respiri 

Fusi  in  un  solo;  ed  una  forza  arcana 

Prepotente,  dolcissima,  divina. 

Tirarla  alla  sua  bocca!...  Oh  allora,  tutta 

Scossa  in  sé  stessa  d'  un  t .emendo  schianto, 

Sei  serra  al  petto,  disperatamente 

Bocca  congiunge  a  bocca,  e  grida:  —  Tua!  — 

E  trabalzò  sul  letto  risvegliata, 
E  stati  sogni  solo  erano  e  larve... 


314  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Si,  ma  svegliossi  eternamente  sua! 

Ed  in  vita  ed  in  morte  I  Oh  quando  amore 

Cominciò  si  guardingo  ed  oppugnato; 

Quando  dentro  a  sue  spire  avvolse  e  chiuse 

A  poco  a  poco,  ad  una  ad  una,  tutte 

D*  un  nobii  cor  le  più  riposte  fibre: 

Ed  or  soffio  di  Simon,  or  gelato 

Alito  d'Aquilone,  assuefatto 

A  quelli  avrallo  turbamenti  arcani 

Che  non  sgomentan  più,  che  fonte  sono 

D*  una  crescente  tenerezza...  Amore 

Fato  diventa,  onnipotenza,  Dio  ! 

E  r  anima  che  tanto  altera  e  offesa 

Fea  ripulse  in  principio,  e  suspiciosa 

In  appresso  esitava,  -eccola  a  un  punto 

Di  tanto  ardente  amante  ed  indomanda! 

Ahimè,  Virginia,  ma  sei  cinta  intorno 

Di  cor  spietati,  ed  il  dolor  ti  aspetta 

Forse  al  gaudio  primieri...  Venga  il  dolore! 

Ma,  Dio!  raminga  per  regioni  ignote 

Stenterai  forse  il  pan,  né  avrai  ricetto 

Ove  ridurre  il  pie'!...  L'esiglio  venga 

E  la  miseria!  Ma  se  un  fatto  atroce, 

0  un  ferro  atroce  più,  mieter  dovesse 

1  tuoi  giovani  giorni?  E  sia,  la  morte! 

È  detto,  ed  io  t'abbraccio  in  un  amplesso 
Di  purissimo  affetto,  e  al  cor  ti  stringo. 
Sublime  créatura,  e  tale  il  cielo 
Voluto  avesse  sul  mio  mesto  calle 
Metter  fanciulla  a  compensarmi  amante 
Le  nequizie  del  mondo,  a  farmi  il  tetto 
Di  bambini  giulivo,  e  a  provvedermi 
Affetti  e  cure  pei  più  tardi  giorni. 
Che  troppo,  ahi,  ratti  mi  si  fanno  innanzi  ! 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  315 


IV. 

Di  cor  spietati  tutto  intorno  cinta, 
Io  tei  dissi.  Virgìnia,  ahimè  il  rammenta! 
Innumere  per  gli  atrii  ardon  le  faci, 
E  per  gli  ampi  scaloni,  e  dentro  alle  aule 
Del  Signor  di  Verona:  ultima  festa. 
Come  dodici  ieri  in  armi,  adesso 
Dodici  sono  i  trovator  presenti 
Del  canto  aneli  alla  onorata  fronda. 
Tutti  del  divo  Fiorentino  all'alma 
Scola  nodriti  in  sulle  atesie  rive. 
Sta  TAUighiero  preside  supremo. 
Ed  ha  giudici  insieme  otto,  i  più  culti 
Fra  i  nati  suU'  ameno  Adige,  dove 
«  Solea  valore  e  cortesia  trovarsi.  » 
É  in  torno  assiso  quanto  v'  ha  più  eletto 
Di  matrone,  donzelle  e  cavalieri. 
Parla  il  Signore:  —  ET  adunanza  intera. 
La  Regina  si  scelga.  —  Ecco  d' un  tratto, 
Quasi  d' intesa  pattuita  in  prima, 
Tutti  gli  sguardi  correre  là,  dove 
Stava  Virginia  colla  madre  assisa. 
Essa  era  calma,  placida,  sicura 
Oggi  di  sé,  non  come  ieri  incerta. 
Tutta  intorno  alla  fronte  una  grandiosa 
Aura  serena  la  rendea  più  bella. 
Pareva  come  irradiata  in  volto 
D'  una  luce  lievissima  ed  arcana, 
E  il  seno  avvolto  e  la  persona  in  leni 
Panneggiamenti  d'  etere  e  di  luna. 
E  le  ragioni  non  sapea  trovarne, 
Ma  la  vedeva  e  la  sentiva  ognuno 
Altra  e  più  bella  che  giammai  non  fosse... 
E  ad  una  voce  la  clamar  Regina! 


3l6  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Ah,  le  ragioni  non  sapean  trovarne  ? 
Volgo!...  L'alito  ornai  della  seconda, 
Della  vita  verace  ha  in  lei  soflBato! 
Volgo!...  Di  Dio  la  luce  e  la  parola 
S'è  rivelata  all'anima  redenta! 
Eir  ama  !  Ed  in  brevi  ore  ella  ha  vissuto 
Tutta  una  vita  dei  più  ardenti  e  puri 
E  vivifici  aflfetti!  Oh  là,  in  quel  fionte, 
Della  vergin  vegg*  io  la  pavida  ansia, 
Là  della  sposa  il  pudibondo  eliso, 
Là  della  madre  la  celeste  fiamma! 
Oh  volgo,  volgo! 

Eccola  in  seggio  ancora. 
Dei  trovator  si  leva  il  primo,  e  attende 
Dalla  Regina  ed  argomento  e  cenno. 

—  Concordia  —  ella  pronuncia.  Avea  i  fratelli 
Cappelletti  e  i  parenti,  ed  era  molto 
Delicato  il  pensier  che  le  inspirava 

La  fraterna  parola.  Il  giovincello 

Nulla  comprese,  e  strimpellò  pel  meglio 

Che  gli  dettava  la  stordita  etate. 

Così  al  secondo  —  Cariiade    -   e  al  terzo 

—  Perdono  —  ella  prosegue  :  ( —  Amor  —  non  osj 
Quella  celeste  pudibonda,  pure 

Che  tal  la  tenti  ad  ogni  istante  il  labbro!) 
Ed  —  Amistade  —  al  quinto,  e  cosi  sempre 
Fin  che  tocca  ali*  estremo.  Alla  sua  volta 
Ei  pur  si  leva:  è  Emilio.  —  Gelosia!  — 
Suona  dura  una  voce  all'aula  in  fondo. 
Si  piantò  come  lama  in  mezzo  al  core 
La  sinistra  parola  a  la  donzella! 
Bianco  si  volge  Emilio,  ed  i  suoi  sguardi 
In  altri  sguardi  torbidi  e  sinistri 
Eguali  si  scontrar!...  Le  punte  in  breve 
Si  scontreranno  delle  spade  loro! 
Ei  si  compone,  e  a  la  Regina  inchiede 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI  317 

Se  mai  gradisca  la  richiesta,  ed  ella 
Del  capo  afferma;  e  il  trovator  raccolto 
Qualche  momento  sta,  s'  agita,  canta. 


Gelosia. 

Parola  alcun  fé*  intendere 
Che  suscita  e  desola; 
Eppure,  eppur  terribile 
Sempre  non  è  parola!... 
Si,  troppo  spesso  agli  uomini 
Furioso  accecamento; 
Ma  pur  talor  n'  ha  origine 
Caro  gentil  tormento! 
De'  sogni  il  senso  affermasi 
Dai  saggi  veritier; 
Il  mio  ti  narro,  giudica. 
Regina,  tu  se  è  ver. 

Esce  dalle  onde,  mostrasi 
La  creatura  santa: 
Ahi,  nel  lenzuolo  avvolgiti, 
Di  pieghe  assai  t'  ammanta  I 
È  ver,  tranne  al  purissimo 
Occhio  del  sol,  negato 
È  a  ogni  altro  ciglio  il  fascino 
Del  cinto  immacolato: 
Pur  del  mio  amore,  o  vergine, 
Tanto  è  geloso  il  voi. 
Che  non  che  ignota  agli  uomini, 
Ti  voglio  arcana  al  Sol  ! 

Un'  altra  volta  immcrgesi 
La  santa  creatura: 
Esce!...  Ahi  dolor!...  rannicchiati, 
Dentro  al  lenzuol  ti  fura! 
Eccetto  la  castissima 


3l8  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Pupilla  della  luna, 

In  te  là,  è  vero,  a  pascei 

Non  V*  ha  pupilla  alcuna  ; 

Ma  pure  è  tale  il  palpito 

Del  mio  gentile  amor, 

Che,  non  che  al  sole,  incognita 

Ti  TO*  alla  luna  ancor! 

Son  sveglio  adesso.  Oh,  vergine. 
Non  corrucciarti;  e  queste 
No,  per  pietà,  non  crederle 
Stolide  smanie  infeste! 
Tu  se'  innocente,  ingenua. 
Tu  non  sai  nulla  adesso; 
Ma  un  altro  mondo  incognito 
Ti  sarà  noto  appresso: 
Vedresti  allor  quale,  unica 
Fiamma  mi  lega  a  te. 
Che  ti  vorrei  nel  talamo 
Perfino  arcana  a  me! 

Salve  lingua  del  ciel;  salve  gentile 
Possa  dei  carmi!  La  donzella,  aflfatto 
Ismemorata  ove  e  chi  fosse,  il  varco 
Lasciò  sfrenato  alla  virtù  del  core, 
In  lagrime  dolcissime  sfogando 
La  tenerezza  che  Y  avvolse  intera. 
E  pianser  dame  e  cavalieri,  e  il  Prence; 
Ma  ne  fu  molle  sopra  tutti  e  a  lungo 
Il  viso  arcigno  del  Cantor  divino. 

Diva  possa  dei  carmi!  Oh!  bello  il  volto, 
Torvo  e  rugoso  di  precoci  increspi 
Per  gli  affanni  del  cor,  bello  vederlo 
Di  lagrime  inondato  all'  improvviso 
Manifestarsi  d*  un  gentil  pensiere  ! 
Care,  sublimi,  invidiate  quelle 
Correnti  arcane,  che  a  distanze  in  onta 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  319 

Di  secoli  e  di  siti,  i  cor  fan  stretti 
In  vìncoli  d'affetto!  E  fu  so vr*  esse, 
0  Pia,  Francesca,  Beatrice,  eterne 
Creature  d' Italia,  orte  dai  vostri 
Cosi  teneri  cor,  scese  a  traverso 
Dei  vostri  cigli,  che  vennero  quelle 
Lagrime  gentilissime  negli  occhi 
Del  Cantore  immortai  vostro  trasmesse! 

E  come  una  beltà  sola  era  stata 
Doppiamente  regina,  e  doppiamente 
Uno  fu  il  vincitor.  Sol  che  stavolta 
Quando  la  fronda  gli  posò  sul  capo, 
Ed  egli  ripetè:  —  Virginia,  io  t'amo!  — 
Altra  voce  rispose:  —  Oh  grazie,  Emilio!   — 

E  poi  si  seppe  d'  un  immenso  affetto, 
Di  notturni  spiati  abboccamenti, 
Di  ripulse  richieste  e  di  minaccie, 
D'ire  tremende  e  di  parenti  in  armi, 
Di  giuri  sacri  e  d' incrollata  fede. 

Buia  è  la  notte!  Un  lieve  schifo  approda 
Ai  piedi  d'  un  veron:  la  fuga  intesa! 
Ahi  non  appar  Virginia,  e  a  Emilio  invece 
Ecco  alle  spalle  due  furenti  in  armi! 
E  nota  voce:  —  Gelosia I  —   Vendetta!  — 
Altra  soggiunge,  e  son  le  spade  tratte. 
Cugino  era  e  fratel  della  fanciulla 
Insieme  uniti  a  traditor  assalto. 
Sguaina  Emilio  anch'  esso,  e  in  un  momento 
È  il  primo  ucciso,  ed  il  fratel  sparito! 
Ahi  sventura,  ahi  dolor!  Virginia,  addio! 
Tutto  è  grida  e  scompiglio  all'  improvviso 
Dentro  alle  case  dei  Muselli;  irrompe 
Ebra  di  sangue  la  caterva  in  armi 
Dei  famigliari...  eccoli!...  Ahimè,  un  istante 
Non  esitare,  Emilio!...  A  che  varrebbe 
La  tua  prodezza  a  tante  punte  innanzi? 


320  POESIE  DI  MILLE   AUTORI 


Ahi  duolo!  in  bando  ancor!...  Virginia,  addio! 

E  via  per  le  acque  a  raddoppiata  lena 
Lo  schifo  salvatore  è  ornai  sparito. 


V. 

L'  alba  ancora,  e  cala  il  ponte 
Del  Castel  di  Villafranca: 
Il  berretto  obliquo  in  fronte, 
Giustacor  serrato  all'anca 
Di  perfetta  leggiadria; 
Stretta  maglia  che  gli  intona 
D'  un'  arcana  melodia 
La  vaghissima  persona; 
Franco  piglio  qual  s'  aspetta 
Ad  intrepido  guerrier. 
Via  pel  ponte  il  passo  affretta 
Giovinetto  cavalier. 

Oh,  ma  pur,  se  ben  si  mira. 
Non  è  quel  dell'altra  volta; 
Da  quel  fronte  un'  ansia  spira 
Che  non  sa  restar  sepolta; 
Un  insolito  pallore... 
Oh,  ma  è  franco  e  passo  e  piglio. 
In  quel  cor  non  v'  ha  terrore 
Né  di  duci  né  di  periglio! 
Che  fu  dunque?  Ahimé,  son  cose 
Che  vorrei  ben  io  sparmiar; 
SI  terribili  e  pietose 
Che  mi  fanno  lagrimar! 

Da  quel  di  che  i  sventurati 
Fur  divisi  nella  vita. 
Ahi,  d'  aspetti  desolati 
Fu  natura  rivestita! 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  32 1 

L*  aere  torbido,  i  pianeti 
Non  più  belli  e  rilucenti; 
Non  più  dolci  e  mansueti 
Animali  ed  elementi; 
Tutto  in  terra  apparve  ed  essi 
Senza  viscere  e  pietà; 
Tutto  lagrime  d'  oppressi, 
Tutto  orrore  e  crudeltà! 

Che  allor  quando  cor  si  affini 
Hanno  i  palpiti  confuso; 
Quando  spirti  si  divini 
L*  un  neir  altro  s*  è  trasfuso; 
Quando  è  fatta  di  due  vite 
Una  cosa  istessa  e  sola. 
Nelle  orrende  dipartite 
Non  v'  ha  nulla  che  consola  : 
O  riviver  fa  mestieri 
Nel  medesimo  respir, 
O  addio  sogni  lusinghieri, 
E  componersi  e  morir. 

Da  quel  di  per  la  fanciulla 
Altro  voto  ed  altra  speme, 
Non  sorrise  omai  più  nulla 
Che  fuggir  fuggire  insieme: 
E  potuto  avea  frattanto 
Fare  il  giovine  avvertito 
Di  tenersi  ad  essa  accanto 
Per  un  giorno  stabilito: 
Or  per  fidi  arcani  detti 
Ieri  alfine  il  fé'  avvisar 
Che  stanotte  arrivi,  e  aspetti 
Del  cortile  al  limitar. 

Come?  Alfin  del  dolce  amore 
È  si  prossimo  all'amplesso, 

^Auro.  Voi.  XIV.  91 


322  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

E  a  lei  vola  più  a  dolore 

Che  a  delizia  in  volto  impresso? 

Questo  insegna  ch'ei  del  cielo 

È  fattura  prediletta; 

Ch'ebbe  compio  il  terreo  velo 

Con  un'alma  ardente  eletta; 

Siy  perchè  più  un  core  è  bello, 

E  più  prossimo  a  gioir. 

Più  la  gioia  ha  un  senso  in  elio 

Che  confina  col  soffrir. 

Cosi  volle  per  le  arcane 
Leggi  Iddio  con  cui  dispose 
Che  si  tocchin  non  estrane 
Fra  di  lor  le  avverse  cose; 
Cosi  forse  ancor  per  cento 
Ragioni  altre  ha  destinato 
Che  al  mio  breve  intendimento 
Di  spiegare  non  è  dato; 
Questo  so  sicuramente 
Che  volgare  ha  l'uomo  il  cor. 
Se  nel  gaudio  insiem  non  sente 
Punta  arcana  di  dolor. 

Ecco  adunque  alla  cittade 
Mal  paziente  il  passo  affretta; 
Siano  a  mille  pur  le  spade 
Affilate  alla  vendetta; 
Sian  pur  gli  archi  e  doppi  e  pronti 
Delle  scolte,  e  i  guardi  intenti; 
Doppi  sieno  e  spalti  e  ponti, 
E  fossati  e  impedimenti; 
Sia  pur  terra  e  cielo  ostile... 
Non  temete,  arriverà; 
E  alla  porta  del  cortile, 
Mezzanotte  il  troverà! 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  323 

VI. 

Rossigno,  o  sol,  ti  corichi  là  dietro 
Il  campanile  di  San  Zeno,  e  tetro!... 
Pronuba  face  ardente 
Un'ansiosa  gentil  ti  salutò. 
Auspice  alle  cruente 
Ire  del  core  un  empio  in  te  giurò!... 

Ahi,  sole,  ai  voti  amanti  ed  ai  scelesti 
Augurio  egual  saresti? 

Calma  è  la  notte-*  e  pur  nella  profonda 
Requie  par  quasi  un  gemito  s'asconda! 
É  ver,  come  a  carezza 
S'ode  Adige  tranquillo  mormorar; 
Ma  una  villana  orezza 
Involontari  suscita  a  tremar: 

Ahi,  sacra,  o  notte,  a  sviscerati  amplessi 
Od  al  cruor  t' inspessi? 

Un  tocco  squilla  replicato  e  roco; 
Della  tor  dei  Muselli  è  il  coprìfoco: 
E  quelle  cupe  mura? 
Son  di  Virginia  la  fatai  magion; 
G  quella  macchia  oscura 
Nel  vicolo  laggiù?...  Cielo,  il  garzoni 

E  mezzanotte  passa,  e  passa  un'ora... 
E  tutto  è  arcano  ancora! 

Oh,  dal  veron  di  vetri  un  tintinnio... 
E  un  lume  splende...  e  vaga  forma!...  Dio! 
Dessa  !...  Eccola,  le  palme 
Agita  e  accenna  che  discende...  e  allor. 
Deh,  per  pietà,  ti  calma 
Palpito  tempestoso  a  Emilio  in  cor, 

O  malpotente  contro  ad  ansia  tanta. 
N'avrà  la  vita  infranta! 


324  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Si  preme  il  seno!...  Ad  ascoltar  la  testa 
Posa  suir uscio!...  Oh,  fremito  di  vesta!... 
Ma  suon  di  passi  ascolto 
Dietro  al  garzon  lievissimi  a  spiar!... 
Passò,  fermossi,  è  volto 
(Ahi,  rea  figura!)  e  seguita  a  sguardar... 

Oh  Dio  del  Cielo...  e  assorto  il  giovinetto 
Alcun  non  ha  sospetto!... 

Spari  non  visto!  Ahi,  mille  idee  funeste!... 
Oh,  ma  certo  il  garzon  la  maglia  veste! 
La  maglia?...  AUor  che  ardente 
Virginia  attende  a  stringerlo  sul  cor  ? 
Ei  cinge  unicamente 
Pugnale  e  spada  e  n*  ha  di  troppo  ancor! 

Lasso!  Pria  snudarli!  a  tradimento 
Esser  potresti  spento  ! 

Oh,  non  s'inganna  più!...  Ciel!  del  vestito 
Distintissimo  adesso  il  fruscio  ha  udito! 
Ecco,  la  sbarra  svolta 
Sommessamente  cigola...  rista  : 
Cigola  ancora...  tolta  ! 
T'arresta!...  Non  entrar,  per  carità!... 

È  scritto  il  fato  omai!  La  porta  cede... 
Ei  brancolando  incede! 

Duplice  suona  un  domandar  represso: 

—  Ma  dove  sei,  viscere  mie  ?  —  Qui  presso  !... 

—  Delizia!...  Oh,  le  tue  braccia 

Al  collo  avvinte!  —  Oh,  sul  tuo  seno  il  seni... 

—  Oh,  dolce  la  tua  faccia  ! 

—  Divino  il  tuo  sospiri  —  Mio  ben!  —  Mio  ben! 

Viscere!  —  Amore,  amore!  Angelo  mio!  — 
Virginia!...  —  Emilio!...  —  Oh  Dio!!.,. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  325 

Deh,  almeno  sii  lunga  lunga,  o  notte,  infino 
Ch'abbian  libato  al  calice  divino; 
Infin  che  cento  volte 
Fuse  le  anime  insieme  in  un  sospir. 
Nei  vortici  travolte 
Dì  cieli  inesprimibili,  il  gioir 

Dei  lunghi  di  di  sviscerati  amanti 
L'abbiano  in  pochi  istanti!!... 


VII. 

Tutto  è  calma!  Al  mal  represso 
Primo  istante  gioibondo, 
In  un  subito  è  successo 
Un  silenzio  il  più  profondo: 
Forse  a  farli  il  ciel  premiati 
Dell'onor  di  tanta  fede, 
D*ampi  amplessi  sviscerati 
La  delizia  a  lor  concede; 
Forse  a  toglierla  dal  truce 
Predominio  del  fratel, 
Giù  per  l'Adige  l'adduce 
Remigante  il  suo  fedel. 

Dio  terribile!...  Spavento! 
Uno  strido  s'  è  levato 
D'inefFabil  patimento. 
Acutissimo,  troncato!... 
E  una  voce  che  per  ira 
Roca  rompe  ed  affannata, 
Per  le  vòlte  urlando  gira: 
—  Lumi!  —  Lumi!  —  dissennata: 
E  qualcosa  che  rinlbomba 
Con  cupissimo  romor, 
Per  le  scale  abbasso  piomba 
In  cadenza  che  fa  orror! 


326  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Del  Signore  ai  cupi  accenti. 
Colle  faci  air  improvviso 
Da  ogni  parte  prorompenti, 
Ecco  i  servi...  orrendo  viso!... 
Sulla  cima  della  scala 
La  figura  rea  su  detta. 
Che  da  un  ghigno  atroce  esala 
Il  piacer  della  vendetta  !... 
E  dall'alto  ove  fidente 
Come  in  cielo  si  posò 
La  pia  coppia  orrendamente 
Giù  nel  fondo  rotolò! 

Ma,  Signor,  non  sei  tu  stessa 
Che  all'amor  ci  inspiri  in  cielo; 
Che  quaggiù  talvolta  in  esso 
Il  tuo  ciel  ci  fai  rivelo? 
Non  sei  tu  che  all'uomo  hai  detto 
Che  per  correr  la  tua  via 
Dee  dividere  il  suo  tetto 
Colle  grazie  d'una  pia? 
Che  a  insegnar  che  insiem  sariéno 
Una  carne  ed  un  pensier. 
Dal  tessuto  del  suo  seno 
La  traesti  all'uom  primier  ? 

Ma,  Signor,  ne'  tuoi  superni 
Libri  adunque  è  sempre  scritto. 
Che  quaggiù  più  assai  governi 
Di  virtù  fausto  il  delitto? 
Ma  chi  ognor  ti  screde  e  insulta 
Con  si  orribile  nequizia. 
Crollerà  la  testa  inulta 
Per  l'oblio  di  tua  giustizia? 
Vedi  in  cima  il  furibondo... 
È  tua  imagine,  Signor? 


INTORKO  A  DAKTE  ALIGHIERI.  327 

L'occhio  volgi  e  guarda  in  fondo... 
Non  si  scuote  il  braccio  ultor? 

Ahi,  fratello  snaturato! 
Di  un  si  bello  e  santo  amore 
Il  sorriso  a  far  troncato 
Vake  forse  il  tuo  furore  ? 
Mira!  Il  brando  che  nei  petti 
Casti  è  ancora^  orrore,  impresso. 
Valse  a  renderli  più  stretti 
Della  morte  nell'amplesso; 
Valse  a  stringerli  abbracciati  . 
Dopo  spenti  ancora  più; 
Valse  a  unirli  più  beati 
Nell'amplesso  di  lassù! 

Vili. 

Tutto  è  il  cielo  a  fosche  impronte, 
L'alba  appena  intorno  imbianca; 
Piange  il  vento,  e  cala  il  fronte 
Del  Castel  di  Villafranca! 
Altre  volte  parimenti 
Mattutin  cosi  ne  uscia 
Tutto  pien  di  idee  ridenti. 
Tutto  vita  e  leggiadria. 
Ora  invece,  in  mezzo  a  un  tetro 
Mormorar  di  pia  canzon. 
Vi  ritoma  nel  feretro 
Il  vaghissimo  garzon  !  ' 

j  .         ^^ittorio  Merìghi,  nato  in  Verona  verso  il  1817,  fu  poeta,  co- 

y^^^^^^re,  soldato.  Prese  parte  col  grado  di  maggiore  all'assedio  di 

^^ia.  Ebbe  vita  agitata  e  rapporti  confidenziali  con  i  principali 

QpMCi  «•»!  coti  kgfOBsi  a  pagg;  89-119  ^eU*if/3o  dantuco  vtronnt,  già  dt. 


328  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

uomini  del  nostro  risorgimento.  Pubblicò  Jnnoi/o,  a  Pinerolo  nel  1855, 
poi  Nos^lopyy  tragedia  in  cinque  atti,  a  Torino  nel  1862;  Abelardo 
ed  Eloisa,  dramma  (Milano,  1876).  Seguirono:  A  volo  d'uccello  attra- 
verso i  tredici  anni  di  bonifiche  ferraresi  (Ferrara,  1876);  Can/i\  con  cenni 
biografici  (Roma,  1877);  Dissotterro  un  ventennio,  proclama  ai  Comac- 
chiesi  (Ferrara,  1883);  Memorie  di  Venezia,  1848-49  (Torino,  1889).' 

'  Vedi    Giuriati,   Memorie  i*  un  vecchio  avvocato.  Milano,  1888,  pag.  142  sgg. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  329 


DCCXXXIX. 

Girolamo   Lotto. 


Ode  a  Dante. 

(14  maggio  1865). 

Suon  di  plausi  festivi 
Vola  per  Taér  lieto,  e  si  diffonde; 
Echeggian  del  tuo  nome 
Immortale  Alighier  l'itale  sponde. 
Or  che  ai  virili  spiriti 
Fervido  si  riscuote 
li  memore  nepote, 
E  la  tua  sede  avita 
Sorge  raggiante  di  novella  vita. 

O  Sommo,  a  cui  le  menti 
Per  ammirar  s'appuntan  desiose, 
Potrà  voce  mortale 
Toccar  l'altezza  di  celesti  cose? 
Solo  adombrar  del  Genio 
La  feconda  possanza, 
E  r  inclita  costanza, 
E  la  gentil  virtude 
Che  tanta  luce  di  beltà  dischiude? 

Divina  in  te  di  carmi 
Arte  che  tutte  le  dovizie  accoglie 
D'insuperato  stile; 
Che  desta  ogni  armonia,  ch'ogni  fior  coglie 


330  POESIE  DI   MILLE      AUTORI 

Da  la  favella  vergine 

Teco  già  grande  irata, 

Ed  a  seguir  temprata 

Coir  arduo  magistero 

Il  vasto  moto  dell'uman  pensiero. 

In  te  la  benedetta 
Eredità  che  ci  serbar  de'  padri 
Le  sapienti  carte: 

Cogli  austeri  pensier  sparsi  i  leggiadri 
Studi,  e  scolpita  l'intima 
Natura,  e  il  vero  aflFetto 
Onde  a*  mortali  il  petto 
Con  assidue  vicende 
Macera  il  vizio  e  la  virtude  accende. 

E,  reggitrice  eccelsa. 
Nel  sudato  cammin  confortatrice. 
Il  gran  lavoro  impronta 
De*  lumi  suoi  l'eterna  Beatrice, 
Che  a  disvelar  reconditi 
Veri  ti  fa  possente, 
E  la  Superna  Mente 
Interrogar  col  viso 
Che  sostiene  il  fulgor  di  Paradiso. 

Ma  la  profonda  ampiezza 
Di  tuo  valor  che  in  terra  e  in  ciel  si  spazia 
Dell'aquila  con  l'ale, 
E  con  si  forte  ardor  che  nulla  sazia, 
A  chi  fu  dato  stringere 
Sotto  verace  forma, 
E  con  sicura  norma. 
Altissimo  intelletto. 
Render  di  te  non  disugual  concetto? 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  33I 

Celeste  raggio  apparve 
L'anima  tua  ne'  cantici  trasfusa, 
Onde  la  tetra  notte 
De' tempi  folgorando  fu  dischiusa: 
Spirò  fervente  un  alito 
Suscitator  di  vita: 
Conversa  in  te,  rapita 
Al  portentoso  lume, 
L'etade  a  franco  voi  mettea  le  piume. 

Nel  suo  fulgente  nembo 
Sfavilla  il  ver,  di  nostre  brame  obbietto. 
Ma  rara  è  la  pupilla 
Cui  venga  intero  e  nitido  l'aspetto; 
Cosi  le  tempre  varia, 
Così  gli  sguardi  inclina 
E  più  la  vista  affina 
Ciascuno  in  quella  parte 
Ove  il  sospinge  sua  natura  ed  arte. 

Te  con  diversa  luce 
Nostri  poveri  ingegni  audacemente 
Sommisero  a  giudicio: 
Ma  la  potenza  di  sovrana  mente 
Sdegna  l' incerto  limite. 
Penetra  e  d'ogni  lato 
Le  risponde  il  creato, 
E  sotto  mortai  velo 
Fiamma  si  mostra  eh*  è  vivente  in  Cielo. 

Nell'ire  acri  di  parte, 
O  nel  risurto  imperiai  concetto, 
Altri  avvbàr  la  vena 
Dell'ardor  che  t'accese  il  nobil  petto; 
Indur  novelle  e  candide 


332  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Religiose  forme, 

O  di  ragion  su  Torme 

Sole,  drizzarti  al  polo, 

Altri  fér  meta  al  tuo  sublime  volo. 


Ma  forse  il  ver  non  scema 
Vaghezza  di  sistema  ?  Alla  terrena 
Legge  tu  pur  servisti, 
O  glorioso  spirto:  in  te  la  piena 
Proruppe  ancor  di  giovani 
Speranze  e  di  desiri. 
Di  gioie  e  di  martiri, 
Di  tema  e  d'ardimento 
Cui  solo  è  pari  il  tuo  magico  accento. 

Dal  di  che  giovinetto 
Coll'elsa  in  pugno  e  colla  patria  in  core. 
De*  prodi  in  fra  le  schiere 
Spronasti  alla  battaglia  il  corridore, 
E  i  rai  della  vittoria 
Tinser  l'onesto  viso, 
E  d'ineffabil  riso 
Adorna  ti  raccolse 
Quella  che  poscia  in  contra  a  te  si  dolse. 

Quanta  fiamma  di  vita, 
Qual  vigor  d'opre  e  d'onorati  studi, 
In  cosi  breve  etade  ! 
Quanto  sudor  versato  in  aspri  ludi, 
Nei  seggi  de  la  patria, 
O  de  la  cruda  in  bando 
Poveretto  vagando, 
Mentre  gittavi  il  seme 
Che  a  gran  vendetta  ti  nutria  la  speme! 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  333 

E  come  alla  preclara 
Informante  virtude    rispondea 
Il  suggel  de  la  creta, 
Tale  al  tuo  labbro  lo  spirto  correa 
Àrdente  di  magnanimi 
Sdegni,  e  d' invitti  amori. 
Fecondo  di  dolori. 
Tetragono  alla  sorte, 
Vincitor  della  fama  e  della  morte. 


Alla  viva  natura, 
Ai  secreti  dell'alma,  agli  astri,  a  Dio, 
Rapisti  r  infinita 

Mira  armonia  che  dal  tuo  carme  uscio; 
Rapisti  alle  terribili 
Potenze  dell' Averno 
Il  tuo  flagello  eterno;... 
Il  supremo  mistero 
Anco  vincesti,  e  brillò  nudo  il  vero  ! 

Se  de  l'umano  ingegno 
La  navicella  tanta  acqua  non  corse, 
AI  sospirato  porto 
Assai  da  presso  la  tua  vela  sorse; 
E  dal  tentato  gurgite 
La  diva  fantasia 
Fortificata  uscia 
Di  suoni  e  di  splendori, 
Sommo  riflesso  degli  eterni  cori. 

E  ti  sorgea  nell'alma 
Un  luminoso  presentir  che  ai  tempi 
Nascituri  t'aggiunse; 
SI  che  r  inclito  germe  e  i  caldi  esempi 


334  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Ne  trasse  all'indomabile 

Lavor  degli  intelletti. 

Ài  liberi  concetti, 

La  bella  età  seguace 

Su  cui  di  civiltade  arse  la  face. 

Àntesignan  dei  giorni 
Nati  con  te,  specchio  ne  sei  perfetto, 
E  testinion  sublime. 

Che  non  v*  ha  d'arte  o  di  saper  concetto, 
Idea  possente,  splendido 
Immaginar,  gentile 
Affetto,  e  oprar  virile, 
Virtude  o  disciplina, 
Che  la  tua  non  riveli  arpa  divina. 

Prediletti  a  le  muse. 
Sacerdoti  a  le  vaghe  arti  sorelle. 
Cui  più  moveva  il  core 
Il  sentimento  delle  cose  belle, 
A  te  le  grandi  immagini, 
La  passion,  le  pose 
Meste,  forti,  amorose. 
L'estro,  chiedean  dei  carmi. 
La  vita,  ad  animar  le  tele  e  i  marmi. 

Son  del  tuo  nume  piene 
Ancor  quest'aure,  e  questa  dolce  terra: 
La  tua  vital  parola 
Pur  di  nostr'alme  la  virtù  disserra: 
E  ne  rinfranca  al  nobile 
Agone  del  pensiero. 
Al  voler  forte,  intero, 
All'incroUabil  fede, 
A  l'amor  de  la  bella  itala  sede. 


DiTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  335 

Oh  salve!  eccelso  figlio 
Del  pensiero  di  Dio,  vivo  splendore 
De  le  stirpi  d'Ausonia, 
Auspicio  ed  arra  del  futuro  onore! 
Cadder  nell'ombra  i  secoli. 
Sparvero  i  tuoi  nemici, 
E  le  turbe  infelici. 
D'innanzi  a  cui  sorgesti 
Incompreso,  passir:  —  tu  solo  resti. 

Tu  grande  in  cor  di  tutti: 
Pari  all'occhio  del  sol  che  immoto  dura 
Al  cader  delle  genti. 
Al  costante  mutar  de  la  Natura, 
Resti  divin  Prometeo, 
Che  del  sacrato  foco 
Animi  il  natio  loco.  — 
A  noi,  fatale  Alcide, 
Già  la  vincente  civiltà  sorride.* 

^^*X"clamo  Lotto  fu  avvocato  veronese.  Abbiamo  di  lui:  Corra- 
^*    Svivia,  canti  tre  (Padova,  1844);  Del  Quadrilatero^  canto  (Ve- 
'<>°*.     XH66). 


^^»««ÌT«rd 


coflai  l^gono  t  i>agg.  lai-iaS  dtìL*  Albo  danUsco  virotuse,  giaciuto. 


33^  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


DCCXL. 
A.    D.    Fagiuoli, 

Genio  e  Libertà. 

POLIMETRO. 

(14  maggio  1865). 


...Le  circosunze  dei  tempi,  derivanti  dalle 
vicissitudini  polìtiche  delle  n«sioai,  o  promuo- 
Tono,  o  impediscono,  o  dirìgono  i  lavori  del 
genio. 

(Foscolo,  SmlU  lingma  ilalùuia,  disc  V). 


Salve,  altero  vessillo  benedetto 
Di  Libertà;  dovunque  all'aura  spunti 
Il  tuo  candido  drappo,  ivi  risorge 
Alla  vita  dei  forti  un  popol  novo. 
Ed  è  una  ressa,  un  fremito  incessante 
Di  redenti,  che  al  tuo  mite  convivio 
Avidamente  accorrono.  È  di  destre 
Un  fervido  intrecciarsi,  un  imprecare 
All'uggiosa  dei  despoti  paura, 
Che  s'  appiatta  nell'  ombra,  allorché  genti 
E  nazioni,  carità  divina 
In  un  eterno  vincolo  affratella. 
Quest'impeto  supremo  avversa  forza 
Invan  s'adopra  a  contener:  la  foga 
Del  turbinoso  fiotto  argini  e  dighe 
Miseramente  sfascia,  e  del  passato 
Sommerge  i  resti  nel  vorace  gorgo. 

Alla  ruvina  impavido  sovrasta 
Eterno  il  Genio,  del  pensier  di  Dio 
Splendido  raggio,  che  la  mente  guida 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  357 

Per  impervio  sentiero  ad  aflSssare 
Della  luce  nel  mar  l'audace  sguardo; 
Libero  spaziar  per  Tetra  immenso 
Ama  sui  vanni  poderosi,  abborre 
Dalla  vergogna  di  codardi  lacci, 
Però  che  nato  al  verecondo  amplesso 
Di  libertade,  tra  le  ferree  braccia 
Odiosa  tirannide  lo  strozza. 

Fuor  dalla  grave  tenebra 
Che  sull'avanzo  immane 
Di  grandezze,  di  glorie 
E  di  virtù  romane, 
Dalle  rive  dell' Istro 
Un  turbine  addensò: 

Fra  le  squarciate  nuvole. 
Come  elettrica  luce, 
L'albor  di  nuovi  secoli 
Più  splendido  traluce; 
Scalda  la  fredda  argilla 
Un  alito  vital. 

E  sulla  terra  italica 
Dalla  calma  funesta. 
Una  balda  progenie 
Si  riscuote,  e  si  desta. 
Fuga  il  dubbio  fantasima 
D'un  sogno  di  terror  ; 

Ferve,  s'urta  e  si  mescola. 
Fonde  sangui  e  favelle, 
S'accende  ad  ineffabili 
Gioie  e  virtù  novelle, 
E  l'orizzonte  impavida 
Guarda  dell'avvenir. 


^*«.  Bauo.  Voi.  XIV. 


338  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

E  nelle  calde  ceneri 
Della  latina  Roma, 
Celti  germi  fecondano 
Il  volgare  idioma. 
Altissimo  miracolo 
Alle  più  tardi  età. 


É  una  divina  Iliade 
Avventurosa  d'armi; 
Un  prepotente  anelito 
Di  libertà,  di  carmi; 
£  l'audacia  Prometea 
D'un  genio  creator. 

E  secoli  d'angoscia, 
Onte  soflFerte  e  danni, 
Odio  di  mille  oppressi. 
Nequizia  di  tiranni 
Risuscitar  ne'  queruli 
Servi  fiera  virtù. 


E  sventolò  un  impavido 
Vessil  sull'erte  mura: 
L'ire  sfidò  dei  despoti 
Una  città  secura, 
Ed  il  Comune  italico 
Pe*  dritti  suoi  pugnò. 

Scosse,  infranse  la  ferrea 
Catena  feudale, 
E  leggi  impose  ed  ordini, 
E  l'uom  fé*  all'uomo  eguale, 
E  respirò  la  fervida 
Aura  di  libertà. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  339 

...Ed  il  fecondo 
Spiro  sui  verdi  clivi 
DeirAppennino  germinò  d'un  soflBo, 
Come  voler  di  Dìo, 
De'  grandi  la  coorte. 
Cui  crebbe  amor  di  questo  suol  natio; 
Era  una  santa  ebrezza 
Di  libertà,  d'egregi  fatti  ardore. 
Di  virtù,  di  bellezza 
Culto,  di  gloria  giovanil  fervore. 
E  come  a  cenno  occulto 
Dalla  terra  s'ergean  sublimi  al  cielo 
I  portenti  dell'arti; 
Di  natura  l'eterno  magistero 
Svelava  il  genio  indagator  del  vero. 

E  divina  facella 
Era  lume  al  pensiero. 
Era  guida,  siccome 
Ai  naviganti  la  polare  stella: 
Fede  in  Dio,  nella  patria  e  negli  eventi 
Inspirava  alla  libera  parola 

I  numeri  eloquenti: 

Al  petto  del  Crociato  un  di  vestiva 

Per  Cristo  invitte  l'armi, 

Era  musa,  era  scola, 

E  madre  alla  divina  arte  dei  carmi. 

E  sacro  come  il  genio, 
Fervido  di  speranza, 
D'amor,  d'ira  avvampante 
Tuonò  sulla  Penisola 

II  terribile  anatema  di  Dante. 
Era  divino  il  canto. 

Come  sulla  deserta  Gerosolima 
Il  profetico  pianto 
Di  Geremia. 


?40  POESIE   DI    MILLE  AUTORI 

Torbido  di  parte 
Astio  nefando,  livida  paura 
Dalle  paterne  mura 
Il  sovrano  Cantor  cacciò  ramingo 
Per  le  spiagge  d'Italia; 
Lui  de'  fratelli  le  vendette  insane 
Trasser  di  terra  in  terra, 
A  mendicar  la  carità  d'un  pane. 

Ma  la  divina  idea,  come  favilla 
Ratta  una  fiamma  vorticosa  accese 
Per  l'italo  paese: 
Elettrica  scintilla, 
Dall'Alpi  fulminava  a  Lilibeo 
Di  libertà,  d'amore 
Un  impeto  supremo. 
Ahi!  Che  il  precoce  anelito 
Innanzi  alle  commosse 
Itale  plebi  improvvido  si  spense. 
Sparve  dall'orizzonte 
Della  speranza  la  lucente  stella; 
Ma  il  carme  resta,  eterno  monumento. 
Che  sillaba  di  Dio  mai  si  cancella. 

Ma  il  Municipio  italico  disfatto 
A  tirannie  diverse  era  sgabello. 
Inceppate  le  braccia,  la  funesta 
Ombra  dei  troni  del  pensiero  il  guizzo 
Ottenebrava;  impotente  lo  ingegno, 
Spento  il  divino  soffio,  ir  razzolando 
Fra  le  greche  e  le  lettere  latine 
Recondite  bellezze  ebbe  costume. 
Luttuoso  il  presente,  era  fatale 
Nel  passato  cercar  gli  entusiasmi 
Della  mente  e  del  cor. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  341 

Pur  tempo  venne 
Di  monarchia  pomposa;  e  una  ciarliera 
Di  poeti  legione,  intorno  al  soglio 
D'un  papa  mediceo  tentò  la  lira 
Italica.  Col  manto  e  la  corona 
Del  Cantore  di  Laura,  al  Campidoglio 
Sciame  d'inetti  ascese:  e  fu  prodigio 
Se  in  siffatta  miseria  della  mente 
L*  Epico  carme»  solitaria  quercia 
Fra  mille  arbusti  che  radeano  il  suolo, 
S'ergea  sublime  a  smisurata  altezza. 

E  più  i  ceppi  serravano,  e  più  tetre 
Tirannidi  sedean  nelle  inquinate 
Itale  reggie  minacciose.  Un  atro 
Sanguinoso  mistero  era  velame 
A  tribunal  feroce,  ove  la  fede 
Stuprata,  generava  l'assassino. 
Evirava  il  pensiero.  E  fu  terrore. 
Servaggio  fu,  che  le  compresse  menti 
In  enfatiche  scede  evaporando, 
Traeva  a  delirar  lungi  dal  raggio 
Mirifico  del  vero.  Non  fu  donna 
Dignitosa,  regal  la  Poesia, 
Ma  volgar  femminuccia  pettoruta 
Ed  azzimata  a  trine,  a  nastri,  a  fiori 
Dalla  mano  d'  un  drudo.  Ed  ebbe  amanti 
Dalla  parola  turgida. 

Ma  un  giorno 
Durò  la  folle  ebbrezza,  e  poi  fu  calma 
Come  la  notte  del  sepolcro  grave. 
I  silenzi  talor  solo  rompea 
Di  strano  armento  il  vacuo  belato, 
Mollemente  dagli  echi  ripercosso 
Di  favolosa  Arcadia.  Rimbambiva 
Del  pensiero  la  vita,  ed  empiamente 


542  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Al  sacerdozio  nobile  dei  vati 
Disertava  lo  ingegno,  estri  pensati 
Limosinando. 

Ma  r  aurora  in  cielo 
Dai  balzi  d' oliente  imporporava 
L'orizzonte  d'un  secolo  più  bello: 
E  dalla  Senna  un  prepotente  spiro 
Di  dommi  generosi,  i  ceppi  aviti 
Forte  scuotendo,  i  despoti  forzava 
Ad  allentare  il  freno.  Ordini  e  léggi 
Si  mutarono  in  uno,  e  parea  quasi 
Un  Camposanto  di  nuovi  risorti. 
E  nacque  il  genio,  e  crebbe,  e  della  patria 
Sulla  miseria  pianse  ;  e  la  speranza 
Lo  nutrì  dell*  italico  trionfo. 
Lo  scherno  disdegnoso  ed  il  tonante 
Inno  della  vittoria  alla  deserta 
Cercò  lira  di  Dante.  Al  molle  carme 
D'  età  recente,  all'  ebre  corruttele 
Di  Sibari  moderne,  altiero  irrise 
Il  genio  di  Panni:  l'Astigiano 
Dal  ferreo  carme  fulminò  le  fiacche 
Servilità  d*  Italia,  e  in  ogni  parte 
Delle  riscosse  il  fremito  s' intese.  ' 

Achille  Fagiuoli  nato  a  Legnago,  il  17  marzo  184;,  studiò  legge 
neir  università  di  Padova  ed  esercitò  Tavvocheria  a  Verona.  Fu 
consigliere  provinciale,  poi  deputato  nei  1886,  indi  sottosegretario 
di  Stato  per  il  tesoro  col  ministro  Giolitti.  Si  hanno  di  lui  molte  pub- 
blicazioni: Delle  nuove  imposte  (VtronsLy  iS6g)\  Se  ìe  professioni  liberali 
possono  assoggettarsi  alla  tassa  di  esercizio  e  rivendita  (Legnago,  1876); 
La  Francia  repubblicana,  epistolario  (Verona,  1879);  ^^^  beni  patri- 
moniali del  comune  di  Legnago  (Legnago,  1881);  DeìVimpoten^a  viriU 
al  matrimonio,  secondo  il  diritto  e  la  medicina  legale  (Verona,    1 882)  ; 

'  Chiesti  Yenl  cosi  si  Uggono  a  pagg.  129-135  dàlV Albo  dénUsto  vtromgst,  già  ciu 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  343 

Sul  progetto  di  Ugge  per  Vàboliiiofte  delle  decime  (Roma,  1887);  ^^^ 
riordinamento  dei  tributi  locali  (Roma,  1888);  Sulla  riforma  peniten- 
v^aria  (Roma,  1889);  Su  i  provvedimenti  finaniiari  (Roma,  1894).  Si 
Hanno  pure  di  lui  moltissime  scritture  legali  in  materia  civile.  '  Mori 
nel  1896. 


'  Vedi  AtH  pmrlmmtiUmri,  •  il  dlscorto  in  sua  commemonisione  pronunciato  da  Au- 
guato  Riglit  nel  1899  in  Legnago. 


344 


POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


DCCXLI. 

Lauro  Bernardi. 

Dante  che  parla  a  Roma.  ' 
(14  maggio  1865). 

La  gloria  di  colui  che  tutto  move. 
Per  l'universo  penetra  e  risplende, 
Veggendo  *1  mondo  aver  cangiata  faccia, 
Disse:  or  pur  mira,  volgi  gli  occhi  in  giue 
U*  siede  *1  successor  del  maggior  Piero  : 
Superbia,  invidia  ed  avarizia  sono 
Le  tre  faville,  ch'hanno  i  cuori  accesi; 
Per  questo  l'Evangelo  e  i  Dottor  Magni 
Son  derelitti,  la  mala  condotta 
Vedi  che  sdegna  gli  argomenti  umani. 
Ed  ha  natura  si  malvagia  e  ria 
Che  mai  non  empie  la  bramosa  voglia 
E  dopo  il  pasto  ha  più  fame  che  pria. 
Di'  oggi  mai  che  la  chiesa  di  Roma 
Per  confondere  in  sé  due  reggimenti 
Cade  nel  fango  e  sé  brutta,  e  la  soma. 
Vattene  omai,  non  vo*  che  più  t' arresti, 
Ben  puoi  veder  perch'  io  cosi  ragiono. 


A  In  questi  tempi  ne*  quali  è  si  accanita 
tenzone  sul  temporale  e  spirituale  de*  Papi, 
non  sarà  discaro  conoscere  come  a'  suoi 
di  pensasse  su  tale  argomento  il  divino 
poeta.  Se  la  Chiesa  oggidì  sia  diversa  da 
quella  non  tocca  a  me  il  decidere,  ma  alla 
piibblìca  opinione. 


Invitato  pertanto  ia  questa  solenne 
castone  a  fare  alcun  che  di  mio  m 
Dante,  ho  preferito  tessermi  comunque 
perfettamente  uno  schisio  de'  tuoi  ve 
acciò,  quali  tavole  di  salvamento,  potess 
almeno  preservarmi  d'un  probabile  n 
fragio. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  345 

Come  persona  che  per  forza  è  desta 
Venni  quaggiù  dal  mio  beato  scanno 
Nel  dritto  mez2o  del  campo  maligno. 
Io  era  già  disposto  tutto  quanto 
A  rìsguardar  nello  scoverto  fondo... 
Ecco  la  fiera  con  la  coda  aguzza 
Che  passa  i  monti,  e  rompe  mura  ed  armi  ; 
La  faccia  sua  era  faccia  d'uom  giusto 
Tanto  benigna  avea  di  fuor  la  pelle, 
E  d*un  serpente  tutto  T  altro  fusto. 
Mi  disse:  ancor  se'  tu  degli  altri  sciocchi? 
Ed  io:  vostra  avarizia  '1  mondo  attrista, 
E  molte  genti  fé*  già  viver  grame 
Calcando  i  buoni  e  sollevando  i  pravi. 
Gente  avara,  invidiosa  e  superba, 
Fatto  V*  avete  Dio  d*  oro  e  d*  argento, 
E  chi  rubare,  e  chi  civil  negozio, 
Chi  nel  diletto  della  carne  involto 
E  chi  regnar  per  forza  e  per  sofismi; 
Oltracotata  schiatta  che  s' indraca 
Dietro  a  chi  fugge,  ed  a  chi  mostra  il  dente 
O  ver  la  borsa  come  agnel  si  placa, 
Ond* està. tracotanza  in  voi  s'alletta? 
Ahi  Costantin,  di  quanto  mal  fu  matre 
Non  la  tua  conversion,  ma  quella  dote 
Che  da  te  prese  il  primo  ricco  patre  ? 
Pesa  il  gran  manto  a  chi  dal  fango  il  guarda 
Che  piuma  sembran  tutte  l'altre  some: 
Quanto  son  difettivi  sillogismi 
Quei  che  ti  fanno  in  basso  batter  Tali! 
Pensa  che  Pietro  e  Paolo  che  morirò 
Per  la  vigna  che  guasti,  ancor  son  vivi; 
Non  fu  la  sposa  di  Cristo  allevata 
Per  essere  ad  acquisto  d'oro  usata. 
In  vesta  di  pastor  lupi  rapaci 
Si  veggon  di  qua  su:  per  tutti  i  paschi: 


346  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Non  disse  Cristo  al  suo  primo  Convento: 

Andate  e  predicate  al  mondo  dande, 

Ma  diede  lor  verace  fondamento 

Sicché  le  pecorelle  che  non  sanno, 

Si  come  cieco  va  dietro  a  sua  guida, 

Tornan  dal  pasco  pasciute  di  vento  ; 

Onde  si  svia  V  umana  famiglia 

Per  cui  tanta  stoltezza  in  terra  crebbe. 

Deh  or  mi  di'  quanto  tesoro  volle 

Nostro  Signore  in  prima  da  San  Pietro 

Che  ponesse  le  chiavi  in  sua  balia? 

Certo  non  chiese,  se  non:  viemmi  dietro. 

Pier  cominciò  senz'  oro  e  senza  argento: 

Poiché  la  gente  poverella  crebbe 

Già  era  *1  mondo  tutto  quanto  pregno 

Della  vera  credenza  seminata 

Per  li  messaggi  dell'eterno  regno. 

Ahi  gente  che  dovresti  esser  divota, 

E  lasciar  seder  Cesar  nella  sella 

Se  bene  intendi  ciò  che  Dio  ti  nota: 

E  se  guardi  al  principio  di  ciascuno, 

Poscia  riguardi  là  dove  è  trascorso. 

Tu  vederai  del  bianco  fatto  bruno. 

Li  accorgimenti,  e  le  coperte  vie. 

La  gente  nova,  e  i  subiti  guadagni 

Orgoglio  e  dismisura  han  generata. 

Guarda  com'  està  fiera  è  fatta  fella 

E  mangia  e  bee,  e  dorme,  e  veste  panni. 

Soleva  Roma  che  '1  buon  mondo  feo 

Due  soli  aver,  che  Tuna  e  l'altra  strada 

Facen  veder  e  del  mondo,  e  di  Deo: 

L'un  l'altro  ha  spinto,  ed  è  giunta  la  spada 

Col  pastorale  :  e  1*  un  e  l' altro  insieme 

Per  viva  forza  mal  convien  che  vada. 

Quella  milizia  del  celeste  regno 

Che  nel  suo  sangue  Cristo  fece  sposa 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  347 

Alle  cose  mortali  andò  di  sopra, 

Ella  con  Cristo  salse  in  sulla  croce. 

La  mente  pure  alle  cose  terrene 

Ora  conosce  quanto  caro  costa 

Non  seguir  Cristo»  solo  con  la  lancia 

Con  la  qual  giostrò  Giuda  fatta  pruno 

Malignamente  già  si  mette  al  nego. 

Ma  perchè  io  veggio  te  nello  intelletto 

Fatta  di  pietra,  ed  in  peccato  tinto, 

Vedi  colà  un  Angel  che  s*  apresta 

Per  venir  verso  noi,  si  presso  giunto 

Di  queir  umile  Italia  fìa  salute. 

Sol  per  lo  dolce  suon  della  sua  terra 

Libertà  va  cercando  eh'  è  si  cara. 

Lo  maggior  don  che  Dio  per  sua  larghezza 

Fesse  creando  neir  eterno  die 

Fu  della  volontà  la  libertate. 

Color  che  ragionando  andaro  al  fondo 

S'  accorser  d'  està  innata  libertate 

E  la  speranza  di  costor  non  falla 

Se  ben  si  guarda  colla  mente  sana 

L' angel  vegg'  io,  che  siede  in  sulla  porta 

Nemico  a  lupi  che  gli  danno  guerra. 

Purgando  le  caligini  del  mondo 

La  ploja  fiammeggiar  per  l'universo 

Dello  Spirito  Santo  eh*  è  diffuso 

In  sulle  vecchie,  e  in  sulle  nuove  cuoja. 

Or  superbite,  e  via  col  viso  altero 

Figliuoli  d'Eva,  e  non  chinate  il  volto. 

Tempo  vegg*  io  non  molto  dopo  ancoi 

Che  la  luce  divina  penetrante 

Dentro  l'ampiezza  di  questo  reame 

Ripiglierà  tra  quella  gente  vana 

L*  antico  sangue  e  l' opere  leggiadre 

Che  fiir  de'  primi  scalzi  poverelli 

Che  nel  capestro  a  Dio  si  fero  amici. 


348  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Veggio  dentro  una  nuvola  di  fiori 
Lo  Sommo  Ben  che  solo  a  sé  piace 
Seder  tra  filosofica  famiglia 
E  quel  conoscitor  delle  peccata 
Disnebbiar  V  angoscia  delle  genti 
Che  son  quaggiù.  R innovellar  vegg*  io 
L'età  dell'oro  e  suo  stato  felice. 
Tempo  futuro  m*  è  già  nel  cospetto: 
Lupo  ed  agnel  dopo  lunga  tenzone 
Verranno  al  sangue,  e  la  parte  selvaggia 
Caccerà  Y  altra  d*  uno  in  altro  sangue  : 
Alto  terrà  lungo  tempo  le  fronti 
Tenendo  T  altra  sotto  gravi  pesi. 
Poi  appresso  convien  che  questa  caggia 
E  progenie  discende  dal  ciel  nova 
O  luce,  o  gloria  della  gente  umana 
Essenzia  d'ogni  ben  frutto  e  radice 
Nel  suo  aspetto  di  quel  dritto  zelo 
Che  misuratamente  in  core  avvampa 
Avendo  gli  occhi  alle  superne  rote 
Rigiglierà  sua  carne,  e  sua  figura: 
E  quella  rozza  immagine  di  froda, 
Falsità,  ladroneccio  e  simonia, 
Ruffian,  baratti,  e  simile  lordura 
Caccerà  tutti  come  porci  in  brago; 
E  Vaticano  e  1'  altre  parti  elette 
Di  Roma,  che  son  state  cimitero 
Alla  milizia  che  Pietro  seguette 
Tosto  libere  sien  dell'adultero. 

Dentro  al  suo  raggio  la  figura  santa 
Con  l'ale  aperte  che  parean  di  cigno 
Disse  e  tornò  dove  il  gioir  s' insempra.  ' 


*  Questa  mescolanza  di  versi  danteschi  coti  si  legge  a  pagg.  137-142  deWAlbo 
Useo  verontrtf  già  cit. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  349 

Lauro  Beraardi  nacque  nel  1809.  Studiò  lettere  e  medicina  ;  e 
alternò  l'esercizio  dell'arte  salutare  con  quello  delle  muse.  Inco- 
minciò di  buon'ora  a  pubblicare  per  le  stampe.  La  sua  prima  scrit- 
tura: Osurvaxioni  sulla  causa  più  comune  dilla  rachitide,  edita  in  Verona, 
risale  al  1837.  Molte  cose  si  hanno  di  lui:  Filosofia  della  storia  me- 
dica (Verona,  1839)  ;  Due  fatti  in  onore  del  clero  veronese  (Milano,  1846); 
Giovanni  Prati  eie  sue  passeggiate  solitarie,  cenno  critico  (Milano,  1847); 
Gii  esami  di  maturità  e  il  piano  d*  istru:(ione  della  Prussia,  osservazioni 
(Verona,  1859);  Se  io  fossi  re,  articolo  (Rovereto,  1862);  Remini- 
scenze di  collegio  (Rovereto,  1862)  ;  La  matematica  della  medicina  (Ro 
vereto,  1864);  Se  io  fossi  vescovo  (Padova,  1864);  V  idroterapia,  con- 
siderazioni (Padova,  1865);  Dei  segreti  in  m^t^ima,  commentario  (Ro- 
vereto, 186$);  Le  nuove  nomine  dei  professori  a  Padova  e  il  favoritismo 
(Verona,  1867);  Il  maestro  del  villaggio,  ossia  conferenze  domenicali 
(Padova,  1872);  Reminiscenze  mediche  (Verona,  1876);  Viaggi  di  una 
mosca,  libro  di  lettura  e  di  premio  per  il  popolo  italiano  (Verona,  1885); 
Cecchino,  dal  x^ro  al  milione,  romanzo  industriale  (Padova,  1889)  ; 
Verismo:  Pariniana  (Venezia,  1890). 


350  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


DCCXLIl 
G.  Ganz. 

La  statua  di  Dante  a  Verona 

DELLO     SCULTORE    UgO    ZaNNONI. 
(14  maggio  1865). 

Dante  sei  tu,  ti  scorgo  a  quell'austera 
Fronte  inspirata  ad  un  divin  concetto: 
Dante  sei  tu,  ti  scorgo  alla  severa 
Maestade  dell'atto  e  dell'aspetto. 

Tal  fu  la  tua  sublimemente  fiera 

Sembianza,  allor  che  nel  vasto  intelletto 
Fremeva  il  genio  della  Musa  altera 
A  cui  e  terra  e  ciel  furon  subbietto. 

Chi  ti  sculse  ti  vide,  o  Sommo,  quando 
Sull'ostello  ospitai  l'occhio  fremendo 
Fissavi  allora  della  patria  in  bando. 

Or  torni  cittadin;  perchè  silente 

Costringi  il  labbro  ?  Il  tuo  dolor  comprendo: 
Ti  trovi  ancora  fra  la  1 . . . .  gente.  ' 

Giuseppe  Ganz  nacque  in  Verona  il  29  maggio  1808,  e  ivi  morì 
il  4  giugno  1872.  Fu  dotto  ed  operoso  medico.  Nel  1850  pubblicò 
in  Padova,  giovanissimo  :  De  febrium  paihogenia  animadversiones.  Poi, 
a  Verona,  nel  1835,  in  collaborazione  con  G.  B.  Sembenini,  mise 
fuori  un  Riassunto  delle  più  utili  cooniiioni  e  ncn^ità  snl  cboUra  morbuSy 
al  quale  seguirono  nell'anno  1836,  e  pure  in  Verona,  gli  Studi  me- 

'  Questo  sonetto  cosi  leggesi  a  pag.  145  dell'Albo  danttuo  viromtse,  gii  cìt. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI. 


351 


dici  sul  choUra  morbus.  Indi  comparvero  i  Frammenti  filosofico-medici 
sull'amore  (Verona,  1845);  Le  propensioni  simpatiche  ed  imitative  (Ve- 
rena,  1847);  Rimembrante  e  studi  (Verona,  1852);  7^^»^  mora/^  (Ve- 
rona, 1856);  Profilassi  e  trattamento  per  la  cura  dei  sintomi  prodromi 
del  cholera^  memoria  nel  voi.  XXXIII  delle  Memorie  accademiche  di 
Verona,  Fu  anche  compilatore  della  Gaietta  terapeutica,  che  si  pub- 
blicò a  Verona   negli  anni  1835-86.  ' 


*  Oocste  notizie  e  quasi  tane  quelle 
concementi  gli  autori  contenuti  nitìVAÌho 
danUsco  verontu,  che  Tenni  pubblicando,  io 


debbo  alla  squiiita  cortesia  di  G.  Btadego, 
1*  eminente  bibliotecario  della  Comunale  di 
Verona. 


3S2  POESIE   DI   MILLE  AUTOBI 


DCCXLIII. 
Raffaello  Fornaciari. 

La  Musa  cristiana  e  Dante. 

Ode. 

(14  maggio  1865). 


Chiamavi  il  cielo  e  Intorno  vi  fi  g 

Mostrandovi  le  sae  bellezze  eteri 

E  l'occhio  vostro  pure  a  terra  a 

(Purg,  e.  14,  V.  148  e  se 


Dove  ti  cerco,  o  Vergine, 
Cui  l'inno  sacro  alletta? 
Forse  negli  aurei  portici 
Sulla  Cecropia  vetta 
In  mezzo  ai  sofi  dell'antica  età  ? 
O  nei  teatri  splendidi 
Ove  i  sensi  accendea  la  voluttà  ? 

Forse  ove  '1  denso  popolo 
Sul  clivo  di  Quirino 
Fremea  con  lieto  plauso 
Al  vincitor  latino? 
O  fra  le  mense  e  i  torbidi  piacer 
Ove  '1  roman  degenere 
Seppelliva  l'indocile  pensier? 

No:  fra  '1  terrestre  gaudio 
Fora  il  cercarti  invano, 
O  nei  trionfi  labili 
Del  cieco  orgoglio  umano, 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  353 

Te  che  le  piume  dispiegasti  il  di 
Che  sul  funereo  Golgota 
L'alta  parola  del  perdon  s'udì. 

A  te  le  tombe  arridono 
Cui  lo  sperar  consola, 
E  a  te  fidente  il  gemito 
Che  da  un  cor  mesto  vola, 
A  te  di  penitenza  aspra  il  rigor, 
E  quanto  appar  più  inutile 
Agli  sguardi  del  secolo  irrison 

Né  però  sol  di  lacrime 
Ti  pasci  e  di  sospiri. 
Ma  spesso  ancor  fra  'I  giubilo, 
Amabil  Dea,  t'aggiri. 
Se  dipingi  il  sereno  deliziar 
Di  quell'alme  che  candide 
Dai  lavacri  di  vita  ritornar. 

Cessi  Elicona  il  cantico 
Fonte  di  dolce  inganno, 
E  tu  le  cose  svelaci 
Che  furo  e  che  saranno. 
Perchè  l'uomo  quaggiù  nasce  a  patir, 
E  per  qual  grazia  o  merito 
Pia  che  un  giorno  s'adempia  il  suo  desir. 

Ecco:  la  Diva  calasi 
Dall'eternal  pendice: 
Meravigliati  gli  uomini 
La  chiaman  Beatrice: 
In  verde  manto,  sotto  il  bianco  vel. 
Color  di  fiamma  cingela, 
E  mostra  in  viso  la  beltà  del  del. 

DiL  Balio.  Voi.  XIV.  93 


.^54  PO£S1£  DI  MILLB  AUTORI 

Mirala  imento,  e  l'anima 
Sgombra  dai  mesti  affanni, 
O  Tu  che  all'ombra  mediti 
Del  tuo  bel  San  Giovanni; 
Mirala:  con  quel  volto  Ella  a  te  vien 
Che,  pur  tornato -in  cenere. 
Ti  scalda  ancor  di  tanca  fiamma  il  sen* 

I  detti  suoi  magnanimi 
Fian  lena  al  corpo  frale 
Quando  del  duro  esilio 
Ti  pungerà  lo  strale, 
E  tu,  rapito  nella  sua  beltà. 
Per  la  discorde  Italia 
T'aggirerai  cantor  di  verità. 

Già  di  spavento  tremano 
Gli  inferociti  petti 
Udendo  a  qual  martirio 
Tardo  fato  gli  aspetti, 
Mentre  canti  il  vermiglio-atro  boUor 
Ove  i  tiranni  gemono 
Che  nel  sangue  avventaronsi  e  neiror. 

Ma  Talme  oppresse  e  timide 
Alle  bell'opre  incuora 
Quel  monte  che  in  ascenderlo 
Si  fa  men  grave  ognora, 
Ed  al  sommo  di  quello  i  bei  giardin 
Cui  rallegra  immutabile 
Uno  spirto  soave  mattutin. 

Alfin  le  sedi  eteree 
La  Musa  tua  ti  svela: 
Ma  qui  alle  menti  il  cantico 
Soverchia  luce  vela, 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  355 

E  nostra  fanosia  troppo  è  volgar 

A  te  che  osasti  immobile 

Nel  trino  lume  il  vivo  occhio  affissar. 

Te  suo  poeta  altissimo 
La  nuova  età  saluta, 
E  il  re  del  canto  ellenico 
Meravigliando  ammuta 
Come  quel  di  che  *1  sempiterno  onor 
Scotea  d'un  raggio  insolito, 
Irrompendo  in  trionfo,  il  Redentor. 

Oh!  fortunati  i  secoli 
Quando  a  si  nobil  segno 
Su  Fede  e  Amor  levandosi 
Poggiò  rumano  ingegno, 
Né  quel  vero  che  sfugge  al  senso  fral 
Ancor  negava  improvvido, 
Deprimendo  uno  spirito  immortai! 

Omai  la  vii  materia 
A  noi  siede  reina, 
E  sorge  altiera  ed  emula 
Della  virtù  divina 

Fino  agli  astri  elevando  il  suo  poter, 
E  di  se  stesso  immemore 
Piega  a  terra  le  vinte  ali  il  pensier. 

Ma  intanto  al  vulgo  misero 
Felicità  non  ride, 
Che  nelle  vene  indomite 
L'amaro  ferro  intride 
Poi  che  giacque  sua  speme  in  abbandon, 
E  fu  il  tuo  canto,  o  Vergine, 
Allo  spirito  inquieto  un  vano  suon. 


356 


POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


Dehl  a  noi  del  dubbio  sterile 
Mai  non  s*oscuri  il  verso 
Che  fondo  osò  descrìvere 
A  tutto  l'universo, 
Né  sviato  dall'alto  suo  cammin 
A  mortai  segno  torcasi 
Quel  concetto  che  i  cieli  ha  per  confin. 

Tu  segui,  o  Dea.  Se  indocili 
Fieno  al  tuo  dir  le  genti, 
Vola  alle  valli  irrigue 
E  sui  gioghi  eminenti; 
La  prisca  etade  ivi  respira  ancor, 
E  da*  suoi  veti  attonito 
Pende  al  cantico  sacro  il  pio  culton* 


'  Questi  Tersi  cosi  si  leggono  in:  Lm 
Musa  cristiana  §  DamU,  Ode.  PistoiA,  tipo- 
grafia Cino-Vangucd,   in- 8,   di    pagg.  8, 


i%6$.  Per  le  notizie  blograficbt  e 
grafiche  del  Fomaciari,  vedi  a  pag. 
voL  XI  di  questa  Raccolu. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  357 


DCCXLIV. 

G.     SlLINGARDI, 

Dante  nel  suo  sesto  centenario. 
(14  maggio  i86s). 


Genio  d*  Italia,  ai  popoli 
Face  d'immensa  luce. 
Volse  sei  volte  il  secolo 
Sulla  tua  tomba  e  duce 
A  un  bello  indefettibile, 
A  un  ben  che  non  si  smaga, 
A  un  ver  che  l'alme  appaga 
L' Italia  ti  guardò. 

O.  deir  Italia  gloria» 
O  tosco  pregio  etemo, 
Primo  e  migliore  artefice 
Tu  del  parlar  materno. 
Onde  sua  possa  mostrasi, 
E  alla  futura  gente 
Della  tua  vasta  mente 
Si  grande  orma  restò. 

Signor  del  canto  altissimo, 
Dei  vati  onore  e  lume, 
Su  cui  al  par  dell'aquila 
Ergi  le  forti  piume. 


358  FOESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Cui  cielo  e  terra  porsero 
Tanta  virtude  al  verso 
Che  fondo  airuniverso 
Descrivere  potè. 

Oggi  le  terre  atterransi» 
O  Padre,  a  te  davanti, 
E  dopo  lunghi  secoli 
Mirano  i  tuoi  sembianti 
Placati  a  quest*  lulia 
Che  irrisero  per  mona 
E  veggono  risorta, 
O  Padre,  alfin  per  te. 

O  Padre,  in  basso  volsero 
Le  sorti  di  tua  terra, 
E  lonze  e  lupe  crebbero 
A  darle  in&nda  guerra, 
Leoni  e  volpi  aggiunsero 
La  possa  al  mal  talento, 
Qual  penna  ad  ogni  vento 
Per  ogni  duol  tornò. 

Fu  di  malizia  gravida. 
D'ogni  virtù  desena, 
A  vita  senza  gloria 
Fu  nel  servaggio  ofFena, 
Ne  fé*  un  calvario  il  barbaro. 
Menzogna  il  suo  diritto. 
Amarla  ancor  delitto 
E  reo  chi  la  nomò. 

Dov'eri  allor?...  Qual  tenebra 
A  noi  ti  nascondea  ? 
Nelle  region  degl*  angeli 
La  luce  dell*  idea 


nSTORKO  A  DANTE  ALIGHIERI.  359 

Che  Tuniverso  penetra, 
Ecclissa  neiroblio 
L'amor  del  suol  natio 
Che  tanto  ti  costò? 

Tuy  che  la  nobil  patria 
Ove  dormisti  agnello 
Serrò  noverca  perfida 
Fuori  del  sacro  ostello, 
E  negli  amari  a  volgerti 
Passi  pel  duro  calle. 
Della  selvaggia  valle 
D'esilio  ti  dannò; 

Eppur  li  amasti...  e  all'ardua 
Gloria  di  nova  vita 
Tentasti  avviaria,  giungere 
D' lulia  mal  partita 
Le  sparse  membra  indomite, 
E  deir  imperio  il  seno 
Al  tuo  giardin  deseno 
Ridar  tuo  genio  ardi. 

Ed  essa  il  passo  torcere 
Da  te  verace  guida 
Osò,  seguendo  imagine 
Di  picciol  bene  infida, 
Drizzando  in  suo  pericolo 
Già  tutta  matta  ed  empia 
In  vanità  le  tempia 
Onde  tant'onta  esci. 

I  ciechi  duci  sorsero 
A  pascerla  di  vento, 
II  ver  si  torse  in  favola, 
Il  £ilso  in  argomento. 


)6o  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Le  menti  disviarono, 
Che  senza  fine  cupa 
La  maledetu  lupa 
D'  ambagi  le  invescò. 

I  iristi  pullularono. 
Quasi  da  degna  tana, 
E  di  bestiai  si  piacquero 
Più  che  di  vita  umana: 
Coi  forti  pusillanimi, 
Feroci  con  chi  langue, 
L'  aver,  la  fama,  il  sangue 
Dei  miti  li  ingrassò. 

Sicuri  sobranzarono 
Intenti  al  tristo  pianto 
Gli  eroi  dipinti,  e  martiri 
Nel  faticoso  manto 
Sui  buoni  si  calcarono, 
E  sollevando  i  pravi 
Diero  per  folli  i  savi. 
Il  vizio  per  virtù. 

D'  amore  ancora  il  vincolo 
Che  fece  a  noi  natura, 
Mente  del  mondo  ed  anima 
Onde  virtù  matura. 
In  turpe  ci  travolsero 
Cagion  di  mal  diletto. 
Ed  ogni  santo  affetto 
Spento  neir  or  ci  fu. 
• 

Pur  numi  allor  del  secolo 
I  subiti  guadagni, 
La  banca,  il  furto,  il  calcolo 
Ci  die'  gli  spirti  magni, 


IKTORKO  A  DANTE  ALIGHIERI.  36 1 

La  spada  cesse  ali*  abbaco, 
II  verso  alla  cambiale^ 
Air  oro  la  morale» 
L'eroe  a  chi  rubò. 

O  Padre,  or  non  arrossano 
I  bari  ed  i  falsari, 
I  Baldi  furon  integri 
A  petto  ai  milionari, 
E  le  Cianghelle  vergini,... 
Padre,  mori  vergogna. 
Grattar  si  turpe  rogna 
Neppur  tuo  verso  il  può. 

Se  carità  di  patria 
Arma  di  sdegno  il  canto 
Che  ti  sacrai...,  perdonami... 
Tu  mi  educasti  al  santo 
Amor  del  ver  non  timido, 
Padre,  il  tuo  immenso  affetto 
Infiammi  a  tutti  il  petto 
E  Italia  tua  sarà.' 


Qpasto  c«nto  così  leggeti  in  due  pagine  in  fot  col  titolo  :  A  DauU  mi  smo  tato 
ì9.  MoodoYi,  Rosài,  1865. 


362  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCXLV. 

Giacomo    Zanella. 


A  Dante  Alighieri. 

(14  maggio  i86s). 

Misurator  di  mondi. 
Che  disdegnoso  di  più  breve  lito 

I  pelaghi  profondi 
Solcar  deli'  infinito. 

Fosti  con  vele  ancor  caduche  ardito; 

Se  questa  età,  che  d'oro 
Volge  in  sorgente  lo  splendor  del  vero. 
Torna  al  tuo  santo  alloro, 
Non  anco  del  pensiero 
Tutto  la  creta  conquistò  l'impero. 

Padre,  dal  di  che  in  cielo 
Eri  con  Bice  novamente  accolto, 
Quanto  del  fosco  velo 
Al  guardo  uman  fu  tolto, 
Onde  giaceva  l' universo  avvolto  ! 

Ancor  nell*  ombra  assisa 

II  dito  non  togliea  dal  tuo  volume 
Filosofia  derisa, 

Che  con  gagliarde  piume 

Or  le  rideste  menti  empie  di  lume. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  365 

Neir  acque  di  ponente, 
Ove  locasti  il  sospiroso  regno 
Della  compunta  gente. 
Spezzato  ogni  ritegno. 
Auspice  entrò  di  un  Genovese  il  legno. 

Son  mille  terre;  e  denso 
Di  tesori,  di  popoli,  di  navi 
S'agita  un  mondo  immenso, 
Ove  ne*  flutti  ignavi 
Occultarsi  a*  mortali  il  sol  pensavi. 

Lascia  le  anguste  sedi 
Esule  Europa  ;  e  del  merìggio  ai  man. 
Che  le  son  contro  a'  piedi. 
Porta  operosi  lari. 
Liberi  scambi  e  non  macchiati  altari. 

Padre,  il  tuo  sol  disparve 
Co*  cieli  di  cristallo.  Un  tuo  Toscano 
Delle  pugnate  larve 
Atterrò  T  idol  vano, 
E  del  creato  rivelò  l'arcano. 

Ai  rai  del  ver  caduta 
É  la  vetusta  idea.  Ma  la  tua  stella 
Il  mondo  ancor  saluta, 
Che  dalla  tua  favella 
Senti  le  aure  spirar  d'  alba  novella. 

O  dell'  inciso  verso 
Inflessibil  signor,  che  in  poche  carte 
Hai  chiuso  V  universo, 
Del  folgore  dell*  arte 
L'indomabile  armando  ira  di  parte; 


364  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Le  torri  e  le  badie, 
Che  ti  accolsero  errante,  or  son  ruina; 
Sovra  men  scabre  vie 
Umanità  cammina 
Col  làbaro  immonal  :  Fede  e  dottrina. 

H  tu  nel  lungo  corso 
Sempre  innanzi  le  stai,  come  montagna 
Che  via  per  V  ampio  dorso 
Deir  onda,  in  cui  si  bagna, 
Le  vele,  che  dileguano,  accompagna. 

Vive  di  te  V  eterno. 
Se  r  umano  peri.  Dal  ciel  discende. 
Risale  dall' inferno 
L'  austero  suon,  che  apprende 
Dell'  alte  cose  amor  che  i  degni  accende. 

O  padre,  cui  risorto 
Risorse  ognor  V  italica  fortuna, 
Se  un  di  falllisse  al  porto. 
Ove  ogni  ben  si  aduna. 
Questa  terra  fatai  che  ri  fu  cuna; 

Al  tempio  tuo,  che  immoto 
Leva  la  fronte  su  divine  alture. 
Porga  fidente  11  voto; 
E  rinnovate  e  pure 
Dal  monte  scenderan  Tetà  venture.' 

Giacomo  Zanella,  prete  e  poeta,  nacque  nel  1820  in  Chìan* 
in  quel  di  Vicenza.  Nel  seminario  di  Vicenza  fece  i  suoi  stud 
colà  incominciò,  poscia,  la  sua  carriera  di  insegnante.  Da  Vice 
passò  nel  liceo  Foscarini  di  Venezia,  indi  nel  liceo  di  Padova,  nel  i  J 


*  Qtiesti  Tersi  cosi  si  leggono  in  un  opu- 
scolo di  4  pagine  in  fòt.  senze  date  (iqji 
iS6s)  né  laogo,  né  nodi*  4i   sumpatore, 


col  titolo  :  A  D*nU  AUghUri,   Versi 
l'abste  Giacomo  Zanella. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  36  ^ 

La  prima  sua  vera  afTermazione,  come  poeta,  fu  la  pubblicazione, 
nel  1865,  nella  Civiìià  Italiana  della  sua  Conchiglia  Fossile. 

L*anno  dopo  veniva  nominato  professore  di  letteratura  italiana 
neir  Università  patavina.  Si  incominciarono,  allora,  ad  apprezzare  !e 
sue  traduzioni  poetiche  dal  greco,  dal  latino,  dal  tedesco,  dall*  inglese, 
dallo  spagnuolo.  Nel  1868, il  Barbèra  pubblicava  i  suoi  versi;  un  altro 
volume  di  sue  poesie  stampava  il  Le  Mounier  nel  1877.  La  sua  ripu- 
tazione poetica  si  affermava.  Vittorio  Imbriani  ne  fu  sdegnato  ;  gli 
parve  che  usurpasse  una  fama  a  lui  non  dovuta.  E  in  Quattro  fame 
usurpate  lo  assalì  vigorosamente,  cercando  di  demolirlo,  come  volle 
demolire  TAleardi  e  Andrea  MafFei.  Il  libro  crìtico  fece  rumore,  come 
tutte  le  cose  eccessive,  ma  ugualmente  come  tutte  le  critiche  uni- 
laterali, e  le  cose  violente,  che  non  durano,  dopo  un  pezzo,  cadde 
Dell*obblio.  E  allo  Zanella  insieme  ai  suoi  difetti,  nessuno  nega  i  suo» 
pregi.  Unicuique  suum. 


366  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXLVL 
Raffaele  Granata. 


Giuseppe  Garibaldi 

ALLA   tomba   di    DaNTE   AlIGHIERL 

Ottave. 

(14  maggio  1865). 

A  me  la  lira,  a  me!...  frenar  non  posso 
I  prepotenti  palpiti  del  core  — 
Ferve  il  pensier,  sul  volto  mio  commosso 
Brilla  di  Febo  il  foco  animatore  — 
Che  a'  detti  miei  da  novo  ardir  sia  scosso 
Chi  per  la  patria  terra  arde  d'amore  — 
Che  il  mio  labro  riveli  al  mondo  intero 
L'arcana  vision  del  mio  pensiero.  — 

Ecco  la  tomba,  ove  Alighier  divino 
Posa  da  cinque  secoli  sepolto  — 
Qui  si  curva  ogni  fronte  a  mesto  inchino 
Al  sacro  nome,  che  sul  marmo  è  scolto  — 
Un  uomo  vi  si  appressa  —  alto  destino 
Arcanamente  gli  riluce  in  volto  — 
Par  che  commossa  da  una  forza  ignota 
La  fredda  tomba  al  guardo  suo  si  scota  — 

De'  sommi  eroi,  onde  stupì  la  terra. 
L'alto  valor  negli  occhi  suoi  risplende; 
Marte  il  diresti  al  fremito  di  guerra, 
Che  in  ogni  loco  al  suo  venir  s'accende!  — 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  367 

Con  la  sinistra  man  Ei  l'elsa  afferra 
Del  lungo  acciaro,  che  al  suo  fianco  pende  — 
Sta  —  della  Patria  assorto  nel  destino  — 
La  tomba  a  contemplar  del  Ghibellino.  — 

Al  sovrumano  ardir,  che  mostra  in  viso. 
Che  i  troni  de'  tiranni  urta  e  scompone, 
Alla  sanguigna  tunica,  al  deciso 
Sguardo,  che  sempre  ad  alte  imprese  è  sprone  — 
li  difcnsor  de'  popoli  ravviso; 
Io  riconosco,  Italia,  il  tuo  Campione  — 
Gran  Dio!  sta  la  mia  mente  in  tale  isunte 
Tra  Garibaldi  e  il  tumulo  di  Dante. 

Immobil,  fiso,  in  suoi  pensier  rapito 
L'Eroe  favella:  «O  grande!  un  tempio  eletto 
É  il  marmo  dove  è  il  nome  tuo  scolpito. 
Per  chi  un  Italo  cor  sente  nel  petto  1  — 
Ove  il  senso  d'onor  non  è  sopito. 
Ove  di  patria  palpita  l'affetto  — 
Per  te  dove  d'Iulia  il  nome  suona 
Di  sempre  verde  allór  v'è  una  corona  — 

a  Qui  posi  è  vero  —  la  tua  diva  fronte 
Qui  da  marmorea  volta  è  ricoperta! 
Amaro  scherno!...  in  vita  affanni  ed  onte, 
Morto,  di  tombe  e  di  corone  offerta! 
Di  chi  nacque  a  scolpir  V  eterne  impronte 
Del  genio  sovruman  sul  Mondo...  è  certa 
Immutabil  sentenza  —  aspri  dolori, 
Miserie,  oltraggi...  e  poscia  pianto  e  onori! 

«  Dalla  Patria  respinto  —  errante,  astretto 
A  chieder  da'  potenti  un  pane  amaro  — 
Ti  rinchiudesti  allin  nell' intelletto, 
E  a  te  l'ombre  de'  grandi  s' appressare! 


3^3  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Di  loro  degno  —  a  lor  cou  Y  alma  stretto 
Ti  sottraesti  ali*  uomo  empio  ed  avaro  -^ 
Troppo  angusta  la  terra  ove  abitasti. 
Tre  Mondi  col  pensier  tu  ti  creasti!  — 

a  SI!...  tu  nato  a  svelar  quanto  sia  vero. 
Che  l'anima  dell' uom  soffio  è  di  Dio  — 
Sul  fango  di  quaggiù  passasti  altero. 
Maggior  del  tuo  destino  avverso  e  rio, 
Ma  un  sol  ti  travagliò  ferreo  pensiero. 
L'onta  del  popol  tuo,  che  in  cieco  obblio 
Dei  santi  dritti  suoi,  schiavo,  diviso, 
E  stolto  inferocla  di  sangue  intriso.  — 

«Pace,  gridasti  allor;  ma  fu  smarrita 
Di  guerra  nel  fragor  la  tua  parola  — 
Sol  quando  a  sera  giunse  la  tua  vita, 
Quel  sommo  Dio,  che  affanna  e  che  consola,. 
Al  tuo  pensier  mostrò  l'Italia  unita. 
Dopo  lungo  soffrir  Regina  e  sola! 
E  tu  che  pronta  a  sorger  la  vedesti 
Un  braccio  a  rialzarla  al  Ciel  chiedesti... 

«Eccomi!...  io  surto  dalla  culla  appena. 
Dello  stesso  tuo  Sol  bevendo  il  raggio, 
Un  fremito  m'intesi  in  ogni  vena, 
E  piansi  della  Patria  al  rio  servaggio  — 

10  scossi  pel  mio  popol  la  catena, 

E  il  non  spento  destai  Roman  coraggio; 
Me  chiama  oggi  a  compir  1'  Onnipotente 

11  pensier,  che  svelò  per  la  tua  mente! 

«Sull'ali  d'inspirata  fantasia 
In  Beatrice  assorta  la  pupilla. 
Tu  l'adorasti  dove  l'uom  s'india, 
Ove  fra  mille  Soli  assisa  brilla  — 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  369 

Me  guida  pur  la  Beatrice  mia, 
Che  pur  di  luce  angelica  sfavilla  — 
La  Dea  che  m'arde  Libertà  si  noma, 
Ed  io  le  appresto  alto  trionfo  in  Romal 

«  La  Croce,  che  tra'  vividi  splendori 
Di  quella  gloria  che  ogni  gloria  eccede, 
Raggiar  mirasti  fra  gli  eccelsi  cori 
Di  quei  che  cadder  per  la  nostra  fede; 
Quella  de'  fidi  miei  riscalda  i  cori, 
Quella  sull'armi  mie  sculta  si  vede  — 
Essi  dà  i  lampi  al  ferro,  al  bronzo  i  tuoni; 
Essa  travolge  de'  tiranni  i  troni!  — 

«  Eppur!...  fremi,  o  Grand' Alma  ?...  ancor  sospese 
Pendon  le  sorti!...  o  rabbia!...  ancor  si  sente 
Al  si,  che  suona  nel  tuo  bel  Paese, 
Misto  il  roco  chiocciar  di  strania  gente  — 
Sul  Campidoglio  ancor  1'  ali  distese 
Tiene  di  Francia  l'Aquila  possente... 
L'Aquila,  che  alla  gloria  i  cori  accende, 
Oggi  l'Asil  de*  Farisei  difende!! 

«Oh!  sorgi  dalla  fossa  ombra  sdegnosa. 
Gigante  sorgi!...  avvolta  in  igneo  lume 
Sull'Alpi  ascendi...  annunzia  imperiosa 
Allo  stranier  la  volontà  del  Nume! 
Va  fuor,  digli,  dal  suolo  ove  riposa 
Il  cener  mio,  che  vanta  il  mio  volume! 
La  terra  che  a  tant^opra  il  Ciel  destina, 
Tua  schiava  esser  non  può;  ma  tua  Regina.  — 

aAhiI  tu  forse  qui  dormi  corrucciato 
Pel  lungo  de'  tuoi  figli  ingrato  obblio! 
Padre  perdona...,  ancor  sospeso  è  il  fato, 
A  nove  pugne  ancor  ci  chiama  Iddio  — 

Dii  Bauo.  VoL  XIV.  34 


370  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Ma  —  il  giuro  —  a  questo  avello  venerato 
^el  giorno  del  trionfo  il  popol  mio 
Verrà  un  inno  di  gloria  a  te  cantando. 
Ed  io  qui  deporrò  V  alloro  e  il  brando.  » 

E'  tace.  —  Oh  Cieli...  sul  volto  suo  le  improi 
Stan  d'un  sacro  terror,  che  fa  gelarmi  I... 
Del  Ghibellino  la  rugosa  fronte 
Ecco  s'aflFaccia  degli  aperti  marmi!... 
All'  armi^  alVarmi.  E*  grida,  e  '1  piano  e  '1  mo 
E  la  valle  ripete:  all'armiy  all'armilll 
Ove  son  io?l  tutto  spari.  —  Ma  in  mente 
Risuona  ancor  quel  grido  onnipossente  1  —  ' 


'  QfMStl  Ttrti  coti   ti   leggono    in    un    l    Gérikaldi  allm  Umhm  di  DtuiU  Aligì 
opuscolo  di  ptgg.   8    col  titolo:  Giuseppi    \    lUfficle  Grtnttt. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI. 


371 


DCCXLVIL 

WiLLELM    BrAGHIROLLI. 

Mantova  a  Dante  il  14  maggio  1865. 
Sonetto. 

O  sommo  italo  Vate,  il  cui  possente 
Carme  la  speme  ravvivò  ne*  petti 
E  '1  primo  ardor  della  latina  gente, 
Ond'  or  va  lieta  per  concordi  aflFctti  ; 

Mira,  e  lo  sdegno  della  eccelsa  mente 
Attuta  alfine,  che  di  spirti  eletti 
Accoglie  il  fior  la  tua  terra  ridente 
Da  nobil  patto  virilmente  stretti. 

E  a  Te  d'intorno  con  voler  securo 
L'alme  temprando  in  tua  robusta  fede, 
Sciolgon  festosi  per  l'Italia  un  giuro: 

Che  se  a  convegno  si  gentile  e  bello 
La  patria  del  tuo  Duca  oggi  non  siede 
Il  cor  non  tace  in  Lei  del  suo  Sordello/ 

Guglielmo  BraghiroUi,  crìtico  e  storìco  d*arte,  e  rimatore,  di  tanto 

^nto,  nacque  a  Concordia  nel  Modenese,  nel  182};  prìma  profes- 

*"^  e  bibliotecarìo  nel  Seminano  vescovile  di  Mantova,  poi  ispettore 

^^*3Mtico,  ci  lascia  notevoli  ed  utili  scritti:   Leon  Battista  Alberti  a 


^etto  soBcno  coti  ti  legge  e  peg.   ^7 

^  libro  col  titolo:  Alk0  dantaco  mila. 

t9mwiemtma\i&m   tMUHérU,  offerto  <U 

^«ra  «I  nomo  del  poeu   nulonale  ita* 

MutoTA,  «al»,  tip.  Loigt  Segna,  186$. 


Prime  di  questo  sonetto,  vi  è  neH'  Albo 
un  sonetto  di  Perdi nendo  Arrìvabene  (1808) 
pubblicato  già  nel  voi.  VII,  pag.  496,  di 
questa  Raccolta. 


372  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Mantova,  Il  Donatello  a  Mantova,  Sulla  manifattura  à*arajx^  in  Man 
Cartef^gio  ó^ Isabella  d'Este  Gonzaga  intorno  ad  un  quadro  del  Giambe 
Dei  rapporti  di  Federigo  II  Gonzaga  con  Antonio  Allegri  da  Corri 
Federigo  II  Gonzaga  e  Tiziano.  Abbiamo  pure  di  lui  notizie  int 
santi  intorno  al  Perugino,  al  Mantegna,  lettere  inedite  di  artisti  its 
del  secolo  xv  e  traduzioni  in  versi  di  poesie  straniere,  special n 
di  composizioni  popolari  andaluse,  e  leggende  inglesi  volgari 
in  prosa. 

Il  Braghirolli  fu  un  appassionato  bibliotecario  e  bibliofilo 
bliografo,  a  differenza  di  molti  che  se  ne  stanno  inerti  fra  tesor 
non  sanno  esplorare  o  che  non  vogliono  esplorare. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  S73 


DCCXLVIII. 

Antonio  Codogni. 

A   Dante. 
Sonetto. 

(14  maggio  1865). 

<c  Nel  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita  » 
Scuotevi  Italia  dal  suo  tuq)e  sonno 
Con  quel  Carme  divin  che  all'infinita 
Di  età  catena  fia  maestro  e  donno. 

^^cl  Dritto,  per  la  Croce,  e  la  smarrita 
Di  patria  Carità,  su  cui  mal  ponno 
Ceppi  e  bipenni,  la  facea  scaltrita 
Quel  Carme,  ond'io  mi  beo  più  che  m'indonno, 

^^^iù  che  il  sacro  io  ne  cerco  alto  volume: 
E  grido,  o  miei  fratelli,  pace  e  amore; 
V'adduca  a  un  sol  voler  Tutil  comune! 

^*^è  forse  io  grido  invan,  ule  è  l'ardore 
«  O  degh  altri  poeti  onore  e  lume  » 
Che  diffondi  d'Italia  in  ogni  core.' 

"*    QDato  toiieRo  coti  ti  legge  a  pag.  135  dtìì'Alb§  danUseo  mantovauo,  eh. 


\ 


374  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXLIX. 
Angelo   Poma, 

A  Mantova. 
(14  maggio  1865). 


O  maga  figlia  di  Bianore,  lieta 
Sciogli  tu  pure  un  canto  e  all'aure  il  fida: 
(Jn  vivo  canto  a  quel  divin  poeta, 
Ch'ebbe  Virgilio  per  secura  guida 
Nel  calle  periglioso: 
E  di  Sorde  1  sdegnoso 
Cantò,  che  al  dolce  suon  della  sua  terra 
Sorge,  e  il  Maestro  fra  le  braccia  serra. 

Volgiti  all'Arno,  e  le  città  sorelle 
Mira  che  strette  dal  più  santo  amore, 
Qual  vaga  turba  di  leggiadre  ancelle. 
Al  divino  poeta  fanno  onore; 
Ed  ogni  invidia  spenta, 
Ognuna  d'esse  è  intenta 
A  mostrarsi  del  grande  atto  compresa. 
Che  nobil  gara  ha  in  ogni  petto  accesa. 

Ma  tu  gentil  che  sulle  sponde  amate 
Ti  stai  seduta  del  tuo  pigro  fiume. 
Inclita  madre  d'  un  guerrier,  di  un  vate. 
Or  del  pensier  sulle  robuste  piume 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIBRI.  375 

Vola,  e  nel  fausto  giorno 

A  quell'eccelso  intorno, 

a  Nel  bel  paese  là  dove  il  si  suona» 

Il  patrio  canto  intona.' 

'  QlMtti  veni  cosi  ai  leggono  «  pag.  157  dell*^/^o  dantésco  mmntovano  eh. 


376  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCL. 
Teodosio  Puerari. 

Religione  e  Dante. 

(14  maggio  1865). 
Argomento. 

La  Tèritè  hittorìque  dcTimit  ètre  non  moin^ 
sAcrèe  que  U  rdigion. 
(Napolèon  III,  Hisloirt  de  JuL-Cis.,  tom.  t  , 
Prèface). 

Questa  sentenza  ddV Autor  sovrano 
Che  lo  storico  libro  mi  largia, 
Mentre  plaudiva  Italia  ad  Alighieri, 
Mi  mosse  a  dir  di  Religione  e  Dante. 

Milano,  maggio  1865. 

Teodosio  Puerari,  Avvocato. 

Religione  e  Dante. 

I. 

Tutto  in  natura  ha  scopo  —  Gli  elementi 
Fusi,  rifusi,  sempre  roteati; 

I  corpi  decomposti  e  riprodotti; 

II  durare  cosi  della  materia, 
Delle  specie  e  dell'ordine  primiero 
Naturale,  dinotano  che  tutte 

Cose  create,  fra  loro,  hanno  rapporto. 
Relativo  all'intero,  e  che,  per  nesso. 
Sta  l'atomo  alla  sfera,  ali*  Uni  versoi 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  377 

Da  sperimento  fisico  cred'  io 

Aver  si  possa  idea  di  quel  legame, 

Per  cui  duran  le  specie  ognor  distinte 

(Data  però  de'  primi  corpi  o  stipiti 

La  creazione,  perocché  da  ninna 

Specie,  che  pria  non  fosse,  ninna  specie 

Potea  venir,  se  non  era  creata). 

—  Lo  sperimento  fisico  sia  questo  — 

Diverse  fila,  di  licor  diversi, 

(Ogni  filo  un  licor)  s' imbevan  pria  : 

Poscia,  tutti  quei  liquidi,  confusi 

Sian  dentro  un  vaso  :  in  questo  vaso  un  capo 

Di  quei  fili  s' immerga,  e  fuori  V  altro 

Capo  dei  fili,  ripiegato  sia. 

Avverrà  che  per  leggi  naturali 

Note,  costanti,  di  capilli,  ascese, 

Ed  attraenze,  assorbano  que'  fili, 

Ognuno  il  suo  licor  di  che  fu  molle  ; 

E  quindi  separati  scorreranno. 

Lungo  le  fila,  i  liquidi  che  prima 

Eran  confusi  —  e  per  leggi  di  gravi. 

Che  tenJon  tutti  al  centro  della  terra, 

I  licor  separati  sboccheranno 
Dagli  altri  capi  dei  curvati  fili  — 
Se  a  quel  vaso  comune  fia  perenne 

II  riflesso  dei  liquidi  confusi. 
Anco  r  opra  dei  fili  fia  perenne  — 

E  calamita,  se  a  commista  polve 
Di  materie  s'  accosti,  in  che  sian  miche 
Di  metalli,  avverrà  che  solo  attragga 
Le  omogenee  metalliche  parcelle, 
L'  altre  lasciando  d' altre  leggi  e  forze 
Alla  potenza.  Quelle  parti  attratte, 
Attraenti  pur  fatte,  accresceranno 
Del  complesso  la  forza  —  e  proseguendo. 
Le  molecole  corpo  diverranno. 


378  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Che  ingrosserà,  che  durerà  compatto. 
Fin  che  forza  maggior  non  lo  dissolva. 

Ha  in  sé  pur  Y  uomo  lo  simil  sistema. 
Si  alimenta  di  cibi,  di  licori 
Molti,  svariati.  —  In  suo  stomaco  ed  epa 
Fa  di  quelle  materie  elaborato 
Confuso  impasto,  per  moti,  e  per  chimo 
E  contrazioni  e  spinte,  che  V  impasto 
Atomizzano;  eppur,  chilo  succede, 
Quindi  ogni  fibra  dell'  umano  corpo 
Di  queir  impasto  ciò  solo  riceve 
Ed  assorbe,  che  va  per  quella  fibra  : 
Né  avviene  mai  si  muti;  che  mutare. 
Morbo  sarebbe  ed  é.  —  Per  tale,  appunto. 
Farmaco  sana  ed  il  veleno  uccide. 

Il  creator  cosi  volle,  e  fur  fatti. 
Entro  fusi  elementi,  i  corpi  innumeri 

0  stipiti,  che  tutta  la  materia 
Usufruttar  dovean.  —  Però  composti 
Furo  que*  corpi  di  speciali  essenze 
Della  materia  —  o  fur  costituiti 

Di  quelle  essenze  ed  avidi  e  passivi. 
Ed  é  cosi,  cred*  io,  che  per  confusi 

1  raggi  della  luce,  ed  i  vapori. 
Atomi,  succhi  e  linfe,  nell'immenso 
Aèr,  di  terre  e  monti  nelle  viscere, 
E  nei  profondi  mar;  ogni  colore. 
Ogni  seme,  ogni  fior,  pianta,  metallo. 
Conchiglia,  insetto^  ed  animai  qual  sia, 
Attraggono  pur  sempre,  ovvcr  subiscono 
L*  essenze  primitive  naturali 
Simpatiche  ed  imposte  a  lor  natura, 

E  sempre  son  di  quella  specie  e  forma. 

Ed  é  pure  mirando  quel  rapporto. 
Onde  animali,  insetti,  e  vegetali 
Van  generando  e  proJucendo,  pure 


IXTORN'O  A    DANTE  ALIGHIERI.  379 

Per  accordi  simpatici  amorosi 

Di  semi  fluiditi  e  di  frammenti 

Ch'  hanno  natura,  proprietà  medesme 

Attraenti  e  subenti,  si  che  corpi 

Divengono  simili  ai  loro  stipiti, 

E  sono  a  riprodurre,  infin  che  morti. 

E  morte  li  dissolve;  perchè  tutti 
Ai  vegnenti  dian  luogo  ed,  a  lor  volta, 
Rendan  l'avuto  corpo  alla  natura. 

—  Quel  Dante  scrive,  che  sfogliato  ramo 
a  Rende  alla  terra  tutte  le  sue  spoglh.  • 
Cosicché  da  putredini,  fosfati. 

Calce,  succhi,  vapor,  carbonii,  fluidi, 
Aure,  tragge  natura  continuate 
Ed  atte  essenze  ad  ingrossare  i  piccoli 
Semi  vitali,  come  i  padri  furo. 

—  Si  che  dir  puossi  :  essere  ogni  corpo 
Serbator,  generando,  della  specie; 

E  serbator  della  fusa  materia, 

A  lei  rendendo  il  decomposto  frale. 

—  Chi  sa,  che  d*Alighier  lagrima  ardente 
Sulle  patrie  catene,  ove,  ossidando. 

Si  tinse  di  rossor,  non  sia  feltrata 
Il  sangue  a  concitar  del  truce  Alfieri}... 
Ed  è  pure  stupendo,  come  a  fondere 
Tutta,  in  giro  lontano,  ed  a  rifondere 
La  materia,  però  che  mai  consumasi. 
Oprino  forze  gli  elementi  a  scuotere. 
I  torrenti,  i  diluvi  urtano,  avvolgono  — 
Voragi  si  spalancano  ed  ingòjano 
Valli,  città  —  scoscendono,  ri  franano. 
Vulcanizzano  i  monti  —  e  i  fuochi,  ceneri 
E  polve  danno,  che  per  turbi  salgono, 
E  sparse  ancor  sovr' altri  corpi  calano  — 
E  dei  corpi  gli  umori  che  trasudano, 
Fonti,  ruscelli,  laghi,  fiumi,  oceani 


380  POHblE   DI    MILLE   AUTORI 

Sfuman  vapori,  che  di  sotto  gli  Eoli 
Investono,  folleggiano  e  sospingono 
A  dense  nubi,  che  poscia  dileguano 
Pioggie  e  rugiade,  che  alle  linfe  riedono, 
Ai  campi  ristorati...  e  ancor  risalgono 
Anco  vapor,  per  anco  linfe  pioverci... 

É  mirando  il  rapporto  de'  pianeti 
E  d'altre  stelle,  che  sull'asse  loro 
Girano,  e  intorno  a  rispettivi  Soli, 
Da  forze  immense,  misteriose  quasi, 
In  aere  librati,  in  ordin  tale, 
Che  va  a  minuti,  senza  urtarsi  mai!... 

—  Ma,  cosi  discorrendo,  dall'  assunto 
Di  religione,  che  m'imposi,  forse 
Divago?  —  No,  —  Premisi,  anco  per  essa. 
Che  tutto  ha  scopo:  e  invero,  lo  stupendo 
Legame  del  creato  lo  dimostra: 
E  già  dall' ordin  di  natura  indetto, 
Parmi  che  l'uomo  analoghe  sacrate 
Norme  per  sé  ne  possa  trarre,  e  tono: 

—  Ch'egli  ha  propri  diritti,  ma  soggetti 
Al  sociale  organismo,  ed  al  Supremo, 
Come  le  fibre  al  corpo,  il  corpo  al  Sole: 

—  Che  le  nazioni,  al  pari  de'  pianeti. 
Sull'asse  loro  avvolgere  si  denno, 

E  intorno  a  Dio,  ma  senza  urtarsi  mai. 

—  È  quanto  dir,  che  sempre  rispettose 
Sian  de*  confini  e  delle  lor  distanze, 
Da  natura  segnate;  e  che  fra  loro 

Sia  lega  di  saper,  merci,  progresso, 
Qual  di  luce,  calor,  moto,  le  stelle. 

II. 

Come  dunque  ogni  cosa,  sia  creata. 
Generata  o  prodotta,  ebbe  suo  scopo; 
Il  pensiero  dell'  uomo,  la  ragione^ 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  38 1 

Che  di  lui  sono  pure  nell'essenza 
Naturale,  doveano  aver  lor  meta, 
E  Tcbbero.  —  E  lo  dico,  perchè  mia 
Mente  è  scrutarla,  perocché  saperla. 
Fa  r  uomo  saggio,  men  dolente,  queto 
«  Sotto  r  usbergo  del  sentirsi  puro;  » 
Siccome  analizzar,  sapere  il  vero 
Delle  sostanze  e  delle  membra  il  giusto, 
Nudrìsce,  sma,  aSorza,  addestra,  alletta. 

Ma  pensiero  e  ragione,  veramente 
Sono  ncir  uomo  ?  Si,  che  in  lui  son  fìtti. 
Ei  li  sente,  ne  vede  e  sa  gli  eff(:tti: 
Pensa  e  ragiona,  pur  quando  a  sé  chiede, 
Se  pensi:  sente  più,  mente  t  ragione^ 
Che  Vanimay  perché  questa  é  un'imago 
Più  remota,  e  però  meno  compresa.  — 

Ond'io,  non  già  per  tórre  tale  imago 
Da  Platone  e  da  Dante  immortalata. 
Ma  sol  per  più  chiarire,  includo  V  alma 
Nella  ragione  e  nel  pensiero y  e  dico. 
Che  pensiero  e  ragion,  di  nostra  vita 
Scienti  quaggiù,  che  putrìdire  mai 
Furo  veduti,  presentar  ci  ponno 
Coi  vitali  ricordi  nel  futuro.  — 

Lo  scopo  a  giudicar,  per  cui  fur  dati 
All'uomo  il  pensiero  e  la  ragione, 
É  giusto  meditar,  da  Cui  ragione 
Trasse,  poiché  di  logica  è  dottrina 
Dalla  causa  conoscere  l'effetto  — 
Or  bene:  fu  ragion,  quella  che  diede 
Ragione  all'  uomo  ?  —  Si,  perché  da  corpo 
Vien  corpo;  dunque  da  ragion,  ragione. 

—  E  sovrumana  fu  la  creatrice  ?  — 
SI9  perché  non  potea  l'uomo,  incapace 
A  creare  fil  d'erba,  né  d'arena 
Grano,  né  un  punto  di  materia  prima, 


382  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Non  poteva  creare  sé  medesmo. 
Né  pensiero  e  ragion  dare  a  sé  stesso; 
Che  idearli  nemmen  egli  potea. 
Se  non  era  chi  a  lui  dava  pensiero. 

—  E  fu  sublime»  fu  ragione  immensa. 
La  créatrice  ?  —  Si,  perché  sublime 
È  r immenso  creato:  si,  perché 
Sublimi  effetti  dalla  stessa  umana 
Ragion  creata  vennero;  sublime. 
Perché  al  Caso  non  dessi  T  Universo. 

Dir:  caso:  é  nulla  dir  —perch'io  domando: 
Chi  definisce  il  caso  ?  ed  il  primiero 
Misterioso  creator?  —  Si  dice: 
D'atomi  union,  vicenda  di  elementi... 

—  Ma  chi  fé*  gli  elementi,  la  vicenda  ? 
Chi  gli  atomi,  V  unione  ?  Chi  poteva 
Tal  caso,  onde  venisse  orJin  cotanto 
Di  tante  varie,  e  in  sé  normali  forme. 
Di  macchine  che  son  complicatissime 
Nella  macchina  immensa  universale? 

—  E  s*  era  caos^  chi  '1  fece  ?  chi  lo  volle  ? 
Ond'era?  —  Da  materia  neutra  inerte 
Potea  moto  venir,  senza  Motore, 

Che  del  moto  sapesse?  E  dato  moto. 
Senza  motor,  potea  dal  mover  cose 
Il  pensiero  venir,  ente  morale}... 

—  Si  dicesse  pur  caso^  alla  ragione 
Del  creato,  saria  caso  divino: 

Di  parola^  sarebbe  la  cemtesa. 

Però  dal  divo  senno  creatore 
Venuta  la  ragion,  di  senno  scopo. 
Ragion  creata  aver  doveva^  e  Y  ebbe  -r— 
Son  colpe,  é  vero,  son  tendenze  prave; 
Ma  data  appunto  fu  ragion,  per  cui 
Domarle  —  e  ben  il  vate  ne  dicea: 
«  Ove  più  pregi  splendano,  non  io 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  383 

«  Mi  offenderò  di  poche  macchie  »  —  sono 
Ombre,  talor,  che  rendono  più  vaghe 
Le  luci  al  quadro  della  storia  umana.  — 

Or  si  dica:  perchè  tutte  le  genti 
Ne'  codici  punir  vollero  i  rei  ? 
Perchè  il  popolo  freme  di  tiranni 
A  scenico  trionfo?  e  perchè  gode 
Degli  innocenti  al  gaudio  ?  —  e  che  degli  empi 
Sono  i  rimorsi?  che  di  patria  amore, 
Gloria  ed  onor  ?  V  avidità  del  dritto  ? 
Le  gioie  di  famiglia  —  se  non  sono 
Effetti  di  ragion,  prova  in  natura?... 

—  Ecco  i  cultor  dell'  arti  belle  ornare 
La  materia  creata!  —  Ecco  gli  scienti 
Scrutar  natura  e  dritti,  per  salute. 
Leggi,  sentenze,  calcoli,  edifici! 

—  Ecco  storici  fidi  rimembrare 
Uomini  e  fatti,  che  ci  danno  esempio 
E  scola  —  ed  associar  filosofia, 

Che  lo  storico  dir  fa  più  potente! 

—  Ecco  orator  magniloquenti,  quali 
Con  loro  lingue,  più  che  spade  acute, 
E  voci,  della  polve  più  tonanti, 
Convincer  sanno,  scuotere,  crollare! 

—  Ecco  Poeti  spingere  le  menti 
Oltre  materia  e  soliti  concetti, 

Per  sublimare,  quasi  darci  un  nuovo 
Spazio  di  vita  più  capace,  piena 
D'altissime  e  profonde  idee  novelle. 
Di  nuove  elette  armoniche  favelle! 

—  Tal,  che  per  sua  ragion  V  uomo  non  resta 
Air  opre  dell'  istinto,  da  natura 

Segnate,  fisse,  simili  ed  eguali 
Sempre,  come  la  sempre  simil  tana 
Del  castoro;  simll  sempre  dell'api 
L'alveare;  de' bruchi,  delle  ragne 


384  *  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Bozzoli  e  tele,  d'usigauolo  il  canto; 

D' inconscia  pica  il  verbo  imiutore... 

Ma  di  palagi,  templi,  monumenti, 

Arazzi,  ornati,  canti,  melodie. 

Saputi  accenti,  varii  sempre,  autore 

È  Tuom,  che  in  globi  vola;  e  sovra  il  ferro. 

Senza  cervi,  precipita;  e  Tidee 

Ratte,  come  il  pensier,  dall'  uno  all'  altro 

Polo,  reca  per  fili  elettrizzati; 

E  ritragge  repente  aspetti  e  cose 

Sovra  chimici  strati,  a  lenti  e  luce... 

E  scopre,  inventa,  e  progredisce  sempre!... 

IH. 

Ma  ad  altro  scopo  data  fu  ragione, 
E  quello  fu  di  che  più  dir  m'imposi  — 
Fu,  che  l'uomo  sentisse  la  potenza 
Créatrice  suprema  e  l'adorasse, 
E  per  tale  sentir,  per  tale  culto. 
Anco  fosse  più  probo  e  confortato. 
—  Era  selvaggio,  ma  intelletto  avea, 
E  pensiero,  e  memoria  de'  pensieri  ; 
Quindi  confronto  delle  idee,  legame... 
Era  dunque  ragion.  —  Però  dovea 
Mirare  lo  splendor,  l'alba,  l'occaso 
Del  sole;  le  innumerabili  altissime 
Stelle;  e  la  luna,  ora  falcata  or  piena. 
E  1*  effigie  dell'  uom  in  lei  bozzata  ; 
Degli  augelli  il  volar;  de' pesci  il  guizzo; 
Fior,  frutta,  messi,  prati,  risi,  spegli  ; 
Le  voluttadi  dell'  amato  ;  poi 
Il  misterioso  generar  la  prole!... 
E  conoscer  dovea  d'essere  inetto 
A  ciò  creare,  cui  potea  nemmeno 
Comprendere,  ed  ammettere,  convinto. 


OiTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  58$ 

Un  poter  sovrumano,  creatore 
Del  firmamento  e  del  piano  terrestre 
E  d'ogni  cosa.  —  Quindi  meditare, 
Contemplare,  fissar,  meravigliato. 
Il  cielo  (a  cui  natura  tutte  volse 
Anco  de' fior,  degli  alberi  le  cime); 
E  bramare  saper,  chi,  come,  quando, 
Perchè  tant'  opra,  mentre  di  ragione 
É  ragione,  cercar  deìV  onde  ignoto: 
E  intanto,  venerare  l'incompresa. 
Ma  sentita  potenza  sovrumana  : 
E  far  roveti,  perchè  fumi  al  Cielo 
Salissero  —  ed  ambir  unto  che  V  etra 
Li  gradisse  attraendo,  da  ridurre 
Invidioso  Caino^  e  fratricida!... 
—  In  quello  stato  di  desio,  d' incanto, 
D'  umile  atteggio  al  Ciel,  per  venerato 
Sovrumano  poter...  era  dei  primi 
La  religion,  che  a  punto  vai  sentire 
Un  divino  potere  sovrumano, 
E  divin  culto  aver;  pregiato  pure 
Quel  primo  senso,  come  fu  selvaggio. 
Stando  i  pregi  coi  tempi  e  le  dottrine.  — 

Ma  se  le  meraviglie  del  creato 
Non  bastavano  a  far  1'  uomo  devoto, 
Anco  i  mali  fur  pronti  ad  umiliarlo  — 
Dir  oso,  che  il  Supremo,  nell' infondere 
Progrediente  ragione  all'uom,  previde 
Che  se  invitto,  immortai,  questi  nascea. 
Superbo,  audace  si  saria  vantato 
Eguale  al  suo  Fatcor;  che  mai  prostrato 
Si  sarebbe  al  Divin,  ch'anzi,  ribelle 
Avrebbe  osato  Dio  sfidar!...  —  Di  vero. 
Non  era  fuori  della  mente  umana 
Tal  fellonia,  che  d'uomini  fu  dire, 
Di  Prometeo  fellon,  che  r.ii  del  sole 

Dbi  Balio.  Voi.  XIV.  25 


386  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Ebbe  furato,  ad  animar  gli  automi 
Tenuti  ignari  dagli  Dei  tiranni! 
Ed  anco  dire  dei  Titani^  a  guerra 
Con  Giove,  e  dal  Tonante  fulminati, 
Arrotolati  giù,  colle  franate 
Rupi,  nel  mar!  ed  anco  de' superbi 
Angeli  a  Dio  ribelli,  che  da  Cieli 
Altissimi  nell'infero  piombar!... 

—  Pur,  dunque,  i  mali,  le  sventure,  morte 
Che  tutti  accascia,  perchè  —  dice  Ora^o  — 
«  Col  giusto  piede  batte  alle  capanne 

«  Dei  poveri,  e  de'  regi  alle  superbe 

«  Torri!»  —  E  cosi,  quando  i  tuoni,  le  folgori, 

Uragani,  tremuoti,  ampi  diluvi. 

Belve,  doglie  mortali  ed  agonie, 

E  morte,  ad  atterrir,  córre,  fur  pronti; 

Anco  fu  forza  dechinar  l'altera 

Fronte,  che  il  Ciel  parea  sfìdare,  e  il  fango 

Guatar  ove  s' intomba,  ed  umiliati. 

Prostrati  supplicar  che  ancora  in  calma 

Tornasser  gli  elementi,  e  che  cessati 

Possero  i  morbi,  redivivi  i  cari!... 

—  E  il  sonno,  prepotente  della  morte 
Imago,  ad  ogni  vespro,  che  sopisce 
Degli  ercoli  il  vigor,  de'  sofi  il  senno  ?... 
E  le  tenèbre,  ad  ogni  di  segnenti 

Che  de'  rapidi  sguardi  V  albagia 
Frenano  e  fanno  sospirar  la  luce, 
Cui  potere  supremo  ci  misura  ?... 

—  In  natura  fu  dunque  religione  — 
Quindi  non  è  che  Religion  non  fora, 
Se  non  fossero  scole,  tradizioni 

Di  maèstri,  di  padri.  Chi  1'  apprese 
Ai  primi  padri,  se  non  fur  natura. 
Intimo  senso,  innanzi  all'  universo, 
E  mercè  la  ragion,  fra  beni  e  guai?... 


IN'TORKO  A   DANTE   ALIGHIERI.  387 

Hducazione  migliorò,  ma  sempre 
Sul  primo  germe,  quale  aurata  polve, 
CZhe  il  magnete  prìmier,  benché  di  ferro, 
Bacia  ed  indora  —  comechè  perenni, 

T^e  meraviglie,  le  delizie,  i  mali 

Ch'  erano  quando  religion  nascca; 

Onde  ognuno  che  nasce,  al  par  dei  primi, 
La  sente  —  e  più,  che  nel  social  progresso 

Più  sensibili  fé*  la  civiltade.  — 


IV. 

—  Religiosi  però,  sbanco  divisi, 
Esser  più  lo  dovean  uomini  uniti 
In  social  patto  —  E  ciò  volea  natura  — 
Debili  a  fiere,  timidi,  dolenti, 
Anco  presi  d'amor,  in  antri  e  selve 
Adunarsi  dovean;  ivi  aitarsi 
A  vicenda;  ed  espor  loro  concetti 
Colla  parola,  che  però  fu  data  — 
E  più  moltiplicavano  gli  affetti; 
E  più  che  le  sventure  erano  gravi. 
Più  tremendi  i  nemici,  a  ratti,  prede, 
Odii,  vendette,  più  s'  unian  seguaci, 
E  r  emulo  fervore  in  lor  crescea... 

—  Cosi  le  società  furo  e  diverse. 

E  in  quelle  Tuomo,  che  con  seco  trasse 
Quanto  aveva  di  fisico  e  morale. 
Anco  recò  di  religione  il  senso 
E  il  culto  primo,  che  fervette  poi. 

—  E  qual  era  il  suo  culto  ?  Assai  conforme 
Al  naturale  esprimere  gli  affetti  : 

Ciò  che  prova  ognor  più,  come  quel  culto 
Avesse  ed  abbia  naturai  radice  — 
Invero,  si  desia  veder  V  amato, 
E  possederlo,  e  dinotar  col  fatto 


388  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Il  nostro  amor...  —  cosi  per  nuiai,  Dei^ 
Idoli,  r  uom  fissò  come  mirande 
E  care  ad  esso  —  e  simboli  si  avea 
Che  baciava»  e  sul  cor  tenea,  fidando 
Essere  illeso  da  sventure,  in  lotte 
E  pugne  invitto,  da  divina  forza 
Anco  protetto,  contro  cui  l'umana 
Hi  sentiva  impotente  —  ed  il  suo  eulta 
Mostrò  con  are,  altari,  incensi  e  roghi, 
E  riti,  varii,  come  i  gèni  e  i  tempi... 
Ma  per  ragione  del  social  progresso. 
Anco  sorger  dovea  V  unica  idea 
Del  Dio  solo  ineffabile;  sublime 
Idea,  che  lo  scevro  dalle  contese 
Definitive,  da  rivali  posse 
Limitatrici  del  poter,  ed  anco 
Dall'  onte  dei  profani  ;  che  potria 
Usurpatore  barbaro  crollare 
Immagini,  ministri,  templi  —  mai 
U  intima  idea  sovrana  di  quel  Dio, 
Né  il  culto  che  gli  sacra,  colla  mente. 
Il  popolo  continuo.  — 

Or  è  di  fatto 
(Cotanto  è  religion  dall'  uom  sentita) 
Che  i  ben  mille  du^ento  milioni 
Di  popoli  viventi  religione 
Han  tutti,  e  mUh  religioni  or  sono, 
E  tutte  han  saggi,  martiri  ed  eroi. 

V. 

Dir  \'  una,  e  vera^  non  pretendo  in  mille. 
Accertar  nel  mistero  io  non  presumo: 
Né  milioni  di  popoli  sottrarre 
A  Dio,  com*  Ei  non  fosse  tale  immenso. 
Da  tutti  accorre  e  meritare  i  voti 


IMTOItNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  589 

Di  tuue  Genti  che  emanar  da  Luil 

—  Bensì  dirò:  che  religioni  tutte 
Han  giusto  fine,  perchè  vanno  a  Dio, 
E  mirano  a  virtù  dei  lor  devoti.  — • 

Se  v*  ha  pur  chi  contende,  a  me  non  dica, 
Che  possano  bastar  le  savie  leggi 
Profane  dello  Stato  e  la  morale  — 
Giusto,  fedele,  probo  cittadino 
Uom  fia  per  esse,  al  popolo,  allo  Stato; 
Ma  verso  Dio  non  già,  se  religione 
Cessa.  E  morale  o  non  contempla  Dio, 
E  ne  difetta,  in  onta  alla  natura, 
Air  umana  ragion  —  come  provai  — 
Od  anche  Dio  contempia,  e  in  questo  dato. 
Morale  è  Religion,  detta  «  Morale.  » 

—  Ma  bastassero  pur  leggi  profane 
A  fare  probo  cittadin;  non  meno 
Sarla,  che  Religione  lo  migliori. 

Invero,  fia  maggior  nostro  fervore. 
Fratelli  e  Stato  ci  saran  più  cari. 
Se  nel  tempio  con  noi  inneggieranno 
Ai  martiri  di  nostra  libenade; 
E  difendere  i  dritti  della  patria 
Giureranno,  per  Dio!  —  che  affé,  sacrato^ 
Il  giuramento  più  potente  affida 
Le  promesse  politiche  e  civili  — 
E  ancor,  perchè  si  benedice  il  brando?... 

—  Poi:  a  leggi  profane  —  che  partire 
Dovean  dzW  attentato  —  non  fu  dritto 
Córre  pensieri  rei,  peccati  strani 
A  sanzione  penai,  né  ignoti  pravi. 
Ma  religione,  che  Io  spirto  guida. 
Ogni  pecca,  pensier  che  minacciosi 
Iniziano  la  colpa,  anco  i  malvagi 
Occulti  arriva  e  danna  in  sua  morale, 
E  destando  rimorsi,  e  predicando 


390  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Che  gli  empi  dannerà  quel  giusto  Dio 
A  cui  nulla  è  celato!  —  Alcuni»  forse. 
Non  crederanno?...  basterà  creduto 
Abbian  altri,  perchè  dire  si  possa. 
Che  religione  ali'uom  ebbe  giovato. 
Ed  il  conforto  che  ci  dà  la  fede 
In  Dio,  nella  divina  provvidenza. 
Nella  vita  futura,  onde  men  gravi 
Sono  i  mali  e  la  morte,  e  più  propensi 
Siamo  a  virtù  ?  —  Chiedete  a  desolato 
Padre,  che  piange  dell'  unico  figlio 
Sul  cadavere,  qual  abbia  conforto? 
Ei  vi  dirà,  che  in  Ciel  beato  Spirto 
Il  figlio  suo  l'attende!  —  E  che,  di  più. 
Quel  padre  non  farà  per  meritarsi 
Il  Ciel?  —  Togliete  d'altra  vita  speme: 
Dite,  che  colla  morte,  tutto  tutto 
È  finito,  ed  avrete  disperati... 
Epicurei  !... 

E  d'altra  vita^  io  penso: 
Chi  potè  dare  ali'uom  vita  presente. 
La  futura  dar  può  :  qual  die'  futuro 
Di  materia  a  materia,  può  ben  darlo 
Di  pensiero  al  pensiero,  di  ragione 
Alla  ragion.  —  È  ver,  che  non  è  prova 
Di  fatto,  al  pensier;  ma  nemmen  prova 
È,  che  non  sia:  puot' essere,  e  non  essere; 
E  nel  dubbio  tremendo,  il  saggio  afferma. 
Che  all'astratto  concetto  del  mistero 
(Innegato  al  perché  della  natura) 
E  Yipotesi  data,  per  non  tórre 
Ogni  oggetto  al  mistery  che  più  non  fora. 
Ed  afferma,  perchè  niegnr,  ripugna 
Alla  sublime  idea  che  del  Divino 
Egli  s'  è  fitta,  ed  alla  innata  brama 
Di  non  morir,  che  non  dovria  fallire 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  59I 

Alla  ragion,  che  brama  per  volere 
Del  creator:  e  afferma,  perchè  aborre 
Idea  negar  di  tanti  ben  ferace  — 

Sia  dunque  religioni  —  Chi  delle  genti 
Ama  il  progresso,  non  dovrà  sopire, 
Ma  fervere  que*  sensi  e  quei  sistemi. 
Che  di  scienza  e  virtù  filro  fecondi  -^ 
Né  crederà,  che  possa  religione 
Essere  idea  qualunque,  abbandonata 
Dei  singoli  al  sentir,  senza  dottrina 
E  riti.  —  Nel  gran  patto,  ogni  potente 
Istituzione,  per  ragion  sociale. 
Aver  leggi  dovea,  forme,  sanzioni; 
E  religion  cosi  che  tanto  puote, 
Perchè,  in  balia  d'ignari  e  di  sofisti. 
Mostruosa  non  fosse;  e  pur  non  sia 
Elevata  cosi,  che  non  s'intenda. 

VI. 

Però  convien,  che  come  ogni  altra  legge 
A  seconda  dei  tempi  si  riforma, 
Ond'atta  sia;  cosi  quella  s'acconci 
Cui  r  uomo  fece  per  levarsi  a  Dio. 

Non  dirò  le  riforme  a  culti  mfile: 
Solo  dirò,  eh'  ove  saranno  e  sono 
Nazioni  dotte,  libere,  in  progresso, 
Ivi  sarà  di  religione  il  culto 
Filosofico  più,  che  materiale: 
Reggerà  coli' amore:  simonia 
Vieterà:  non  vorrà  ciò  che  non  vuole 
Il  popolo  sovran  —  per  non  patire 
Sacrilegi,  violenze,  apostasie  — 
Né  religioni  avverserà  d'altrui: 
Né  tratterà  politica  profana: 
Bensì  concorde  alla  ragion  di  Stato, 


592  POESIE  DI  MILtB  AUTOKI 

Ove  quel  culto  sta,  dirà  che  voce 
Di  popolo  è  di  Dio  voce:  che  quindi 
La  salute  del  popolo  è  suprema 
Legge:  che  già  statuti,  plebisciti^ 
Armi,  bandiere,  cittadini  e  prence 
Fur  benedetti!...  E  allor,  oh  quanto  cara, 
Adorata  sarà  forte  e  difesa 
Religione,  cosi  pura  ed  accorde!... 

AUor  anco  sarà  degno  che  prence 
Non  politico  s'abbia.  —  Può  Y  autocrate 
Sol  ove  ha  Tarmi:  di  rivolte  e  guerre 
Segue  le  sorti:  si,  che  religione 
Rischia  suo  Capo,  in  lui,  alla  profana, 
Ed  iniqua  talor,  forza  brutale  — 
Invece  TAltro,  che  divino  culto 
Sol  regga,  intatto,  di  sua  fé  sovrano. 
Perdura,  e  tal,  che  in  religioso  campo 
A  sovrani,  e  stranier,  anco  sovrasta!  — 

VII. 

Ma  perchè  in  fronte  de*  miei  versi,  Dante 
Invocai  ?  —  Fu  perchè  la  sua  Divina 
Commedia  lo  fé*  primo  de*  poeti 
Italiani:  'e  perchè  sono  recenti 
I  plausi  al  sesto  secolo  di  sua 
Gloria  immortale.  —  Autoritadi  sono 
A  mie  parole!  perocché,  né  Dante 
Avria  dettato,  né  vorriano  i  saggi 
Tanto  lodare  quel  divin  poema, 
Se  religione  fosse  una  chimera!  * 


'  Questi   versi    cosi   si    leggono  In   un    <    ligipne    e    Détntt,    Vtnì   itUÌ'mrr,    Puertrì 
opuscolo  in-S  di  pag.  31,  col  titolo  i  Re-    \    Teoiloro.  MiUao,  tip.  Co^nago  e  Co.  186$. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  393 

DCCLI. 
Alfonso  Capra. 

Dante  e  l'Italia. 
(14  maggio  1865). 


I. 


Libertà  va  cercando,  eh*  è  ti  cara, 
Come  ta  chi  per  lei  vita  rifiuta. 
Dante,  Parg,  e.  i. 


Su  nei  campì  deir  etra,  ove  s'  accoglie 
L*  ira  d'  un  Dio  fra  vonici  di  fuoco, 
Rapido  il  volo  il  genio  mio  discioglie. 

E  ratto  intomo  io  sento  un  gemer  fioco, 
Un  lamentarsi,  un  dimandar  vendetta; 
E  pur  deserto  mi  parea  quel  loco. 

Quando,  improvviso,  in  ferrei  ceppi  stretta. 
Veggio  gran  torma  insanguinata  e  pesta 
Trarsi  piangendo,  e  replicar:  vendetta; 

E,  del  serto  regal  scarco  la  testa, 
Famoso  Spirto,  che,  prostrato  a  Dio, 
Tende  le  braccia,  e  a  supplicar  s*  appresta. 

«Vindice  etemo,  ei  grida,  è  popol  mio 
Questo,  che  geme  entro  Venezia  e  Roma, 
Ch'  io  sottrarlo  giurava  al  fato  rio. 

Se  non  che  mia  virtù  fu  vinta,  e  doma 
Nel  di  fatai,  che  decretai  T  esiglio, 
E  del  diadema  mi  spogliai  la  chioma: 


394  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Ma  in  di  più  fausti,  e  con  miglior  consiglio 
La  grand*  opra  dell'  italo  riscatto 
Mirabilmente  proseguiva  il  figlio. 

Ed  or  perchè  s' indugia  ?  a  che  ad  un   tratto 
D'  astute  volpi  e  di  rapaci  lupi. 
Non  viene  infranto  Y  esecrato  patto  ? 

Deh  che  mai  più  nostre  contrade  occupi 
Stuolo  di  mostri  maledetto  ed  empio, 
In  loro  agguati  senza  fine  cupi! 

Ve*  che  strazio  crudel,  ch'orrido  scempio 
Si  fa  di  questo  benedetto  suolo, 
Ch'  esser  dovria  dell'  universo  il  tempio. 

Ve'  come  d' alme  elette  immenso  stuolo. 
Frementi  amor  di  patria,  errando  vanno 
Con  prolungati  gemiti  di  duolo. 

Vagir  gran  tempo,  il  sai;  né  già  vorranno 
Salirne  al  premio  dell'eterna  sede. 
Finché  non  cessi  dell'  Italia  il  danno. 

Ve'  r  Alighier,  eh*  alla  sua  patria  riede. 
Dopo  secol  di  lutto,  e  maturarsi 
Suo  concetto  sublime  ancor  non  vede. 

Mira  del  Vate  taciturna  starsi. 

In  riva  airAmo,  1'  anima  sdegnosa, 
E  dei  plausi  del  mondo  non  curarsi. 

Del  suo  gran  di  la  lieta,  e  fragorosa 
Solenne  pompa  in  sua  città  sol  mira, 
A  guisa  di  leon,  quando  si  posa; 

Ch*  altro  pensier  lui  preme,  e  in  cor  s'  adira, 
Che  serva  Italia,  e  di  dolore  ostello, 
Tuttor  r  intera  libertà  sospira. 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  395 

Scorge  in  Firenze  un  principe  novello. 
Né  il  sospirato  Veltro  in  lui  saluta; 
Che  in  Italia  tuttor  stride  il  flagello. 

Deh!  gradita  gli  rendi  sua  venuta! 
«  Libertà  va  cercando,  eh*  è  si  cara, 
Come  sa  chi  per  lei  scettro  rifiuta.  » 

Tacque,  e  sul  volto  suo  l'ambascia  amara 
Tutta  si  disvelò  d'un  re  tradito 
Nella  funesta  rotta  di  Novara. 

In  suir  istante  fu  nell'  alto  udito 
Una  voce  sonar,  emula  al  tuono: 
—  Il  destino  d' Italia  fia  compito.  — 

Un  angiol  fiero,  di  quei  detti  al  suono, 
Qual  fulmine,  la  nuvola  scoscende, 
Che  immensa  cinge  di  giustizia  il  trono. 

Ei  sopra  l'Alpi  folgorando  scende. 
Colà  s'  asside,  e  i  lumi  giù  rivolto. 
Le  late  piume  su  l' Italia  stende. 

A  tal  vista  il  gran  Vate,  in  sé  raccolto. 
Ratto  sorgendo,  a  re  Vittorio  mosse, 
E  giubilando  *lo  baciò  sul  volto. 

E  oh  salve!  disse:  il  tuo  valor  riscosse 
Italia  tutta  dal  letargo  indegno, 
E  quasi  a  morte  lo  stranier  percosse. 

Esecutor  dell*  immortai  disegno 
Te  il  ciel  prescelse,  in  questa  sacra  terra 
Un  sol  trono  vedrassi,  unico  regno. 

Prosiegui  1'  alta  impresa,  abbatti,  atterra 
Degli  oppressori  l'efferato  orgoglio. 
Distruggi  i  lupi,  che  ti  fanno  guerra, 

E  superbo  t'  assidi  in  Campidoglio. 


39^  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

II. 

io  fai  nato  •  eretciuto 

Sovra  '\  bel  fiume  d'Arac  alla  gran  TÌlla. 
Dante,  /«/.  e.  a). 

Per  secoli  interi  fu  vista  sul^Arao 
Un'  ombra  posarsi  dolente,  romita  : 
Per  secoli  interi  V  Altissimo  indarno 
Al  premio  dei  giusti  queir  anima  invita: 

Il  suolo  ove  nacque,  V  Italia  eh*  al  Vate 
Le  note  ispirate  -  nel  duolo  dettò. 

La  terra  a  cui  mira  suo  nobile  canto, 
Neir  onta,  nel  pianto  -  lasciare  non  può. 

Ei  vide,  com'  onde  che  incalzano  altr'  onde, 
Giù  scender  dall'  Alpi  le  barbare  schiere, 
Sfamarsi  nel  sangue  le  fauci  immonde. 
Travolger  nel  fango  le  nostre  bandiere. 

Strapparci  di  mano  V  antico  retaggio, 
Gravar  di  servaggio  -  chi  il  mondo  domò, 

E  r  alma  del  Vate,  fremendo  di  sdegno, 
Sul  popolo  indegno  -  tre  volte  imprecò. 

Ei  vide  innovarsi  d*  ingordi  leoni 
Coir  avida  lupa  la  tresca  nefanda  ; 
Su  laghi  di  sangue  fondar  nuovi  troni. 
Di  petti  cognati  la  gara  esecranda; 

E,  in  onta  a  quel  Nume  ch'abomina  l'empio, 
Sacrarsi  nel  tempio  -  che  1'  ara  atterrò  : 

E  r  ombra  squallente  del  divo  cantore. 
Compresa  d'  orrore,  -  la  fronte  curvò  ! 

Ei  vide  aguzzarsi  più  crudi  gli  artigli 
Da  mostri  scettrati  nei  sacri  intelletti: 
Oscure  prigioni,  lunghissimi  esigli, 
Atroci  torture,  patiboli  eretti. 


^ 


I 


INTORKO   A  DANTE   ALIGHIERI.  397 

Di  roghi  fumanti  Y  acerbo  tormento. 
Le  ceneri  al  vento  -  disperse  mirò: 

Colpita,  a  tal  vista,  queir  anima  offensa, 
L' ingiusta  sentenza  -  con  ira  membro. 

Giaciuta  lunghi  anni  dei  Bruti  la  terra 
Immersa  in  letargo  di  morte  profondo, 
Ei  vide  piombarvi  quel  fulmin  di  guerra, 
Che  strinse  in  un  fascio  gli  scettri  del  mondo. 

Nel  figlio  d*  Italia,  nell*  uomo  fatale. 
Il  Vate  immortale  -  salute  sperò; 

Ma  r  uomo  fatale,  d*  orgoglio  deliro, 
V  Italia,  r  empirò  -  sé  stesso  obbliò. 

U  immenso  gigante  percosso,  abbattuto, 
Ei  vide  i  tiranni,  congiunti  ad  un  tratto. 
Covare,  sancire  nell*  aere  muto 
Dei  popoli  il  fato,  l' orribile  patto. 

Che  Italia  avvolgendo  nel  buio  di  morte. 
Gli  orrori  del  Norte  -  su  lei  rovesciò. 

Non  raggio  di  speme  fra  Y  ombre  di  lutto. 
Tenèbre  per  tutto  -  queir  ombra  mirò. 

Non  raggio  di  speme?  del  Tebro  sul  lido 
Il  sacro  vessillo  dispiega  un  vegliardo: 
Già  s*  ode  d' intorno  festevole  grido. 
Risorge  1*  Italia,  combatte  il  gagliardo; 

Già  crollano  i  troni...  Ma,  ahi  crudo  destino! 
La  patria  il  divino  -  Pastor  rinnegò! 

Il  Vate  su  al  cielo  le  luci  rivolse. 
In  sé  si  raccolse  -  gemente,  e  pregò. 

Ma  arcangel  di  guerra  dall'Alpi  s'  affaccia. 
Fra  torbidi  nembi  di  fiera  tempesta: 
Ha  sculta  sul  fronte  tremenda  minaccia 
—  Ai  despoti  morte,  —  V  Italia  ridesta  : 


3^3  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Un  rege  guerriero  discende  dal  soglio; 
Da  picciolo  scoglio  -  qual  prode  volò? 

U  invitto  Nizzardo.  Più  ratti  che  lampi 
Si  scaglian  sui  campi  -  che  V  oste  occupò'. 

Levandosi  altero,  con  voce  di  tuono 
AUor  r Alighieri,  terribile  grida: 
«Superbi  monarchi,  scendete  dal  trono; 
Un  popolo  in  armi,  l'Italia  vi  sfida: 

Le  sacre  contrade  via  sgombra,  o  straniero. 
Un  popol  guerriero  -  soffrirti  non  può  : 
V  acciaro  dei  forti  ti  preme,  t' incalza, 

I  sogli  trabalza,  -  vittoria  suonò... 

Si  cessa?...  Oh  che  miro!  festose,  esultanti, 
A  calca  in  Firenze  si  traggon  le  genti  ? 
Via  gli  archi  e  le  pompe,  le  gioie  ed  i  canti; 
Di  schiavi  fratelli  s*  insulta  ai  lamenti  ! 

Tacete  il  mio  nome,  gli  onori  detesto. 
Mio  di  non  è  questo,  -  gradirlo  non  so  : 

Il  fia,  quando  un  grido  di  libero  affetto 
Dall'Alpi  allo  Stretto  -  diffondersi  udrò. 

Vittorio,  che  tardi?  Tua  gloria  fia  spenta 
Se  il  vile  ancor  dura  mortai  vitupero: 

II  voto  del  padre,  tuo  giuro  rammenta  ; 
In  Roma  sta  il  seggio  dell*  italo  impero. 

L'  unanime  grido  degl'  Itali  tutti 
Sui  troni  distrutti  -  quel  solo  piantò: 

Su  d'  esso  t'  assidi.  Ch*  io  vegga  tal  giorno  ! 
E  lieto  al  soggiorno  -  celeste  ne  andrò  ». 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  399 


III. 

Che  le  U  voce  tua  tari  moleUA 
Nel  primo  gusto,  vital  nntrìnento 
Lascerà  poi  quando  sarà  digita. 
Dante,  Par,  e.  17. 

Né  questa  or  si  vedrla 
Immensa  calca,  del  servaggio  sciolta, 
Al  gran  Vate  plaudir  d'Arno  sul  lito; 
Senza  la  voce,  che  dal  cor  gli  uscia 
Libera  ardente,  e  negli  etemi  avvolta 
Splendor  deli'  infinito. 
Ella  i  secol  varcando,  e  in  pochi  eletti 
Pari  air  italo  onor  animi  accolta. 
Covò  gran  tempo;  e  rafforzati  i  petti, 
Vinse  il  furor  dei  despoti  sgomenti, 
Per  tutte  guise  a  soffocarla  intenti: 
E  il  gran  concetto,  che  il  Cantor  sublime 
Arcanamente  esprime, 
A  tutta  Italia  manifesto  rese, 
E  i  destini  magnanimi  le  apprese. 

Spegner  può  forza,  od  arte. 
Fuoco  di  libertà,  eh'  al  cor  s'  apprende 
O'  un  popol  conscio  dei  diritti  suoi  ? 
Insorgemmo  più  volte,  e  d'  aspro  Marte 
Furon  fatali,  è  ver,  le  rie  vicende; 
E  s*  addensar  su  noi 
Nembi  più.  fier  d' interminati  affanni. 
Ma,  per  lungo  martir,  vinù  riprende 
L'eterna  fiamma;  ond*  affrettò  suoi  danni 
L*  oppressor,  che  più  forte  il  pie'  ci  avvinse  ; 
Disperato  furor  all'  armi  spinse, 
Che  mai  non  deporrem,  finché  del  tutto 
Non  cessi  1'  onta  e  il  lutto 
Di  questa  Italia  bella, 
Ognor  d'  estrani  prenci  abbietta  ancella. 


400  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

E  il  barbaro  Teutòna 
Pia  r  estremo,  per  Dio!  che  non  invano 
Scettrato  sire,  di  francar  giurando 
Queste  sacre  contrade,  ove  il  si  suona. 
Stese  fremendo  la  robusta  mano 
Dei  suoi  grand'  avi  al  brando, 
E  ratto  corse  a  fiaccare  nei  campi 
Del  tedesco  predon  V  orgoglio  insano  : 
E  non  indamo,  fra  gli  accesi  lampi 
Di  mille  acciar,  l'arcangelo  di  guerra 
D' improvviso  piombò  suU*  alma  terra 
Dei  Procida  famosa  ;  e  d'  un  sol  guardo 
Pulminando  il  codardo 
Stuol  di  schiavi  venduti  a  re  felloni. 
Scossi,  scrollò  gì'  insanguinati  troni. 

Salvete,  o  al  gran  disegno 
Dal  ciel  prescelti!  Ah!  voi  nel  bando  ingrato 
Lui  confortaste,  ch'in  possenti  note 
Ritrasse  l'ombra  del  beato  regno. 
Voi  stringe  tale  un  vincolo  sacrato, 
Che  franger  mai  noi  puote 
L'arte  di  quei,  che  con  astuto  senno 
Pesar  finora  dell'Italia  il  fato 
Sulla  bilancia  eh'  eredàr  da  Brenno. 
Nel  Nizzardo  fatai  divo  messaggio 
Non  miran,  stolti!  il  vergognoso  oltraggio 
Qui  sceso  a  vendicar;  qual  vasto  scudo 
Sostenga  il  braccio  ignudo 
Scorger  non  sanno,  e  la  divina  spada. 
Che  schiude  al  Veltro  fra  i  guerrier  la  strada. 

Però  ben  lo  vegg'io; 
Ch'ai  Vati  spesso  degli  arcani  il  velo 
Squarciasi,  ed  al  pensiero 
Dei  suoi  consigli  lampeggiar  fa  un  Dio 
L'ordine  eterno  stabilito  in  cielo. 
È  a  me  palese  il  vero; 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  40 1 

Itali,  udite:  dell' Oreto  in  riva,' 

Entro  il  temrpro  maggior,  mìo  spirto  anelo 

Nel  Prence  assorto,  in  un  balen  sentiva 

Rapirsi  al  trono  del  Rettor  Sovrano; 

E,  sembianti  a  chefùbi,  ecco  la  mano 

Il  Nizzardo  e  il  Gantor  stendere  al  serto, 

Al  re  sabaudo  offerto; 

E  sorrìdendo  alle  fattezze  conte, 

Deporio  lieti  sull'augusta  fronte. 

Rege,  i  destini  nostri 
A  te  commise  Iddio:  la  grande  impresa 
Intrepido  prosiegui  ;  T  aere  muto 
Ognor  rifuggi,  u'  da  scettrati  mostri 
É  la  ragion  dei  popol  vilipesa. 
Stringi  Tacciar  temuto, 
S'è  d'uopo  ancor,  e  suoni  da  per  tutto 
Voce  che  spinga  a  vendicar  l'offesa. 
Voce  di  morte,  d' esterminio,  e  latto. 
E  «el  -sublime  invito  al  gran  conflitto. 
S'oda  col  nome  tuo  quel  dell' invitto. 
Che  in  te  pur  I-astro  salutò  prìmiero 
Dell'italico  impero. 
Ohi  lo  richiama 'dall' ignavo  scoglio; 
E^'^erai  dall'Adria  .al  Campidoglio. 

Dei  Cesari  sul  trono 
Assiso  là,  sul  Vatican  Tedrai 
Etema  face,  ohe  rischiara  il  mondo. 
Tu  l'adora;  e  con  voce  emula  al  tuono. 
Ne  discaccia  i  piofan;  piena  di  guai 
Prema  lo  spirto  immondo. 
Ch'osi. recarle  ohraggio;  ma  non  vale 
A  far  ohe 'moti  suoi  celesti  rai 
In  teli  di  furor  labbro  mortale. 
Che 'Suoi  detti  temprando  in  quel  ch'in  seno 

^'"prcmntf 'del  Ke  Vittorio  Emamiele    1    1860,  mi  dipinse  aH'ceeen  fantasi*  il  Veltro 
^    I>noiiio  di  Palermo,  oel  dicembre  del    |    di  Dante. 

^«L  Balio.  Voi.  XIV.  26 


402  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Ignobil  fuoco  di  desio  terreno 

Gli  divampa,  la  folgore  ad  un  Nume 

Strappar  di  man  presume, 

E  d'averno  incalzar  negli  antri  cupi 

L*alme  sublimi,  che  fan  guerra  ai  lupi. 

Tempo  già  fu,  che  in  grembo 
D* orrida  notte  d'ogni  luce  priva 
Giaceasi  il  dritto;  e  per  la  selva  umana 
Ria  prepotenza,  come  oscuro  nembo 
Sterminatore,  imperversando  giva, 
Ed  alla  voce  arcana 
D*  intrepido  vegliardo,  su  Canossa  * 
Folgorando  il  divin  astro  appariva, 
E  al  suol  prostrò  d'  altero  re  la  possa. 
Il  buio  a  dissipar  d*  età  feroce. 
Tuonar  dovea  l'onnipossente  voce: 
Ma  trasportata  al  sacro  tempio  in  vetta, 
Raggi  d'amor  saetta 
La  diva  face,  e  stringe  tutti  a  un  patto 
Nel  salutare  universal  riscatto. 

Sol  Un  tutto  ne  accolse 
Della  luce  il  tesor  nell'ansio  petto, 
E  ne  senti  l'indomita  potenza; 
Sol  TAlighier.  Del  genio  il  volo  ei  sciolse 
Rapido  al  cielo;  in  unico  concetto 
Strinse  coli' alma  immensa 
Quanto  pel  mar  d'eternità  si  volve; 
E  con  robusto  carme,  il  maledetto 
Stupro  dannando,  che  l'Italia  involve 
In  un  turbo  di  mali  indefinito; 
Il  diritto  sentier,  ch'ebber  smarrito. 
Ed  ai  popoli  mostra,  ed  ai  potenti, 
E  al  Pastor  delle  genti. 
Prence,  il  percorri;  da  tal  guida  scórto. 
Non  puoi  fallire  a  glorioso  porto. 

'  Papa  Gregorio  VII. 


INTORNO   K  DANTE  ALIGHIERL  403 

Ove  il  rattrovi,  o  rege. 
Punisci  il  fallo»  e  più  quel  che  s'ammanta 
Di  finto  zelo  per  la  fé*  di  Cristo. 
Ah  !  per  1*  incauto  vulgo  mal  si  legge 
Neil* abisso  dei  cor,  e  par  che  santa 
Suoni  la  voce,  e  di  discordia  il  tristo 
Seme  si  sparge  a  conturbar  le  menti: 
Furor  fremono  in  sen,  che  lor  cotanta 
Preda  vien  tolta...  L'orrido  non  senti 
Ulular  deirEumenidi  accosciate 
Del  gran  delubro  per  l'ampie  navate? 
E  i  simulacri  in  lungo  ordin  nel  tempio 
Gemere  a  tanto  scempio? 
D'Italia  il  voto  adempi;  regna,  impera; 
Torni  Roma,  qual  fu,  prode  guerriera. 

Né  timor,  né  consigli 
Te  vincan  dei  potenti.  Ogni  straniero 
È  nemico  all'  Italia.  Al  core  apponi 
La  tua  destra,  ed  il  cor  sol  ti  consigli. 
D'italo  amor  v'ha  palpiti?  un  guerriero, 
Vita  spregiando  e  troni. 
Sol  questi  ascolta...  Intorno  intorno  un  mesto 
Ululo  prolungato  odi:  l'intero 
Universo  par  gema...  oh!  il  pianto  è  questo 
Dei  magnanimi  eroi,  cui  dolce  e  cara 
Morte  tornò  di  patrio  amor  sull'ara. 
Lung'Oreto,  il  Volturno  ed  il  Ticino, 
Vedi,  lo  stuol  divino 
Erra  piangendo,  e  a  te  si  duol,  ch'ancora 
Itali  volti  servitù  scolora! 

Soccomberai?  Ti  è  noto. 
Ben  si  compra  per  morte  eterna  fama. 
Pia  retaggio  ai  figliuoi  splendido  e  bello 
L'adempimento  del  paterno  voto. 
Ad  ispirarsi,  chi  di  gloria  ha  brama. 
Trarrà  al  tuo  sacro  avello. 


404 


POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


E  tu  pertanto  rimarresti  in  terra 

Coiralir'ombre  immortali;  e  come  scarna 

Per  te  la  patria  già  difesa  in  guerra. 

Ammireranno  nel  celeste  regno 

I  beati  anch'essi.  Ed  oh  spettacol  degno 

Della  vista  degli  angioli  e  d'un  nume! 

Fuor  del  regal  costume, 

Veder  fra  mille  eroi  Prence  scettrato. 

Che  anch'èi  lamenta  dell'Italia  il  fato. 

Ma  no:  son  già  maturi 
Della  patria  i  destini.  Al  gran  cimento 
Forsennato  furor,  o  insano  orgoglio 
Gli  eroi  non  spinse  intrepidi  e  sicuiri. 
Ma  non  falla  il  mirabile  portento: 
Assiso  in  Campidoglio 
Veggio  il  gran  Veltro;  e  vel  ripone  il  forte 
Altor  àel  iretto  sovrumano  accento. 
Che  disserrò  d'eternità  le  porte. 
Hi  col  terror,  la  speme,  e  il  riso  etèrno 
Ci  apprèse  i  fini  del  Fattor  superno. 
Per  cui  di  libertate  il  sacro  fuòco 
Scòrse  di  loco  in  loco; 
Rifece  itali  i  sensi  e  la  fortézza, 
E  surser  prodi  alla  comun  salvezza. 

Salve,  Alighier  divino! 
Salve!  la  patria  redentor  ti  grida: 
Che  per  te  del  valor  prisco  latino 
Acceso  il  forte,  l'onor  patrio  affida 
Nel  proprio  brando,  ed  il  terror  riveste 
Del  biondo  imperadòr  delle  foreste.  ' 

Alfonso   Capra   da   Palermo  fu  delle   Scuole    Pie.  Mori  in 
lermo  nel   1875. 


'  Qutsti  versi  cosi  si  leggono  in;  Pel  cente- 
nario ài  Dante:  componimenti  reciuti  nelU 
solenne  accademit  tenuta  in  Palermo,  nel  R. 


Liceo  Vittoriq  Emaiu^le,!!  14  maggio 
Palermo,  tip.  Lorsneider,   1S65,  in-8' 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  4O) 


DCCLII. 

Gi.ysEPPE  Sapio. 

Dantis  Italiaeciue  laudes. 

Elegia. 
(14  maggio  1865). 

Kunc  gemma  Ausoniae  celebrai  Florentia  nostrae 

Te,  cui  Virgilius  dux  dominusquc  fuit. 
Nunc  Arni  innumeri  populi  densantur  in  oris, 

Quos  d'ahit  exultans  dulcis'amor  patriae; 
Illius  et  divas  artes  laudesque  perennes, 

Eximiumque  tuum  nomen'ad  astra  ferunt. 
Cur  mihi  tam  dijgne  non  tangat  pectora  fiamma, 

Claro  ut  tècum  lllam  Carmine  et  ipse  c'anam  ? 
Cur  mihi  non  linguae  centum  sint,  oraque  céntum. 

Ferrea  vox  animis,  et  tuba  Calliopes? 
Tum  canerem,  tibi  quae  fuerit  sapientia,  virtus, 

Et  spes,  et  patrius  pectore  diyus  amor: 
Quomodo  nàtales  fugeres  irivitus  arenas, 

Atque  loca  bue  illuc  hospita  quaèsieris; 
Ht  panem  exilii'tot  limina  ad  alta  potentum 

Quantum  te  expertum  poenituisset  acrem. 
Carmina  tum  divina,  perennius  aere  voiumen, 

Et  cui  coelum  operam  terra  simulque  dedit. 
C5.U0  studio  eloquia  Itaiiae  tot  cogere  velles, 

Illius  et  simili  iungerè  membra  modo. 
C^uae,  te  fatidico,  iam  vincula  nexit,  et  una, 

Regina  incedit  libera  serta  ferens. 
^4agnanimum  regem  et  canerem,  qui  invicta  Palestri 

In  campis  vexilla  extulit  Itaiiae. 


406  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Quomodo,  tum  canerem,  saeve  dum  praelia  fervent, 

Impositus  dorso  fraena  vorantis  equi. 
Ignea  dum  aera  tonant,  tonitru  coelumque  remugit. 

Et  densus  nubem  fumus  ad  astra  ruit, 
Impiger  ille,  ferox,  ardens,  vitae  immemor,  hostis 

Agmina  se  inferret  territa  per  media; 
Teutonicae  et  volucri,  nostras  quae  infecerat  auras, 

Fulmineo  geminum  scinderet  ense  caput. 
At  quum  haec  magna  mihi  non  sit  celebrare  facultas, 

Praetereo,  quae  aliis  sint  memoranda  viris 
Ergo,  quod  tantum  possum,  divine  poeta, 

Accipe  nunc  cultus,  vota,  meumque  vale. 
Latore,  ubi  quondam  fulsit  Neptunia  Troia, 

Nunc  vertit  glebas  rusticus  agricola; 
Sese  et  ubi  extulerant  sublimia  tempia  Deorum, 

Carduus  infelix  nascitur  et  lolium; 
Ac  omnes  tandem,  fatis  urgentibus,  arces, 

Urbes,  regna  ruunt;  omnia  tempus  edìt. 
Sed  solem  semper  rapidus  circumvolat  orbis. 

Per  coelique  vias  Cynthia  et  astra  micant. 
Ac  simul  ingenii,  pariter  virtutis  honores; 

Temporis  et  victrix  inclyta  fama  virùm. 
Sic  tua  laus  nomenque  tuum  immortale  manebit. 

Sic  decus  Italiae,  sic  decus  atque  tuum. 
Cara  vale,  o  dives,  felix,  pulcherrima  tellus, 

Omnibus  et  maior,  magne  poeta,  vale.  ' 

Giuseppe    Sapio  fu  professore  dì    letteratura  latina    nel  Lìcm 
V.  E.  di  Palermo. 

*  Quest'elegia  cosi  fu  stampau  a  p«g.  aa    1    nelU   festa   dantesca    del   Liceo _V.  E. 
deiropuacolo  contenente  le  poesie  recitate    I    Palermo,  gii  du 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  407 


DCCLIIL 

Pietro  Nocito. 

La  Pace. 

Meditazione  di  Dante  al  monastero  del  Corvo. 

(14  maggio  1865). 

Io  di  nnoTO  il  richiedo  che  si  to^ì* 
e  ricerchi  :  egli  girando  lentamente  il 
capo,  e  guardando  i  Frati  e  me,  risponde  i 
Pace. 

(Lett.  di  Frate  llarione). 

Tetra  è  la  notte,  il  fulmine 
In  del  sanguigno  romba. 
Piove  dall'alto  all'anima 
Il  gelo  della  tomba, 
Sola  è  la  rerra,  e  squallida, 
E  dal  profondo  covo 
Misterioso  e  novo 
Mandan  le  belve  un  suon. 

Che  cerchi,  o  solitaria 
Ombra  pensosa  e  bruna. 
Quando  per  Tuom  Tempireo 
Non  ha  parola  alcuna? 
Ahi  no,  se  il  lampo  infuna, 
Se  rogge  la  tempesta. 
Voce  potente  è  questa 
Che  sveglia  al  Vate  il  cor. 


408  POESIE.  DI   MILLB.  AUTORI. 

Fra  mezzo  ai  nembi  un'iride 
Di  pace  a  lui  sorride: 
Pace  alla  stolta  Italia 
Che  i  suoi  figliuoli  uccide, 
E  pace  all'uom,  che  al  triplice 
Raggio  di)  uQi  sol  pensiero^ 
Il  Bene,  il  Bello,  il  Vero, 
Invan  si  scalda  il  cor. 

E  quinci  errando  il  Genio 
Trovai  fra  l'ombce  algenti». 
Nell'armonia  dell'anima 
I  sovrumani  accenti: 
Ma  mentre  l  cieli  s'aprono 
All'  ispirato  bardo, 
Un  secolo  beffardo 
Maledicendo  il  va. 

Lieve  s' innalza  un  murmore 
Di  mesto  canta  all'etra. 
Che  pace  dall'empireo 
Sull'universo  impetra; 
Ed  al  romito  claustro 
Dante  traendo  allora^ 
Senti  nell'alma  un'ora 
Che  al  mondo  apriva  il  CieL 

Ma  pace  è  qui?  d^obbrohrio 
Coperto  è  il  sacro  manto. 
Più  dentro  all'alme  sterili. 
Non  trova  un*  eco  il  pianto  ; 
Perduto  nelle  crapule. 
Dalle  celesti  note 
Non  volge  il  sacerdote 
Ad  altri  mondi  il  cor. 


INTORNO  A   DANT^   ALIGHIERI.  40^ 

Colonna  ipilliaria 
Che  ad  altrjl  insegna  il  pas^o. 
Ahi!  queir ajitipo  spirito 
Si  tra^^ucav^.  in  sa^p, 
E  punire  alU  grgnd'opera 
I^'qpianit^  s'avanza. 
Un  caqu).  di  speranza 
Da,  Igi  npn  sprge.  ancor. 

P4qe  0  romiti!  i  popoli 
Crisw  negar  npn  ppnnp; 
Trpppo  dorn^iix;  luei  secoli 
Deli'  ignoranza  il  soaop  ; 
Ma  Cristo  col  oiar-tirio. 
Imporporò  la  stola, 
E  a  tutti  voi  fu  scuola 
Di  pace  e  dj  vi^tù. 

Pace!  ma  cento  despoti 
Funestano  la  ten;a^^ 
Incatenati  i  popoli 
Vanno  a  dorcoir  sotterra, 
E  d'Ariman  Io  spirito 
Sulla  deserta  arena 
Apre  la  danza  oscena 
In  abbom,inio  al  Ciel. 

Alii!  se  nell'etra  il  turbine 
È  passeggiero  istante» 
Se  i  lampi  si  disperdono 
D'un  mar  di  luce  innante. 
Se  lieto  tra  gli  armonici 
Mondi  la  terra  gira^ 
Oh!  perchè  mai  sosipira 
Di  questo  mondo  il  re? 


410  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Ah  !  no,  d*  un  vaticinio 
Sento  la  voce  intorno, 
AflFratellati  i  popoli 
Saranno  tutti  un  giorno. 
No,  per  cangiar  di  secoli, 
Come  il  Signor  Y  ha  scritto. 
La  libertade,  il  dritto 
Tra  noi  mancar  non  può. 

Che  vai,  dicea  quell'esule. 
Se  d'ombre  è  il  ciel  coperto? 
Che  vai  se  sono  apostolo 
Perduto  in  un  deserto? 
Quando  lo  sente  l'anima. 
Quando  natura  il  vuole. 
Ad  arrestare  il  sole 
La  forza  non  varrà. 

A  nuovi  figli  Italia 
Apre  il  suo  sen  fecondo. 
Io  veggo  fra  le  tenebre 
Rinnovellarsi  un  mondo. 
Fatto  di  Roma  il  genio 
Consolatore  a  noi, 
Scuote  dai  vanni  suoi 
La  polve  di  quaggiù. 

Ah!  questa  è  queir  Italia, 
Ch'  io  vagheggiai  cantando, 
E  pei  dolenti  cerchii 
Andava  meco  errando. 
Del  sangue  dei  tuoi  martiri 
Imporporata  e  bella 
Vieni  di  stella  in  stella, 
Italia  mia,  con  me. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  4II 

Ah  !  questo  è  l'uom,  che  in  estasi 
Dentro  a  selvaggio  loco 
Purificai  col  turbine, 
Il  sangue,  il  freddo,  il  fuoco, 
E  meco  nelle  limpide 
Onde,  lavato  il  viso, 
La  pace  in  paradiso 
Venne  a  gustar  con  me. 

Cosi  di  Dante  il  libero 
Pensier  vagava,  in  quella 
Ch'apparve  tra  le  tenebre 
La  matutina  stella, 
E  dalla  nube  rosea 
Il  sole  uscito  appena, 
A  Dante  fu  serena 
Speme  di  lieto  di.' 

Pietro  Nocito  nacque  in  Calatafìmi  nel  1841.  Studiò  prima  nei 
Seminari  di  Matera  e  di  Monreale  sotto  la  scorta  di  valenti,  e  per 
ragione  dei  tempi,  liberali  maestri.   Poi,  passò  a  Palermo,  dove  ot- 
tenne in  quell'Università,  a  concorso,   la  laurea  ad  honorem.    Altri 
concorsi  vinse,  per  cui  fu  nominato  professore  nel  Liceo  di  Palermo. 
Dopo  il  1865  tornava  ai  suoi  studi  scientifici,  ed  era  nominato,  per 
concorso,  professore  di  economia  politica  neir  Istituto  nautico  di  Pa- 
lermo. Poi  andò  a  Siena,  ad  insegnare  diritto  e  procedura  penale  in 
qucll*  Università.  Esercitò  con  splendore  Tavvocheria.   Nel  1872  ve- 
niva nominato  professore  nell'Università  romana.  Nel  1876  fu  eletto 
deputato  del  collegio  di  Acquaviva  delie  Fonti  in  provincia  di  Bari, 
che  gli  si  mantenne  fedele  fìno  alla  morte.  Lascia  delle  opere  pre- 
gevoli: La  filosofia  del  diritto  penale  e  civile  (Siena,  1867);  Il  giudizio 
ài  riftvio  (Bologna,  1870);  D^l  Senato  costituito  in  Alta  Corte  di  giù- 
sti^^ia  (Bologna,  1872);  La  Corte  d'assise  (Roma,  1874);  Sulla  libertà 
C€>ndi:f}onak  dsi  condannati  (Roma,  1878). 

'  Qpesti  Tcni   coti  furono   sumpati  a    l    rio,   edito   dal   Liceo  V.  E.   di   Palermo, 
^'^^.  24  •  Mg.  dell'oposcolo  pel  Centena-    |    già  cit. 


^^ 


POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


DCCLiy. 

Salvatore  Salomone  Marino. 

V  Esilio  di  Dante. 

C^ANTO. 

(14  maggio  1865). 

E  se  il  mondo  Mpesie  il  cuor  ch'egli  ebbe, 
Mendicendo  sua  tIu  a  frusto  a  frusto. 
Assai  lo  loda  è  più'  lo  loderèl>be. 

(Paradiso,  yi,  140-142). 

Poi  che  armati  correndo  al  gran  cimento, 
Contro  Firenze  ne  venian  gli  Usciti, 
E  l'ardire  piegava  al  tradimento; 
Mentre,  a^  mont^.  9  alla  valU 
Rifuggivan  amarriti, 
E  il  terrò  osti!  sentivano  alle  spalle;. 
Solo  e  grave  in  aspetto 
Dante  tnovea  pei  campi; 
E  oppre;?so,  ?  travagliato 
Da  immagini  di  lutto  e  di  spavento 
Il  pensiero  sentia, 
Mentre  nell'imo  petto 
L' ira  compi^essa  cupa  rimuggi.a. 

E  l'Apeuuin  varcava. 
Udiva  ad  or  ad  Qr  confusamente 
Della  turba  vincente 

Giunger  lassù  le  grida  e  il  suon  dell'arme 
E  ne  gemea;  ma  nell'eccelsa  mente 
Già  maturava  il  carme, 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIÈRI.  415 

Che  di  stfài  jpiù  vélòée 

Volasse  'ai  còrde'  triitì  acre  e  tretìiendò. 

E  quando  incerto  e  statico 

Taior  posava  il  Tiancò 

0  in  uno 'ò  in  altro  locò, 

Su  le  jjaigfiie  etèrne  il  ^ànio  foco 

Ei  trasfondea  dell' animo 'scfvfànò  ; 

E  tàcita  al  suo  càHtb 

Virtù  sedeva  e  gli  reggéa'la  dano. 

Ahi  quanto  Sttz  ambàscia, 
Quanto  acerbo  dolor  Tàrige  e^'péi"c6te! 
Né  già  posar  Io  lascia  ; 
Che  pel  tòrcano' e  pèiriiìsùbre  'suòlo 
Poi  che  vagò  più  volte 
Seguito  e  calunniato 
Ognor  più  sèmpre  dall*ìiigrata  Flòra, 
Oltre  l'Alpe  a  cercar  'f)àce  si  volse. 
Qual  cuor,  padre,  fu  il  tuo. 
Quale  siral  ti  'trafisse 
Quando  i  palagi^  e  le  turrite  ìtìufa 
Della  nuova  BabeP  ispiègàrìsi  algiiardo? 
E  quando  a  te,  die*  pura 
La  fé  ^serbavi,  si  mòsftrò  davante 
Quel  Gruàsco  che,  lasciando 
Vuoto  il  seggio  di  Roma, 
In  bro*^cònvertìa  le  chiavi  sante  ? 

Tu'fàpìdo  fuggisti; 
E  de"  la  scìènia  cìie  al  Sigtìor  ci 'guida 
Su  la  S'èfina*  vienisti 
Ad  abbellir  la  mente. 
Ahil'Afìseria,  delfè^ùle  tiottipàgna. 
Venne  quivi  al  tuo' canto; 
Era  seco  la  Fame, 

Seco  l'Angoscia,  il  Terfòr  seco  e  il' Pianto! 
Oh!  chi'^toi  dà  gli 'accénti 
SI  che  all'itale  genti 


414  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

S' inumidisca  per  pietade  il  ciglio  ? 
Chi  mi  rimembra  le  dolenti  note 
Che  t*  uscivan  dal  petto, 
Quando  presso  alle  rive 
Sedevi  della  Senna  e  senza  tetto? 

<c  O  di  Fiorenza  mia  piagge  rìdenti; 
O  fiume,  ove  irrorai 
La  prima  voha  il  corpo  fanciuUetto  ; 
O  care  e  ingrate  genti; 
Né  vi  vedrò,  né  vi  vedrò  più  mai? 
Qual  delitto  macchiommi,  onde  si  fiero 
Sentir  mi  fate  al  sen  la  vostra  lama? 
Dov'è,  Fiorenza,  la  virtù  degli  avi. 
Dove  i  queti  costumi 
Che  ti  dier  tanta  fama, 
Che  ti  locar  sovra  tant'alto  seggio? 
Dove  la  bella  pace 
Che  in  quei  giorni  di  gloria 
Dolce  suU'origlier  t'era  compagna? 
Ahi  cieca!  balde  io  veggio 
Trescar  per  le  tue  vie 
La  Superbia,  la  Frode, 
L'Avarizia,  l' Invidia,  e  più  la  Guerra. 
All'osceno  fragor,  de'  tuoi  maggiori 
Si  commovono  1'  ossa  ; 
Surgon  guatando,  ed  alla  trista  scena 
Ricadono  fremendo  entro  la  fossa. 

«  Cesare  e  Piero  dove  son  ?  È  sola 
Pur  la  regina  delle  genti.  —  Ahi  stolti  1 
Perché  nel  dolce  nido 
L'aquila  non  chiamate,  che  smarrita 
Intorno  intorno  vola  ? 
E  ad  italo  pastore 
Perché,  perché  non  riede 
Il  buon  governo  delle  sante  chiavi? 
Ecco  novello  Brenno 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  415 

Di  regno  ingordo  e  d'oro 

Portar  fra  voi  l' adultera  bilancia  ; 

Né  più  del  gran  disdoro 

Vendicator  Camillo 

Risurge  in  vista  fiera, 

Palleggiando  la  lancia, 

L'  Egida  in  braccio  e  bassa  la  visiera. 

«  Oh  1  tornate  all'  amplesso  ; 
Tornate  all'ombra  delle  sacre  penne; 
Lasciate  il  vanto  del  nefando  eccesso. 
Arse  le  case  e  i  campì; 
Cruenta  (orrida  vistai) 
Di  sangue  italìan  T itala  mano; 
Ebbri  1  gioite  invano; 
Che  r  avido  stranier  entro  le  piaghe 
La  man  caccia,  e  le  inaspra;  ed  insultando 
Ride.  —  Pace,  o  mia  terra; 
Posa  quell'empio  brando, 
E  porgi  orecchio  al  ver  eh'  io  ti  favello. 
Ve*  quanti  in  cento  lochi. 
Sotto  povero  cielo, 
Errano  senza  colpa,  e  la  lor  vita 
Acerba  è  più  che  morte, 
Tal  che  a  narrarla  mancheria  la  voce, 
Ve'  come  per  tue  vie  languenti  e  smorte 
Prive  di  speme  vanno 
Più  d*una  madre,  più  d'una  consorte! 
Ahi  quanti  bamboletti 
Dormon  la  notte  al  rezzo. 
Orfani  1  ed  ahi  non  hanno 
Chi  lor  proveggia  un  tetto  per  domane. 
Chi  riasciughi  lor  pianto. 
Chi  lor  comparta  le  carezze  e  il  pane!  » 

Cosi  le  lunghe  pene 
Disfogavi,  o  buon  vate,  e  le  querele 
Givan  con  l'aura  a  volo. 


\ 


416  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Ancor  posasti  sulle  liude  érerte. 

Or  sotto  sofe  ardétite, 

Or  della  bruma  fra  i  rigóri  e  il  g^ol 

Ancor  reietto  e  solo 

Gisti  di  porta  in  porta 

Ad  accattare  un  *  pan^clTe  sa  ài  ssìc  1 

E  quando  a  riveder  ri  tato  cielo 

Desioso  movesti, 

E  sótto  il  Pome  d'Aftit) 

Air  ónda  data  il  tuo  piatito  mfesCéJStr; 

Quando  con  armi  iófi'de 

Su  la  città  dei 'fiori 

Veniva  Arrigo  "e  tu  fatto  il  ftfggt^i. 

Onde  Etruria  ti  vide 

Vagar  di  sue  città  fra  le  ririne 

Ùn'^ altra  volta,  e  all'ospite  Vèfòtia 

Muover  brartìoso  il  passo  ; 

Non  domar  Talnia  tua  tanti  dtìori; 

Vigor  novo  le  diero;  e  mèhtte*&f<Ìrtta 

Chiudeva  a  Te  Firéiize  le  siie  p6\rte. 

Benigno  a  la  tua  mente 

Apria  r  OnniposSeAte 

Le  dorate  delCielo,e  tutte  tn  gifo 

Le  sante  sedi  e  V  im mortài  faìnigUa 

Vèniati  dimostrando, 

Sempre  di  maraviglia  in  miàra viglia. 

E  giunto  in  su  lo  strèmo 
Dell' affannosa  vita, 
Pur  da  lunge  uria'vólta 
Desio  ti  strinse  di  veder  la  patria 
E  sul  ciglione  estremo 
Dell'  irto  dorso  dell*  aèreo  Bàtria 
Lènto  traesti  il  fianco. 
All'egro  corpo  tnanco 
Venne  il  vigore  antico. 
In  ospite  città  r  ultimo  "fiato 


INTORNO  A  DANT£  ALIGHIERI.  417 

Pio  ne  raccolse  un  generoso  amico; 
Mentre  che  l'alma  dibattea  sicura 
Le  piume,  a  Dio  riedendo. 
Sdegnosa  sempre,  ma  più  bella  e  pura. 

Vanne,  oh  vanne  beata! 
La  terra  che  cotanto 
Ti  fé*  grave  V  esiglio. 
Prona  sull'urna  tua  si  scioglie  in  pianto. 
Vedi  siccome  altera 

Di  tua  grandezza  allo  stranier  t'addita; 
E  del  divin  tuo  fuoco 
Sente  in  cor,  tua  mercè,  viva  favilla. 
Né  tu,  padre,  sdegnar  dall'  alto  loco 
Volgere  a  lei  pietosa  la  pupilla; 
SI  che  risorta  alla  virtù  latina 
De  le  remote  genti 
Un'  altra  volta  ancor  torni  reina.  ' 

Salvatore  Salomone  Marino  nacque  nel  1847  a  Borgetto,  pro- 
a  dì  Palermo,  e  vive  in  questa  città,  segretario  della  condotta 
ca  municipale.  Fa  parte  di  molte  società  letterarie  e  scientifiche. 
)ubb!icato  molti  lavori  linguistici.  £  studioso  di  Dante  e  si  hanno 
i  due  pubblicazioni  notevoli:  Di  alcuni  luoghi  diffìcili  e  controversi 
Divina  Commedia  (Palermo,  Giornale  di  Sicilia,  1873);  Di  un 
e  membranaceo  inedito  della  Divina  Commedia  (Palermo,  1877). 


Questo  canto  cosi  fii  stampato  nell'opascolo  pel  Centenario,  edito  dal  Liceo  V.  E. 
ermo,  gii  cit. 


Dbl  Balio.  Voi.  XIV.  27 


4l8  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


DCCLV. 

Paolo  Sapio. 


A  Dante  Alighieri. 

Carme. 

(14  maggio   1865). 

Seicento  volte  il  sol  dell'annuo  giro 
Varcò  la  meta,  dacché  tu  volasti 
In  seno  a  Bice,  anima  forte,  a  noi 
Tanta  lasciando  eredità  di  senno 
E  di  patria  virtù.  Giovine  ancora 
Tu  vivi  in  mezzo  ali*  itale  contrade 
Co'  tuoi  carmi  divini,  né  mai  polve 
Poserà  su  tue  cartel  Ascolta  l'inno 
Degl*  italici  figli  ;  in  te  saluta 
Il  Profeta  dell'  italo  riscatto  ! 
Dall'alte  sfere  abbassa  il  guardo,  e  mira 
Quanta  schiera  di  vivi  a  te  si  volge, 
E  ti  sorride;  sol  chi  l'alma  ha  nera. 
Bieco  sogguarda,  e  mordesi  le  labbra. 
Godi;  i  tiranni  ti  nomar  molesto... 
Non  ragioniam  di  lor;  di  libertade 
Il  soffio  li  disperde.  Oh!  vedi,  in  dolce 
Nodo  strette  son  già  l' itale  suore; 
Sol  due  mancan  tuttora,  ahi!  le  più  belle! 
Ma  il  coraggio  dei  Bruti  e  la  possanza 
Del  Leon  di  S.  Marco  non  son  domi; 
Chiedilo  all'  Austro,  ed  all'arpia  di  Romai 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  419 

Ma  tu  dinne  qual  mai  gioia  celeste 
T*  invase  il  cor,  quando  vedesti  i  figli 
Di  nostra  patria,  col  sabaudo  duce. 
Sulle  lombarde  valli,  alzar  la  fronte, 
E  intrepidi  sfidar  le  torme  ingorde 
Dell'infesto  Croato,  tal  che  il  dorso. 
Attonito,  volgendo,  ei  corse,  e  giunse 
Anelante  alle  tane;  e  che  commosse 
In  un  sorgendo  le  sicanie  genti 
Fransero  i  ceppi,  e  gli  avventare  in  faccia 
Al  Borbone  efferato,  onde  i  frantumi 
Rimbalzando  spezzar  corone  e  sogli! 
Felici  eventi,  a  prezzo  ahimè  1  di  sangue... 
Gloria  ai  martiri  nostri!  E  tu,  divino. 
Baciali  in  fronte;  esulteran  quell'alme 
Paghe  di  tanto  don;  noi  baceremo 
Te  nei  tuoi  carmi,  e  vincerem  la  lotta!  ' 


'  (^sto  carmt  coti  fn  stampato  a  pag.  35  dell'opascolo  pel  Centenario,  edito  dal 
IJc«o  V.  E.  di  PaUrmo,  già  cit. 


420  POESIE  DI  MILLE  AUTQRI 


DCCLVI. 

Luigi  Lucchini. 


Dante  poeta  dell*  Umanità. 
(14  maggio  186$). 

Come  r  irrevocata  ala  del  tempo 
Batte  continuamente,  e  nulla  è  possa 
Che  a  frenarla  s'attenti  —  impetuosa 
L'Umanità  s'avanza,  e  vani  i  ceppi 
Son  de'  tiranni  e  i  roghi  e  le  bipenni. 
Ella  si  volge  a  un  Dio,  e  un  Dio  la  guida... 
L'Amor  —  figlio  del  Ciel,  alma  del  mondo, 
L'Amor  che  muove  il  sole  e  l'altre  stelle. 
E  tu  ce  l'insegnasti,  o  Gloria  prima 
De  la  mia  terra,  o  Imperator  del  canto. 
Disdegnoso  Alighier  —  grande  e  infelice. 
E  allor  che  la  divina  alma  tua  venne 
A  viaggiar  costretta  in  questo  esigilo, 
In  mezzo  ai  tuoi  fratelli  una  bandiera 
Sollevasti  di  fede  e  di  battaglie, 
Generoso  Cantor. 

L'aura  de'  carmi 
Nel  cor  ti  piovve,  e  splendido  t'apparve 
In  quella  tenebria  de'  tempi  inconsci 
L*Amor  che  tutto  regge;  —  «  Oh,  allor  gridasti. 
Qui  non  v'è  amore...  fra  le  genti  orrendo 
S'apre  un  abisso  che  le  tien  divise... 
Onde  tanto  afforzar  di  mura  e  torri 
Le  inceppate  cittadi  ?...  ed  onde  mai 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  42 1 

Tanta  sete  di  sangue  intra  i  fratelli?... 

Qui  non  v*è  amore;  ovunque  l'odio  bieco 

Indefesso  cavalca,  e  invan  di  Cristo 

II  fatidico  legno  ad  amorosi 

Sensi  l'alme  siiade;  e  invan  le  stragi, 

E  l'orride  battaglie  e  le  infinite 

Morti  e  ruì'ne  annunziano  alle  genti, 

Che  la  vittoria  a  chi  la  ottiene  è  infame... 

«  Roma  idolatra  la  ferina  etade 
A  impietosir  non  muove,  poi  che  l'empia 
Alla  coppa  di  Cristo  il  repugnante 
Labbro  non  appressò.  —  Ahi  duro  fato! 
Non  è,  non  è  vessillo  in  Laterano 
D'evangelico  amor,  ch'io  vedo  invece 
Panir  da  Roma  artefice  d'inganni 
E  agitarsi  una  furia  irrequieta 
Di  questa  Italia  a  lacerar  le  membra... 

10  vedo  Benevento  e  Tagliacozzo 
Coronar  le  sue  brame,  e  i  nostri  morti 

11  francese  insultar.  —  Perfida  lupa. 
Ti  maledice  il  Vate!...» 

E  tu  cantasti 
Nobili  canti,  o  Sol  di  Civiltade, 
Lo  sdegno  li  temprò,  l'amor  li  accese, 
Li  plasmò  la  sventura. 

O  Sapiente, 
Che  in  mezzo  al  rotear  vertiginoso 
Dei  fati,  ai  campi  del  pensier  commetti 
Di  reconditi  veri  il  gran  tesoro 
Degli  avi  —  e  il  cresci  —  a  te  non  fur  speranze 
Torbide  d'ira...  Amore,  amor  ti  mosse; 
E  per  l'amore,  che  cantar  tue  note. 
In  te  legge  l'Ispan,  l'Arabo  il  Franco, 
II  Mondo  intero:  poiché  in  mezzo  a  tanta 
Di  lutti  obbrobriosi  infame  notte 
Predicasti  la  vita  all'Universo... 


422  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Ti  fu  scuola  la  Croce,  e  tu  cantasti 
Un  impero  di  Cristo  armonioso 
Generato  d*amor.  —  Sorgan  le  genti 
Naufraghe  nelFerror,  sorgano;  e  il  carme 
Che  tu  sciogliesti  ai  popoli  divenga 
Il  sacro  carme  dell'età  novella. 

Di  Fiorenza  cantor,  cantor  d'Italia, 
Cantor  del  Mondo...  in  questa  giovin'  alma 
Un  desiderio  ferve,  un  sentimento, 
Che  dall'alto  mi  scende,  e  m'assecura 
Che  nel  Vate  il  Profeta  non  morio... 
Che  la  speme  tua  santa  or  si  ridesta, 
E  alla  luce  dei  martiri  s'infiamma... 
Esulta,  o  Grande  —  la  risorta  Italia 
L'ara  di  vita  gloriosa  ascende, 
E  la  novella  via  segna  ai  Redenti  !  ' 

Luigi  Lucchini,  quando  scrisse  questa  poesia,  era  allievo  del 
terzo  corso  nel  Liceo  V.  E.  di  Palermo.  Nacque  a  Piove  di  Sacco, 
in  provincia  di  Padova,  nel  1847.  Studiò  con  amore  le  scienze  giu- 
ridiche, e,  specialmente,  le  questioni  di  diritto  penale.  Venuto  in  fama 
in  tali  discipline,  fu  nominato,  in  prima,  professore  di  diritto  e  pro- 
cedura penale  nella  Scuola  superiore  di  commercio  di  Venezia,  poi 
nell'Università  di  Siena.  Diresse  poi  la  Rivista  ptnàU,  la  migliore 
pubblicazione  del  genere,  apparsa  finora  in  Italia.  Le  sue  lezioni  di 
diritto  penale  furono  molto  lodate,  come  le  sue  estese  monografìe 
sul  processo  penale  e  sul  carcere  preventivo.  Fu  chiamato  dallo 
Zanardelli  a  far  parte  della  Commissione  incaricata  della  riforma  del 
Codice  penale.  Entrato  nella  magistratura  vi  percorse  rapidamente 
tutti  i  gradi.  Ora  è  presidente  di  Cassazione  a  Roma.  Fu,  per  molti 
anni,  coscienzioso  e  indipendente  deputato  al  Parlamento. 

È  notevole  fra  i  suoi  studi  letterari  :  La  politica  ài  Dante  e  il  suo 
pellegrinaggio  a  Bologna  (1893). 

'  Qjietti  ▼erti    cosi   furono    stampati  a  pag.  37  ncll'opuicolo  pel  Centenario,  edito 
dal  Liceo  V.  E.  di  Palermo,  già  dt. 


/ 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI. 


\2^ 


DCCLVII. 

Niccolò  Camarda. 


'EnirPAMMA 

ef^  Aivxt5o€  èop-d)v. 

Adb/Tig  àaS(ov  Xfioxo;,  8^  SXyea  TroXXà  TreTrovO'e, 
^'Og  x*^'^  "^^  9uyi]v  YEÓaaxo  xal  nevfrjv, 

Bt]  8' iXXrjYoptxòv  oeO  Kóva  ^Y]Tf|ievat. 
'A8«vàx(ov  Te  Sójiou^,  crwYepoO  5'  àotSe  yépovxo; 

'AXXà  Xad«v  xeNo^  axe8òv  looo|iévGtat  Ppóxotot, 
*Etaox*  àvoxxa  Xàxev  x'  èv  pootXeOot  iilyo^- 

EiSpt  8è  •  vDv  x'  IxoXcóv  xoOpot  [léXTwuatv  àot56v 
Tflivag  iuX£$avxeg  TwfxtXov  aò  oxlcpovov.  ' 

Niccolò  Camarda  nacque  a  Piana  dei  Greci,  nel  1807.  Entrò 
**  ^^^     Seminario  greco  di  Palermo,  dove  sostenne  brillantemente  tutti 

^5*  «sami,  per  cui,  appena  ordinato  sacerdote,  fu  nominato  professore 
^  letteratura  greca.  A  trentatre  anni,  Taria  chiusa  del  Seminario  gli 
^^^ac  in  uggia,  se  ne  ritornò  nella  sua  Piana;  più  tardi,  fu  nomi- 
'^''^CD  parroco  della  chiesa  greco-unita  di  Messina.  D'animo  liberale 
^*^xie  in  sospetto  del  Governo  borbonico   e  incarcerato   nella  for- 

^^^^a  di  Messina,  nel  1848.  Proclamata  l'amnistia,  ricuperò  la  libertà; 

^^^»    nel  i8s2,  dovè  subire  nuova  persecuzione  e  nuova  e  più  dura 

^*"*&ionia  nel  forte  di  S.  Salvatore.  Costretto  a  lasciare  la  Sicilia, 
^^  ^^  ^mpagnato  da  un  ispettore  di  polizia,  si  imbarcò  sopra  un  vapore 


^^  <)pctto  epigramma  cosi    Icgges)   alla 

^.  '^r  -^  Bell'opuscolo,  edito  dal  Liceo  V.  E. 
~'  ,  già  cit.  Il  Camarda  non  ripub- 


blicò  questo  tuo  epigramma,   che   manca 
perfino  nei  suoi  opuscoli  ellenici. 


\ 


424  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

francese  e  salpò  per  Livorno.  Rimase  in  Toscana  fìno  al  1860.  Ri- 
tornato in  Sicilia  nel  1860,  fu  chiamato  prima  ad  insegnare  lettere 
greche  e  latine  nel  Liceo  V.  E.  di  Palermo,  e,  poi,  dopo  il  1870,  ad 
insegnare  letteratura  greca  in  quell'Università. 

Fu  grecista  insigne  e  si  hanno  di  lui  lodate  versioni  degli  7tli7/i 
ed  epigrammi  di  Teocrito,  delle  Omelie  e  dei  Discorsi  di  Giovanni 
Damasceno;  e  studi  su  Tucidide,  suìV Antigone  di  Sofocle,  sulla  prima 
Olimpica  di  Pindaro.  Lascia  pure  molte  poesie  originali  in  greco  e 
non  pochi  epigrammi. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  425 


DCCLVIII. 
Riccardo  Mitciiell. 

Traduzione  del  precedente  epigramma 
DI  Niccolò  Camarda. 

(14  maggio  1865). 

Dante  nel  coro  dei  poeti  massimo 
Che  a  tollerar  molte  sciagure  venne; 
Ei  che  Tacerbo  esilio 
E  povertà  sostenne: 

E  senti  come  punga  sulle  labbia 
Il  pane,  che  dagli  ospiti  si  merca; 
Del  suo  veltro  allegorico 
Corse  gran  tempo  in  cerca. 

Dei  beati  cantò  Teterno  empireo, 
E  del  veglio  odioso  il  buio  loco, 
E  come  ben  gli  spiriti 
Ripurghi  il  vivo  foco. 

Ma  per  la  gente  dei  futuri  secoli 
Ei  quasi  ignoto  se  medesmo  fé'; 
Infin  che  un  grande  principe 
Non  ritrovò  fra'  re. 

Trovollo  al  certo,  ed  i  garzon  d'Italia 
Ricantano  il  poeta  in  questo  die, 
A  lui  tessendo  varia 
Corona  d'armonie.  ' 


'  Quesu  traduzione  cosi  leggeii  a  pag  41  dell'opuscolo  pel  Centenario,  edito  dal  Li- 
V.  E.  di  Palermo,  già  àu 


426  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Riccardo  Mitchell  nacque  in  Messina,  nel  1815.  I  versi  gli  sgor- 
gavano spontanei  sulle  labbra  adolescenti;  negli  intermezzi  della 
scuola  ne  declamava  parecchi  ai  giovinetti  compagni,  che  lo  stavano 
ad  udire  ammirati.  La  poesia  non  lo  distolse  dal  profondo  studio 
delle  lingue  antiche,  e,  specialmente,  della  greca.  Nel  1842  comparve 
il  primo  suo  volume  di  versi  Ore  poetiche  e  due  anni  dopo  vennero 
fuori  Le  Melodie,  Le  sue  composizioni  furono  lodate,  perchè  avvi- 
vate da  un  pensiero  civile  e  rigeneratore. 

Tradusse  poi  dal  greco  gli  Idilli  di  Bione  e  di  Mosco,  la  Teogonia 
e  i  Giorni  di  Esiodo  e  poi  anche  gli  Idilli  di  Teocrito.  Piacquero 
ancora  di  più  i  versi  suoi  della  traduzione  delle  profezie  di  Ezechiello, 
che  aveva  conquistato  Tanimo  suo,  assetato  di  giustizia  e  di  libertà. 

Nel  1860  fu  nominato  professore  di  letteratura  italiana  nell'Univer- 
sità di  Messina,  di  cui  poscia  fu  rettore.  Pubblicò,  nel  1872,  un  terzo 
volume  di  versi  Canto  e  luce,  che  fu  pure  favorevolmente  accolto;  ma 
non  giunse   a  superare   la   sua  felice  traduzione  di  Ezechiello. 

Si  possono  leggere  con  vantaggio  i  suoi  discorsi  di  crìtica  let- 
teraria. Fu  amante  della  sua  patria  ed  ebbe  alto  concetto  della  mis- 
sione dell'uomo  di  lettere. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  427 

DCCLIX. 

Andrea  Crescimanno. 


Augurio  di  Dante. 

Sonetto. 

(14  maggio  1865). 

In  riva  ali* Amo,  u*  la  città  dei  fiori 
Come  Ninfa  gentil  si  specchia  aironda, 
Scende  Dante  dal  Ciel  su'  primi  albori 
Del  suo  gran  giorno,  in  cui  letizia  abbonda. 

Mira  gli  archi,  le  pompe  e  i  verdi  allori, 
Ma  tuttor  solitudine  profonda... 
Attende...  alfin  dei  tetti  uscendo  fuori 
Immensa  calca  la  cittade  inonda. 

Fra  loro  è  Quegli,  che  Tacciar  temuto 
Strinse,  scendendo  dall'augusto  soglio, 
E  fugar  lo  straniero  fu  veduto. 

Il  Vate  allor:  Te  prence  io  lieto  accoglio. 
Segui  tua  stella,  e  Te  vedrò  seduto 
Sul  maggiore  dei  troni  in  Campidoglio.  ' 


Questo  tooetto  coti  l«ggetl  a  pag.  4*    1    cto  V.  E.  di  Palermo,  già  cit.    Il  Crttci- 
*opuicolo  pel  Centenerìo,  edito  dal  Li-    I    manno  era  alunno  del  tecondo  corto. 


4^8  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 

DCCLX, 

Basilio    Artale. 


Beatrice! 

Sonetto. 

(14  maggio  1865). 

Nel  giovin  cor  fiamma  sublime  accese 
Di  Beatrice  la  gentil  sembianza. 
Quando  tra  il  canto,  e  l'amorosa  danza 
De'  miei  desir  l'arcana  possa  intese. 

La  sua  parola  nel  mio  petto  scese 
Ripiena  di  fatidica  speranza. 
Domò  de'  sensi  la  fatai  baldanza 
E  più  potente  la  ragion  mi  rese. 

Cenere  fatta,  la  levai  di  terra 

Col  mio  pensiero,  e  in  ciel  la  posi  accanto 
All'alme  sante,  che  l'Empireo  serra. 

Velando  in  lei  lo  scibile  divino 

Per  la  virtù,  che  mi  trasfuse,  il  Canto 
Dettai,  spirato  da  Amor  Uno  e  Trino.  ' 


*  Qufpto  sonetto  coti  leggeti  a  pag.  43    l    eco  V.  E.   di  Palermo,  già  cit.    L' Artale 
dell'opuscolo  pel  Ceatenario,  edito  dal  Li-    |    era  alunno  del  terzo  corto. 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  429 


DCCLXI.  i 

Mario  Villareale. 


L'Arte  Dantesca. 

(14  maggio  1865). 

Oggi»  mentre  di  mille 
Applausi  echeggia  la  città  dell'Arno, 
Ed  il  festoso  grido 

Le  odorose  di  Maggio  aure  tranquille 
Per  le  italiche  ville 
Ponan  di  lido  in  lido, 
r  per  lungo  dolor  pallido  e  scarno 
Nella  mia  cameretta 
Mi  chiudo,  e  gran  contento 
Pur  nell'anima  sento 

Come  se  in  sul  bel  fiume  i*  mi  trovassi.  - 
Già  s'avviva  il  pensiero 
Siccome  allor  che  contemplando  stassi  — 
Già  il  divino  Allighiero 
Mi  s'appresenta:  i'  me  gli  prostro  e  grido: 
O  mio  duce  e  maestro, 
O  nel  cammin  Silvestro 
Di  questa  vita  a  me  conforto  fido, 
Da  me  l'omaggio  ancora 
Fra  mille,  onde  la  terra  oggi  t'onora. 
Ricevi,  e  questa  nota 
Che,  come  prece,  a  te  s'alza  devota. 

Nell'april  di  mia  vita 
Sulla  tua  Visione  io  meditando, 


430  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Levava  T  intelletto 

All'ideai  bellezza  indefinita. 

E  l'alma  avvigorita 

Mi  sentia  dall'affetto 

Fé,  patria,  gloria,  libertade  amando, 

E  dicea  tra  me  stesso: 

Questa  è  la  vera  scola, 

Qui  vive  la  parola 

Segnata  bene  dall'interna  stampa: 

De'  rei  distruggitrice 

Dal  pensier,  dall'affetto  esce  la  vampa, 

E  pianto,  e  sdegno  elice.  — 

Da  indi  in  qua,  finché  m'aliti  in  petto 

Quest'etere  vitale, 

O  spirito  immortale. 

Tu  m'accompagni  ovunque,  benedetto 

E  senza  fine  amato  — 

E  tu  trasfondi  ognor  novello  fiato 

A  questo,  ch'io  trascino, 

Ultimo  avanzo  del  mortai  cammino. 

Deh!  come  avvenne  mai 
Che  da  te  Italia  torse  gli  occhi,  e  a'  molli 
Dilettosi  cantori 

Vaga  li  affisse?  oimè,  padre,  tu  sai 
Qual  di  tremendi  guai 
•E  di  lunghi  dolori 
Nembo  su  noi  discese!  —  Oh!  insani  e  folli 
Che  sordi  alle  tue  voci 
Ci  rodemmo  feroci  — 
Onde  superbo  d'atro  sangue  intriso 
Or  il  Franco  or  l'Ispano 
Fra  noi  s' assise,  con  lo  scherno  in  viso 
E  con  la  scure  in  mano  — 
E  dai  roghi  s'alzar  foschi  splendori. 
Ove  ardeva  ogni  invitto 
Sostenitor  del  dritto  — 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  43 1 

E  nella  selva  degli  antichi  errori 
Ci  spìngea  l'empia  lupa 
Per  la  sua  fame  senza  fine  cupa: 
Che  or,  da  tutti  spregiata 
Livida  e  bieca  in  sul  morir  ci  guata. 
Nel  pubblico  servaggio, 

Oimè,  la  tua  possente  arte  si  tacque; 

E  Takero  tuo  sdegno 

In  fiacco  si  mutò  pallido  omaggio, 

E  il  purissimo  raggio 

Degli  affetti,  nel  fango  estinto  giacque.  — 

Sol,  mentre  Tarte  un  gioco 

Fatta  è,  che  tocchi  i  sensi 

E  tesori  dispensi 

A  te  il  gran  Michelangelo  s'eleva 

Quando  sculpe  o  colora, 

E  quando  eccelse  moli  al  del  solleva  — 

E  (à  e  notte  t'onora: 

E  cosi  canta  a  te:  divino  ingegno. 

Spregiato  il  bel  desio 

Fu  dal  popolo  rio 

Ingrato,  onde  soffristi  esilio  indegno  — 

Oh!  foss'io  tal,  che  pure 

Con  la  virtude  per  le  tue  sventure. 

In  simil  sorte  nato 

a  Darei  del  mondo  il  più  felice  stato!  »  ' 
Precipite  torrente 

Àlfin  tutto  distrugge  e  porta  seco: 

Cosi  Tarte  ruina. 

Cosi  spento  è  il  valor  di  nostra  gente,  — 

Il  bello,  il  ver  non  sente 

L' italo  che  delira 

Idrope  fatto,  brancolante  e  cieco 

Nella  nebbia  de'  sensi. 

'  ImlttsioM  iti  ftmoto  sonetto  di  Michclaagelo  in  lode  di  Duite. 


432  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Quando  l'Arcade  vile 

Infemìnla  lo  stile, 

Dov'eri,  o  padre,  o  quando  il  Loiolita 

Lo  imbellettava,  fabbro 

Di  rea  menzogna,  e  ci  spegnea  la  viu? 

Chi  fia,  che  primo  il  labbro 

Dischiuder  osi,  e  la  magnanim'  ira 

Contro  Tempio  straniero 

Attizzerà?  Chi  al  vero 

Senza  paura  accorderà  la  lira  ? 

Odilo:  è  il  tuo  Parini, 

Che  non  fia  mai  l'altero  animo  inchini 

A  vii  desio;  che  in  petto 

Serba  per  la  virtù  perenne  aflPetto, 

La  comune  viltade 
E  l'ozio  sopportar  non  seppe  il  forte, 
Ed  impavido  strinse 
Contro  i  costumi  della  rea  cittade, 
Contro  la  stolta  etade 
Il  flagel,  che  s' intinse 
Nel  purissimo  sangue  e  gli  die'  morte.  — 
A  pugnar  la  gran  lotta 
Deirumano  pensiero 
E  delToflfeso  vero 

Con  lui  l'invitto  Allobrogo. discese; 
E  le  vergogne  e  Tonte 
Tutte  fé*  chiare  del  natio  paese.  — 
Leva,  o  padre,  la  fronte 
Lieta,  che  alfin  lunge  da  noi  respinse 
Le  folte  nebbie  il  santo 
Tuo  fatidico  canto, 

E  tutti  a  un  voto,  ad  un  desio  ci  strinse  : 
Odio  a*  tiranni,  amore 
Di  libertà  :  sempre  virtude  in  core  : 
Una  T  Italia  :  —  è  questa 
L'arte,  che  nova  in  te  s'avviva  e  desta* 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  433 

Mira:  nel  secol  mio 
La  tua  vendicatrice  ira  ribolle: 
Oh  come  arde  nel  Vate, 
Che  i  Sepolcri  cantò  !  che  tanto  ardio  !  — 
Nel  tuo  loco  natio 
Esecra  le  malnate 
Libidini  di  Roma  avara  e  folle 
Di  Giovanni  e  di  Arnaldo 
Lo  sdegnoso  cantore  — 
E  r  ingegno  ed  il  core 
E  la  favella  Giusti  a  te  simile 
Mestamente  deride 
I  vizi  dell'età  corrotta  e  vile.  — 
Teco  a  parlar  s'asside 
L'eletto  stuol  fra  l'anime  beate.  — 
O  santi  spirti  —  o  esempi 
Forti  in  codardi  tempi, 
O  del  pensiero  martiri,  esultate  — 
Una,  libera  è  Italia  — 
E  al  suon  de'  vostri  carmi,  e  deir  Italia 
CoU'alma  mai  non  doma 
Nostre  faremo  alfin  Venezia  e  Roma.  ' 

viario  Villareale  fu  professore  di  lettere  italiane  nel  Liceo  V.  E. 
ilerrao.  Scrìsse  lodate  poesie,  che  poi  raccolse  in  un  volume; 
>ccupò  sempre  di  cose  dantesche,  proponendo  un'edizione  na- 
ie, definitiva,  della  Divina  Commedia. 

Qpesu  CMXOM  coti  leggeti  a  p«gg.  44  e  segg.  dell'opuscolo  pel  Centenario,  edito 
Z90  V.  E.  di  Palermo,  già  cit. 


DiL  Bauo.  Voi.  XIV.  28 


434  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXII. 

GiovAN   Battista  Siracusa. 


Legge  educatrice. 

(14  maggio  i86s). 

Poiché  lasciava  il  natio  loco,  e  il  fiume 
U*  sì  irrorò  fanciullo,  e  i  noti  colli: 
Errava  muto  per  estranee  ville 
Meditando  rattissimo  poema. 
Cantava  a  ricompor  Tire  fraterne, 
E  una  legge  dettava  educatrice 
A  libertade  i  posteri  più  tardi. 
Legge  divina!  A  lei  si  volga  audace 
L*  itala'  gioventù,  che  al  par  del  Vate 
Quando  più  sente  la  baldanza  in  core 
Brandisca  il  ferro,  e  nelle  patrie  pugne 
Sollevi  un  voto,  che  il  suo  sangue  fosse 
Per  la  patria  versato.  E  se  poltrisce 
Negli  ozii,  apprenda  quanto  ognor  sovrasti 
AI  facil  ozio  la  virtù  sudata, 
E  forte  impari  ad  apprezzar  la  vita. 
Sol  quando  accesa  dal  desio  di  gloria. 
Avvolta  nei  perigli,  oblia  se  stessa. 
Di  virtù  quella  legge  ispiratrice 
L' italo  canto  educhi,  e  al  par  del  Vate 
AUor  la  fantasia  l'util  cercando 
Rivestirà  di  lusinghevol  verso 
I  più  sublimi  veri;  a  quella  scola 
Ammaestrati  mostrerem  siccome 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  435 

Amor  lo  spino  in  noi  ferve  degli  avi  — 

Ed  altri  allori  cingeranno  i  vati 

Di  viril  carme,  che  lo  spirto  allevi 

A  virtù  vera,  e  disprezzar  sapranno 

«  Sempre  il  verso  che  suona  e  che  non  crea  »•' 


i  Tersi  coti  leggonsi  a  p«g.  49    I    ceo  V.  E.  di  Palermo,  già  cit.  Il  Siragusa 
do  pel  Centenario,  edito  dal  Li-    I    era  alnnno  del  primo  corso/ 


43^  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


DCCLXIII. 

Ignazio  Palermo. 


Il  Poema. 

(14  maggio  1865). 

Oggi,  che  arcana  possa  arde  secreta 
Degl'  Itali  nel  petto, 
Devoti  al  gran  pensiero 
Del  divino  Alighiero, 
Prostrati  a  lui,  lo  invochiam  profeta  — 
E  terso  alfine  il  piànto, 
Liberi  e  senza  tema 
C  ispiriamo  nel  suo  divino  canto. 

Ogni  virtù  nudriva 
Di  santi  affetti,  or  placidi  or  freojenti,. 
II  sacro  carme,  come  amor  dettava 
Nel  cor  sdegnoso  e  pio  ; 
Quasi  giustizia  che  dal  ciel  deriva, 
Librò  le  colpe  de  le  inique  genti, 
E,  fulmine  di  Dio, 
A  le  peccata  rie  lo  strai  vibrava, 
E  poi  che  l'uno  inferno  e  l'altro  vide^ 
Tra  dolce  melodia  sali  nel  cielo. 
Sempre  laudando  con  devoto  affetto 
La  fé,  la  carità  de  Tevangelo. 
La  terra  e  il  ciel  tutto  spogliò  del  velo,. 
Che  ne  l'error  tenacemente  dura, 
E,  martire  del  vero, 
Ben  tetragono  a'  colpi  di  ventura 
Cantò  l'Italia  e  l'universo  intero. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  437 

Le  sante  note,  d' immortai  vaghezza 
Leggiadramente  ornate. 
Destaro  una  melode  di  dolcezza, 
Che  non  raggiunse  mai  corda  di  vate  ; 
Furono  altrici  e  scola 
A  tele,  a  marmi,  a  generosi  e  santi 
Magnanimi  pensieri: 
Le  care  arti  divine 
Vestirò  casti  affetti,  e  gli  alti  veri 
Sembianze  peregrine: 
L'alma  sentiva  sua  virtù  secura 
Svelando  avidamente 
I  segreti  de  l'arte  e  di  natura. 

Quando  neglette  ne  l'oblio  molt'anni 
Lascidr  gli  arcani  canti 
I  pigri  figli  fervidi  idolatri 
D'invereconde  note  allettatrici, 
Funesta  nube  d'infiniti  affanni 
Copri  r  italo  cielo  : 
Inaridiva  '1  peregrino  stelo 
D'ogni  affetto  che  al  ciel  volge  la  piuma. 
Alcun  vestigio  non  lasciava  il  canto, 
Qual  fumo  in  aere  od  in  acqua  la  schiuma. 
E  la  prostrata  madre. 
Suggendo  a  goccia  a  goccia  il  vitupero, 
Più  non  amò  nel  gelido  suo  core 
Intemerata  la  beltà  del  vero. 

Ma  quando  a  nobil  opre  accese  il  core 
La  patria  mia,  riscossa 
Dal  pigro  sonno,  con  invitto  ardore 
L'asta  temprata  da  la  man  latina 
Brandi  sdegnosa,  e  fu  ministra  a  l' ira 
Del  divo  ingegno  la  sublime  nota. 
Allor  l'arte,  e  il  pensiero  e  la  favella 
Sanu  virtù  spiraro  e  santo  affetto: 
Splendè  fulgida  e  bella 


43^  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

La  pura  fiamma,  che  n'avviva  in  petto 
L'amor,  lo  sdegno,  il  fulmine  de  Tira 
Che  acceser  l'estro  a  la  dantesca  lira. 

E  pur  molle  di  lagrime  si  lagna 
Sul  cenere  de'  martiri  adorato 
La  venerabil  madre. 
Ahi!  che  nebbia  nemica 
Grave  sul  Tebro  e  su  l'adriatiche  onde 
Il  sospirar  l'anelito  affaticai 
Ma  Italia,  Italia  desolata  e  mesta 
Non  piangeranno  i  vati; 
Nova  virtù  si  desta 
Ne  gì'  italici  petti  al  sacro  carme  ; 
I  figli  la  fatidica  parola, 
Che,  come  strai,  parte  da  l'arco,  e  vola, 
Ecco  già  ispira  nel  fiiror  de  l'arme. 
Fu  inferma  e  vile,  or  piena  di  salute 
E  sapienza  e  amore  e  virtute 
Anelando  nel  core, 
Italia  è  già  risorta  al  prisco  onore  1  ' 


'  Civetto  canto  coti  leggeti  «  p^gg.  $o    1    dal  Liceo  V.  E.  di  Palermo,  già  dt.  IL 
e  Kgg.  dell'opuscolo  pel  Centenario,  edito    I    lenno  era  alunno  del  terzo  corso. 


\ 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  439 


DCCLXIV. 

Salvatore  Cocchiara. 

Risposta  di  Dante. 

(14  maggio  1865). 

Ed  è  questo  il  richiamo  glorioso 
Onde  Dante  Alighier  dopo  tant'anni 
Di  amaro  esigilo  e  di  penar  doglioso 
Firenze  rivedrà  scarco  di  affanni  ? 
Ed  è  questo  il  compenso  generoso, 
Ch'ora  si  rende  a  chi  sprezzò  gì'  inganni, 
A  chi  veglie,  dolor,  fami  soffrio 
Ad  illustrar  l'amato  suol  natio  ? 

Lungi  dall'uom  :  che  venera  l'amata 
FilosoBa  l'avvilimento:  un  core 
Disonesto  se  l'abbia,  a  cui  spregiata 
Corse  la  vita  quasi  a  malfattore. 
Lungi  dal  difensor  della  sacrata 
Giustizia,  lungi  l'onta  e  il  disonore 
Di  chinar,  come  un  vii,  la  fronte  altera 
Degli  offensori  alla  codarda  schiera. 

No,  non  è  questa  l'onorata  via 
Ch'alia  patria  conduce...  altra  più  degna 
Ne  additi  alcun,  che  ognor  la  fama  mia 
Non  piaghi,  né  all'onor  si  disconvegna  ; 
Alior  vedrò  Firenze,  quella  ria 
Di  figli  generosi  madre  indegna: 
Tale  il  ritorno  al  cittadino  errante, 
E  tal  la  via,  che  sol  s'addice  a  Dante. 


440 


POESIE  DI   MILLE   AUTOIH 


E  che?  lontan  dalle  materne  mura 
Contemplar  non  potrò  li  rai  fulgenti 
Del  ministro  maggior  della  natura  ? 
O  bearmi  del  ver  tra  pene  e  stenti 
Se  pria  V  infamia  nell'età  futura 
Il  mio  nome  non  macchi  fra  le  genti? 
Sarà  l'errar  conforto  al  mio  disdegno. 
L'esilio  che  mi  è  dato  onor  mi  tegno.  ' 


'  Qjiette  ottave,  che  alludono  aiU  sde- 
gnosa risposta  di  Dante  alle  umilianti  con* 
disioni  che  gli  ii  proponerano  per  rien- 
trare in  Firenxe,  coti  si  leggono  a  pag.  53 


dell'opuscolo  pel  Centenario,  edito  dal 
ceo  V.  E.  di  Palermo,  gii  cit.  Il  Coech 
era  alunno  del  secondo  corso. 


ì 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  44 1 

DCCLXV. 

Carmelo  Pardi. 

Pel  Centenario  di  Dante. 

Ode. 

(14  maggio  1865). 

Ononite  raltUdmo  Poeta. 
L'ombra  tua  toma  ch'era  dipartita. 

Dunque  prevale  in  nui 
Tanto  la  carità  del  natio  loco, 
Che,  in  questo  giorno,  in  cui 
Dall'Alpe  estrema  all'Isola  del  foco, 
Sovr'l  bel  fiume  d'Arno  alla  gran  villa 
Tutti  convengon  là  d'ogni  paese, 
E  come  a  far  ammenda 
D' un'ingiustizia  grave, 
Ogni  anima  gentile  è  tutta  lieta 
D'onorare  l'altissimo  Poeta? 

Io,  secondo  che  in  petto 
Detta  racceso  amor  del  patrio  suolo. 
Col  reverente  affetto 

Che  più  non  deve  a  padre  alcun  figliuolo, 
Di  tanto  onor  indegno, 
Se  a  laudarti  qui  vegno, 
O  degli  altri  poeti  onore  e  lume. 
Valgami  il  grande  amore 
Che  m'ha  fatto  cercar  lo  tuo  volume, 
E  regga  all'arduo  voi  le  inferme  piume. 


442  POESIE  DI   MILLE   AUTORI 

Ve',  gran  Padre,  che  trema 
Il  mio  debile  ingegno  sotto  il  carco 
Del  ponderoso  tema; 
E  poiché  all'alto  uffizio  io  mi  sobbarco, 
Tu  perdona,  se  ardito. 
Per  correr  arduo  lito, 
Con  piccioletta  barca 
Segua  il  tuo  legno  che  cantando  varca, 
E  prenda,  onde  il  mio  dir  non  sia  molesto. 
La  tua  loquela  a  farci  manifesto. 

Nell'austero  intelletto 
Accogliesti  del  Ben  Timagin  chiara. 
Nel  suo  vero  concetto 
Libertade  cercando,  eh*  è  si  cara; 
Ma  poi  eh*  ebber  nei  cori 
Dei  cittadin  della  città  partita 
Superbia,  invidia  ed  avarizia  rea 
Le  tre  faville  accese. 
Arder  vedesti  la  feroce  guerra 
Fra  quei  che  un  muro  ed  una  fossa  serra. 

Quindi  smarrito  il  lume 
Di  sapienza,  d'  amore  e  virtute. 
Cangiando  ognor  costume 
Credè  Fiorenza  rinvenir  salute; 
Mutò  legge  ed  uffici,  con  sottili 
Provvedimenti  rinnovando  membre 
Senza  trovar  mai  posa, 
E  nel  fiero  martire 

Ti  parve  somigliante  a  quella  inferma 
Che  con  dar  volta  suo  dolore  scherma. 

La  prisca  gloria  è  spenta, 
E  le  terre  d'Italia  tutte  piene 
Son  di  tiranni,  ed  un  Marcel  diventa 
Ogni  villan  che  parteggiando  viene. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  443 

Italia  è  fatta  fella. 

Per  non  esser  corretta  dallo  sprone, 

Che  renderla  potria  libera  e  snella, 

E  par  sia  vaga  della  sua  mina. 

Fra  insane  ire  di  parti,  a  mal  far  presta, 

Nave  senza  nocchiero  in  gran  tempesta. 

La  ricchezza,  che  ignota 
Era  ai  primi  pastori,  avida  cerca 
La  gente,  che  dovrebbe  esser  divota. 
Là  dove  Cristo  tutto  di  si  merca, 
Il  successor  di  Piero 
Vuol  congiunta  la  spada 
Col  pastorale;  e  Y  uno  e  V  altro  insieme 
Per  viva  forza  mal  convien  che  vada. 
Per  confondere  in  sé  due  regni,  ahi,  Roma 
Cade  nel  fango,  e  sé  brutta  e  la  soma. 

Quinci,  con  giogo  alterno. 
In  veste  di  pastor  lupi  rapaci 
Sull'alme  impongon  duplice  governo... 
Ahi,  vendetta  di  Dio,  perchè  ti  giaci! 
Le  somme  chiavi  a  lor  non  fur  concesse 
Per  divenir  segnacolo  in  vessillo 
Che  contro  ai  battezzati  combattesse; 
Mercanteggiar  coi  regi  al  mondo  è  vista 
La  milizia  di  Piero,  e  l'assicura 
Di  fede  invece  la  comun  paura. 

E  tu  severo  ingegno. 
Librasti  in  equa  lance  il  bene  e  il  male, 
E  il  tuo  sublime  sdegno. 
Ministrò  forza  al  tuo  verso  immortale. 
Tu,  non  timido  amico 
Del  vero,  in  te  romito,  e  senza  parte, 
Miglior  fama  cercasti  in  fra  coloro 
Che  avrian  chiamato  lo  tuo  tempo  antico; 


444  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Però  tua  voce  fatta  manifesta 

Al  secol  rio  ben  parve  esser  molesta. 

E  fuor  del  bello  ovile 
Ti  cacciò  in  bando  il  tuo  popolo  ingiusto. 
Con  animo  virile 

Mendicando  la  vita  a  frusto  a  frusto, 
Ahi,  tu  provasti  come  sa  di  sale 
Lo  pane  altrui,  e  come  è  duro  calle 
Lo  scendere  e'I  salir  per  l'altrui  scale; 
Ma  tetragono  ai  colpi  di  fortuna. 
Posò  l'anima  tua  ferma  e  sicura. 
Sotto  l'usbergo  del  sentirsi  pura. 

Nullo  dolor  più  vale 
Quanto  il  lasciar  ogni  cosa  diletta; 
Ed  è  questo  lo  strale 
Che  l'arco  dell'esilio  in  pria  saetta; 
Ma  tu  ben  dir  potesti, 
Com'uom  cui  coglie  immeritata  pena: 
L'  esilio  che  mi  è  dato  onor  mi  tegno, 
E  la  tua  fronte  austera. 
Alma  sdegnosa,  alcun  pallor  non  tinse. 
Ma  solo  un  punto  fu  quel  che  ti  vinse. 

Nel  cammin  della  vita 
Avesti  a  fianco,  qual  fidata  scorta. 
Una  speranza  ardita, 
Sanar  le  piaghe  ch'hanno  Italia  morta; 
Neir  alto  Arrigo,  che  a  drizzar  Italia 
Venne  in  prima  che  fosse  ella  disposta, 
Fondator  del  latino  imperio  eletto. 
Sperasti,  o  santo  petto; 
Ma  poich'  egli  fu  morto  a  Buonconvento, 
Le  tue  speranze  andaron  sparte  al  vento. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  44$ 

Cadde  Io  spirto  lasso, 
E  allor,  levando  al  cielo  ambe  le  palme, 
Tu  sospirasti  basso, 

Come  dicessi  a  Dio  :  d' altro  non  calme. 
Quinci  il  poema  sacro, 
Al  qual  posero  mano  e  cielo  e  terra, 
E  che  ti  fece  per  tanti  macro, 
Mostrò  ciò  che  potea  la  lingua  nostra. 
Preconizzò  la  nuova  Italia,  e  il  verso 
Descrisse  fondo  a  tutto  l'universo. 

Rinnovellato  intanto 
Dalla  virtù  che  ti  largiva  Iddio, 
Colei  che  amasti  tanto, 
Dal  punto  ove  s'  acqueta  ogni  desio. 
Ti  apparve  entro  una  nuvola  di  fiori, 
Sovra  candido  vel  cinto  d'oliva 
E  sotto  verde  manto. 
Vestita  di  color  di  fiamma  viva. 
Riverberando  un  lume  consolante 
Col  raggio  delle  sue  pupille  sante. 

Nelle  superne  ruote 
Fisse  tenea  le  luci,  e  tu  in  lei, 
E  di  lassù  rimote 

Quinci  obliando  i  tristi  danni  e  rei 
La  divina  virtude  in  te  accogliesti. 
Cosi  che  r  ombra  del  beato  regno, 
Sul  tuo  capo  segnata,  ritraesti. 
Nella  virtù,  che  già  t'  avea  trafitto, 
Eran  le  tue  pupille  intente  e  quete, 
A  disbramarsi  la  decenne  sete. 

Sei  secoli  son  volti 
Dacché  alla  terra  ti  mandava  Iddio, 
Noi,  coi  pensier  rivolti 
A  te,  all'Italia,  al  tuo  terren  natio. 


44^  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Te  lodiamo  sovrano 

Cantor  del  trino  regno, 

Norma  e  duce  degli  itali  destini. 

Di  cui  la  fama  ancor  nel  mondo  dura, 

E  durerà  quanto  il  moto  lontana, 

O  luce  e  gloria  della  gente  umana. 

Ora  sei  fatto  tale 
Che  la  nostra  miseria  non  ti  tange; 
Ma  tu,  spirto  immortale, 
Vieni  a  vedere  la  tua  Roma  che  piange 
Vedova,  e  sola,  e  di  e  notte  chiama  : 
Cesare  mio  perchè  non  mi  accompagni  ? 
E  la  veneta  gente 
Che  tiene  ancor  gemente 
L' aquila  armata  con  Y  ugne  grifagne, 
Sola  cagion  per  cui  da  noi  si  piagne. 

Tu  guardi,  o  Padre,  e  in  viso 
Balenar  veggo  d' alma  pace  un  raggio, 
E  quel  sereno  riso 

Cosi  par  che  mi  dica  in  suo  linguaggio  : 
«  Il  Veltro  caccerà  per  ogni  villa 
a  L' avara  ingorda  lupa,  e  il  Vaticano 
«Tosto  libero  fia  dall'adultero; 
a  E  alfin  Venezia  e  Roma 
«  Rinnoverà,  come  piante  novelle, 
«  L*  amor  che  muove  il  sole  e  l'altre  stelle.  »  ' 

Carmelo  Pardi,  dell*  ordine  dei  Minimi  di  san  Francesco  dì 
Paola,  nacque  il  6  aprile  1822  in  Partinico,  provincia  di  Palermo^ 
e  mori  ivi  il  24  luglio  1875.  Fu  direttore  del  Convitto  Vittori* 
Emanuele  e  del  Ginnasio  S.  Anna  di  Palermo,  deputato  del  collegio 
di  musica,  socio  dell'Accademia  di  scienze  e  lettere  di  Palermo  • 
di  altri  sodalizi  letterari.  Caldeggiò  gli  studi  danteschi.  Li  maggio^ 
parte  delle  sue  poesie  furono  raccolte  negli  Scritti  vari  (Palermc 
voi.  3,  1871-73)  stampati  dal  Giornali  di  Sicilia, 

'  Quest'ode  cosi  fu  stimpata  i  pag.  5  ^  e  segg.  dell'opuscolo    pel  Centenario,  edii* 
dal  Liceo  V.  E.  di  Palermo,  già  cit« 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI. 


447 


DCCLXVI. 
G.    Casella. 

Canto  a  Dante  Alighieri. 
(14  maggio  1865). 


Una  subita  voce  entro  mi  suona, 

Che  muovendo  per  sé  dal  cuor  profondo 
Di  te,  padre  Alighieri,  a  dir  mi  sprona; 

Di  te,  cui  parrai  ogni  mortai  secondo. 
Che  di  tre  stelle,  amor,  genio  e  sventura, 
Hai  senza  pari  una  corona  al  mondo. 

Tu  eletta  fra  Telette  aha  natura, 

Qual  il  Destin  d'un  suo  segno  suggella. 
Quando  nuovo  di  cose  ordin  matura. 

Non  pur  bilustre,  in  quell'età  novella 
Che  l'alma  semplicetta  pargoleggia, 
Te  strinse  amor  di  creatura  bella; 

Quel  forte  e  puro  amor,  che  signoreggia 
L'uom  tutto,  e  si  temprar  l'animo  suole 
Che  sol  degne  e  gentili  opre  vagheggia. 

Quando  natura  ingiovanisce,  e  il  sole 
Il  bel  maggio  rimena.  Ella  t'apparve 
Nella  festa  tra  i  fiori  e  le  carole; 


4|8 


POESIE  DI   MILLE   AUTORI 


E  innanzi  a  quella  pargola  disparve 
Tutto  intorno  per  te:  lei  sola  miri 
Che  verace  di  un  Dio  figlia  ti  parve/ 

Che  ardenti  vision,  quanti  sospiri 
Per  la  celeste  giovinetta!  e  quante 
Trepide  gioie  e  subiti  martiri! 

Ti  fa  l'aspetto  suo  tutto  tremante, 

E  il  cerchi  ognor;  da  un  atto  di  quel  viso 
Hai  morte  e  vita  inebriato  amante. 

E  pur  dura  da  lei  t'ebbe  diviso 
Fortuna,  e  più  felice  altro  mortale, 
Non  tu,  baciava  il  desiato  rìso. 

Indi  anzi  tempo  dispiegando  l'ale 
Ella  pur  di  sua  vista  sconsolato 
Ti  lascia,  e  torna  a  secolo  immortale. 

Oh  lacrime  del  cuor  quando  l'amato 
Angiol  s'invola!...  Ma  narrar  tu  puoi. 
Tu  sol  quanto  ti  fé'  gramo  e  beato. 

E  tu  ce  '1  narri,  e  degli  affetti  tuoi 
Si  pietosa  è  la  stona  e  si  gentile, 
Ch'altra  del  par  non  fu  prima  né  poi. 

Né  sol  questa  ti  detta  e  il  dolce  stile 
Amor;  che  d'ogni  altissimo  concetto 
Talor  Musa  é  la  donna  a  cuor  virile. 

Per  Beatrice  pria  nell'intelletto 
Ti  lampeggiò  la  Vision  sublime 
A  dirne  quel  che  d' altra  unqua  fu  detto.  * 


'  «Certo  dì  lei  si  potea  dire  quella  parola 
del  poeta  Omero:  Ella  non  pare  figliuola 
d'  uomo  mortale,  ma  di  Dio.  ■  Dante,  Vita 
Nuova, 

^  «  Se  piacere  sarà  di  coluf ,  per  cui  tutte 


le  cose  yìtooo,  che  U  ad*  viu  per  «!• 
quanti  anni  penererì,  spero  di  dir*  di  lei 
quello  che  mai  non  fu  detto  d*  alcima.  » 
rua  Nmové, 


INTORNO    A   DANTE  ALIGHIERI. 


449 


E  il  gran  poema  ordisti  ove  dall' ime 
Parti  alle  somme,  tutto  l'universo 
Poi  ritraevi  nell'eterne  rime; 

Ove  in  mezzo  a  quel  mondo  uno  e  diverso 
Che  tal  disegni,  e  di  color  1*  avviva 
SI  fieri  e  gai  l'onnipotente  verso, 

Splende  la  donna  tua  cinta  d'oliva 
Su  bianco  velo,  e  sotto  verde  manto 
Vestita  di  color  di  fiamma  viva. 

Fatta  è  Virtù  che  l'uom  de' santi  al  Santo 
Leva  di  cielo  in  cielo.  Oh  quando  mai 
Fuor  che  in  itali  petti  amor  può  tanto? 

La  dolce  terra,  ove  del  giorno  a'  rai 
Sorgesti,  amavi  tu  di  quell'  amore 
Che  ogni  altro  in  nobil  cuor  vince  d'assai; 

E  farne  scempio  il  cittadin  furore 
Tu  allor  miravi,  e  un  popolo  fratello 
Vibrar  la  spada  del  fratello  al  cuore; 

Tiranni  ovunque,  ogni  villan  Marcello 
Divenir  parteggiando,  e  lulia  grama 
Non  più  donna  di  genti,  ma  bordello. 

Vedova  Roma  il  suo  Cesare  chiama, 
£  piange  invan:  che  tra  i  suoi  colli  annida 
La  Lupa  carca  d'ogni  ingorda  brama; 

Onde  guasto  il  Pastor  disvia,  non  guida, 
E  la  spada  s'usurpa,  e  delle  genti 
Il  dritto  calca,  e  la  ragion  disfida. 

Padre  Alighier,  con  che  occhi  dolenti 
Contempli  lo  spettacol  miserando! 
Qual  magnanima  in  petto  ira  ne  sentii 

D«t  B^xo.  Voi.  XIV.  39 


450  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

E  a  cessarlo  ti  adopri:  odio  nefando 

Su  te  quindi  e  calunnia,  e  premio  indegno 
Di  tuo  buon  zelo  e  d'innocenza,  il  bando. 

Divelto,  ahimè!  da  ogni  più  caro  pegno. 
Mendico  va  per  l'itale  contrade 
Il  più  integro,  il  più  alto  italo  ingegno. 

Ma  sull'anime  eccelse  indamo  cade 
Implacato  il  martel  della  sventura; 
Che  anzi  le  tempra  in  af61ate  spade, 

SI  che  vizio  e  viltade  anco  in  altura 
Ferir  ben  san,  far  dell'ingiusto  emenda. 
Sfolgorar  lungi  nell'età  futura. 

Guai  chi  la  tua  sfidava  ira  tremenda. 
Cui  pur  alta  giustizia  è  freno  e  cote; 
Par  ch'ella  uguale  a  fulmine  discenda. 

Che  le  più  alte  cime  più  percote; 

Qual  Dio  che  scrive  nel  volume  etemo 
Cotal  tu  incidi  adamantine  note. 

Dischiudi  a  posu  tua  cielo  ed  inferno, 
E  siedi  giustizier  sopra  lo  scanno. 
Che  a  te  cedeva  il  Giudice  superno; 

Genti  infinite  dinanzi  ti  vanno. 

Ciascuno  in  tuo  saver  giudichi  e  mandi, 
E  là  dove  gli  lochi  eterni  sunno. 

Cosi  infami  i  malvagi,  e  venerandi 
I  buon  si  fanno,  e  grande  insegnamento 
Tu,  fiero  vate,  ai  secoli  tramandi. 

E  sebben  V  alto  cittadino  intento 

Più  ognor  ti  volge  a  Italia,  e  più  s'  accende 
E  più  suona  per  lei  dal  cuor  i'  accento. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  .)  )  I 

Il  tuo  vasto  pensiero  ohm  si  stende, 
Si  che  ogai  gente  ed  ogni  etade  abbraccia; 
Anzi  il  mortai  confine  anco  trascende, 

E  mostra  come  V  uomo  altro  si  faccia, 
E  per  etema  via,  siccome  è  degno, 
Proceda  ognor  del  suo  principio  in  traccia. 

Né  già  eri  pur  tu  lungi  dal  segno. 
Ove  a  correr  quel  mar  dell*  infinito 
Altre  vele  il  mortai  mette  al  suo  legno; 

E  talor  forse  là  di  Chiassi  al  liio 
Per  la  pineta  solitario  errando. 
Quando  annunzia  la  squilla  il  di  compito. 

Tutto  in  te  chiuso  andavi  ripensando. 
Le  tue  gioie  si  brevi,  i  lunghi  affanni. 
Tanta  speme  delusa,  e  il  come  e  il  quando. 

Cessate  V  onte  e  vendicati  i  danni 

Della  patria  sperasti,  e  in  seno  a  Flora 
Tornar  poeta,  e  stanco  chiuder  gli  anni; 

Ed  ecco  d'  ogni  ben  più  nuda  ognora 
Italia  farsi,  e  vedovo  il  suo  cielo 
Già  pur  d'  un  sole,  or  del  secondo  ancora  ;  ' 

E  ornai  riposo  del  mortai  tuo  velo 
Ravenna  fìa»  né  l'ultimo  respiro 
Al  tosco  aer  darà  lo  spirto  anelo. 


'  Si  è  tentAto  qui  di  significare  quei 
pensieri,  che  TcritimUnieate  doveano  toI* 
latrai  per  la  oMmu  di  Dante  nello  scorcio 
^t  san  v.ta,  qaando  già  da  alcuni  anni  la 
^Mda  poatificak  tn  tuu  trasferita  In  Avi- 
[giioaa.  È  noto  come  per  lui  i  due  Soli  di 
Soan  •  d' lulU  fiMMTO  1*  Imperatore  e  il 


Pontefice,  l'uno  nell'ordine  doli*  cose  tem- 
porali, l'altro  delle  spirituali  : 

Soleva  Roma  che  il  buon  mondo  feo 
Due  soli  aver,  che  l'una  e  l'altra  straJa 
Facean  vedere,  e  del    mondo  e  di  Deo. 

Pmrg.  XVI. 


()2  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Ma  tu  vivesti;  e  un  monumento  miro 
Leghi  air  età  futura,  ove  perenne 
Vive  il  pensiero  tuo,  vive  il  tuo  spiro. 

E  come  quel  di  Dio,  che  di  sue  penne 
Covò  la  notte  dell'abisso  informe, 
E  fé'  che  a  luce  e  ad  armonia  ne  venne  ; 

Tal  deir  uomo  lo  spirto  deiforme 
Nel  buio  dell'  età  feconda  il  vero, 
E  suscita  la  vita  ove  pria  dorme. 

Forse  avverrà  che  un  di  dal  tuo  pensiero 
Rinasca  Italia.  —  E  Italia  oggi  rinasce 
Per  te,  che  fosti  a  lei  senno  primiero. 

Come  il  Lucifer  tuo,  che  in  nove  fasce 
L' abisso  ha  intomo,  e  d'  ogni  parte  i  pesi 
Dell'  universo  premonlo  in  ambasce. 

Si  stava  Italia;  e  a  fabbricarle  intesi 
Tai  ceppi  i  figli  fur  della  rapina 
In  lei  dai  boreali  antri  discesi. 

Dal  lungo  sonno  la  Ragion  latina. 
Che  tua  scorta  invocavi,  alfin  ridesta, 
Quel  barbarico  inferno  urta  e  ruina; 

Si  che  redenta  e  bella  alza  la  testa 

La  gran  Donna,  e  d'  acciar  tutta  lucente 
Già  squassa  al  vento  la  guerriera  cresta  ; 

E  spada  ha  nella  man,  che  orribilmente 
Balena  in  viso  agli  oppressori,  e  luce 
Manda  di  speme  ad  ogni  oppressa  gente. 

E  più  tema  e  conforto  insieme  adduce 
Dove  anco  accampa  il  teutono  predone. 
Non  so  ben  dir  qual  più  se  avido  o  truce  ;. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  .\^] 

Dove  a  minaccia  il  mesto  atto  compone 
La  regina  dell'Adria,  e  senza  posa 
Dd  gemiti  e  ruggiti  il  suo  leone. 

Indi  del  Tebro  imperiai  la  sposa 

S*  allegra,  e  il  fatai  Veltro  attender  pare, 
Che  da  lei  cacci  la  gran  Lupa  annosa  ; 

Sì  che  là  si  raccenda  il  focolare 
Dell'  itala  famiglia,  ove  da  pria 
Ebbe  r  ausonia  Vesta  il  santo  altare.  ' 

Ben  è  ragion  se  tua  città  natia, 

Ora  in  ammenda  dell'  antico  oltraggio, 
Festa  t' indice,  che  gioiosa  e  pia 

Ogn'  evo  innoverà,  quando  col  maggio 
«  Quegli  che  è  padre  d'  ogni  mortai  vita 
Radduce  il  tuo  natale,  inclito  Saggio  ;  » 

E  la  marmorea  tua  forma  scolpita 
Custode  al  tempio  loca,  ove  si  serba 
Cotanta  gloria  dal  tuo  fonte  uscita. 

Tu  a  fatti  egregi  ogni  memoria  acerba 

Fa  sprone,  Italia,  ora  che  il  fato  hai  destro  ; 
Qualunque  speme  tua  non  è  superba 

Auspice  TAlighier  duce  e  maestro.  ' 

Giacinto  Casella  nacque  a  Filéttole,  nella  provincia  di  Pisa,  il 

^   2  settembre  1817.  Fatte  le  scuole  elemeniari  nel  paesello  natio,  a 

«^  odici  anni  entrò   nel  seminario  di  Santa  Caterina  di  Pisa.  1  suoi 

^^ro^ressi  furono  rapidi  e  notevoli,  avendo  egli  la  febbre  del  sapere. 

-^^  sedici  aveva  tradotto,  per  esercìzio,  la  battaglia  del  quarto  libro 


'  Cicerone  cU«inò  l*«lure  di  Vesta  puh-  I  1 3  in  un  opuscolo  in-8  col  titolo  Canio  a 

^^Uo  fotohrt.    •  VirgiBM  Vesulet  in  urbe  ;  DanU  Aìi^huri  di  G.  CaselU,    con   un  dì- 

^%aftlodiuntigntmibcipiiblici  lempiteraum.»  j  «corso  intorno  alla  forma  alle^orica  e  alla 

^"Ifcf  Sjtg,  a,  8»  I  principale  allei;;orla  della  Divina  Commedia. 

'  Qpetto  auuo  cori  li  legge  a  pegg*  3-  i  Firenze,  tip.  G.  Barbera,  180$. 


4)4 


POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


MV  Iliad^j  quando  andò  a  visitare  il  collegio  quel  Mancini  «celebre 
maldicente  di  tutti  i  grandi  poeti  d*allora,  e  perciò  castigato  meri- 
tamente dagli  acerbi  versi  del  Giusti.  I  maestri  gli  presenurono  il 
giovanetto,  e  l'implacabile  ^/>ijE^ramwiafo  gli  donò  la  propria  versione 
óqW  Iliade,  e  scrisse  sulla  copertina  che  avrebbe  volentieri  barattato 
le  proprie  ottave  con  quelle  del  poeta  adolescente.  »  ' 

Terminati  gli  studi,  fu  eletto  maestro,  dove  era  stato  discepolo; 
poi  passò  ad  insegnar  lettere  nelle  scuole  comanali  di  S.  Michele, 
dove  ebbe  tra  gli  ahri  allievi,  Alessandro  d'Ancona,  la  cui  altezza 
di  ingegno  è  pari  alla  bontà  dell'animo,  Gustavo  Milani,  divenuto 
fisico  distinto,  il  Franchetti,  poi  valente  grecista,  e  11  Bombini  e  il 
Del  Beccàro. 

Molto  avrebbe  fatto  il  Casella,  se,  tra  i  ventidue  e  i  ventitre  anni, 
non  fosse  stato  preso  da  una  grave  malattia  agli  occhi,  la  quale,  se 
non  gli  impedì  di  continuare  i  suoi  studi,  lo  tenne  sempre  in  una 
gran  malinconia.  Pensava  che,  alla  lunga,  avrebbe  potuto  rimaner 
privo  della  vista.  Ciò  era  per  lui  un'ossessione,  per  cui,  tutto  chiuso 
nei  suoi  studi,  fu  noncurante  del  mondo  e  della  fama  che  spesso  è 
usurpata  dai  più  turbolenti  e  procaccianti. 

Dopo  quindici  anni  di  insegnamento,  per  i  bnooi  uffici  del  Bo- 
naini,  fu  eletto  accademico  della  Crusca,  e  uno  dei  compilatori  del 
dizionario.  La  sua  opera  diligente,  minuu,  sapiente  giovò  non  poco 
alla  formazione  di  quel  lavoro. 

Nel  1865,  insieme  col  canto  per  Dante,  pubblicò  un  suo  discorso 
intorno  alla  Forma  allegorica  e  alla  principale  alUfforia  àdla  Divina 
Commedia.  È  una  dissenazione  di  poco  più  di  venti  pagine  «  ma 
che,  a  giudizio  di  molti  intelligenti  »  scrive  il  D'Ancona,  a  è  quanto 
di  meglio  siasi  detto  in  così  trito  argomento.  Voleva  egli,  così  mi 
disse  quando  lo  rividi  l'ultima  volta,  ritornar  sul  soggetto,  allargan- 
dolo: ma  quel  breve  saggio  serve  a  mostrare  com'egli  sapesse  sicu- 
ramente penetrare  nel  fondo  dell'arte  dantesca. 

«  Dopo  aver  determinato  il  proprio  carattere  dell'  allegoria  nel 
poema  sacro,  e  detto  com'essa  scenda  via  via  dall'astrattezza  mag- 
giore a  più  particolare  specificazione  e  quindi  all'individuazione,  e 
risalga  poi  indietro,  pei  medesimi  gradi,  all'idea  somma  delle  cose, 
il  Casella  prende  a  dichiarare  più  specialmente  il  significato  della 
selva  e  delle  tre  belve;  e  rifacendo  il  processo  stesso  tenuto  dalla 
mente  e  dall'arte  dell'autore,  scorge  simboli  generalissimi  ed  astratti, 
e  significazioni  sempre  più  particolari  e  concrete.  Così,  ad  esempio, 
rispetto  alle  tre  fiere  non  esclude  che  la  lonza  simboleggi  Firenze, 


'  Vedi  a  p«g.  sx,  toI.  I,  notizi*  biogra- 
fica di  G.CuelU  scritt*  dalU  TedoTi  Eleo- 
nora Ghexzi-CucU*  in  :  Oftrt  editt   i  fo- 


fhum  di  GUdoto  CtMlU.  già  •ceadMoko 
della  Cnascft,  Firaut,  tip.  Berbera,  18S4, 
dot  mi,  in-ié. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  [>> 

e  il  leone  la  Casa  dì  Francia,  e  la  lupa  la  Curia  romana,  ma,  dalle 
idee  politiche  ascendendo  alle  morali,  vede  nelle  tre  belve  adom- 
brati soprattutto  tre  vizi;  e  qui  separandosi  dalla  comune  degli  in- 
terpreti moralizzanti,  e  giovandosi  dell'etica  dantesca  e  delle  tripar- 
tizione dell* inferno,  nella  lonza  riconosce  non  giù  la  libidine,  ma  la 
frode;' nel  leone  non  già  la  superbia,  ma  la  violenza;  nella  lupa  non 
Favarìzia,  ma  l'incontinenza:  e  queste  sue  opinioni  prova  con  molta 
acutezza  di  ragionamenti  e  copia  di  raffronti  tolti  da  tutto  il  poema.  »  ' 
Sono  anche  eccellenti  studi  critici  quelli  sul  Guarini  e  sul- 
TArìosto,  che  ei  scrìsse  per  la  BihlioUca  diamanti  Barbèra.  Kè  si 
dimentichi  un  breve  paragone  tra  la  Divina  Commedia  e  il  Fausto 
del  Goethe  a  proposito  di  due  quadri  di  Carlo  Vogel  di  Vogelstein. 
Le  sue  traduzioni  del  Pellógrinaggio  dtl  giovine  ArolJo  e  di  tutte  le 
elegie  di  Properzio  sono  mirabili.  Esse  videro  la  luce  dopo  la  sua 
morte,  avvenuta  nel  gennaio  del  1880.  Ad  esse  aveva  dato  T  ultima 
mano,  quando,  nel  1874,  avendo  preso  il  riposo,  divenuto  quasi  del 
ttutto  cieco,  si  era  ritirato  nella  solitudine  delia  campagna,  confortato 
dalle  amorose  cure  di  sua  moglie,  la  quale  fu  la  sua  diligente  ama- 
nuense, impareggiabile  infermiera  e  collaboratrice  ad  un  tempo. 
Povero  Casella,  il  suo  intelletto  non  ebbe  rivale  se  non  nella  sua 
modestia  ! 


'  Vedi  Tol.  I,   p«g^«    x-xi,   PrefuioiM  d«lU  Open  tditi  t  pcttmm»  del  Otseila,  ediz. 


456  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

DCCLXVII. 

Paolo  Garelli. 

Vita   oi   Dante   Alighieri. 

Terze  rime 
dedicate  a  francesco  petrarca 

(14  maggio  i86s). 

Canto  I. 

Alma  Italia  |  contrada  ospitale  a  Saturno  |  figlia  di  Venere  e 
Marte  |  che  splendi  in  terra  ed  in  cielo  |  non  rifiutare  |  I*  offerta  del 
canto  natalìzio  |  di  quell'eccelso  Vate  |  fondatore  della  novella  ci- 
viltà I  eh*  estese  la  tua  nominanza  |  ancora  nell*  universo. 

Nel  sesto  centenario  d'  una  vita 
Celebre  si,  che  disprezzò  la  morte, 
A  ragionare  ancor  secolo  invita. 

Anch'  io  direi,  s*  avessi  avuto  in  sorte 
Dono  di  versi  e  di  cospicue  rime, 
Ch'  alla  sapienza  V  uom  fanno  consorte, 

Con  verità  del  vivere  sublime. 

Che  seguitò  queirAldigherio  Dante, 
Che  sorpassò  del  Pindo  le  due  cime  : 

Ma  r  umil  mia  parola  a  quelle  sante 
Muse  si  volge,  e  di  soccorso  prega 
Neir  opra  omai  cosi  fatta  gigante. 

O  sommo  Apollo,  cui  la  mente  spiega 
Del  nostro  Globo  il  movimento  eterno. 
Deh  !  pure  a  me  la  tua  virtù  non  nega. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  4>7 

Ch'  i'  segni  il  nascimento  :  il  dolce  interno 
Amore:  il  sentier  fatale  aperto 
D'esiglio:  di  poesia  quanto  discerno: 

La  bruna  morte  :  Y  immortai  suo  serto. 
Deh!  Tu,  eh'  a  gara  n'  inclinasti  tanto 
Dei  Vati  al  ramo,  che  ti  venne  offerto 

Dalla  Senna  e  dal  Tebro  in  darti  vanto, 
Epico  magno  e  lirico  Cantore, 
Sicché  '1  tuo  metro  è  caro,  casto  e  santo. 

Nelle  due  lingue  dell'  Italia  onore. 
Accogli  in  dono  le  mìe  rime  nuove. 
Che  nel  variato  stil  denno  vigore 

Per  quanto  ispirò  '1  Ciel,  che  tutto  muove 
Dand'  alma  al  mondo,  dove  Tu  d' intorno 
La  religione  universal,  eh'  è  dove 

Vive  il  gran  Padre  genitor  del  giorno, 
Traggi  di  pace  e  vera  ed  una  e  pura, 
Che  r  umana  famiglia  ha  un  sol  soggiorno. 

Sulla  riviera  d'Arno  per  ventura 
Del  Romano  Fiorin  nella  Cittade 
Dal  latin  sangue  venne  senza  usura 

Lo  splendor  dell'  Italia,  e  d'  ogni  etade, 
Che  di  saper  quasi  datore  al  nK)ndo 
Alma  luce  portò  per  dar  non  rade 

Riprove  d'  un  esempio  assai  profondo, 
Ch'  Italia  scosse,  e  risvegliò  1'  antica 
Natia  fierezza  del  genio  fecondo 

Di  quella  fede  nazionale  amica, 

Ch'  ebbe,  ha,  ed  avrà  e  norma  e  guida 
A  fugar  tirannia  empia  nemica 


458  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Ud  manto,  un  scettro,  per  onde  confida 
La  sorte  delle  esperiche  vedute, 
Che  r  aspettata  stella  par  eh'  arrìda. 

Ne'  Frangiapane  scese  di  virtute 

Adorni,  e  ricchi  di  Castella  e  Loggia» 
Ch'  UQ  Arco  indennità  dava  e  salute. 

In  Eliseo  cangiò  lor  nome  in  foggia 
Fregiando  meglio  '1  seme  di  vittoria, 
Ch'  in  Aldighier  di  poi  si  alto  poggia. 

Era  r  anno  volgar  d'  orientai  storia 
Sessanta  quattro  sul  mille  dugento, 
Quand'incarnò  l' immortai  nostra  gloria. 

Visione  parve  grave  d*  argomento 
All'  inclita  Matrona  singolare 
Disvelatrice  a  cosi  gran  portento. 

D' una  fresca  sorgente  parve  stare 
Giacente  in  riva  a  pie  d'  un  alto  alloro 
E  partorir  fanciul  di  forme  rare, 

Che  di  cadenti  bacche  a  suo  lavoro 
Pascersi  sempre  e  sempre  di  più  lieto, 
Se  dissetando  al  fonte,  eh*  è  un  tesoro. 

Da  cibo  nutricato  quieto,  quieto 

Cresceva  poscia  assai  leggiadro  e  fiero, 
Libero  e  forte  per  alto  decreto. 

Pastore  divenla,  e  di  quel  vero 

Albor  ambiva  e  vagheggiava  foglia. 
Per  la  corona  e  sentimento  altero. 

Poi  non  giungeva  ad  appagar  la  voglia, 
Per  quanto  quella  si  sforzasse  avere, 
E  cadea  innanzi  della  verde  soglia, 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  459 

Mentre  la  madre  attendea  di  vedere 
Levato  il  figlio,  non  già  lui,  ma  vide 
Sorgere  un  Pavon,  che  dea  piacere. 

La  donna  allor  maravigliando  ancide 
Riscossa  il  sonno,  ed  a  memoria  espone 
Quanto  la  mente  dal  mattin  previde. 

Qual  mai  congiunto  potè  aver  ragione 
Intorno  a  tanto  e  mistico  presagio. 
Che  di  lucubrazion  n'  era  cagione  ? 

Ma  come  quei,  che  vede  un  bel  palagio 
Da  lungi,  e  le  sue  linee  son  confuse. 
Sicché  patisce  per  distar  disagio, 

Cosi  nella  incertezza  n'  eran  chiuse 
Le  vere  conoscenze  del  destino 
Svelate  ai  fidi  delle  sole  Muse. 

Venere  fors*  era,  eh'  al  divino 

Consorte  Anchise  n'  elargì  il  coraggio, 
Che  fu  conforto  del  duro  cammino. 

Dall'  Una  ed  Altro  poi  Y  Eneide  Raggio 
Neir  Egeo  si  sovvenne  col  futuro 
Per  guida  e  speme  del  Latin  Retaggio. 

S*  a  molti  parve  quel  concetto  oscuro, 
A'  filosofi  no,  perchè  lor  sanno 
Che  maggior  enti  porgono  sicuro 

Indizio  sui  minor,  i  quali  stanno 
A  ricever  virtù,  e  queir  infusa 
Volontà  intema,  per  la  qual  si  fanno 

L'  attitudini  umane.  Ahi  !  mal  s'  accusa 
Natura  e  previdenza,  perchè  siamo 
Una  generazion  molto  confusa. 


460  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 

Siamo  di  duro  cuor,  perchè  da  Adamo 
Smarrita  nostra  Madre  e  '1  nostro  Marte 
Andiamo  torti  nel  nuovo  richiamo. 

Che  contrario  al  paese  a  parte  a  parte 
Disvia  dal  retto,  ed  imbroglia  la  mente. 
Che  non  è  dato  vedere  con  arte. 

Miseri  noi,  ed  è  cosa  spiacente 
Udire,  udire  ciancie  inconcludenti 
Per  illudere  il  mondo  sottilmente, 

Per  estorcer  moneta,  e  macilenti 
Rendere  i  figli  ed  ingannando  altrui 
Provvedere  ai  tiranni  lauti  argenti. 

Se  pena  fosse  dentro  i  regni  bui 
A  tal  delitto,  che  1'  uomo  tormenta, 
Dovrebber  relegarsi  questi  fui. 

Il  Cielo  omai  avea  già  fatta  attenta 
La  genitrice  intomo  del  natale 
Del  favorito,  e  la  rendea  contenta; 

Perchè  V  alloro  è  lo  studio  immortale, 
E  r  affezion  dell'  essenza  divina. 
Senza  la  quale  tutto  quanto  è  frale. 

La  bacca  mostra  il  metro,  a  cui  s'inchina 
Uomo  e  Celeste  per  ricever  grido, 
Come  se  V  ebbe  la  terra  Latina  ; 

Che  se  ben  si  nutrica  uccello  al  nido. 
Cresce  con  quel  vigor  tanto  perfetto. 
Da  sostenersi  al  voi,  eh'  anch'  io  mi  fido. 

La  fontana  dimostra  all'  umor  schietto 
Il  puro  senso  di  Filosofia, 
Con  la  qual  si  conduce  l'intelletto. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  46 1 

E  come  il  cibo,  che  nel  petto  stia 
Di  bevanda  abbisogna  ed  una  e  pretta, 
Che  lo  disponga  al  sangue  alia  sua  via. 

Cosi  la  scienza,  cui  ragione  aspetta 
Dalla  filosofia  norma  riceve 
Per  reggersi  col  genio,  che  n'  alletta. 

La  caduta  avvertia  ch'avrebbe  breve 
Essere  in  patria,  che  da'  brutti  piedi 
Levato  si  sarebbe,  come  deve 

Sorgere  il  meritcvol  di  mercedi. 
Che  con  cent'  occhi  meglio  si  riadorna, 
Qual  la  Saturnia  in  aria,  s'  arco  vedi 

Dentro  la  pioggia,  dove  ben  soggiorna 
Trasparente  color,  nel  cui  riguardo, 
Ch*  a  serenante  di  segno  ritorna, 

Fuggon  le  nubi,  e  '1  Sol  torna  gagliardo. 
Questi  voller  le  Muse  eh'  ammaestrasse 
Portandol  seco  con  diletto  sguardo, 

Perchè  civile  '1  mondo  ancor  tornasse. 


Canto  IL 

Illustre  Firenze  |  non  sdegnare  la  dedica  |  del  canto  d* amore  | 
da  cui  germogliarono  |  gli  affetti  immortali  del  Vate  |  che  per  vo- 
lere dei  fati  I  vide  la  luce  nel  tuo  grembo  |  fatto  grande  |  nel  nome 
delle   aspirazioni  |  del  sangue  latino. 

Ogni  puerilità  comune  al  volgo 
Il  nostro  Dante  cacciò  tosto  in  bando, 
E  con  Io  studio,  per  lo  qual  i'  colgo 

Le  brevi  rime  i  versi  esercitando, 
Tant'applicossi  all'arti  liberali. 
Che  venne  esperto,  e  meglio  seguitando 


462  POESIE   DI  MILLE   AUTORI 

Ripudiò  *\  lucro,  e  si  volse  a'  reali 
Distinti  fregi  della  lingua  eterna. 
Che  con  l'acute  discipline  Tali 

Segui  de'  Vati  a  diva  gloria  intema. 
Già  co'  famosi  famigliar  divenne. 
Che  con  la  mente  ornai  tutto  governa. 

Ser  Brunetto  Latini  lo  sostenne 

Nel  cammin  vago,  eh'  in  principio  è  duro, 
E  sotto  l'astro  favorito  il  tenne 

Insegnando  la  via  d'andar  sicuro 
Sul  monte  in  odio  agl'ignoranti  soli. 
Cui  lor  felicità  par  nello  scuro 

Di  putrida  mollezza,  ond'  i  figliuoli 
Mal  vegetando  seminan  la  peste 
Della  misera  Patria  in  falsi  voli. 

Il  Nostro  nell'amor,  ch'anima  investe 
Al  vero,  al  bello,  ad  altra  mèta  corse. 
Ed  oltre  all'Appennino  manifeste 

Udì  pure  le  scienze,  che  trascorse. 
Né  di  ciò  paga  l'avida  gran  mente. 
Con  pene  acerbe  e  con  disagio  forse 

In  alta  età  anco  la  Senna  '1  sente 
Filosofar,  che  detto  fu  maestro 
Con  titoli  d'onor  molto  lucente. 

Ch'espositore  in  Teologia  e  destro 
In  ogni  idea  concreta,  astratta  e  grande 
Tutt'  il  ciel  vide  con  Torbe  terrcstro. 

Rimontando  all'ardor,  eh'  il  core  spande 
Per  volontà  di  Dio  nell'aver  lode 
Ed  offerte  di  fiori  e  di  ghirlande. 


INTORKO   A  DANTE  ALIGHIERI.  463 

Dico  ch'alia  Cini  del  nostro  Prode, 
Tosto  che  giunge  la  bella  stagione. 
Cui  porta  madre  Maja,  che  ne  gode, 

Ciascun  festeggi,  e  di  gioia  cagione 
Sien  gli  seffiri  calmi,  e  dolci,  e  grati, 
Per  cui  l'anima  s'apre  alle  persone, 

E  quanto  aflfetto  s'ebbe  da'  beati 
Regni  si  manifesta  a'  cari  amici 
Cercando  apertamente  nei  creati 

Corrispondenze  angeliche  e  felici, 

Provando  in  cor  quel  sentimento  arcano 
Ch'intender  non  si  può,  eh' a' Beatrici. 

Il  ragionar  di  più  fia  sempre  vano. 
Se  non  con  vergin,  cui  Natura  e  Dio 
Ci  ponga  a  lato  d'invisibil  mano. 

Quest'è  quel  primo  tempo  di  disio, 
Nel  qual  V  Eterno  n'ordinò  le  cose 
Levandole  dal  seno  dell'oblio. 

Quando  Sol  mosse,  dentro  cui  dispose 
Di  attrar  le  stelle  a  repulsione  erranti. 
Onde  leggi  creò  tutte  amorose, 

Sicché  tornando  primavera,  in  canti 
Ecco  s'allegra  con  il  ciel  la  terra, 
E  s'ispira  la  fede  delli  amanti, 

Quasi  ci  avverta  Dio  di  odiar  la  guerra. 
Morte  di  società,  vita  di  pene. 
U'  t'empio  s'alza,  ed  il  miglior  s'atterra. 

Ridon  l'erbette  e  i  fior  alle  serene 
Aurette  vive,  e  mormoran  le  fonti, 
A  cui  l'onda  d'argento  più  conviene. 


464  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Le  selve  si  fan  liete,  e  sopra  i  monti 
Ritorna  '1  verde  che  distrugge  il  verno: 
Gli  alberi  a  germogliar  ecco  son  pronti. 

In  tanto  moto  universale,  eterno 

Nel  primo  del  bel  maggio  dava  prova 
Di  convito  un  Signor,  non  già  moderno. 

Dove  la  signoria  non  si  ritrova, 

Che  d'avarizia  e  d'empia  invidia  piena. 
Sicché  scansarla  spesse  volte  giova. 

Tra  varii  dei  vicini  in  sì  serena 
Stagione  di  diletti  e  di  piaceri 
Seguiva  il  padre  il  nostro  Dante  appena 

Sull'età  del  nono  anno  volontieri. 
Perchè  si  corre  a  varietà  cercando 
Disvago  all'occhio  per  mutar  pensieri. 

Con  altri  dell'età  sua  trastullando 
Mirò  tra  questi  una  cara  e  vezzosa 
Àmabil  fanciuUetta,  cui  guardando 

Una  e  più  volte  a  lui  comparve  cosa 
Sopra  di  quante  avesse  visto  mai 
Di  piacevole  aspetto  ed  amorosa. 

Di  detti  rari  e  non  vani  giammai 
Cadeva  nell'error  d'altre  bambine, 
E  movea,  caste  stelle,  i  dolci  rai. 

Certo  di  forme  tali  alme  divine 

Ebb'io  larghezza  al  ciel  senza  misura 
In  quella,  ch*a  me  pur  ruppe  '1  confine 

Della  mia  pace  per  Colei,  che  fura 
I  primi  e  puri  con  i  più  perfetti. 
Sicché  '1  ben  fugge,  e  regna  la  sventura. 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  46$ 

Con  affezione  molta  e  con  diletti, 
Ricevendo  nell'anima  tal  forma 
I  sospiri  d'amor  senti  perfetti, 

Che  tempo  mai  non  cancellò  quell'orma, 
Ma  lo  desiar  l'amata  tanto  crebbe, 
Che  delle  aspirazion  la  fé'  sua  norma. 

Qual  mai  simile  amor  non  loderebbe. 
Se  casto^  onesto  d'ambedue  le  parti 
Lasciò  Lachesi,  a  cui  vittoria  increbbe? 

Non  sguardi,  non  parole  o  cenni  od  arti. 
Se  non  di  grazie  in  atti  dolci  e  cari, 
Che  gli  vedresti  ancor  senza  saziarti. 

Ripreso  da  Costei,  eh'  i  famigliari 
Nominar  Bice,  ma  eh*  al  nome  stimo 
Beata  disse,  perchè  '1  mondo  impari. 

S'aperse  al  petto,  e  ridestossi  il  primo. 
Unito  a  scienza,  eh'  a  comporre  '1  trasse. 
Genio  di  rime  nei  fioretti  opimo. 

Che  per  l'eccelsa  donna  sua  gustasse. 
Nel  qual  sommo  maestro  Amor  lo  spinse. 
Che  tolto  ad  altri  il  serto  a  sé  serbasse. 

Ferito  dall'amor  la  cetra  strinse. 
Ch'emise  l'opinion  ch'in  avvenire 
Meglio  di  lui  non  s'avanzasse,  e  vinse. 

E  lagrime  e  sospiri,  cui  ridire 
Altri  potrebbe  per  Colei,  eh' ingrada 
Con  palpiti  si  spessì  da  morire 

Eran  destino,  eh'  è  d'amor  la  strada. 
Che  lunga  pena,  che  passione  rende 
Ed  aspra  e  fone,  ch'il  sospiro  aggrada 

I>u  Balio.  VoL  XIV.  30 


466  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Al  Garzon  crudo»  ch'alle  doglie  attende. 
Che  serio  e  macilente  neir  idea 
Ogni  tormento  Tamator  comprende. 

S' a  questo  ancora  d'una  luce  rea 
Non  era  soddisfatta  empia  fortuna. 
Un  altro  danno  da  lei  procedei; 

Che  sul  quarto  vigesimo  la  bruna 
Àtropo  die  lo  colpo  più  crudele 
Tagliando  stame  senza  pietà  alcuna 

Dell'amata  diletta,  che  fedele 

Dimostrò  che  si  vuol  Genio  infelice 
Ramingo,  oppresso  d'angoscia  e  di  fiele. 

Senza  conforto  perduta  Beatrice 

Tenne  chiuse  le  luci  umide  al  sole, 
E  la  lingua  all'altrui  consolatrice. 

Povero  Dante,  che  son  le  parole 
Nell'acerbo  dolor  dell'ora  amara. 
Dove  non  canti,  ma  pianto  ci  vuole? 

Ahi!  l'umana  famiglia  forse  impara.^ 
Ahi  spensierata,  e  senza  cognizione 
Non  ode,  se  non  vede  la  sua  bara. 

Per  il  difetto  a  nostra  educazione. 


Canto  III. 

Nobile  Verona  |  città  chiara  e  generosa  |  accetta  in  don« 
canto  del  crudele  esilio  |  immeritevolmente  offerto  |  dal  sacro  V 
a  cui  desti  ricovero  |  ospitalità  e  soccorso  |  nei  supremi  momt 
d'una  sventurata  esistenza. 

Ah!  fia  chi  canti  che  gli  amici  suoi. 
Perchè  cacciasse  dalla  mente  quella, 
Ond'arse  ed  arde  sempre  fino  a  noi 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  467 

In  terra,  in  Cielo,  u'  se  ne  sta  più*  bella. 
Gli  offiìsser  donna,  ed  inclinando  '1  mesto 
Dante  d'Imene  parve  la  facella. 

Se  lodevole  fu  pel  fine  onesto 
Il  bel  consiglio,  partorì  pensieri, 
E  battaglie  domestiche  e  dissesto. 

I  lavoranti,  i  ricchi,  i  cavalieri 

Son  per  le  femminette,  e  non  i  dotti. 
Ch'ai  poetic'amor  fansi  scudieri. 

Taccio  lo  slancio,  per  lo  qual  condotti 
A  sovvenir  la  Patria  nei  perigli 
Volontier  siam,  anco  spregiati  e  rotti. 

Né  di  questo  nessun  si  maravigli, 
Avvegnaché  a*  nostri  di  vediamo 
L'usurpazione  dell'avidi  artigli. 

II  nostro  Dante,  ch'oggi  si  lodiamo 
Provossi  nelle  parti  in  Campaldino 

In  mezzo  al  tristo  e  reo  seme  di  Adamo. 

E  là  die  del  suo  braccio  il  peregrino 
Esempio  nel  pugnar  forte  ed  ardito, 
Che  nella  zuffa  superò  il  destino. 

Con  Lucchesi  n'andò  contro  del  sito 
Di  Pisa  si,  che  riportò  vittoria, 
Ch'il  Castel  di  Caprona  fu  ghermito. 

Già  l'alma  altera  d'alcuna  memoria 
Cui  nulla  calse  dì  cure  reali 
S'invaghì  degli  onor  d'incerta  gloria, 

U'  morte  alberga  con  immensi  mali. 
Sicché '1  governo  del  pubblico  uffizio, 
Ch'in  lui  fidava  le  cose  mortali 


468  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Ruinando  il  trasse  dal  natale  ospizio, 
E  vota  pompa  ed  invidia  molesta 
Con  l'avarizia  e  di  superbia  il  vizio 

In  esilio  lo  spinser  con  tempesta 
Nell'ampio  mar,  dove  perisce  oppresso 
Il  leal  partito  della  patria  onesta; 

Che  a  pochi  è  dato  superar  d'appresso 
La  bufera  terribile  e  lo  scoglio, 
Dove  l'uom  perde  nell'oblio  se  stesso. 

Oh!  Giustizia  a  raffrenar  l'orgoglio 
De'  despoti  feroci  e  minaccianti 
I  buoni  forse  salvi  pel  tuo  soglio; 

Che  tra  le  selve  dell'esiglio  erranti 

Ne  guidi  e  reggi  il  senno  ed  il  consiglio. 
Che  sia  di  luce  e  norma  intorno  a  quanti 

Senton  l'aflFetto  in  cor  d'un  patrio  giglio, 
Che  nel  palpito  ardito  e  franco  e  forte 
Mutan  in  ben  le  pene  dell'esiglio. 

La  terra  nazional  fugge  la  morte: 
La  corona  d'allor  cinge  la  fronte: 
Rinascon  fiori  dall'empie  ritorte. 

Quanto  sia  vero  il  suon  delle  mie  pronte 
Parole  Io  dimostra  il  nostro  Vate, 
Al  quale  Iddio  largì  le  cose  conte. 

E'  lasciando  in  crudel  necessitate 

La  moglie  e  i  figli  in  grembo  alla  fortuna 
Toscana  corse  in  vicende  variate, 

E  l'Eridania  senza  scorta  alcuna, 
U'  povertà  più  lo  sdegnò  nel  petto, 
Che  la  vendetta  non  restò  digiuna. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  469 

A  Verona  ricorse  nell'aspetto 

Del  Gran  Lombardo,  che  portò  la  Scala» 
E  sovvenuto  fu  con  grand'affetto. 

In  Casentino  errò»  e  sotto  l'ala 
Di  Salvatico  Conte  riparossi» 
Signor,  con  cui  si  monta  e  non  si  cala. 

Passò  variando  e  monti  e  piani  e  fossi 
Da  Malaspina  Morello  Marchese 
Gareggiando  ambedui  da  valor  mossi/ 

L'uno  di  fama  e  l'altro  delle  spese. 
Lasciando  Lunigiana  molto  visse 
Con  quel  della  Faggiuola  si  cortese 

Vicino  a  Urbino,  dove  tanto  disse. 
Indi  a  Bologna,  a  Padova,  a  Verona 
Alternando  Io  studio  molto  scrisse. 

La  bramosia  d'impardr,  che  sprona, 

L'indusse  a  meditar,  perchè  lontana 
La  speranza  d'italica  corona. 

E'  colse  riparando  alla  fontana 
Della  sapienza,  e  restituì '1  perduto 
Tempo  a  Filosofia  con  mente  sana. 

Non  si  stette  cosi  pertanto  muto, 
Ma  pensando  alla  Patria  ritentava 
Di  Luzinbur  l'Arrigo,  che  perduto 

Vedendol  nell'impresa  lo  destava 

Ad  esser  magno,  e  d'alta  fama  cinto: 
Ma  quel  trattando  in  molto  declinava. 

D'onde  fu  pria  battuto  e  poscia  vinto. 
Che  cosi  tocca  a  chi  dispregia  il  saggio. 
Che  vede  il  vero  ben  chiaro  e  distinto. 


470  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Chi  mai  potrà  tacer  di  dare  omaggio 
Al  magnanimo  largo  Cavaliere 
Di  Ravenna  Signor  d'alto  retaggio. 

Che  Dante  ricevè  con  quel  dovere, 
Che  merita  virtù  perseguitau 
Per  toglierla  da  false  a  cose  vere? 

O  Novel  Guido  da  Polenta  nata 
Certo  tua  gente  fu  dal  gentil  seme, 
E  da  qualche  Deità  forse  informata; 

Che  mai  non  vidi  tanto  unite  insieme 
Cortesia,  civiltà,  eh'  anch'  io  ringrazio. 
Che  la  tua  gloria  un  emulo  non  teme. 

La  generosità  per  lungo  spazio 

Vive,  e  vivrà,  e  sempre  più  famosa, 
E  fia  vergogna,  a  chi  non  è  mai  sazio 

Dell'  empia  iniquità,  in  cui  si  posa 

Queir  arbitro,  eh'  è  mal  dell'orbe  tutto. 
Cosa  in  vero  a  dirsi  dolorosa. 

Ma  la  virtù  deve  aver  lode  e  frutto, 
Mentre  eh'  il  vizio  ogni  castigo  merta, 
Finché  non  sia  diviso  e  poi  distrutto. 

Tra  molte  cose  buone  quanto  è  certa 
Quella  Poesia,  che  flagella  e  loda 
Senza  misericordia  alla  scoverta  ! 

Il  Sommo  Nostro,  che  tutto  disnoda 
Terribilmente  condannando  infama 
E  disvela  le  trame  d'ogni  froda: 

Ma  dove  pare,  e  scorge  d*  onor  brama 
Per  giungere  a  virtù  pura  e  distinta 
Senza  altro  porge  e  dona  lunga  fama. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  47  < 

Mi  spiace  ritoccar  con  simil  tinta 
Alcuna  fiata  i'  umil  mio  quaderno. 
Ma  sento  in  odio  la  gente  dipinta. 

Amo  sinceriti  fin  nel  governo: 
Desidero  la  pace  e  Y  armonia  : 
Vorrei  riconoscenza  nell'eterno. 

So  di  quanto  mai  danno  se  ne  sia 
La  politica  ingrata  dei  malanni, 
Che  dal  me'  seguitar  l'anime  svia. 

So  quante  rovine  e  quanti  affanni 
Sostenne  Grecia,  Roma,  e  la  mal  ferma 
Italia,  eh'  ancor  sente  acerbi  danni, 

Sicché  prolunga  a  vivere  da  inferma. 


CANTO  IV. 

Poetica  Mantova  |  genitrice  del  cigno  nazionale  |  Virgilio  Ma- 
*"*^'Kie  I  patria  del  sentimentale  Bordello  |  deh  sii  favorevole  |  umilian- 
***^^i  a  ricevere  il  canto  |  dell*  italica  tromba  |  del  dantesco  valore  | 
^We    di  cuore  e  d*  anima  |  ti  consacro. 

Vago  di  gloria  e  di  solidi  onori, 
Siccome  esser  dovrian  i  Cittadini, 
Amò  poesia  per  aver  splendori 

D'  una  Corona  di  rami  divini, 

Qual  vagheggiava  in  grembo  alla  sua  Fiora, 
E  ricusava  offerta  dai  vicini. 

Da  cui  aveva  avuto  certo  ancora 
"'    Venerazione  pel  concetto  ambito: 
Ma  morte  non  rispetta  la  dimora, 

E  per  lo  lungo  esiglio  fu  tradito. 

Sicché  spirò  con  la  speranza  in  petto, 
Ch'  il  resse,  eh'  e'  non  fu  vinto  e  smarrito. 


472  POESIE  DI   MILLE  AUTÓRI 

Ma  se  il  mal  fiore  rifiutò  l'aspetto 
Per  rodio  al  magno  poetico  laureto, 
Italia,  Europa,  e'I  mondo  del  difetto 

Per  lo  riparo  senza  alcun  decreto, 
E  sul  gran  capo  d'  ogni  scienza  carco 
Depose  serto  ad  ogni  secol  lieto. 

L' invidiosa  città  tendeva  al  varco 
Per  acchiappare  e  strugger  le  mondizie. 
Che  di  lordure  parve  l'Arno  scarco. 

Per  dare  un  saggio  delle  sue  primizie 
Ad  A:^:^oìin,  e  a  Nericoz^o  Uberti 
Troncò  la  testa  per  recar  delizie. 

E  ricompense  a'  gran  servigi  aperti 
Del  padre  Farinata,  che  difese 
Sodisfacendo  con  Fiorin  scoperti. 

Nericozzo  al  fratel,  che  lo  richiese 
N'  andiamo  a  risaldar  un  grave  antico 
Debito,  che  da'  padri  a  noi  s'estese. 

Poi  discacciò  per  lo  mondo  smarrito 
Il  nobil  seme,  cui  mancava  schermo, 
Ch'  in  Damasco  spirò  bene  ammonito. 

Oggi  altra  gente  per  lo  Stato  infermo 
Ahi!  simil  vive,  e  simile  s' ispira 
A  tai  prodezze  e  molto  ritien  fermo. 

Maledetta  sii  tu  infame  e  dira 
Sementa  di  delitti,  che  dal  seno 
Schianti  gli  affetti  per  riporvi  l'ira. 

Dall'  alto  scesa  per  V  ampio  sereno 
Divinità,  levossi  un  culto,  un  tempio, 
E  perchè  mai  non  ne  venisse  meno 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  473 

O  muto  Stasse  ad  altri  scorno  e  scempio, 
Parve  mestier  che  di  parole  magne 
Con  regola  e  misura  in  raro  esempio 

Si  dettasser  le  lodi  lor  compagne 

Lusingando,  encomiando  in  vario  modo 
Quanto  per  gioia  s' ha,  quanto  si  piagne, 

Onde  vennero  i  vati,  e  muse,  ch'odo. 
Che  celebrando  e  cantando  le  feste 
S'  avvinser  V  alme  col  celeste  nodo. 

Il  Tiranno  cosi  n'  usurpò  veste 
Per  dominare  i  popoli  credenti, 
Ed  intese  eh'  a  lui  Vati  scriveste. 

V  umane  stragi  fur  pinte  alle  genti 
Con  color  vario  ritorcendo  il  vero 
E  '1  campo  ingrato  con  fiori  ridenti; 

Che  senza  Poeti  mal  si  resse  impero: 
Né  furon  gesta  già  mai  memorate, 
Né  falso  udito,  né  parlar  sincero. 

Allor  parver  le  Muse  alme  create, 
E  rispettato,  e  poi  temuto  il  Dio 
Che  dal  Castalio  monte  ha  potestate. 

Gli  Eroi  ebbe  in  custodia  il  nostro  D/o, 
Le  battaglie,  le  leggi,  Talte  imprese, 
E  della  civiltà  fu  fatto  il  Dio. 

Ogni  seguace  seco  lui  si  rese 
Di  vittoria  signor  nel  senso  umano, 
Com* altro  Imperator  d'armi  distese, 

Sicché  per  compensar  con  larga  mano 
Il  braccio,  e  '1  genio,  verso  d'amendue 
Si  scelse  il  Lauro  Omerico  Sovrano, 


474  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Che  inai  non  lascia  delle  frodi  sue 
Il  vivo  verde,  che  diletta  e  piace, 
Perchè  disiato  dalli  etemi  fue. 

Nulla  paventa  il  Poeta;  non  dispiace. 
Se  colpisce,  se  loda,  né  cancella 
Un  metro  il  tempo,  che  con  altri  face. 

Dante  alla  scorta  di  cotanta  stella 
Segna  de' giorni  suoi  l'applicazione, 
E  se  la  svolge  con  nuova  favella. 

Punto  dal  duolo  armando  la  ragione 
A  vendicar  le  offese  con  l'oltraggio 
Volle  sua  gloria,  e  V  altrui  punizione. 

Era  r  età,  che  riordinava  il  viaggio 
Delle  misere  vittime  di  morte 
Dentro  V  ideale,  che  frange  '1  coraggio. 

Ecco  già  Dante  ardimentoso  e  forte 
Investirsi  d'idee  dell'artifizio, 
E  le  soglie  varcar  d'eterne  porte; 

Che  retro  al  Cigno  del  maggiore  indizio. 
Che  porta  Numi  sotto  le  grandi  ali, 
Si  slanciò  dentro  del  novello  ospizio. 

Ordinò  con  ragion  futuri  mali: 
Argomentò  potersi  fare  emenda: 
I  buoni  munerar  con  gli  immortali, 

Dove  improntò  eh'  a  secoli  risplenda 
La  virtù,  il  vizio,  di  cotal  parola 
Senza  nulla  pietà,  eh'  il  mondo  intenda. 

Fissò  i  pensier  con  l'  arte  d'  una  scuola 
E  somma  e  nova  e  con  variata  forma, 
Ch'  ancor  la  civiltà  si  riconsola. 


INTORNO   A   DAJ4TE   ALIGHIERI.  -175 

Dettando  legge,  eh*  universo  informa 
D'  ogni  giustizia,  con  si  nobii  metro 
Il  precursore  fu  della  riforma. 

La  favola  è  Commedia,  nel  cui  vetro 
AI  popolo  s'  espone,  e  viceversa 
È  la  Tragedia  istoria.  Dico  a  retro 

Riguardando  Virgilio,  ch'attraversa 
Qualunque  età,  istorico  di  Roma, 
E  Dante  novellier,  che  non  s' avversa. 

Però  d'idea  del  volgare  idioma, 

Ch*  al  popolo  Cristiano  ne  racconta, 
La  Triade  iniqua  pensa  render  doma. 

La  lode  al  Sangue  Tun  fa  chiara  e  conu, 
L'altro  la  società  fatta  da  Adamo, 
Che  col  delitto  troppo  si  confronta. 

Molte  altre  cose  scrisse,  eh*  i' non  bramo 
Registrar  qui,  che  ne  son  si  note, 
Che  senza  colpa  noi  tacer  possiamo. 

Tende  '1  Convito  a  dimostrar  che  puote 
Filosofico  ingegno  in  rime  sparso 
Sotto  la  guida  di  liriche  note: 

La  Vita  Nuova  è  un  bel  gioiello  sparso: 
Dell'  Eloquio  Volgar  fìa  nobil  dire: 
Ne  quel  De-monarchia  apparve  scarso. 

Egloghe  e  versi  fé',  che  rifiorire 
Vide  *l  Parnaso  la  deserta  piaggia, 
Ch'  un  vario  canto  in  lui  s' ebbe  ad  udire 

Togliendo  il  mondo  dall'  idea  selvaggia  : 
Gran  filosofo  fu:  parlator  franco, 
E  '1  suo  pensier  continuamente  viaggia 


47^  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Da  mane  a  sera  e  nella  notte  al  fianco 
Del  mortale  si  posa,  e  seco  veglia, 
Che  nel  suo  meditar  non  par  mai  stanco. 

Quando  V  aurora  gli  animali  sveglia, 
Percorre  il  mondo,  come  suon  di  tromba, 
Trionfator  che  il  ver  ovunque  speglia. 

E'  dando  fiato  all'  epica  rimbomba 
Per  educare  al  retto  fine,  al  bene, 
Che  per  V  eternità  s'  ode  la  tromba. 

O  savia  alma  Poesia,  che  conviene 
L*  ispirazion  d'  un  ver,  d' un  buono  e  bello, 
Ond' avanzarsi  a  fiaccar  le  catene, 

Tu  fosti,  se',  sarai  robusto  uccello. 
Che  gli  aquilotti  regge  al  primo  volo. 
Perchè  de'  suoi  non  si  faccia  bordello. 

A  chi  vuol  infangarsi  entro  del  suolo 
Faccia  sua  arte,  che  non  gliela  invidio. 
Che  teco  sorridendo  mi  consolo. 

Come  Orazio,  Virgilio,  e  '1  buon  Ovidio. 
Canto  V. 

Memorabile  Ravenna  |  sopra  tutte  magnanima  |  che  proteggesti 
ed  onorasti  |  Dante  Alighieri  |  ramingo  e  profugo  |  di  cui  custodisci 
orgogliosa  e  devota  |  le  sacre  ceneri  |  deh  sii  per  accogliere  |  il  fu- 
nebre doloroso  canto  |  del  Poeta  italiano. 

Dell'  espor  dimostrando  l' arte  in  rima. 
In  Ravenna  esaltava  l'Argomento 
Con  maraviglia  e  con  pubblica  stima. 

Quando  a  tal  opra  s' occupava  attento 
Sul  cinquantesmo  sesto  di  sua  vita 
Il  giunse  morbo  inesorabil  lento. 


WTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  477 

Per  cui  r  alma  fuggii  e  dipartita 
Dal  mondo  fé*  in  grembo  de'  ridenti 
Astri,  u'  la  virtù  non  fu  sbandita. 

S*  in  terra  il  duol  con  i  mesti  lamenti 
V*  era,  ed  in  bruno  Ravenna  coperta, 
Scendeva  all'Alto  con  gli  occhi  lucenti 

La  diletta  Beatrice  non  incerta, 

E  tra  le  braccia  levando  il  suo  fido 
Caro  la  via  del  ciel  gli  fé'  più  certa: 

Ed  udissi  echeggiar  unico  un  grido: 
Ecco  uniti  gli  amori:  viva  il  Vate: 
Viva  del  trino  regno  *1  sacro  nido. 

Qual  parte  di  divina  cantate 
Al  fianco  di  colui,  che  tutto  impera. 
Il  depose  la  donna  con  bontate. 

Fu  quivi  salutato  dalla  schiera 
Dei  serafini  e  dei  beati  cori 
Dell'eccelsa  dottrina  ed  una  e  vera. 

Non  si  tennero  in  ciel  solo  gli  onori  ; 
Che  dell'aquila  '1  nobil  cavaliere 
Ornamenti  ordinò  quanto  maggiori 

Alla  frìgida  salma  del  sapere, 
Ch*  a  simbolici  segni  tempestare 
Del  poetico  valor  fé*,  che  vedere 

Potessi  il  verde  lauro  li  parlare: 
Pianger  la  cetra,  come  rauca  pure 
S'  udì  quasi  la  Tromba  lamentare 

Il  suo  signor,  e  V  alte  sue  scritture 
In  silenzio  penar  col  cor  ghiacciata 
Per  ritardar  ancor  l'età  mature. 


478  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Sopra  funebre  letto  riposato 

Su  r  omeri  del  fior  dei  Ravennati 
Con  lenta  pompa  venne  trasportato 

Nciruma  a  pietra  per  dove  serrati 
Fur  gli  gelidi  avanzi  *n  pensier  santo 
D*un  mausoleo,  che  mostrasse  a'  nati 

Il  vasto  genio  d'universo  canto, 
Che  superava  alla  vittoria  gli  anni, 
E  quanto  ordito  fora  al  papal  manto. 

Di  ciò  non  sazio,  immerso  negli  affanni 
In  treno  da  Signore  si  recava 
Nella  casa  del  Vate  senza  inganni 

Commemorando  lui,  che  lamentava 
E  tra  le  doglie  consolando  i  figli 
I  congiunti  e  gli  amici  sei  chiamava 

Illustre  tipo  ai  sovrani  consigli. 
Astro  a*  futuri,  di  cui  fora  duce, 
Ch'  ogni  umano  gentil  si  maravigli. 

0  magno  Ravennate,  non  se*  luce 

A'  Duchi,  ed  a'  Monarchi,  ed  agli  Imperi, 
Se  fosse  chi  vedesse  che  riluce  ? 

1  Grammatici  presti  e  volentieri 

Nella  lingua  del  Lazio  udendo  *1  fine 
Dettaro  i  metri  a'  superbi  pensieri. 

Monumentali  allor  furon  di\nne 

Parole  in  scienza  di  dottrina  carche 
E  dolci  e  gravi,  oneste  e  pellegrine, 

Perchè  la  fama  battesse  le  Parche 
Nel  regno,  che  divora  quelle  chiuse 
Alme,  che  visser  di  valore  scarche. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI  479 

Sudar  le  fronti,  lagrimar  le  Muse 
Con  Apollo,  ed  in  nero  vel  cuoprissi 
Dì  nubi  il  sacro  monte,  che  si  chiuse 

Il  cor  d*  Itah'a,  eh'  a  fatica  aprissi. 
Si  smarrì  civiltà,  perduta  scorta 
D' un  Manto,  d'  un  Impero,  come  dissi. 

O  famosa  Ravenna  non  fia  mona 
Per  l'infinita  età  la  tua  gran  fede, 
Che  del  futuro  se' fatta  la  porta. 

L'Aquila  con  Cesare,  che  riede 
Ricoverasti  dalle  Gallie  stanco, 
Ch*  al  Rubicone  in  Roma  pose  '1  piede. 

L*  antiveggenza  tua  non  venne  manco, 
E  1'  Esarcato  in  te  s  ebbe  la  stanza, 
Ch'  ogni  lingua  di  fama  ti  sta  al  fianco. 

Deh!  lieta  vivi,  che  la  tua  speranza 
È  di  felicità,  eh'  arreca  pace; 
Che  con  Dante  n'  hai  altra  dilettanza. 

Tra  mille  e  mille,  la  cui  salma  giace 
Nella  tua  cinta,  che  seguette  '1  vero, 
Decoro  illustre  di  gloriosa  pace. 

Ben  si  riposa  l'Altissimo  Omero 
Dell'Italia  Novella,  cui  fu  guida, 
Ch'  alla  moderna  luce  apri  '1  sentiero. 

Mentre  che  tutto  si  dolea,  sol  fida 
Nel  male  immota  se  ne  stava  Flora, 
Com*  in  barbara  rocca,  cui  s'  annida 

Fiera  silvestre  di  costante  mora; 

Che  non  die  segno  al  colpo  di  sventura 
In  quel  che  riportò  la  nuova  aurora: 


4^0  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Ma  come  spenta  fosse  vii  creatura, 
Sdegnosa  indifferente  non  fé'  pianto» 
Che  d*  una  gioia  assai  volgare  oscura. 

Cosi  '1  pittor  del  Sarto  d*  arte  incanto 
Dopo  molto  mori,  qual  fosse  infesto 
Ignorant' uomo,  senza  pompa  e  canto. 

O  Guelfo,  o  Ghibelb'n,  insigne,  onesto 
Qualunque  fosse  dalla  gloria  amato 
A  maraviglia  lo  fai  manifesto: 

Se  poi  mediocre  simile  al  tuo  stato 

Divien  mai  meno  col  leggiadro  ingegno 
A  Tetra  Y  alzi  'n  lauro  incoronato. 

Con  la  morte  finir  suole  lo  sdegno, 
L'odio,  il  rancor,  l'inimicizia  grave 
Con  tutto  il  mal  dell'oro  e  del  suo  regno: 

Ma  per  te,  o  Dante,  eh'  avesti  la  chiave 
D'ogni  celebrità  con  tua  balia. 
Il  diffamarti  a'  rei  parve  soave. 

Qual  non  sente  virtù  se  n'odia  in  pria 
La  tua  chiarezza  e  poi  la  tua  potenza, 
E  come  serpe  a'  prati  giace  in  via 

Tentando  dar  veleno  all'eccellenza 
Di  te,  che  lotta  colossale  e  fiera. 
S'urta  di  più  air  orientale  essenza. 

Se  cedi  vinta  tu,  Fiorenza  altera, 
Per  avere  alternato  il  tuo  diadema. 
La  vendetta  d'un  Dio  calmar  chi  spera? 

Pochi  giusti  vi  son,  che  senza  tema 
Mirano  al  legno  per  lo  sen  dell'onde. 
Che  per  lor  prego  la  grazia  non  scema. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  48 1 

Già  già  r  Europa  meglio  corrisponde 
Nella  dotta  parola  del  Poeta, 
Che  più  la  verità  non  si  nasconde. 

Dove  l'umanità  fassi  più  lieta. 


Canto  VI. 

Eterna  Roma  |  che  rompi  i  confini  del  mondo  |  levandoti  agli 
11  mortali  |  non  ricusare  |  il  canto  della  fama  dì  colui  |  che  da  vec- 
chiezza a  gioventù  |  come  Taraba  fenice  |  ti  risvegliava  |  onde  ancora 
e  drai  I  r  impero  novello. 

La  fama  serbatrìcé  delli  umani 
Fasti  levossi  sostenendo  il  volo 
Per  divolgar  ne'  paesi  lontani 

Quanto  avea  visto  all'italiano  suolo, 
E  l'etra  mossa  seguitava  '1  viaggio, 
Che  padre  seco  aveva  e  non  figliuolo. 

Ribatte  Tali  nel  dantesco  omaggio 
Per  le  contrade  lungo  l'Appennino 
In  riva  a'  mari  spargendo  il  suo  raggio. 

Varca  intrepida  l'Alpi  nel  cammino, 
Ch'apri  '1  nemico  fier  nostro  Anniballe, 
Che  contese  con  iloma  un  gran  destino. 

Passati  i  Monti  entro  la  franca  Valle 
Lascia  trista  memoria  dolorosa, 
E  seguitando  oltre  il  marino  calle 

Su  l'Anglia  piega  seria  e  nebulosa, 
Ch'inclina  a  tenerezza  ed  a  mestizia, 
E  gli  affetti  d'un  bruno  vi  riposa. 

Si  volge  a  destra,  e  là  senza  letizia 
Nel  meditar  della  Germania  infonde 
La  fatale  mortifera  notìzia. 

Oit  Balio.  Voi.  XIV.  3^ 


482  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Seguendo  contro  Oriente  risponde 
Ogni  parte  di  terra  nel  suo  corso. 
Che  dove  l'Astro  tace  sol  s'asconde. 

Il  sommo  Vate,  eh*  altri  avea  soccorso, 
Di  soccorso  fu  degno,  e  fu  laudato 
In  verso,  in  prosa  senza  alcun  rimorso. 

Se  nella  vita  sua  fu  disturbato 
Da  cure  materiali,  serbò  fede 
A  quello  spirto,  eh'  uom  fassi  beato. 

D'ogni  nostra  grandezza  eletto  er^de 
Alzossi  in  atto  e  degnamente  scosse 
11  pedantismo,  ch'infranse  col  piede. 

Lo  stil  del  secol  d'oro  si  riscosse. 
Ed  ebbe  sangue  dalla  lingua  nuova. 
Grande  e  potente,  come  prima  fosse. 

Ecco  la  scuola  tutu  si  rinnova, 

E  l'orma  impressa  dal  grand' Alighieri 
Seguir  l'insegna,  ch'ali' Italia  giova. 

La  colossal  pittura  fu  mestieri 
Studiare  attentamente,  dove  i  segni 
D'ogni  argomento  son  gravi  e  leggieri. 

Dove  s'impara  a  ben  guidare  i  regni, 
A  ricondurre  l'onestà  sicura, 
E  nella  emulazione  i  belli  ingegni; 

Perchè  nel  cuore  giovanil  matura 
Insieme  al  sangue  nella  prima  etade 
Del  dovere  l'idea  costante  e  pura. 

Onde  da'  figli  spera  caritade 
Alfin  l'Italia,  che  torna  sincera 
Nella  prisca  fierezza,  che  non  trade. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  483 

L'antica  scienza  unissi  a  quanto  v'era 
Gii  di  risorto  nel  pensier  moderno: 
Tanto  s'accrebbe  del  saper  la  spera. 

Come  Colui,  che  sen  mori  a  Linterno, 
Che  Spagna  e  Zama  feo  di  gloria  reda, 
Per  l'ingratitudine  d'un  governo, 

Il  nostro  Dante  a  Ravenna  fu  preda 
Fuor  della  terra,  che  le  die  i  natali. 
Per  bene  oprar,  perchè  meglio  succeda. 

Come  già  a  Roma  per  colmo  di  mali 
Germogliò  quell'offesa  per  l'invidia. 
Cosi  a  Firenze  s'aguzzar  gli  strali, 

Là  pel  valore  e  qui  per  certa  accidia; 
Che  voglia  non  fu  mai  di  perfezione 
Nelle  Città,  dov'annida  perfidia. 

La  notte  s'avventò  senza  ragione 
Contro  la  Gloria  dalle  sette  arcane, 
Che  l'Italia  sentinne  umiliazione: 

Ma  contro  delle  file  olcremontane 
E  le  marine,  che  firmar  l'accordo 
Per  soflfocar  l'intelligenze  umane, 

Minerva  armata,  che  già  die  ricordo 
A'  que'  Giganti,  che  pugnaro  a  Flegra 
Con  lo  scudo  d'antica  fama  ingordo. 

Per  entro  il  cor  d'ogni  falange  negra 
Ritorce  assai  le  punte  avvelenate. 
Perchè  la  punizion  fosse  più  integra. 

Ecco  il  dardo  d'Apollo  d'ogni  etate. 
Sicché  là  Grecia  '1  vide  con  Calcanta, 
E  Niobe  '1  disse  senza  vanitate. 


484  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Venere  madre,  cui  T  Italia  vanta, 
Con  l'aspetto  leggiadro,  come  stella. 
Smaglia  loriche  e  la  vittoria  canta. 

Lonze,  Leoni  e  Lupe,  alla  favella 
Robusta  degli  italici  campioni 
Dai  pie  cadon  feriti  alla  mascella. 

Pugna  la  gioventù,  ch'odia  gli  sproni, 
Che  si  caccia  bramosa  nello  aringo; 
Che  le  corone  s'han  da  questi  doni. 

L' Italia  ornai  non  vuol  eh*  è  loiteringo, 
Ned  altri  mai  a  tali  sette  amici. 
Che  vivon,  come  bestie,  ed  io  non  fingo 

Cose  strane,  ma  svelo  le  radici 

Al  Nazional  Concetto  intero  e  tondo 
Tirando  sempre  più  sopra  i  nemici. 

Miro  già  già  tornare  entro  del  mondo 
L* avito  scettro,  ch'occidente  vede 
Con  occhio  singolare  a  lui  giocondo. 

Vedo  alfine  eh'  Italia  in  Dante  crede, 
Che  nel  suo  rinnovarsi  bianca  immago 
d'innalza  in  pegno  della  avuta  fede. 

Oh!  salve,  Italia,  onde  pur  io  m'appago: 
Salve  Reina  adorna  dell'antico 
Diadema  e  del  novel,  che  fia  più  vago» 

Salve,  tempio  di  Dio,  sempre  più  amico. 
Luce  d'ogni  virtù:  pari  all'aurora 
T'avanzi,  ch'altre  glorie  ti  predico. 

Salve,  Madre  leggiadra,  alma  dimora 
Del  Genio  delli  Eroi  e  di  dottrina. 
Onde  intero  il  mondo  se  ne  onora.. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  485 

Salve  mia  terra  alfin  sempre  divina, 
In  te  della  fortuna  è  '1  simulacro, 
E  della  Qviltà  più  pellegrina. 

Fiorenza  illustre,  or  ecco  '1  pio  lavacro 
Ti  sdebita  cosi  me'  seguitando 
All'emenda  gentil  del  Vate  Sacro. 

Sol  a  me  duole,  se  vo  ripensando, 

Ch' allorché  avevi  in  te  tuo  reggimento 
Non  revocassi  ancor  il  crudel  bando: 

Che  mentre  decretavi  a  cento  a  cento 
Riparazioni,  al  preside  triumviro 
Trascuravi  il  marmoreo  monumento. 

Non  senza  alcun  principio  anch'io  m* adiro. 
Perchè  tra  remi  del  tuo  breve  regno 
Chi  seguitava  v'era  il  nostro  giro. 

Trascurati  i  miglior  con  raro  ingegno 
Ti  circondasti  di  minor  sostanza, 
Che  di  causa  a  dubbiar  rinacque  un  segno. 

Fu  tanto  amato,  chi  s'ebbe  sembianza 
Di  Lorenese,  o  di  coda  bastarda, 
Che  la  reazione  ripigliò  baldanza. 

Similemente  v'è  per  chi  riguarda 
L'ingrata  gente  ancor  alle  novelle. 
Che  dan  timor  d'una  voce  bugiarda. 

Tu  compensasti  i  peggio,  ed  in  favelle 
Ti  perdesti  di  fronte  a  Cittadini, 
Che  ne  vergognan  fino  le  donzelle. 

Peruzzi  per  compenso  e  Malenchini 

Con  quanti  ebbero  fior  di  senno  in  testa, 
E  all'austrìaco  ornato  il  tuo  Danzini, 


4S6  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Servir  l'Italia  per  i  di  da  festa 
Provvedendo  con  Tordine  più  fine 
All'Austria  prepotente  e  tanto  infesta. 

Pur  V*  è  chi  cinge  a  mirto  e  lauro  il  crìne^ 
Mentre  che  tu  con  l'opere  leggiadre 
Stavi  per  Scilla  e  Carìddi  al  confine. 

Autonomica  più  qual  buona  madre 
Proteggesti  gli  avari  ed  i  sospetti, 
E  favoristi  il  manto  del  Re  Padre, 

Sicché  '1  disio  delli  italiani  affetti. 
Che  con  parole  descrivevi  in  fogli 
Deviasti  in  frasi  ed  in  soli  concetti; 

Ch'in  quella  tafferuglia  in  mezzo  a' scogli. 
Che  spezzavan  le  monche  monarchie. 
Aver  si  potea  Roma  senza  imbrogli. 

Se  l'Anglia  nobii  non  era  a'  que'  die^ 
E  '1  magno  Imperator  Sangue  Latino, 
Le  nostre  sorti  sarian  utopie: 

Ma  le  schiere  di  Marte  a  Solferino 
Menando  brandi  non  erano  lenti 
Con  r  Italia  riunita  a  S.  Martino. 

In  Sicilia  discesero  i  valenti: 

Ad  Ancona  e  Gaeta  in  fort'aspetta 
Furon  l'armi  del  Regno  rilucenti. 

O  se!  non  era  il  nazionale  affetto 
Per  tema  di  qualch' altra  dura  soma 
Ogni  imbroglio  saria  stato  interdetto... 

Ma  senza  Te^  Cui  1'  universo  noma 
Signora  e  Madre,  ove  non  è  contesa. 
Nulla  dura  quaggiù,  alma  mia  Romat 


INTORNO  A.  DANTE  ALIGHIERI.  487 

Certo  seguisti  e  fu  beila  sorpresa 
U  mota,  ch'opinasti  lusingare 
Per  aon  sapere  quant'era  distesa 

La  tela,  che  ti  parve  indovinare. 

Ahi  s'altre  tu  non  hai  più  lunghe  spanne 
Seguita  l'opra  dell'usureggiare. 

S'avesti  nome  degno  d'alte  scanne 
li  da  a'  Ghibellin;  che  l'affannata 
Lingua  del  Guelfio  ti  seccò  le  canne. 

Tu  fusti  dall'Italia  conquistata, 
Che  l'opre  dell'esiglio  alle  superbe 
Bolgie  d'inferno  t'  hanno  confinata. 

Ah!  perchè  fosse  tolta  alle  verd'erbe 
Del  tempo  Quella,  che  ben  vide  farsi 
Italia  all'Indie,  e  nelle  voglie  acerbe 

D'un  Concordato  indegno  a  ricordarsi 
Non  cape  in  mente,  poiché  l'animose 
Celebrità  si  videro  piegarsi. 

Or  mi  volgo  all'Italia,  che  di  cose 
Di  gloria  è  carca  e  lunga  fama  avita. 
Perchè  si  possan  cogliere  altre  rose. 

Al  mio  Petrarca  puro,  che  e'  invita 
Alla  gran  palma  del  nuovo  Soldano, 
In  cui  r  Italia  pon  l'unica  vita, 

Perchè  non  sia  di  già  d'industre  mano 
Busto  e  Colonna  compatir  non  posso. 
Se  non  nell'odio  e  nell'errore  umano. 

Egli  l'Impero  avea  d'Italia  mosso, 
E  se  non  v'era  Renzo  lo  tribuno, 
Ogni  giogo  stranier  era  già  scosso. 


POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


Del  Boccaccio  gentil  non  son  digiuno. 
Che  portò  '1  greco  studio  a  proprie  spese 
Nella  Toscana  senza  premio  alcuno. 

Egli  di  vero  amor  sempre  s'accese 
Pe*  patri  amici,  che  di  Dante  estinto 
La  civile  virtù  tanto  difese, 

Che  dal  suo  zelo  in  povertà  fu  vinto.  * 


'  Queste   rime  cosi    farouo  pubblicate  nel    1865  in  Firenae  presso  U  tip.  dei 
cessori  Le  Monnier,  in-8. 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  4S9 


DCCLXVIII. 

Paolo   Pezone. 


>ANTE  Alighieri,  che,  immaginando  la  Divina  Comme- 
dia, PREDICE   mirabilmente    l'  INFLUSSO   DEL    RIFUGIO 

DI  Maria  SS.  nel  compimento  degli  umani  destini. 

(14  maggio   1865). 

Donna,  te'  tanto  grande,  e  tanto  vali. 

Che  qual  vuol  grazia,  ed  a  Te  non  ricorre. 
Sua  disianza  vuol  volar  senz'ali. 

(Par.  XXXIII). 


Qual  da  spietata  e  perfida  noverca. 
Dalla  patria  reietto,  in  suo  sentiero, 
Iva  d'albergo  e  d'alimento  in  cerca 
Il  Cigno  Fiorentin,  l'Italo  Omero, 
Quando,  con  genio  cui  nuli' oro  merca, 
Levatosi  in  altissimo  pensiero, 
Contempla  il  bel  giardino  di  natura 
Fatto  selva  selvaggia,  ed  aspra  e  oscura. 

Vede,  dall'Alpi  al  Lilibeo,  la  guerra 
Ahi!  fratricida  desolar  le  genti, 
E  quei,  che  un  muro  ed  una  fossa  serra. 
Troncarsi  a  brani,  e  struggersi  furenti; 
Vede  crescer  Tiranni  in  ogni  terra, 
Lieti  i  Delitti,  e  le  Virtù  piangenti; 
Vede  che  degli  onori  il  sommo  tiene 
Ogni  villan  che  parteggiando  viene. 


490  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Allo  spettacol  tristo  e  miserando, 
Già  vulnerato  gli  trambascia  il  core. 
Ei  fassi  in  volto,  come  nube,  quando 
Vermiglia  e  immota  piange  il  di  che  muore. 
Con  ansia  di  pietà  va  meditando 
Come  apprestar  rimedio  a  tanto  orrore... 
Esclama  infin,  le  luci  al  Ciel  levate, 
O  Muse  o  alio  ingegno,  or  m'aiutate. 

Al  generoso  grido,  ecco  le  Dive, 
Non  di  Cirra  bugiarda  cittadine. 
Ma  quelle  che  s'udirò  in  sulle  rive 
Del  Giordano,  cantar  l'opre  divine, 
Risponder  fide,  e  di  menzogna  schive. 
Ad  ogni  Ver  dischiuder  le  cortine. 
Che  deve  il  Vate,  col  potente  verso. 
Descriver  fondo  a  tutto  l'universo. 

Mettesi  quinci  di  quel  Sommo  al  cenno 
Già  tutta  del  saver  l'ampia  famiglia; 
Ne*  suoi  robusti  voi  quel  divin  Senno 
Or  con  Fé,  or  con  Natura  si  consiglia 
E  quanti  gesti  fur,  che  inarcar  fenno 
A'  stupefatti  secoli  le  ciglia, 
Prestansi,  e  al  gran  Lavor  che  si  disserra, 
Pongon  cosi  lor  mano  e  cielo  e  terra. 

O  Donna  il  cui  valor  il  mondo  allieta, 
Deh!  afforza  di  mio  spirto  la  pupilla. 
Tu  dammi  dell' altissimo  Poeu, 
Nel  dir  di  Tuo  Rifugio,  una  scintilla. 
Tu  fa  che  io  sveli  la  virtù  segreta. 
Che  nel  mirabil  Carme  egli  sigilla. 
Onde  l'idea,  che  a  svolger  mi  movesti. 
Segnata  oel  mio  capo,  io  manifestL 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  49 1 

E  tu  perdona,  incomparabii  Vate, 
Se  in  queste  basse  e  disadorne  rime, 
Vedi  le  gemme  tue  spesso  incastrate, 
Ma  senza  onor  di  tue  perite  lime. 
Credei  che,  sol  tue  note  adoperate. 
Spiegar  potriasi  il  tuo  pensier  sublime... 
Oh!  si  ch'io  venga,  in  piccioletta  barca. 
Dietro  il  tuo  legno  che  cantando  varca. 

La  gente,  che  vagava  orba  e  smarrita 
Per  vie  ritorte  di  selvaggia  valle. 
Menar  voleasi  al  colle  della  vita 
Dal  nostro  Vate,  per  ameno  calle; 
E  già  di  Sole  gli  apparìa  vestita 
L'ardua  montagna  al  sommo  de  le  spalle. 
Ma  diergti  poi  tre  fiere  tal  gravezza 
Da  torgli  la  speranza  dell'altezza. 

Anzi  precipitava  in  basso  loco 
Dove  del  bel  Pianeta  il  raggio  tace, 
Dall'aspetto  ripinto,  a  poco  a  poco. 
De  la  Bestia  bramosa  e  senza  pace, 
Se  Tal  non  gli  appariva,  al  quale  ei  fioco, 
Miserere  di  me  a  gridar  si  face. 
Deh!  toglimi  agli  orror  del  gran  diserto, 
Qual  che  tu  sii,  od  ombra,  o  uomo  certo. 

Ed  era  quel  Virgilio  del  Trojano 
Enea,  già  nobilissimo  Cantore, 
Quegli  ond'ei  tolse,  con  saver  sovrano. 
Lo  bello  stile  che  gli  ha  fatto  onore! 
Quegli  parlando  a  lui  soave  e  piano, 
Come  a  diletto  figlio  genitore, 
Se  vuoi  venir,  gli  dice,  al  lieto  rnggio, 
A  te  convien  tener  altro  viaggio. 


492  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Muover  tu  dèi  di  qui  per  luogo  eterno, 
Ed  io,  non  paventar,  sarò  tua  guida; 
Discenderai  con  me  nel  basso  inferno, 
Ove  udirai  le  disperate  strida. 
Poscia  color  vedrai  che,  a  quanto  scerno. 
Contenti  son  nel  fuoco,  che  1*  affida 
Speme  del  cieL  Per  altri  sarai  dove 
La  gloria  è  di  Colui,  che  tutto  muove. 

Da  suo  timor  cosi  Dante  disciolto, 
O  massimo  Poeta,  io  ti  ricbieggio 
Pel  Dio,  risponde,  al  qual  non  fosti  vólto, 
E  pel  tuo  dir  cui  grado  saper  deggio, 
Che  a  questo  rio  diserto  io  venga  tolto. 
Onde  ne  vada  al  fortunato  Seggio. 
E  il  buon  Virgilio  all'opra  allor  si  pose, 
E  il  mise  dentro  a  le  segrete  cose. 

Ed  ecco  d'Alighieri  il  traposscnte 
Genio,  dell'esser  pel  gran  mar  l'antenna 
Dell'ingegno  portar  siffattamente. 
Che  noi  seguiteria  hngua,  né  penna. 
E  scorre  ogni  contrada  ed  ogni  gente, 
E  a  pene,  e  a  premi,  e  a  tristi,  e  a  buoni  accenna, 
E  sol  s'arresta  innanzi  al  Trino  ed  Uno, 
U'  non  si  muta  mai  bianco  né  bruno. 


Ma  in  questo  arcano  spiritai  cammino. 
Pel  qual  menar  tu  vuoi  tutti  gli  umani, 
Piucchè  Virgilio,  o  Apollo  fiorentbo, 
Chi  mai  fa  i  passi  tuoi  facili  e  piani? 
Ah!  mei  dicesti  già  tu  in  bel  latino. 
In  uno  degli  slanci  tuoi  sovrani, 
Quando,  avvisando  in  ciel  lo  maggior  foco. 
Cantavi:  È  quel  bel  Fior,  che  io  sempre  invoco. 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  49} 

E  la  Donna  '  gentil,  che  là  su  in  cielo, 
Si  compiangeva  de  lo  impedimento 
Delle  tre  6ere,  e  di  Giustizia  il  telo 
Duro  frangeva,  con  pietoso  accento. 
Chi  mai  ascondea  nel  sottil  suo  Velo, 
Se  non  di  quel  bel  Fiore  T ornamento? 
Se  non  l'Augusta,  a  cui  mente  e  favella 
Sempre  drizzasti,  come  l'ago  a  stella? 

Vero  è,  che,  per  T  inferno  discorrendo. 
Sino  al  più  cupo  di  dolore  ostello, 
Di  Lei  te  andasti  in  tuo  cammin  tacendo 
Co*  spirti  d'ogni  cerchio  e  d'ogni  avello. 
Ma  ciò  facesti,  se  il  tuo  dir  comprendo, 
Per  indicar  che  la  del  mal  flagello. 
Sia  lungi  sol  dal  loco  maledetto 
Ove  è  perduto '1  Ben  dell'intelletto. 

Escasi  intanto  fuor  dall'aura  morta, 
Traggasi,  ove  lo  spirito  si  purga. 
Qui  di  Colei,  che  al  Cielo  è  fida  scorta, 
Avvien  che  chiara  la  presenza  surga. 
Ognun  dei  sette  regni  si  conforta 
Della  virtù  di  Lei  tàumaturga, 
All'ombra  ognun  di  quel  divino  Segno 
Qui  di  salire  al  ciel  diventa  degno. 


'  «  Noi  non  «^rtaimo  «ecoturd  •!  tca- 
timcmo  gcacrale  dcgl*  interpreti  i  quali  qui 
(cioè  dove  Daot«  fa  meiuione  della  donna 
gwtile)  non  veggono  che  la  Clemenza 
peraoaifica.  Una  allegoria  astratu  non  po« 
tr^bo  eteere  confata  in  una  medesima 
finzione  con  due  donne  iatoriche.  Anzi 
noi  ao^pttiaroo  doverti  trovare  la  tco- 
aosdota,  come  le  due  tue  compagne, 
Ttrso  la  ino  del  Farmiùo.  Coti  vuole  la 
liametricn  dispoaizìone  della  favola.  Ma 
fui*  é  la  BobUe  ligaora  dei  cieli,  che  non    I 


ha  bitogno  di  un  ni>me,  la  cui  interces* 
tione  piega  l' immutabile  Giudice,  te  non 
colei,  che  ti  chiama  Nottra  Signora,  nella 
antica  favella  delle  nazioni  crittiane?  È 
quella  che  il  Poeta  vede  teduta  da  lovrana, 
nel  primo  posto  della  Corte  beata ...  Nel> 
l'augusto  aspetto  di  lei  più  risplendente 
che  mai,  egli  contempla  la  rassomiglianza 
divina,  egli  le  volg^  la  sublime  preghiera 
per  la  quale  comincia  U  suo  ultimo  canto.  » 
j    (Ozanam,  DanU  t  /a  Jiiosojia  étl  secolo  xiii). 


494  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Però  di  Lei  sovente  si  ragiona 
Tra  quell'anime  calde  ne'  martori. 
Ed  una,  a  cui  fu  rotta  la  persona, 
Dice,  che  uscio  dal  dolce  mondo  fuori. 
Nel  nome  di  Maria;  un'altra  intuona 
La  prece  dei  pentiti  peccatori, 
E  al  ciel  rivolta,  con  gli  affetti  suoi, 
S'ode  gridar:  Maria,  óra  per  noi. 

Dov'Ella  è  sculta,  a  tipo  luminoso. 
Dell'anime  più  pure  e  più  perfette. 
Dove  si  narra  il  corso  glorioso 
Dell'opre  sue  per  sempre  benedette; 
E  dove,  a  spron  di  buon  cammin  ritroso 
Ripetonsi  parole  da  Lei  dette: 
E  col  vinum  non  habent  sono  uditi. 
Alla  mensa  d'amor  cortesi  inviti. 

Ecco  poi  là  l'immagine  vivace 
Di  Quei,  che  venne  in  terra  col  decreto 
Della  tant'anni  lacrimata  pace, 
Che  aperse  il  ciel  dal  suo  lungo  divieto. 
Incontro  a  Lui  si  sta  l'Eva  verace. 
Raccolta  in  abitacolo  segreto, 
In  atto  di  ridire:  Ecco  l'ancella, 
Come  figura  in  cera  si  suggella. 

Altrove  Ella,  con  placido  sembiante, 
Appare,  ripetendo:  Figliuol  mio, 
Dove  ne  andasti  con  le  luci  sante? 
Ecco  dolenti  lo  tuo  padre  ed  io 
Ti  cercavamo;  e  via  movendo  innante, 
S'ascoltan  ombre,  in  largo  pianto  e  pio 
Gridar,  seguite  già  da  turba  magna: 
Maria  corse  con  fretta  a  la  montagna* 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  49) 

Altri  spirti  gementi,  in  altro  canto, 
Ridicono  tra  lor:  Dolce  Maria, 
Tu  povera  là  in  terra  fosti  tanto. 
Quanto  dal  loco  intender  si  potria 
Dove  sponesti  il  tuo  Portato  santo. 
Ed  altra  ancor  piangente  compagnia, 
Dice:  Pensasti  allor  piucchè  al  tuo  bere, 
Fosser  le  nozze  orrevoli  ed  intere. 

Ma  già  r  etemo  fuoco  e  il  temporale 
Scorso,  uscia  Dante  in  selva  spessa  e  viva: 
Una  campagna  già  prendea,  la  quale 
Su  per  lo  suolo  d'  ogni  pianta  oliva  ; 
L'aura  soave  e  a  se  mai  sempre  eguale. 
Leggiera  per  la  fronte  lo  feriva, 
E  un  rio  scorreva  con  si  limpid'onde. 
Che  torbe  son  quaggiù  l'acque  più  monde. 

Il  buon  Virgilio  sparve,  e  a  lui  successe 
Tosto  Beatrice,  lode  di  Dio  vera. 
Costei  de'  falli  in  pria  Dante  corresse. 
Poi  seco  lo  menò  di  sfera  in  sfera. 
Fin  dove  eran  le  splendide  promesse. 
Nella  selva,  connate,  orrida  e  nera, 
Quando:  Dopo  gli  spiriti  dolenti. 
Verrai,  fu  detto^  alle  beate  genti. 

Qui  di  Maria  la  Possa  e  la  Boutade 
Quanto  più  splendon  negli  uman  destini! 
Ohi  in  quante  guise  ed  oh  per  quante  strade. 
Entra  la  Diva  ne'  lavor  divini  1 
Come  sovente  qui  notarla  accade 
Guida  e  conforto  ai  mesti  pellegrini, 
E  anel,  che  al  ciel  la  terra  ricongiunse, 
Allor  che  chiuse  la  gran  piaga  ed  unse. 


496  INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI. 

Tra  il  lieto  folgorar  d'immensa  luce. 
Di  Cristo  il  bel  Giardin  quivi  s'infiora, 
L'una  e  l'altra  Milizia  e  canta  e  luce, 
E  il  sommo  Bene  corteggiando,  adora. 
Lume  intellettuale  e  Amor  produce 
Felicità  perfetta  in  tal  dimora, 
Felicità  che  forma,  col  suo  riso. 
La  dolce  sinfonia  del  Paradiso. 

Ha  poi  quell'ammirabile  Soggiorno 
Imago  di  gentil  candida  rosa. 
Di  che  le  foglie  son  dentro  e  d' intorno. 
Piene  di  gente  che  Cristo  fé*  sposa 
Nel  sangue  suo  divino,  ed  or  n'è  adomo. 
Fulgide  alate  schiere,  senza  posa, 
Volan,  cantando  insieme,  per  quell'ora. 
La  gloria  di  Colui  che  l'innamora. 

Scorrendo  il  vago  Fior  di  foglia  in  foglia, 
Di  cerchio  in  cerchio,  là  nel  più  rimoto. 
Del  tron  di  Lei  rimirasi  la  soglia. 
Cui  questo  regno  è  suddito  e  divoto. 
Quivi  cotanta  luce  par  si  accoglia, 
E  godimento  tal  facciasi  noto, 
Che  tutte  insieme  quelle  foglie  sante. 
Non  mostrano  di  Dio  tanto  sembiante. 

A  mille  a  mille  gli  angeli  festosi 
Veggonsi  trasvolar  per  quell'altezze. 
Ed,  in  concenti  a  noi  mortali  ascosi, 
Lodan  di  quella  Donna  le  grandezze. 
Ed  Ella,  per  quei  seggi  gloriosi. 
Spargendo  va  si  tenere  dolcezze. 
Che  in  sé  ben  mostra  Lei,  che  un  di  soave. 
Ad  aprir  Talto  Amor,  volse  la  chiave. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  497 

Ma  chi  è  <]uell'  Un  della  milizia  alata, 
Che  innanzi  a  Lei,  con  Tali  stese  e  immote, 
Ha  in  sé  cotanta  leggiadrìa  adunata, 
Quanta  in  Angelo  e  in  alma  esser  mai  puote  ? 
Fiso  negli  occhi  la  gran  Donna  guata, 
Il  cui  chiaror  nel  suo  si  ripercote, 
E  il  dà  a  vedere,  in  quell'eccelso  loco, 
Innamorato  si,  che  par  di  foco. 

È  l'Angel  che  quaggiù  portò  la  palma 
A  Lei,  che  accolse  nell'intatto  seno, 
Quel  Dio  che  si  carco  di  nostra  salma, 
E  nato,  si  adagiò  su  poco  fieno. 
ylve  MariOt  per  quell'eterna  calma, 
£i  canta,  e  seco  il  resto  a  coro  pieno, 
In  suon  ripete  soavemente  forte. 
Da  tutte  parti,  la  Beata  Corte. 

O  fecondo  saluto,  o  eccelsi  omaggi, 
Che  dureran  per  secoli  immortali  1 
Chi  mai  spiegar  potrìa  tutti  i  vantaggi 
Che  additansi,  per  essi,  a  noi  mortali? 
Di  là  a  noi  vengon  qual  dal  sole  i  raggi, 
A  dire,  d'esto  esiglio  in  mezzo  ai  mali. 
Che  Maria  se  ivi  è  meridiana  face, 
Qui,  di  speranza  è  fontana  vivace. 

Ohi  la  gran  Donna!  in  sul  celeste  trono, 
Non  pure  è  Madre  del  Figliuol  di  Dio, 
Ma  ancor  di  quei,  su  cui  chiamò  il  perdono. 
Quel  divin  Figlio  che  per  lor  mono. 
A  Lei  pertanto  debitori  or  sono. 
Quanti,  già  esclusi  dall'Eden  natio, 
Perduti  eternamente  non  andaro 
Laggiù  nel  mondo  senza  fine  amaro. 

Obl  Bauo.  Voi.  XIV.  3* 


498  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Né  solo  ciò.  Ma  l'opra  sua  materna 
Piove  altri  beni  in  sen  dei  cari  figli. 
Li  guida  inverso  il  cielo,  e  li  governa 
Con  alti  lumi,  e  provvidi  consigli. 
Ne'  gran  cimenti,  con  virtù  superna. 
Li  protegge  e  li  salva  da'  perigli. 
E  se  lasciar  dovranno  il  mondo  tristo. 
Saprà  sola  disporli  a  veder  Cristo. 

Ond'il  gran  Vate  prossimo  a  toccare 
La  meta  di  suo  mistico  viaggio, 
Come  giunto  del  tempio  al  limitare, 
A  cui  mirava  il  suo  pellegrinaggio. 
Te,  Vergin  Madre,  fossi  a  supplicare, 
Che  lo  conforti  di  Tuo  soave  raggio; 
E  che  lo  guidi,  con  la  Tua  virtute, 
Insino  al  porto  d'ultima  salute. 

Alla  qual  prece  ancora  i  prieghi  nostri 
Seguir  facendo,  o  Donna  benedetta. 
Ti  richiediamo  che  il  valor  Tuo  mostri 
A  prò  de  la  vangehca  Barchetta. 
Tu  vedi  a  quai  procelle  e  a  quanti  mostri 
Satanno  imperversato  T assoggetta? 
Vedi  con  quale  disperata  forza 
Or  da  poggia  1*  assale  ed  ora  da  orza  ? 

Vedi  dagli  splendor  del  Paradiso 
Come  il  tuo  Cristo  è  nuovamente  catto, 
E  come  è  motteggiato  ed  è  deriso, 
E  segno  ad  altri  mille  oltraggi  è  fatto? 
Vedi  com'erra  il  mondo  omai  diviso 
Tra  ciechi  duci,  in  quali  inganni  è  tratto, 
E  come  man  sacrilega  e  crudele 
Porta  nel  tempio  le  cupide  vele? 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  499 

Se  Tu  puoi  quanto  vuoi.  Vergine  Madre, 
Ahi  sperdi  degli  abissi  i  rei  disegni, 
Sgomina  tutte  le  infernali  squadre, 
Dehl  che  Giustizia  e  Verità  sol  regni! 
Veggansi  sfolgorar  Topre  leggiadre 
Di  rinsaviti  e  valorosi  ingegni, 
SI  che  a  dispetto  degli  sforzi  insani, 
Vinca  tua  guardia  i  movimenti  umani. 

Ricorda  quante  lagrime  spargesti. 
Sul  monte  della  mirra  e  del  dolore. 
Per  liberar  noi  tutti  da'  funesti 
Domini  del  ner*Angel  seduttore. 
No,  tanto  Tuo  patir  per  noi  non  resti 
Senza  frutto,  o  del  ciel  più  vago  fiore, 
Dehl  dica  ogni  fedel  che  a  Te  ricorse: 
Benedetta  Colei  che  ne  soccorse  1 

AUor  di  Cristo  il  Regno  dilatato 
Vedrassi,  Tua  mercè,  bella  Regina, 
AUor  (ìa  Tuo  Rifugio  celebrato 
Pur  da  chi  adesso  in  sua  follia  rovina. 
AUor  con  cor  riconoscente  e  grato. 
Salve,  dirà  ciascun.  Madre  divina, 
Per  Te  fé'  rifiorir  piante  novelle 
L'Amor  che  muove  il  sole  e  T altre  stelle.' 

Paolo  Pezone,  canonico,  fu  teologo  della  cattedrale  di  Aversa, 
Prefetto  degli  studi  in  quel  seminario. 


Questi  veni  eod  ai  legano  in  opu-  i  mento  dtf li  umaHiJaslimi.  Dodici  ptf^ntin-È 
T^^o  :  DmHte  AligbUri  tbé,immagimMdo  U  «eiu*  data  (ma  1S65)»  ni  luopro,  né  nome 
*^''««  CommtJm,prÉiUee  mirMhilmtnU  l'in'         di  tumpatore. 

^'^o   Jsl  RifmiiB  U  Marim  SS.  nel  compi-  \ 


500  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

DCCLXIX. 
Cesare  M asini. 

Per  la  festa  italiana  del  centenario 
DI  Dante  Alighieri. 

Sestine. 

Al  poeta  giocoso  prof.  Domenico  Ghinassi  di  Lugo. 

(Marxo  1864-14  maggio  1865). 

I. 

—  Ma  come,  nuovi  versi  ?  E  non  dicesti 
Ad  essi  d'esser  morto?  —  E  il  son  di  fatto. 
Che  se,  Ghinassi  mio,  scrivo  anche  questi. 
Non  devi  rimanerne  stupefatto: 
Sono  la  morta  rana  di  Galvani 
Sotto  la  pila  degli  eventi  umani. 

Un'elettrica  scossa  ho  ricevuto 
Dal  grande  avvenimento  già  annunziato. 
Che  di  Domeneddio  con  l'alto  aiuto 
Sarà  l'anno  venturo  celebrato; 
Quello  cioè  d'una  gran  festa  a  onore 
Del  centenario  del  divin  cantore, 

Di  quel  sommo  poeta  che  fu  Dante, 
Il  simbol  dell'  idea  della  nazione; 
Primo  ad  esprimer  quel  pensier  gigante: 
V Italia  agi  Itaìianiy  oggi  in  azione; 
E  ben  di  gratitudin  gli  è  dovuto, 
E  di  onoranza  un  nazional  tributo. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  50: 

Gli  alzeranno  una  statua  colossale; 
Sarà  coniata  apposita  medaglia; 
Altro  saravvi  chi  sa  quanto  e  quale, 
E  infin  sarà  distesa  la  tovaglia, 
E  U  da  cento  e  cento,  alti  i  bicchieri, 
Brindisi  si  faranno  all'Alighieri. 

In  tanta  nazional  festività 
La  musa  tua  vorrà  tacersi?...  ohibò! 
Sarebbe  una  vergogna,  e  non  sarà. 
Io  pur  vorrei,  mio  caro,  e  perchè  no? 
Con  la  mia  musa  satiro-faceta 
Onorare  l'altissimo  poeta. 

Anch'io,  si,  né  la  credo  impertinenza; 
Poiché  dovrian  gl'itali  vati  tutti 
Nella  fausta  felice  ricorrenza 
I  lor  versi  cantare,  o  belli  o  brutti, 
Da  intronarne  altamente  il  bel  paese... 
Accade  in  maggio,  ed  é  propizio  il  mese. 

Come  i  devoti  accendono  al  lor  santo 
Nel  di  della  sua  festa  il  lumicino, 
Cosi  i  poeti  italici  il  lor  canto 
Sciogliendo  a  onor  del  grande  fiorentino 
Di  nostra  poesia  padre  e  maestro, 
Denno  accendere  il  lume  del  lor^  estro. 


Profanazione!  grideranno  i  lirici, 
I  classici  poeti  ed  i  romantici: 
Oseran  gli  scherzevoli  satirici 
Al  divin  vate  d' innalzar  lor  cantici  ? 
Cotal  profanazion  sapria  di  vandalo, 
E  potrebbe  far  nascere  uno  scandalo. 


502  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Che  scandalo  d'Egitto!  I  nostri  versi» 
Con  buona  pace  dei  poeti  seri. 
Più  saranno  di  sai  caustico  aspersi» 
Più  all'ombra  gradiran  dell' Alighieri, 
Che  fu,  sia  detto  per  ver  dir,  vivendo. 
Un  poeta  satirico  tremendo. 

Quel  ch'ei  disse  nel  suo  sacro  poema 
Contro  de'  chierci  e  papi  e  cardinali. 
Non  starò  a  riportare,  essendo  un  tema 
Sempre  all'ordin  del  giorno  sui  giornali; 
Ma  dirò  della  satira  ch'ei  fa 
Persino  a  intere  italiche  città. 

Carta  canta:  ei  dicea  vani  i  sanesi;' 
Bòtoli  tutto  il  popolo  aretino;* 
Spergiuri  e  barattier  disse  i  lucchesi;^ 
Trattò  di  porci  quei  del  Casentino^ 
Ed  i  pisani,  senza  complimenti. 
Li  disse  vituperio  delle  genti  ^ 

Ei  diede  dei  mezzani  ai  bolognesi;^ 
Die'  dei  malvagi  a  quelli  dì  Romagna;^ 
Diede  dei  traditori  ai  genovesi. 
Che  disse  ancora  pien  d'ogni  magagna;* 
E  non  trovava  in  tutta  Lombardia, 
Meno  che  in  tre,  valore  e  cortesia.* 

E  non  pago  a  una  simile  censura 
Scagliata  a  questo  popolo  ed  a  quello. 
Mettendoli  in  un  fascio  addirittura, 
Tutta  r  Italia  la  chiamò  un  bordello. 
Or  r  esposto  mi  par  che  sia  bastante 
A  provar  ben  satirico  anche  Dante. 


^  V.  Div.  Comm.  /«/.  e.  XXIX. 
*  Inf,  XXI. 

3  Inf.   XXI. 

4  Purg.   XIV. 

5  Inf.  XXXIII. 


6 


/••/  xvin. 

7  Pmrg,  XIV. 

8  Inf,  XXXIU. 

9  Pmrg.  XVI. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  503 

Povero  Dante!  È  ben  da  compatire, 
S'egli  satirizzò  senza  riguardi; 
Se  nella  sua  commedia  egli  ebbe  a  dire 
Quello  che  a  dirlo  in  oggi  Dio  ne  guardi! 
E  specialmente  se  potenti  tocca... 
Dolce  non  può  sputar  chi  amaro  ha  in  bocca. 

Esul,  ramingo,  di  sostanze  privo 
Il  fiero  partigiano  ghibellino, 
Con  la  condanna  ad  esser  arso  vivo; 
Costretto  da  ingradssimo  destino 
A  scendere  e  salir  per  l'altrui  scale, 
E  a  trangugiare  il  pan  che  sa  di  sale; 


Gli  era  un  bisogno  di  sfogar  la  bile. 
L'amarezza  del  suo  stato  infelice; 
Benché  fosse  uno  spirito  gentile, 
Come  il  prova  cantando  di  sua  Bice, 
E  dei  martiri,  ai  quali  eran  dannati 
Per  amor  oell' inferno  i  due  cognati. 

Del  resto  amor  d'Italia  lo  condusse 
A  flagellarla  nelle  sue  vergogne, 
E  santissime  furon  quelle  busse, 
E  le  amare  invettive  e  le  rampogne; 
Se  l'avesse  trattata  col  giulebbe. 
Or  donna  di  provincie  non  sarebbe. 

La  satira  del  giorno  è  un'altra  cosa. 
Non  la  ispira  passione  personale; 
Ma  è  quale  mascherina  spiritosa, 
Che  della  società  nel  carnevale, 
Mentre  va  biasimando  i  tuoi  difetti. 
Ti  regala  dei  fiori  e  dei  confetti. 


504  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Ma  lo  scherzo  alla  satira  innesuto 
Sarà  pur  esso  conveniente?  —  Eh  via! 
Nulla  di  meglio  né  di  più  adattato: 
A  una  festa  ci  vuol  deirallegrìa. 
Se  no,  non  è  più  festa,  non  è  gioia. 
Ma  una  cosa  sorella  della  noia. 

D'  altronde,  per  rispetto  a  convenienze, 
Dov*  è,  domando  io,  che  è  festeggiato 
Dante  Alighieri?  Nella  sua  Firenze, 
Precisamente  appunto  dov*  è  nato 
Anche  il  Berni,  poeta  a  lui  simile. 
Maestro  e  padre  del  burlesco  stile. 

Il  centenario  suo  nel  tosco  suolo 
Si  solennizza,  dove  di  giocosi 
Satirici  poeti  eletto  stuolo 
Emerse  in  ogni  tempo,  e  di  famosi: 
Fra  i  recenti  più  ameni  e  più  robusti 
Basti  il  Pananti,  il  Guadagnoli,  il  Giusti. 

Animo  adunque,  amico,  a  tavolino 
Con  carta,  penna,  col  fedel  rimario, 
E  con  il  calamaio  e  il  polverino 
E  scrivi  pel  dantesco  centenario, 
Tu  gaio  autor  della  Ricreaxione^^ 
Non  farai  mica  bene,  ma  benone. 

C  è  tempo  più  d'  un  anno,  mi  dirai  ; 
È  vero,  ma  trattandosi  di  Dante, 
II  tempo  ad  un  poeta  non  è  mai 
Per  ben  studiare  e  ben  limar  bastante... 
Scommetto  che  più  d*  uno  già  a  quest*  ora 
Dei  vati  estemporanei  lavora. 


'  L«  rUrea^iont  per  /a//i,  ecc  ,  stampata  in  Lugo,  e  risumpau  ia  Nspoli 
ed  aggiunte. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  5O) 

Soggiungerai:  va  là,  sei  un  bel  tomo! 
Come  usar  del  ridicolo  la  sferza 
In  versi  consacrati  a  un  divin  uomo? 
Con  un  uomo  divino  non  si  scherza... 
Grazie,  obbligato:  questo  anch'io  lo  so; 
Sferzare  e  rider  nuUamen  si  può. 

Per  esempio:  tu  puoi  glorificare 
Il  divino  Alighieri,  e  dir  che  Ausonia 
Deve  a  lui  se  imparò  ad  abbominare 
La  servitù,  Yavara  Babilonia, 
E  la  straniera  barbara  oppressione, 
Onde  alfin  potè  sorgere  nazione. 

Ed  esaltato  un  fatto  come  questo, 
Tu  puoi  quegl'  italiani  tirar  fuora, 
Che  occultamente  e  in  modo  manifesto 
La  mala  signoria  che  sempre  accora 
Li  popoli  soggetti  amano  e  bramano 
Si,  che  i  croati  coi  lor  voti  chiamano. 

Costoro  che  ognor  van  sputando  arsenico 
Contro  la  patria  lor  rigenerata, 
Non  ofFron  forse  campo,  o  mio  Domenico, 
A  sferzarli  con  più  di  una  risata? 
Oggi  chi  più  di  lor  degno  è  di  riso, 
Che  siano  benedetti  in  paradiso! 

Vedi  adunque  che  a'  versi  agro-faceti 
Non  può  mancar,  se  vogliasi,  materia; 
Come  ne  ponno  aver  gli  altri  poeti 
Per  poesia  sublime,  grave  e  seria, 
La  qual  nel  far  di  sé  pomposa  mostra 
Talor  fa  rider  più,  che  non  la  nostra. 


506  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Ma  ciò  non  ci  dee  punto  interessare; 
Quisque  in  provincia  sua^  e  tirìam  dritto. 
Cert'  è  che  in  quel  gran  giorno  s' ha  a  cantare, 
E  al  diavol  quel  poeta  che  sta  zitto  1... 
Oh  in  Firenze  quel  di,  di  Dante  a  gloria. 
Qua!  chiasso,  qual  tripudio,  qual  baldoria! 

Anche  il  popol  plebeo,  panecipante 
In  quel  giorno  solenne  alla  gran  festa. 
Griderà:  viva  Dante!...  Chi  è  mo  Dante? 
E  forse  alcun  del  popolo  all'  inchiesta. 
Dando  saggio  di  sue  gran  cognizioni, 
Dirà  che  il  dante  è  pelle  da  calzoni. 

Tu  ridi?  Ciò  non  è  degno  di  risa: 
Quest'  anno  accorse  popolana  gente 
Al  centenario  celebrato  in  Pisa, 
Credendo  festeggiar  devotamente. 
Non  lui  che  sbugiardava  Giosueo, 
Ma  in  chiesa  su  un  alur  San  Galileo. 


La  quale  istruzione  popolare 
Degnissima  per  vero  del  preterito 
Tempo,  convien  pur  dirlo  a  note  chiare: 
Dei  quondam  padron  nostri  è  tutto  merito; 

10  non  sono  codino,  ma  mi  piace 
Render  giustizia...  requiescant  in  pace! 

Ed  io  pur  mi  requiesco.  Intesi  siamo: 
Al  festivo  dantesco  gran  convito 
Farem  noi  pure  un  brindisi,  e  speriamo 
Che  allora  sarà  V  obbligo  finito 
D' incastrarvi,  lasciando  ogni  facezia, 

11  ritornei  di  Roma  e  di  Venezia. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  507 


IL 

Ci  siamo,  .amico,  al  di  della  gran  festa 
Dantesca  italiana  fiorentina: 
Oh  come  il  tempo  corre  a  gamba  lesta  ! 
È  più  di  un  anno,  e  parmi  ier  mattina, 
Che  per  tal  solennissima  occasione 
T'invitai  a  grattar  il  colascione. 

Or  mentre  che  di  udir  tuoi  versi  aspetto 
A  onor  di  Lui  che  tutta  Italia  onora, 
A  scribacchiarne  alcuni  or  io  mi  metto 
Per  mantener  quel  che  promisi  allora: 
Mi  farò  corbellar,  ma  mi  consolo, 
Che  in  faccenda  cotal  non  sarò  solo. 

E  per  incominciar  dirò  eh'  io  scorgo 
Con  gli  occhi  deir  accesa  fantasia 
L' ombra  di  Dante,  cui  V  omaggio  io  porgo 
Della  profonda  riverenza  mia; 
E  mirandola...  ahimè!  parmi  non  lieta... 
Che  mai  t'affligge,  o  sovruman  poeta  .^ 

O  sommo  autor  di  quel  poema  sacro, 
AI  quale  pose  mano  e  cielo  e  terra, 
Si  che  ti  fece  per  più  anni  macro, 
Qual  duolo  mai  lo  spirto  tuo  rinserra; 
Mentre  convien  d' Italia  il  popolo  vario 
A  festeggiare  il  tuo  secentenario.^ 

Dovresti  pur  appieno  esser  felice 
Tu  che  da  tanto  tempo  in  paradiso 
Ti  bèi  nella  tua  cara  Beatrice; 
Dovresti  pur  mostrar  gaudente  il  viso 
Vedendo  Italia,  che  tu  amasti  tanto, 
Or  venerarti  al  paro  d'  un  gran  santo  ! 


508  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Al  celebrarsi  dei  tuoi  parentali 
Parrai  che  alfin  dovresti  pur  placartc; 
E  alfìn  dimenticar  tutti  que'  mali. 
Che  ti  fecer  soffrir  V  ire  di  parte: 
Degli  errori  degli  avi  troppo  noti 
Or  fanno  ammenda  i  tardi  lor  nipoti. 

Forse  non  sei  contento  della  statua 
Che  t'  hanno  eretta  in  piazza  Santacroce, 
Ed  alla  quale  il  popolo  s'infatua? 
O  bella  o  brutta  al  nome  tuo  non  nuoce: 
Ti  basti  che  è  di  grande  dimensione 
Da  non  temer  confronto  col  Biaticone.* 

Forse  t' incresce  che  per  la  tua  festa 
Il  cener  tuo  non  trovisi  in  Firenze? 
Ma  no,  che  dèi  gradir  se  colà  resta 
Dove  avesti  ne'  guai  buone  accoglienze: 
Oh  sono  i  ravennati  troppo  teneri. 
Ed  a  ragion,  delle  tue  sacre  ceneri! 

Forse  ti  duol  che  i  tuoi  divini  canti 
Con  commenti  ai  commenti  dei  commenti 
Ristampati  in  tuo  onor  da  tanti  e  tanti 
Con  nuovi  studi  e  indagini  sapienti 
Giunti  non  siano  ancora  a  far  capire 
Certe  cose  che  tu  intendesti  dire  ? 

Però  dopo  anni  quasi  cinquecento 
Fu  riprodotto  da  una  mente  buona* 
Del  bolognese  Lana  anche  il  Commento, 
Di  lui  che  ti  fu  amico  di  persona; 


^  Cosi  detu  volgarmente  una  ttaiua  co*    I    di  Iacopo  della  Lana    bologacte,  per  cura 


lessale  di  marmo  bianco,  che  fa  part«  di 
una  fontana  nella  piazza  del  Palazzo  Vec- 
chio in  Firenze. 

^  Fu  per  la  circostanza  pubblicata  in 
edizione  splendida  coi  tipi  Civelli  di  Mi- 
Uno  la  Divina    Commedia    col    commento 


e  con  tatudi  esplicatici  <lel  professore  Lu- 
ciano  Scarabelli,  deputato  al  Parlamento, 
il  quale  volle  il  magidfico  libro  dedicato 
alla  città  madre  dell'antico  commenutore  r 
libro  dal  municipio  della  città  stessa  man- 
dato air  Esposizione  dantesca  fiorentina. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  )09 


Ond'  or  de*  canti  tuoi  ne'  passi  bui 
Ci  fari  lume,  qual  Io  fésti  a  lui. 


È  forse  in  te  cagione  di  rammarico 
Il  vedere  che  zoppi can  talora 
Color  che  portan  del  Governo  il  carico  ? 
Ma  siamo  giusti:  ò  nata  Italia  or  ora. 
Deve  combatter  contro  cento  ostacoli: 
Cosicché  i  fatti  suoi  sembran  miracoli. 

Camillo  Benso  conte  di  Cavurre, 
L' incarnator  della  tua  grande  idea. 
Queir  uom  che  bene  la  sapea  condurre. 
Ahi  troppo  presto  a  te  si  congiungea! 
Ei  di  te  degno  e  tu  degno  di  lui: 
Ma  un  Dante  ed  un  Cavour  non  son  che  in  dui. 

Insomma  perchè  mai,  ombra  di  Dante, 
Il  volto  hai  mesto  in  questi  fausti  dì, 
Mentre  con  noi  io  ti  credea  esultante  ? 
Il  tuo  voto  oramai  non  si  esaudì? 
Non  è  unita  l'Italia  e  indipendente, 
Com'era  nel  tuo  cuor,  nella  tua  mente? 

Ah!  capisco  oramai  di  tua  mestizia 
La  vera,  la  giustissima  cagione; 
Non  puoi  partecipare  alla  letizia 
Per  non  veder  compiuta  la  nazione  ; 
Perchè  il  papa  è  ostinato  come  un  turco. 
Ed  in  Venezia  vi  è  il  tedesco  lurco. 

Perchè  vedi  siccome  ai  tempi  tuoi 
Le  fazioni  dei  Guelfi  e  Ghibellini, 
E  bianchi  e  neri  e  rossi  fra  di  noi, 
E  temi  che  gli  altissimi  destini 
Della  patria  non  vengan  da  noi  stessi 
Per  non  andar  d'  accordo  compromessi. 


>I0  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Perchè  perfino  la  discordia  miri 
Entrata  fra  i  due  nostri  Parlamenti, 
Onde  talor  le  leggi  pei  raggiri 
Deir  arti  occulte  soffrono  accidenti, 
E  si  mettono  in  piena  opposizione 
Alla  spiegata  pubblica  opinione. 


Certo  invece  di  musiche  onorarie, 
Statue,  medaglie,  addobbi,  esposizioni, 
Accademie,  banchetti,  luminarie, 
Corse  ed  altre  di  tai  dimostrazioni, 
Avresti  più  gradito  e  più  goduto 
D' italiana  concordia  un  bel  tributo. 

E  più  se  fra  i  vessilli  italiani 
Sventolanti  per  te  sotto  a'  tuoi  sguardi. 
Degli  emigrati  veneti  e  romani 
Non  avesti  veduto  i  due  stendardi 
Di  gramaglia  vestiti  tuttavia... 
Oh  allor  nel  viso  tuo  quant*  allegria! 

In  quanto  alla  discordia  è  da  sperare. 
Che  col  tempo  fra  noi  spenga  sua  face  ; 
Sebben  poco  su  ciò  sia  da  contare. 
Che  fra  gli  uomini  mai  fu  schietta  pace 
Dai  due  primier  figli  d'Adamo  in  poi. 
Né  r  avrem  finché  noi  saremo  noi. 

Se  tutti  quanti  i  destri  ed  i  sinistri 
Del  regno  nostro  costituzionale 
Un  portafoglio  avesser  da  ministri. 
Chi  sa  che  non  andasse  meno  male, 
E  non  cessasser  Y  ire  maledette 
Dei  diversi  partiti  e  delle  sette. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 


Si  ha  un  bel  discorrer  di  virtù  nel  mondo, 
Si  ha  un  bel  parlare  di  patriottismo, 
Ma  in  fin  de'  conti  che  e'  è  poi  nel  fondo  ? 
Egoismo,  egoismo  ed  egoismo: 
Sempre  e  sempre  questione,  a  parlar  chiaro, 
D'  ambizion,  di  potere  e  di  danaro. 

Gli  antitalian  del  resto  faccian  pure: 
Dieci  non  potran  mai  contr*  un  migliaio; 
Coi  loro  conciliaboli  e  congiure 
Non  pesteran  che  V  acqua  nel  mortaio  : 
Canoni  han  essi,  e  Italia  ha  dei  cannoni. 
Che  sono  la  ragion  delle  ragioni. 

Lor  malgrado  il  bellissimo  stivale, 
Gii  un  tempo  si  infangato  e  lacerato, 
Dalla  punta  del  pie'  su  su  al  gambale 
Sarà  tutto  a  suo  tempo  accomodato, 
E  con  buon  spago  vi  saran  cuciti 
Anche  i  pezzi  mancanti  e  disuniti. 

E  allorquando  sarà  ben  terminato, 
E  forte  per  bullette  e  grosse  e  spesse, 
E  che  il  Re  Galantuom  V  avrà  calzato. 
Se  romperglielo  alcun  mai  pretendesse, 
Vittorio  è  un  re  che  gliel  farà  sentire 
In  parte  tal,  che  non  è  bello  il  dire. 

Libera  è  Italia,  e  di  letizia  ostello. 
Nave  con  buon  nocchier  nella  tempesta. 
Donna  alfin  di  provincie  e  non  bordello; 
Onde,  o  sommo  Alighieri,  alla  tua  festa 
Sereno  assisti  e  mostrati  giocondo: 
L'itala  nave  non  può  andar  più  a  fondo. 


512  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Che  se  rnancan  Venezia  e  Roma  a  questo 
Tuo  sesto  centenario  natalizio. 
Certo  al  settimo  più  non  sarai  mesto. 
Perchè  vedrai  compiuto  1' edìfizio... 
Per  te  che  sei  d*  eternità  nel  seno, 
Che  son  cent'  anni  più  cent'  anni  meno  ! 

Sperai  fin  V  anno  scorso,  a  dir  il  vero. 
Che  quelle  due  provincie  sventurate. 
Oggi  dall'  oppression  dello  straniero 
Libere  si  sarebbero  trovate; 
Ma  che  vuoi  far?  bisogna  aver  pazienza... 
Tutto  risolverà  la  Provvidenza. 


Neir  intanto  compiaciti  al  vedere. 
Che  il  Governo  italian  nella  natia 
Tua  terra  in  questi  di  venne  a  sedere. 
Dove  almeno  la  sua  burocrazia 
Meglio  potrà  imparar  senza  sudore 
La  lingua  di  cui  fosti  il  creatore. 

Dirai:  ma  a  Roma  non  doveva  andare? 
Vuoisi  cosi  colà  dove  si  puote 
Ciò  che  si  vuole,  e  .più  non  dimandare. 
Tn  Roma  intanto  sta  il  gran  Sacerdote, 
Il  cui  trono  tarlato  appuntellato 
Sta  li  li  per  cadere  sfracellato: 

E  ciò  pel  ben  della  cristiana  fé. 
Che  Cristo  già  lo  disse  chiaro  e  tondo: 
A  Cesar  da    quel  che  di  Cesar  i\ 
Il  mio  regno  non  e  di  questo  mondo  \ 
Note  che  in  tutti  i  toni  or  piano  or  forte 
Tu  ricantasti  alla  romana  corte. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 


513 


lì  Vaticano  e  Y  altre  parti  elette 
Di  Roma,  che  son  state  cimitero 
Alla  mHizia  che  Pietro  seguette, 
Cosi  libere  fien  dair  adultero  ; 
Cosi  si  avvererà  piir  finalmente 
Ciò  che  tanto  bramasti  in  tuo  vìvente. 

Cosi  r  esilio  tuo  fia  vendicato  ; 
Perocché  lo  si  volle  dalla  chierca 
Di  Bonifazio,  al  tempo  tuo  dannato. 
Là  dove  Cristo  tutto  di  si  merca; 
Cosi  sarà  rimossa  ogni  menzogna, 
E  lascia  pur  grattar  dov*  è  la  rogna. 

Io  fui  in  Roma  al  tempo  di  Gregorio, 
E  là  te  ambasciatore  a  Bonifazio 
Dipinsi  in  tela,  di  cui  or  mi  glorio, 
E  d*  avermi  inspirato  ti  ringrazio: 
Perch'  oggi  posso  dir  eh'  io  t' onorava 
Fin  da  quando  era  Italia  tutta  schiava/ 

Povero  Bonifazio  !  se  all'  inferno 
Col  corpo  in  giù  in  un  buco,  a  quelle  note. 
Che  gli  cantasti  in  tuon  che  sarà  eterno. 
Forte  spingava  con  ambo  le  piote: 
Alla  tua  festa  il  condannò  Bologna 
A  maggior  pena  ed  a  maggior  vergogna. 

Perocché  volle  fossevi  presente 
Una  statua  di  rame  che  tien  essa 
Di  lui  antica...  ed  oh!  come  fremente 
EU' esser  deve  di  trovarsi  méssa 
Contemplatrice  della  tua  vittoria. 
Del  tuo  trionfo  e  della  tua  gran  gloria! 


C-*aator«  nei  1819  dipinte  in  Rom«  in 
^  grandi  al  yero  ZXmI#  ambauut^» 
^U>mHmi  «  Bomifatio  Vili,  quadro  che 
^to  indio  dal  giornale  romano  L'apt 


itaUan»  delU  belle  arti,  e  poscia  acquistato 
dal  duca  D.  Marino  Torlonia»  presso  il 
quale  ai  trova  in  Roma. 


Oli  Balio.  Voi.  XIV. 


33 


514  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Pel  buono,  per  il  vero  e  per  il  giusto 
O  presto  o  tardi  vien  sempre  il  trionfo. 
Còme  per  V  impostura,  *per  Y  ingiusto 
E  per  il  tristo  il  giorno  vien  del  tonfo; 
E  un  tonfo  dovrà  dar,  che  è  suo  destino, 
Il  poter  temporale  papalino. 

Il  papa  deve  stare  in  sagrestia, 
E  non  seder  dei  Cesari  sul  soglio; 
È  una  troppo  patente  anomalia 
Che  sìedan  zoccolanti  in  Campidoglio, 
E  d*  esso  ai  piedi  quei  di  Sant*  Ignazio... 
Dee  ritornar  quel  dell*  antico  Lazio. 

Sieder  vi  deve  V  italiano  senno, 
E  buon  numero  d'  oche  insiem  tenervi. 
Caso  mai  che  tornar  volesse  un  Brenno: 
Insomma  chi  di  Dio  servo  dei  servi 
Si  dice,  più  non  dee  per  più  ragioni 
Il  padron  voler  esser  dei  padroni. 

Tu  ben  dici  che  la  Chiesa  di  Roma 
Per  confondere  in  sé  duo  reggimenti 
Cade  nel  fango  e  sé  brutta  e  la  soma. 
Onde  il  Pastor  delle  cristiane  genti 
Dovrà  veder,  voler  o  non  volere. 
Crollare  appieno  il  suo  ci  vii  potere. 

Tutto  oggimai  concorre  a  dar  la  spinta 
A  un  poter  che  al  progresso  fa  la  guerra; 
Contro  il  progresso  non  l'avrà  mai  vinta, 
iMa  dovrà  andare  a  gambe  all'aria  in  terra: 
Agl'immani  suoi  sforzi  ed  incredibili 
Il  vapore  risponde  coi  suoi  sibili. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  515 

Il  cercare  che  il  secolo  rinculi, 
E  ostinarsi  in  cotal  proponimento» 
É  veramente  osdnazion  da  muli. 
Che  danno  calci,  ma  li  danno  al  vento: 
Corre  la  civiltà  alla  perfezione 
Per  gli  elettrici  fili,  ed  in  vagone. 

Essa  volando  per  le  ferree  strisce 
In  lungo  treno  con  accesi  lumi, 
Se  quanto  al  mondo  è  di  retrivo  ardisce 
Ad  essa  opporsi,  mandalo  in  frantumi: 
Essa,  o  Dante,  cosi  ti  rende  onore. 
Poiché  fosti  di  lei  V  iniziatore. 

Cresciuta  poi  via  via,  ed  oggi  unita 
A  liberti,  la  civiltade  è  dessa 
Che  la  tua  apoteosi  ha  stabilita, 
A  cui  ritalia  assiste  or  genuflessa, 
E  in  te  venera  il  suo  divo  Alighiero, 
Come  la  Chiesa  il  suo  beato  Piero. 

La  Chiesa  renda  pur  divini  onori 
E  canonizzi  finché  vuole  i  suoi 
Proprii  religiosissimi  fautori 
E  difensori  taumaturghi  croi; 
L' Italia  farà  in  seguito  il  simile 
Co'  sommi  suoi  nella  ragion  civile. 

Essa  innanzi  di  metterli  nel  tempio 
Non  cercherà  i  miracoli  che  han  fatto: 
S'  abbiano  predicato,  per  esempio. 
Ai  pesci  a  bocca  aperta  e  stupefatti, 
E  siansi  i  muti  abitator  de'  flutti 
Per  ciò  pentiti  e  convertiti  tutti. 


5l6  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Non  cercherà  s'  abbian  sospeso  m  aria 
Cadenti  muratori  per  due  ore, 
Onde  aver  la  licenza  necessaria 
Il  miracolo  a  far  dal  superiore; 
Né  se  un  naufrago  a  fine  di  salvare 
A  piedi  asciutti  camminar  sul  mare. 

Non  cercherà  se  in  estasi  sian  iti, 
O  se  volaron  d'  un  uccello  al  pari  ; 
Se  a  un  tempo  si  trovarono  in  due  siti, 
E  s'  abbian  fatto  inginocchiar  somari 
Per  riverenza  all'  ostia;  se  lor  viu 
VoUer  condur  fra  triboli,  o  romita* 

Ma  ne'  suoi  sommi  Italia  cercherà 
S'  abbian  essi  con  V  arte  e  con  la  scienza 
Beneficata  assai  V  umanità, 
E  sian  stati  per  lei  gran  provvidenza: 
Soltanto  a  tali  taumaturghi  rari 
Renderà  culto,  alzerà  templi  e  altari. 

E  a  te  divo  Alighieri  or  V  ha  già  eretto 
Sotto  la  immensa  cupola  del  cielo. 
Degna  sol  del  tuo  tempio,  dirimpetto 
E  distante  da  quello  appena  un  pelo 
Dove  stan  MichelangioI,  Machiavello, 
Alfieri,  Galileo  dentro  V  avello. 

Ed  altri  di  cotai  civili  santi; 
Cosicché  verran  ivi  gì'  Italiani 
A  inspirar  la  lor  mente  a  idee  giganti 
Dai  paesi  vicini  e  dai  lontani, 
Ed  a  fortificarsi  a  un  tempo  il  core 
Di  patria  carità,  di  patrio  amore. 


INTORKO  A  DANTE  ALIGHIERI. 


$17 


Dinanzi  alla  tua  imagin  venerata 
Non  arderan  candele  inutilmente; 
Ma  dal  sol  sarà  dessa  illuminata, 
Unica  lampa  a  lei  conveniente; 
Di  notte  supplirà  fulgido  gasse. 
Faro  a  Italia,  se  mai  mal  navigasse. 

E  come  ogni  cent'  anni  stabilito 
Da  Bonifazio  venne  un  Giubileo, 
Onde  a  Roma  correva  al  santo  invito 
Portando  del  denaro  ogni  romeo. 
Cosi  *1  tuo  Giubileo  pe*  Fiorentini 
Sarà  una  bella  fonte  di  quattrini. 

I  tuoi  concittadini  dieder  già 
Il  sacco  alla  tua  casa,  e  di  denari 
Ti  spogliò  il  fiero  guelfo  podestà: 
Tu  invece  con  virtude  da  tuo  pari 
Occasion  presti  lor  d*  aureo  conforto... 
Fosti  grande  da  vivo,  e  il  sei  da  morto. 

Ma  r  ombra  tua  già  agli  occhi  miei  svanisce. 
Come  da  folta  nebbia  involta  fosse... 
Ahimè!  la  cara  vision  sparisce. 
Deb  scusa  s*io  ne  dissi  delle  grosse, 
Se  da  cane  cantai,  canterò  meglio 
All'altro  centenario,  se  mi  sveglio.' 


Qpetti  versi  coti  leggonti  jtMapAti  in 
pascolo  in-ié  di  pagg.  24»  col  te- 
te  tOBìÌMfùóo:  Ftr  la  foia  ikdiauBdtl 
futric  di  DMHtg  AlighUri,  sestine  del 
re,  professors  ■•giiado  Cesare  Ms- 


sini.  bolognese.  Costsntino  CAcdsmsni, 
editore.  Coi  tipi  Aiudi,  vie  CATsllicrs, 
xu  16x6  in  Bologne,  286$.  Per  le  notizie 
biografiche  e  bibliografiche  del  Masini,  vedi 
a  pag.  5<3  del  toI.  IX  di  queste  leccolu. 


5i8 


POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXX. 
Stephen  Liégeard. 

A   l'ombre   de   Dante.' 

Canto. 

(14  marzo  1865). 

Les  torches  ont  pàli  sur  les  balcons  de  marbré. 
Le  demier  chant  de  féte  a  traverse  les  airs: 
Plus  d'aigrettes  de  feu  scintillant  d'arbre  en  arbre... 
Le  bruit  des  pas  s'éteint  sous  les  arceaux  déserts. 
Seul  -  tandis  que,  de  pourprc  encor  toute  vétue, 
Florence,  en  s'endormant,  murmure  un  nom  chérì, 
Seul  avec  ma  pensée,  au  pied  de  la  statue, 
Je  velile,  ó  Dante  Alighieri! 

Te  voilà  donc,  géant,  qui,  debout  sur  TÉrèbe, 
Osas  heurter  du  front  les  astres  souverains! 
Te  voilà,  dédaigneux  des  clameurs  de  la  plèbe, 
La  robe  du  proscrit  serrée  autour  des  reins, 
T*avan^ant  dans  la  vie,  apre,  sublime,  étrange, 
—  Si  bien  que  les  enfants  de  ton  siècle  de  fer 
Disaient,  en  te  voyant  pareli  au  sombre  archange: 
«  C'est  celui  qui  vient  de  Tenfer  !  » 


'  Il  principale  episodio  delle  feate  dan- 
tesche in  Firenze  nel  tS6$  fu  l'inaugura- 
zione, sulla  piazza  di  Santa  Croce»  della 
statua  del  divino  poeta,  che  è  rappresen- 
tato nel  momento  in  cui,  nel  Purgatorio, 
lancia,  in  presenza  di   Sordello  e  di  Vir- 


gilio, la  tua  apottrofè  : 

Ahi,  serva  Italia!  di  dolore  ostello. 

L' autore  colloca  la  sua   evocazione 
declinare  della  notte  che  segui  l'inai 
zione  del  monumento. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  519 

Te  voilà  tei  qu'un  soir  l'infernale  tempere 
Te  fouetta  de  son  aile  en  la  cité  des  pleurs! 
L'aigle  rampe  à  ton  socie,  un  laurier  ceint  ta  réte; 
Sous  le  carrare  ému  qui  trahit  tes  douleurs, 
L'hydre  du  souvenir  se  glisse  et  te  va  mordre; 
Ton  coeur  gronde,  orageux  :  on  dirait  à  te  voir 
Le  presser  de  la  main,  que  ta  main  veut  le  tordre 
Pour  en  chasser  les  désespoir. 

Va,  ne  tourmente  plus  de  ta  fiévreuse  étreinte 
Ce  cceur  dont  chaque  élan  se  perd  dans  un  sanglot. 
Des  larmes  d'une  mère  il  a  gardé  Tempreinte: 
Son  berceau  fut  l'exil,  Tinfortune  est  son  lot! 
Dùt  le  Styx  le  tremper  contre  la  tyrannie, 
Quand  son  jour  aura  lui  de  battre  ou  de  souffrir, 
Ces  deux  tyrans  divins,  l'amour  et  le  genie, 
Sauront  bien  se  le  faire  ouvrir. 

Cest  là  de  tes  pareils  le  fatai  hérìtage! 
Tout  change,  et  leur  destin  ne  saurait  point  changer. 
Des  trésors  de  ce  monde  ils  n'ont  rien  en  partage, 
Rien  que  Teau  des  torrents,  le  pain  de  l'étranger. 
La  bruyère  pour  lit,  pour  oreiller  le  sable. 
Puis,  quand  le  soufflé  manque  à  leur  corps  gémissant. 
La  stèrile  faveur  d'un  nom  impèrissable 
Écrìt  des  gouttes  de  leur  sang. 

Tu  révais  ton  amante  heureuse  entre  les  femmes: 
Que  t'importaient  l'Èden  ou  les  pleurs  des  maudits? 
Hors  de  ta  Beatrice  il  n'était  point  de  flammes, 
Dans  Tazur  de  ses  yeux  tenait  ton  paradis... 
Mais  le  lis  qui  devait  embaumer  ta  demeure 
S'efFeuille,  et  —  du  nèant  superbe  vanite  — 
Tu  ne  peux  à  sa  vie  ajouter  méme  une  heure, 
Toi  qui  parlais  d'èternitè! 


520  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Tu  révais  ta  patrie  et  plus  grande  et  plus  libre! 
Tu  sortis  de  ses  flaacs,  barde  et  preuz  tour  à  tour: 
Pour  elle,  en  maini  combat,  ton  fer  luit,  fioo  luth  vibre; 
Des  pahnes  vont  sans  doute  accneilHr  txm  retour? 
Non,  non  !  Tingrate  brise  et  ton  glaivc  et  ta  lyre, 
Un  Corso  Donad  promct  ta  cendre  au  vcttt... 
Déjà  le  bùcber  fiime,  et  la  fonie  en  tièlire 
S'appréte  à  t'y  jeter  vivant! 

Obi  n'est->ce  point  alors  4)u'à  ton  ime  zneunrie 
L'image  d'Ugolin  ^parut,  spectre  amer, 
Au  bruit  retentissant  des  clfe  de  la  patrie 
Que  pour  jamais  le  fleuve  entraìnait  à  la  naer  ? 
Car  de  leurs  doigts  crochus  la  mort  et  fostracisme 
Clouaient  derrière  toì  ics  portes  4u  bonhear, 
Car  de  tes  songes  4'or,  fiis  d'un  par  stoicisme, 
Seul  debout  restait  ton  honneurl 

Et  vers  ton  seuil  détruit  tu  laissas  respèrance 
Comme  un  rameau  séché  <|ui  ne  doit  plus  fleurìr: 
Et  tu  partis,  donnant  ia  matn  à  la  «ouflrance; 
Et,  vingt  ans,  Ton  te  vit  —  sans  en  ponvoir  moarir  — 
Tantót  agenouillé,  la  face  sur  Iqs  daUes, 
Tantót  de  ta  x:olère  agitane  le  flambeau, 
Souffleter  les  tribuns  du  plat  de  tes  sandales, 
Ou  sangloter  près  d'un  tombeau. 

Jusqit*i  rbeure  oà,  oourbé  soos  ta  petne  ooissante, 
Las  d'aller  devaAt  toi  cberchant  la  libectè, 
Las  de  trainar  ce  deuil  de  la  patrie  absente« 
—  Tunique  de  Nessus  «qui  farùiait  ta  fierté  — 
Tu  t'arrétas  enfia  sur  la  pente  flétrie 
Oli  d'un  suprème  effort  te  poussaient  tes  bivcrs^ 
Léguant  tout  à  la  lois  son  crime  i  rÈtrurie 
Et  ton  poème  à  Tunivers. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  $21 

Pardonne  tant  d'audace,  oui,  pardonne,  grande  ombre, 
A  qui  t'ose  évoquer  du  séjour  des  élus! 
S'il  n*est  pire  douleur,  en  la  fortune  sombre, 
Qu'un  lointain  souvenir  des  bìens  que  Ton  n'a  plus, 
N'est-il  pas  doux  aussi,  quand,  à  travers  Torage, 
Le  del  a  sur  son  voile  épandu  ses  saphirs, 
De  reaaitfe,  oubiieux  des  terreurs  du  naufrage, 
Sous  les  caresses  des  zéphirs? 

Viensi  ils  ont  fui  ces  temps  d'opprobre  et  de  détresse 
Où  la  dague  homicìde  armait  la  trabison^ 
Où  le  hanap  versait  la  mort  avec  Tivresse, 
Où  dans  le  pain  sacre  se  glissnit  le  poison: 
Où  jusqu'eo  ses  palais  Florence  ensanglantée 
Maudissait  par  ta  voix  ses  bourreaux  triomphants  : 
Où  l'Arno  refermait  sa  vague  épouvantée 
Sur  les  forfaits  de  ses  enfants. 


Cest  la  ville  des  Fleurs  qui  maintenant  t'appellei 
La  jote  est  en  son  àme  et  l'orgueil  à  son  front, 
Tandis  qu'i  ton  édat  elle  renaìt  plus  belle: 
De  six  cents  ans  d'oubli  ce  jour  venge  l'affront...^ 
Et,  de  peur  que  ton  marbré  où  frémit  la  menace 
Ne  veuille  de  Texil  reprendre  le  chemin, 
Comme  une  tendre  mère,  ó  Dante,  elle  t'enlace 
Dans  ses  guirlandes  de  jasmin. 

Vieasl  c*est  Theure  du  ré  ve  et  des  fantóntes  pàks. 
Sur  les  moms»  sur  les  eaux,  sur  ton  noir  monument 
L'ètoile  du  matio  égrène  ses  opales; 
Des  Casdjies  au  Dòme  un  long  tressaillement 
Agite,  en  son  sommeil,  ta  terre  nourricière. 
Et  panni  ces  tombeaux  qu'ik  sont  las  de  peupler, 
Gueifes  et  Gibelins  du  fond  de  leur  poussiére 
Se  dressent  pour  te  contempler. 


522  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Oui,  viens!  et  si  jadis  par  des  landes  funèbres 
Ayant  trouvé  la  Muse  errante,  les  pieds  nus. 
Tu  fis  devant  ses  pas  resplendir  les  ténèbres 
Et  palpiter  son  sein  de  transports  inconnus. 
Parie!  quelle  oasis  ou  quel  désert  rabritc? 
Je  veux,  lorsque  notre  àge  est  sourd  à  ses  accens, 
Porter  moa  brin  de  myrte  à  ta  soeur,  la  proscrite, 
A  ses  autels  mon  humble  encens. 

Sois  mon  Virgile,  ó  Maitre!...  En  la  forèt  sauvage 
Des  larves  trop  longtemps  ont  égaré  mes  pas: 
D'un  coup  d'aile,  aigle  altier,  brise  cet  esclavage! 
Allons  à  la  lumière  au  travers  du  trépas. 
Et  par  delà  Tespace  où  notre  monde  expire, 
Entr'ouvre  à  mon  essor,  sous  un  rayon  bèni, 
Ces  horizons  perdus  de  l'éternel  empire 
Dont  la  limite  est  TinBni. 

Déjà,  déjà  mon  àme  à  la  suite  s'élance! 
Ricn  n'arrète  son  voi,  ni  les  souffles  stridents, 
Ni  du  vai  douloureux  TeflFroyable  silence. 
Ni  les  cris  échappés  des  sépulcres  ardents. 
Ni,  hurlant  en  ses  murs  du  feu  qui  la  dévore, 
Cette  Dite  fatale  à  qui  veut  Tapprocher, 
Ni  ces  spectres  roulant  dans  la  nuit  sans  aurore 
Sous  l'aviron  du  vieux  nocher... 

Par  les  fleuves  sanglants,  par  les  lacs  de  bitume. 
Elle  glisse,  de  vague  en  vague,  jusqu'au  fond 
De  cet  humide  gouffre,  océan  d'amertume, 
Où,  dans  son  vain  orgueil  qu*un  Dieu  juste  confoni 
Pareil  à  ce  Titan  foudroyé  du  Caucase, 
Lucifer  se  débat  sur  la  giace  et  la  mord, 
Moins  accablé  du  poids  de  Tenfer  qui  Técrase 
Que  du  fardeau  de  son  remord! 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  $2^ 

Un  ÌDStanty  Maitre,  un  seuI  !  oh  !  que  je  puisse  entendre 
De  ces  deux  alcyons  l'harmonieux  soupir, 
Hymne  embaumé  du  coeur»  si  plaintif  et  si  tendre, 
Qu'à  récouter  Gerbère  a  paru  s'assoupir! 
Que  Francesca  me  dise,  avec  les  pleurs  de  Tàme, 
Par  quels  charmes  celui  qui  la  sut  embraser 
Lui  fit  boire  Tamour  dans  un  regard  de  fiamme. 
Et  le  trépas  dans  un  baiser! 

Mais  ton  élan  m'emporte  ainsi  qu'un  vent  rapide...^ 
Ce  frais  vallon,  ces  bois  pleins  de  fleurs  et  d'accords, 
Ces  mousseSy  ces  parfums,  ces  chants,  cette  eau  limpide 
Qui  baigne,  en  son  cristal,  les  roseaux  de  scs  bords, 
Tout  ce  printemps  éclos  d'haleine  créatrice, 
N'est-ce  point  là  l'Èden  si  souvent  imploré 
Sous  les  palmiers  duquel  te  regut  Beatrice, 
La  vierge  au  scurire  adoré? 

Ah!  tu  Tas  reconnue...  elle  nous  tend  son  voile... 
Et  par  elle  attirés  vers  un  éther  plus  pur, 
Nous  montons,  éblouis,  de  soleil  en  étoile, 
Au  son  dcs  harpes  d'or  qui  vibrent  sous  l'azur: 
Et  du  divin  amour  la  brùlante  étincelle 
Allume  autour  de  nous  ces  flots  de  diamant 
Dont  la  nappe  eclatante  incessamment  ruisselle 
Sur  les  degrés  du  firmament. 

Et  voici,  du  Très-Haut  célébrant  les  louanges, 
—  Gomme  une  rose  immense  et  d'enivrante  odeur  — 
Au  Seuil  de  l'infini  dotter  le  choeur  des  anges: 
Et,  dans  leur  bianche  étole  inondés  de  splendeur, 
Rayonnent  des  élus,  triomphante  milice: 
Et  mon  regard  tremblant  vers  l'Éternel  s'en  va, 
Et  j'entrevois,  au  fond  du  celeste  calice, 
Flamboycr  l'oeil  de  Jéhova! 


524 


POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


De  ce  mìrage,  hélas,  tout  n'était  qac  mcnsonge, 
L'Empyrée  et  ses  feux,  TÈrèbe  et  ses  démons. 
Avec  la  nuit  mourante  a  disparu  le  songe: 
L'aube  de  ses  reflets  illuminc  les  monts. 
Tom  ombre  qui  s'enfuit  fait  place  à  la  statue, 
Et,  sous  rédair  brutal  de  la  réalité, 
Je  sens  tomber  d*en  haut  ma  pensée  abattue 
Au  pied  de  ton  marbré  irrite. 

Au  sombre  Gibelin  que  font  ces  chants  de  féte? 
Qu*importent  ces  honneurs  au  plus  grand  des  Toscans^ 
Il  sait  ce  qu'un  beau  jour  peut  cacher  de  tempète. 
Il  sait  que  Tltalie  est  le  sol  des  volcans. 
Et  combien  le  Vésuve,  en  ses  ruisseaux  de  lave, 
A  noyé  tour  à  tour  de  tribuns  et  de  rois, 
Depuis  que  le  genie,  impérissable  épave, 
Y  surnage  auprès  de  la  croix. 

Le  tien  est  immortel?...  Tant  que  l'oiseau  sublime 
Pendra  son  aire  aux  rocs  où  la  nue  a  tonné  — 
Vaste  comme  le  elei,  profond  comme  Tabime  — 
Dante,  tu  planeras  sur  le  monde  étonné: 
Et  les  brises  de  mai  diront  avec  mystère 
Le  nom  de  Beatrice  aux  échos  du  printemps, 
Quand  les  portes  d'airain  de  ton  vieux  Baptistère 
Auront  croulé  depuis  longtemps.  * 

Stefano  Liégeard,  deputato  al  Corpo  legislativo,  fu  maestro  dei 
giuochi  floreali  di  Tolosa  *  e  davvero  non  fu  spregevole  poeta. 


*  Questo  ctnto  cosi  leggcsi  in:  Stephen 
Liégeard,  A  l'ombrt  it  DanU.  Chrat,  eoa 
U  traduz.  libera  di  Luigi  Silva.  Parma,  lip. 
Grazioli,  1878,  in- 16,  di  pagg.  63. 

^  L'accademia  di  ToIom,  ti  collegio  d^a 
Gaia  seitnia^  vanta  le  sue  orìgini  all'an- 
no 1324,  in  cui  sette  dotti  Tolosaoi  fecero 
appello    a   tutti  i    Trtyatori   della    kngng 


i'Oct  affinchè  in  un  delisioso  giariHao,  che 
•i  distenderà  alle  porte  della  citci,  «i  dispu> 
tasaero  il  premio  deli' iapiraaioBe  poetica, 
una  VioUtUi  d'oro  fimo.  Tra  le  vicisaixudini 
dei  tempi  cakmitoai  i  poeti  Airoiio  d&^persì 
e  il  giardino  di^iarvc  Ma  verto  gli  ultimi 
anni  del  1400,  la  nobile  donzella  Clemenza 
Itaure  risuscitò  l'antica  iatituzione  e  ag> 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 


>2) 


illa  TioletU,  il  fitr»  d'arancio  e  la 
ma  <r«r0.  Poi,  nel  1694,  Luigi  XIV 
{uel  collegio  al  grado  di  accademia, 
un  qtaarto  fiore,  Vawtaramio  ^oro, 
1  cominciare  del  secolo  xviii,  fiorì 
.  Vcaaero  dopo  le  primula  e  il  ga- 
Tre  fiori,  imo  dei  quali  dev'essere 
Ito,  danno  diritto  al  diploma  di 


maestro  dei  giuochi  floreali.  Fu  uno  dei 
maestri  Fabre  d'Eglantine,  più  tardi  Che- 
teaubriand,  Dani  e  poi  Victor  Hugo. 

Da  seicento  ad  ottocento,  in  media,  sono 
i  componimenti  presentati,  ogni  anno,  al 
collega  della  Gaia  scienza.  Il  Liigeard  fu 
nominato  maestro  dei  giuochi  floreali  con 
lettere  patenti    del  3  maggio  i8é6. 


520  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXXI. 

Luigi  Silva. 

Traduzione  libbra  del  precedente  canto  del  Liégeard. 

(14  maggio  1865;. 

Le  faci  impallidirono 
Sui  marmorei  balconi  : 
L'eco  passò  per  l'aere 
Dell'ultime  canzoni. 
Fra  i  rami  più  non  brillano 
Bianche  tede  lucenti; 
Il  suon  de'  passi  estinguesi 
Sotto  gli  archi  silenti. 
Io  sol,  —  mentre  di  porpora 
Firenze  ancora  ornata 
Un  caro  nome  mormora 
E  s'addorme  beata,  — 
Ai  pie'  della  tua  statua. 
Chiuso  nel  mio  pensier, 
Metadibondo  io  vigilo, 
Sol  io...,  Dante  Alighier. 

Negli  astri  il  fronte  battere 
Tu  se'  dunque  colui 
Che  ardi,  gigante  immobile 
Ritto  sui  regni  bui  ? 
Eccoti  altero  spernere 
Voci  di  plebe  irata, 
E  la  veste  dell'esule 
Ai  lombi  tuoi  serrata, 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  527 

Lungo  la  vita  muovere 
Sublime,  aspro,  tremendo 
Cosi  che,  al  bruno  arcangelo 
Te  simile  veggendo, 
GÌ*  infanti  di  quel  ferreo 
Secol  che  ti  creò 
a  Queiruom,  dicean  segnandoti, 
Dall'inferno  tornò!» 

Eccoti  quale  il  soffio 
Dell'  infernal  bufera 
Nella  città  dei  reprobi 
Ti  percosse  una  sera, 
Ai  piedi  tuoi  sta  1'  aquila. 
Sul  capo  un  lauro.  Sembra 
Che  dei  ricordi  penetri 
Fra  le  marmoree  membra 
(Che  il  duol  commosse  svelano) 
L*  idra,  strisciando,  e  addenti. 
Ruggc  il  tuo  cor  qual  turbine, 
Che  mesce  gli  elementi. 
Ed  uom  potria,  mirandoti 
Premerti  a  forza  il  cor, 
Dir  che  tu  tenti  svellerne 
Disperato  dolor. 

Oh  !  non  voler  comprimere 
Con  si  febbrili  amplessi 
Quel  cor  di  cui  son  gì*  impeti 
Sol  da  singhiozzi  espressi. 
Delle  materne  lagrime 
In  lui  r  impronta  dura  : 
Fu  sua  culla  V  esilio. 
Retaggio  la  sventura. 
Se  fia  contro  a  tirannide 
Ch*  Ei  1*  abbia  in  Stige  armato,  — 
Di  soffrire  o  percuotere 
Quando  sia  il  di  spuntato,  — 


528  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Due  divini,  inflessibili 
Tiranni,  genio  e  amor, 
Bea  sapranno  dischiuderne 
A  lui  le  porte  allor. 

Quest*  è  il  fatai  retaggio 
Dei  pari  tuoi!  Se  tutto 
Muta  quaggiù,  non  mirasi 
Il  lor  fato  distrutto. 
In  sorte  a  lor  non  toccano 
Le  ricchezze  mondane: 
Un  torrente  li  abbevera, 
Ciban  straniero  pane: 
Sul  duro  suol  riposano, 
Han  per  guancial  1'  arena  ; 
E  quando  il  vìtal  soffio 
Manca  al  lor  frale,  appena 
Un  nome  eterno,  —  sterile 
E  supremo  favor,  — 
Nel  tempio  suo  la  Gloria 
Scrive  col  sangue  lor. 

Sognasti  felicissima 
Colei  che  amavi  tanto  : 
E  non  pensavi  ai  Superi 
O  dei  dannati  al  pianto. 
Fulgor  non  avea  V  etere 
Fuor  che  di  Bice  il  riso: 
Negli  occhi  suoi  cerulei 
Era  il  tuo  paradiso. 
Ma  quel  candido  giglio. 
Che  imbalsamar  dovea 
La  tua  dimora,  i  petali 
Sui  primi  albor  perdea. 
Né  un'  ora  sola,  —  ahi  misera 
Del  nulla  vanità  !  — 
Dar  gli  potesti!  E  il  cantico 
Suonava  «  eternità!  » 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  529 

E  più  grande  e  più  libera 
La  patria  tua  volevi: 
Bardo  e  guerrier  dall'  inclito 
Seno  di  lei  scendevi. 
Suonar  fra  le  battaglie 
Pesti  liuto  e  brando..., 
Già  le  palme  ti  aspettano 
Ai  lari  tuoi  tornando. 
Ma  no  :  V  ingrata  patria 
.Spada  e  lira  ha  spezzato; 
Corso  Donati  il  cenere 
Ai  venti  ha  consacrato. 
Già  fuma  il  rogo  infausto. 
La  matta  plebe  è  là, 
Che,  vivo  ancor,  nell'  ignea 
Pira  ti  lancerà. 

Al  contristato  spirito 
AUor  non  fu  che  apparve 
D*  Ugolino  r  immagine 
Tetra  fra  tante  larve  ? 
Non  fu  che  udisti,  al  sonito 
Che  rimbombar  le  fea, 
Le  chiavi  della  patria 
Che  TArno  al  mar  traea 
Per  sempre  ?  O  morte  e  esilio, 
Con  le  adunche  ritorte 
Mani,  per  te  chiudevano 
D*  ogni  uman  ben  le  porte  ! 
Figli  di  pura  e  stoica 
Alma,  i  tuoi  sogni  d'  or 
Nuir  altro  a  te  lasciavano, 
Nuir  altro  che  V  onor. 

Qual  ramo  secco  ed  aiido  — 
Cui  di  fiorir  natura 
Negò  —  lasciasti  al  limite 
Di  tue  distrutte  mura 

IL  Balio.  Voi.  XIV.  34 


530  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

La  speme.  A  pene  e  triboli 
Stendesti  la  tua  mano. 
E  venti  anni  ti  videro  — 
Morte  chiedendo  invano  — 
Talor  curvo  sui  gelidi 
Marmi  il  viso,  pregando, 
Talor  della  tua  collera 
La  fiaccola  agitando, 
Cogl'  impugnati  sandali 
Tribuni  schiaffeggiar, 

0  a'  piedi  di  un  sarcofago 
Sommesso  singhiozzar. 

Insin  che  sotto  il  cumulo 
Di  tanto  duol  prostrato. 
Stanco  d'aver  tra  gli  uomini 
La  libertà  cercato, 
Di  vestire  il  corruccio 
Del  natio  suol  lontano, 
—  Di  Nesso  orrenda  tunica 
Pel  tuo  orgoglio  sovrano,  — 
Sostasti  alfin  sul  lurido 
Pendio,  nel  cui  profondo 
Col  suo  poter  traevati 
Degli  anni  il  grave  pondo; 
Insiem  legando  a  Etruria 
La  colpa  sua  fatai, 
E  all'universo  il  mistico 
Tuo  poema  immortal. 

O  grande  ombra  perdonami 
L^  inusitato  ardire 
Di  chi  evoca  il  tuo  spirito 
Dall'  eterno  gioire. 
Se  in  seno  alla  miseria 
Non  v'  ha  maggior  dolore 
Che  ricordarsi,  ahi  labili! 

1  lieti  giorni  e  Tore, 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  531 

Non  è  forse  dolcissimo. 
Fra  la  tempesta  irata, 
Mirar  la  volta  eterea 
Di  zaffiri  ingemmata  ? 
Sotto  r  ali  de*  zefiri 
Rinascere  all'amor. 
Ed  obliar  de'  naufraghi 
Le  angoscie  ed  i  terror? 

Vieni!  I  rei  tempi  sparvero 
D'obbrobrio  e  di  spavento 
Quando  omicida  armavasi 
Di  ferro  il  tradimento: 
Quando  ad  un'ora  il  calice 
Morte  e  ebbrezza  versava, 
E  consacrata  l'ostia 
Il  tossico  celava; 
Quando,  sin  negli  splendidi 
Palagi  insanguinata, 
Firenze  a'  suoi  carnefici 
Per  te  imprecava  irata: 
Quando  l'Arno  i  suoi  torbidi 
Fiotti  sgomenti  apri 
E  de'  figli  in  quel  baratro 
Le  colpe  seppellì. 

Ed  or  colei  che  appellati 
È  la  città  dei  Fiori. 
Sulle  fronti  è  l'orgoglio, 
La  gioia  in  tutti  i  cuori. 
Fatta  per  te  più  fulgida, 
Più  bella  essa  rinasce: 
È  il  di  che  di  sei  secoli 
L'oblio  vince  e  le  ambasce. 
E  perchè  il  marmo  fremere 
Le  sembra  minaccioso, 
E  riprender  degli  esuli 
Il  cammin  tenebroso, 


532  POESIE  DI   MILLE     AUTORI 

0  Dante,  —  come  tenera 
Madre,  che  teme  ancor 

Del  tuo  corruccio  —  avvinceti 
Con  ghirlande  di  fior. 

Vieni!  di  sogni  e  pallidi 
Fantasmi  è  questa  Torà. 
De*  suoi  opali  semina 

1  monti  e  Tacque  ancora, 

E  il  tuo  gran  marmo  in  tenebre. 

La  mattutina  stella. 

Agita  un  lungo  fremito 

La  terra  tua  si  bella, 

Dalle  Cascine  al  venice 

Di  Giotto  ancor  silente. 

Di  Ghibellini  estollevi 

E  di  Guelfi  fremente, 

A  contemplarti,  innumera 

Turba  dal  freddo  avel: 

Dove,  già  stanca,  infrangere 

Vorria  di  morte  il  gel. 

Vieni!  e  se  un  di  per  funebri 
Lande  la  Musa  errante 
Scalza  trovasti,  e  splendere 
A'  passi  suoi  dinante 
Il  buio  festi,  e  a  palpiti 
Novi  hai  quel  seno  aperto  — 
Qual  la  nasconde  un'oasi. 
Parla,  o  qual   mai  deserto? 
Da  che  l'avaro  secolo. 
Che  sol  dell'oro  ha  cura. 
Sdegna  l'orecchio  porgere 
A  quella  voce  pura. 
Di  mirto  un  ramo  cogliere 
Per  la  proscritta  io  vuo'  : 
Ai  suoi  altari  l'umile 
Incenso  mio  darò. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  533 

Novello  a  me  Virgilio 
Sii  tu,  Maestro;  assai 
Nella  selva  selvaggia 
Tra  larve  infide  errai. 
Aquila  altera  infrangimi 
D*un  colpo  le  ritorte; 
Fino  alle  stelle  guidami 
Pei  regni  della  mone. 
E  al  di  là  dello  spazio, 
Confin  di  nostra  terra, 
Che  un  benedetto  raggio 
Al  guardo  mio  disserra, 
GÌ*  ignoti  deir  empireo 
Schiudi  orizzonti  a  me. 
Cui  r  infinito  a  limite 
Supremo  Iddio  sol  die. 

Già  si  lancia  il  mio  spirito 
Dietro  i  tuoi  passi  a  volo. 
Le  strida  non  lo  arrestano 
Del  sempiterno  duolo: 
Non  l'atre  solitudini 
Delle  vallee  silenti: 
Non  l'urla  che  scatenansi 
Fuor  dei  sepolcri  ardenti: 
Non  quella,  a  chi  osa  incedervi, 
Dite  fatai,  che  rugge 
Neil'  infuocato  vonice 
In  che  tutta  si  strugge: 
Non  gli  spettri  che  io  tenebre 
Eteme,  in  caldo  e  in  gel. 
Mena  col  remo  il  livido 
Navalestro  crudel. 

Per  fiumi  e  laghi  e  rivoli 
Di  sangue  e  di  bitume. 
D'onda  in  onda,  lo  spirito 
Drizza  al  fondo  le  piume 


534  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Del  freddo  abisso;  oceano 
D'amarezza  e  di  lutto I 
Ove,  in  suo  vano  orgoglio 
Da  un  giusto  Dio  condutto. 
Simile  a  quel  del  Caucaso 
Titano  fulminato, 
Si  dibatte  Lucifero 
Mordendo  il  suol  ghiacciato 
E,  più  di  quel  che  schiaccialo 
Grave  pondo  infernal, 
Gli  è  duro,  insopportabile. 
Il  rimorso  fatai. 

Duca,  eh'  io  possa  intendere 
Un  solo  istante,  un  solo. 
L'armonioso  anelito 
Di  due  colombe  a  volo: 
Imbalsamato  cantico 
Del  cor,  si  pio,  si  tristo 
Che,  in  ascoltarlo,  Cerbero 
Quasi  quietar  fu  visto: 
Che  da  Francesca  in  lagrime 
Io  possa  udir.  Signore, 
Per  quale  arcano  fascino 
Chi  l'accese  d'amore 
Le  fé'  il  nappo  dolcissimo 
Con  un  guardo  libar, 
E  in  un  supremo  bacio 
La  morte  ritrovar. 

Ma  sovra  l'ali  rapide 
La  tua  virtude  e  i  venti 
Di  già  lungi  mi  portano. 
Ecco  fiori  e  concenti, 
E  valli,  e  boschi,  e  limpidi 
Rivi,  —  che  gli  ondeggianti 
Steli  sul  margo  irrorano  — 
Ecco  profumi  e  canti! 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  $3$ 

Non  è  questo  dal  soffio 
Del  gran  Fattor  creato, 
L*  Eden  non  è,  dagli  uomini 
SI  sovente  implorato, 
Dove  sotto  le  aeree 
Palme  t'accolse  un  di 
La  sorridente  vergine 
Che  al  guardo  tuo  s'oflPri? 

L'hai  scona...  è  dessa;  guardala, 
A  noi  tende  il  suo  velo, 
E  in  novo  incanto  levasi 
Verso  più  puro  cielo. 
Al  suon  dell'arpe  angeliche  — 
Di  sole  in  sol  portati  — 
Dell'arpe  d'or  che  vibrano 
Sotto  gli  azzurri  strati, 
E  intorno  a  noi  la  splendida 
Del  divo  amor  scintilla 
In  gemme  innumerabili 
Tutta  s'incende  e  brilla; 
E  per  gli  spazi  eterei 
Stesa  senza  confin, 
Del  firmamento  irraggia 
Il  nobile  cammin. 

Ed  ecco  dell'Altissimo, 
Di  laude  assorta  in  canti, 
Qual  rosa  immensa,  effluvio 
D'aromi  inebbrianti. 
D'eternità  sul  limite 
Aleggiar  la  coorte 
De'  puri  spirti  angelici  ; 
Vincitor  della  morte 
Degli  eletti  il  manipolo. 
Avvolto  in  bianche  stole. 
Splendere  intorno.  Trepido 
Verso  l'eterno  Sole 


53^  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Lo  Sguardo  mio  già  levasi; 
Già  il  grande  occhio  mi  par» 
Entro  r  eterno  calice, 
Di  Jéhova  brillar  ! 

Ahi  !  Non  eran  V  Empireo 
E  i  suoi  splendor  che  larve. 
Co*  suoi  demoni  V  Èrebo 
Era  una  larva...,  e  sparve! 
n  sogno  mio  dileguasi 
Colla  notte  che  muore: 
Ecco  già  i  monti  illumina 
L'alba  col  suo  fulgore. 
All'ombra  tua,  che  involasi, 
Subentra  un  nudo  sasso; 
E  al  lampo  che  disvelami 
La  realtà,  me  lasso! 
Sento  in  polve  dissolversi 
L'abbattuto  pensier, 
Al  pie'  della  tua  statua 
Dal  volto  irato  e  alter. 

A  che  i  festivi  cantici, 
A  che  gli  onori,  al  fiero 
Ghibellino?  Che  importano 
Mai  de*  Toschi  al  primiero? 
Eì  sa  ch'anche  uno  splendido 
Giorno  uragan  rinserra: 
Egli  sa  che  1'  Italia 
Dei  vulcani  è  la  terra, 
E  quanti  del  Vesuvio 
Nella  lava  tremenda 
Tribuni  e  re  disparvero 
Con  alterna  vicenda, 
Insin  dal  di  che  il  genio. 
Che  indarno  il  fiotto  assai, 
Eterno  accanto  naviga 
Al  Làbaro  immortal. 


INTORNO  A  DANTE  ALGHIERI.  557 

E  etemo  è  il  tuo!  Dell'aquila 
Sin  che  l'artiglio  audace 
Porrà  suo  nido  in  culmini 
Segno  al  fulmine  edace  — 
Vasto  siccome  l'etere, 
Qual  l'abisso  profondo  — 
Aleggerà  tuo  genio 
Sull'attonito  mondo. 
Diran  coli' eco,  in  mistica 
Voce,  sui  rosei  vanni. 
Di  Bice  il  nome  i  zeffiri: 
Del  tuo  bel  San  Giovanni 
Quando  forse  da  secoli  — 
Che  nulla  eterno  su  — 
Vbto  le  Porte  in  polvere 
Occhio  mortale  avrà.' 

1  QoMti  versi  coti  ti  leggono  aell'opotcolo  dtcto  nel  precedente  capitolo. 


5)8  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXXII. 

Angelo  Gualandi. 


Voti  e  speranze  in  occasione  del  sesto  centenario 
dantesco  in   ravenna. 

Sonetti. 
(14  maggio  1865). 

All'Italia. 

Donna  regal,  di  tua  grandezza  altera. 
Palladio  di  virtute,  Italia  bella. 
Te  non  scinda  livor,  non  prostri  nera 
Per6dia  i  chiari  ingegni  e  la  favella! 

Ma  fisa  in  Lui'  che  in  ciel  da  eletta  spera 
T'  arride  padre,  duce,  e  fida  stella. 
Chiama  i  tuoi  prodi  alla  virtù  primiera, 
E  spegni  qual  v'  ha  brama  empia  o  rubella  ! 

Italia,  Italia,  al  gran  disio  rispondi... 

Sorgi,  e  al  ciel  terso,  e  d'  aure  dolci  al  riso. 
Mostra  agli  strani  quanti  pregi  ascondi!... 

Uno  in  te  sia  il  voler,  non  più  diviso, 
E  spenti  i  cittadini  odi  profondi. 
Tornerai,  bella  Italia,  un  paradiso!... 

'  Dante  Alighieri. 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  539 

O  Italia,  o  bel  giardin  dell' universo, 
Posta  ad  esser  regina  e  non  ancella, 
Serba  gelosa  la  gentil  favella, 
L*aér  puro,  i  bei  campi,  e  il  ciel  si  terso!... 

Ve'  lo  stranier  che  V  occhio  in  te  converso 
Di  possederti  tanto  s'  arrovella, 
E  di  quegli  odi  avviva  la  facella 
Onde  in  petti  fraterni  è  il  ferro  immerso  ! 

Temi  de'  grandi  imperador  V  ausilio. 
Pensa  che  è  legge  vergognosa  e  dura 
Fidarsi  nell'altrui  forza  e  consiglio. 

Ebbe  già  un  di  per  l'altrui  fé  spergiura 
L' itala  libertade  onta  e  periglio; 
Or  più  non  1'  abbia...  sul  tuo  brando  giura! 


Infranti  i  ceppi  ornai  di  schiavitute 
Leviam  l' italiana  alma  da  forti. 
Non  sian  per  noi  le  illustri  tombe  mute, 
Non  le  gesta  magnanime  dei  morti  ; 

Non  sian  l'itale  donne  ognor  vendute 
E  d' infami  stranier  mancipie  ai  torti. 
Ma  l'avita  si  desti  in  cor  virtute. 
Risorga  ardor  che  nuove  glorie  apporti!... 

Non  ci  vinca  per  Dio  nuov'arte  o  inganno, 
E  mentre  calmi  n'  attendiam  diletto, 
Tal  eh'  adegui  il  patito  immenso  affanno... 

Giuriamo  a  te,  giardin  di  pregi  eletto. 
Francarti,  o  Italia,  da  servaggio  e  danno, 
E  sacriam  a  tuo  scudo  il  nostro  petto! 


540  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

A  Roma. 

Ahi,  Roma,  tu  che  i  tuoi  trionfi  e  glorie 
Rechi  ne'  templi  e  in  moli  auguste  sculti. 
Grande  un  dì  per  falangi  e  per  vittorie. 
Poi  per  la  Croce  sui  bugiardi  culti »••• 

Lasci  ancor  che  sui  marmi  e  le  memorie 
Turba  schiava  a  Simon  s'  assida  e  insulti, 
E  libertà  di  nostre  patrie  istorie 
Dineghi  a  figli  ognor  mancipi  e  inulti?... 

Scuoti  omai,  generosa,  il  giogo  indegno, 
E  grida  a  Lui  che  in  Vaticano  ha  sede: 
<c  Santa  la  libertà,  santo  il  triregno  !  » 

Sii  de*  cristiani  martiri  V  erede, 

Via  mondo  e  carne,  e  per  l'invitto  Segno 
Umile  e  nuda  trionferà  la  fede!...' 


'  QDMti  veni  coti  ti  leggono  a  pAgg.  y    1    MwtfvMfio  ianlaeo  im  Rammn».  Tip.  Fata 
6  int  Voti  §  spiranti  im  oetathm  dtl  tato    I    •  GaragaAiiI,  Bologiu,  186$. 


INTORNO  A  DANTE   ALIGHIERI.  54I 


DCCLXXIII, 
G.  Battista  Terracina. 

Il  sbsto  centenario  di  Dante  Alighieri. 

Canzone. 
(14  maggio  i86s). 


Egli  novenne  il  palpito 
Primo  senti  d'  amore. 
Alla  diletta  vergine 
Sacrò  l'ingenuo  core» 
Onde  gli  venne  stimolo 
A  nobile  virtù. 

Raccolse  Egli  dai  codici 
Del  Lazio  i  sparsi  fiori, 
Unificò  degli  itali 
Eloqui  i  bei  tesori, 
E  tra  le  dense  tenebre 
Fulgido  sole  Ei  fu. 

A  lui  era  la  Patria 
In  cima  de'  pensieri  ; 
Uffici  ebbe  dal  .popolo 
E  gravi  ministeri  ; 
Ma  r  Odio  e  la  Discordia 
La  face,  ahimè  1  agitar. 


542  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Risse,  perigli,  ambascie, 
Tumulti,  ire,  vendette. 
Armi,  battaglie,  vittime, 
Pene,  furor,  distrette, 
Paure,  fughe,  esigilo 
Queir  anima  affannar. 


Al  suo  agitato  genio 
Allora  il  volo  aprio, 
Su  la  straziata  Patria 
Gemette  in  suono  pio, 
E  di  que'  mali  ai  perfidi 
Autori  alto  imprecò. 

Quinci  col  suo  Virgilio 
Entrò  nel  tristo  regno. 
Vide  le  bolge,  e  ai  vani 
Delitti  il  loco  degno, 
E  dei  dannati  gli  orridi 
Tormenti  ritrattò. 


Poi  dal  dolente  Tartaro 
Mosse  a  veder  le  stelle. 
Girò  pel  monte  u'  l'anime 
Nel  fuoco  si  fan  belle, 
Finché  di  quel  sul  vertice 
Fermava  il  lasso  pie*. 

Ivi  dal  cielo  empireo 
A  lui  Beatrice  venne, 
Ginta  di  luce  angelica 
Il  suo  fedel  sostenne, 
Ed  air  afflitto  spirito 
Speme,  conforto  die*. 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI.  543 

Con  la  sua  guida  estatico 
Passò  di  sfera  in  sfera. 
Giunse  *ve  il  canto  etemasi 
Di  lode  e  di  preghiera 
Air  Uno,  al  Trino,  al  Massimo, 
E  in  quel  fulgor  posò. 

E  laudi,  e  offese,  e  invidie 
Seguirò  i  carmi  suoi; 
Il  limitar  dei  Principi 
Pur  seppe  quanto  annoi 
Un*  anima  che  libera 
I  suoi  pensier  dettò. 

Mori  doglioso,  povero. 
Proscritto  in  altra  terra. 
Ove  un  umile  tumulo 
La  polve  di  lui  serra 
Che  accese  Europa  e  Italia 
De*  studi  al  santo  amor. 

Alma  sdegnosa,  ah!  placati, 
E  '1  torto  antico  obblia  ; 
Firenze  tua  dei  proavi 
La  grave  colpa  espia, 
E  nel  comune  giubilo 
Ti  rende  il  degno  onor. 

Vola  per  lei  fra  i  popoli 
Più  celebre  il  tuo  nome, 
Tenta  ciascun  di  intessere 
Un  serto  alle  tue  chiome 
Movendo  su  le  cetere 
Inni  di  plauso  a  Te. 


544  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

O  gioventù  d' Italia, 
Al  bello  in  Lui  ti  inspira, 
Svolgi  le  dive  Cantiche 
Della  dantesca  lira. 
Ama  Sapienza  e  Patria 
Segui  Virtute  e  Fé.* 

Il  Terracina  fu  avvocato  e  professore  a  Bassa  no. 

'  Quetu  caniOB*  coA  fu  tump«t«  in  Baimiio,  nel  1865,  preMO  U  tip.  Roberti. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  $45 


DCCLXXIV. 
G.  Moretti. 


Per  le  feste  del  sesto  centenario 
DI  Dante  Alighieri. 

Sonetto. 
(14  maggio  1865). 

Non  la  Fiorenza  dalle  ree  contese, 

Non  la  matrigna  in  sua  ragion  smarrita 
Quella  che  or  tieni  al  pie*,  madre  pentita, 
Fatta  è  regina  del  più  bel  paese; 

Deh,  tu  della  sperante  obblia  l'offese, 
E  all'invito  d'Italia,  ombra  gradita. 
Scendi  alle  glorie  non  concesse  in  vita; 
E  allegra  il  tuo  bell'Arno,  ombra  conese. 

Là  de'  più  grandi,  sul  più  aho  stallo 
Posa  gigante;  e  insegna  che  profondo 
Sapere,  e  patrio  amor,  ne  aveano  esigilo; 

E  ad  ogni  terra  che  ebbe  un  genio  a  figlio 
E  lo  sconosce,  tu  rinfaccia  il  fallo 
Prima  che  sorga  ad  emendarlo  il  mondo.' 

C2p«ito  soneito  coti   fu  ttamp«to  in  Rovif^,  nel  1865,  presso  k  tip.  Minelli. 


Del  Balio.  VoL  XIV.  35 


546  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXXV. 
Gualberto  De  Marzo. 


U  Italia  b  Dante. 

(14  maggio  1865). 

E  i  secoli  sparirò!...  e  insiem  con  essi 
Vorticando  n*and6  forse  ali*  oblio 
D*un  popolo  d'eroi  memoria  e  vanto? 
Forse  su  l'arche,  ove  a  cipressi  e  marmi 
Non  fean  ricordo,  non  siede  custode 
Dell'estreme  reliquie  il  Genio  antico, 
Italo  Genio,  che  pur  nuova  feo 
L'età  che  volse,  e  che  ritemprar  volle 
A  un  più  bello  avvenir  la  speme  ai  forti } 
Ah!  non  passò  la  gloria.  Entro  le  stesse 
Ire  frementi  eh'  avvampar  fur  viste 
A  un'ara  stessa  accanto,  in  sul  medesmo 
Scoperto  avello,  ove  del  vinto  e  insieme 
Del  vincitore  il  fral  scendea  raccolto 
Suonò  di  plauso  il  carme,  e  rigoglioso 
D'ombra  ospitale  frondeggiò  l'alloro. 
Ah!  non  passò  la  gloria,  e  né  fu  muta 
Giammai  la  speme  su  l'età  venture 
Alla  terra,  ove  Dio  dell'immortale 
Suo  spiro  animator  fé'  largo  dono, 
E  ove  ogni  sasso  è  storia,  ed  ogni  gleba 
Gli  stremi  avanzi  d'  un  eroe  ricopre. 

Nell'urna  sacra,  ove  riposo  han  Tossa 
Di  chi  seppe  destar  di  virtù  patria 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  547 

Vividi  sensi  e  generosi  in  seno 
Deir  itala  progenie,  ira  solenne 
Arse  pur  sempre  a  vendicar  l'oltraggio 
Dell'oppressor  temuto.  Ivi  il  responso 
De*  trionfi  sperati,  ivi  il  bel  canto 
Che  punge  il  core  all'itala  fanciulla 
Ludibrio  allo  straniero,  ivi  la  face 
Deir etemo  sapere,  ove  s'accende 
Di  novello  vigor  l'itala  mente. 
Ivi  l'amor,  la  fede,  ivi  il  conforto. 
La  pietà,  la  sventura,  i  danni  e  l'onta: 
Lutto  e  speranza  insiem  !  E  ov'era,  o  Italia, 
Dell'impero  il  prestigio,  ove  i  tuoi  fasti? 
Fu  regio  orgoglio:  fervida  contesa 
Rossa  di  sangue  fa  l'onda  sebezia, 
E  di  Manfredi  il  duol  semina  lutti 
Sopra  i  figli  traditi,  e  oppresso  intanto 
E  in  se  medesmo  irato  vagolava 
Di  Corradin  lo  spirto  per  l'immonda 
Di  sangue  ara  di  morte:  inutil  vanto 
Dell'età  che  fé' suo  l'orgoglio  avaro 
De*  despoti  temuti  !  Unica  speme 
D'un  popol  macerato,  la  vendetta; 
E  la  vendetta  pari  a  turbo  freme 
Nel  cor  sicano  libertà  di  patria 
Su  l'oste  Franca,  a  mille  òde  Panormo 
Per  l'aure  vespertine  in  le  sue  vie 
De  morenti  echeggiar  voci  di  pianto. 
E  fu  vittoria?...  Sventurata  patria 
Di  magnanimi  figli,  a  cui  la  speme 
Nutre  l'ardor  sepolto,  e  fa  laguna 
Di  cittadina  bile  ogni  contrada. 
Patria  infelice,  cui  rendea  più  triste 
Di  su'  romulei  colli  idra  vorace. 
Dalle  sette  cervici,  e  in  sette  brani 
Dilaniata  ti  fea  scherno  alle  genti! 


543  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Funesta  età,  che  su  T  immonda  sabbia 
Scrisse  pur  laude  airorgoglioso,  e  incensi 
Arse  devota  al  fariseo  novello! 
Premea  il  destin,  ma  non  passò  la  gloria. 
Che  pur  radiante  di  splendor  su  l'urne, 
Di  cipressi  deserte  e  illacrimate, 
Stette  retaggio  di  speranza  ai  figli. 

Come  in  torbido  mar  nocchier  che  naufrago 
Ove  più  freme  Tonda  aflferra  il  lido, 
Vede  Italia  colui,  cui  vince  affetto 
Dell'infelice  terra,  e  ramingando 
Di  suolo  in  suol  Simonide  novello 
Della  patria  mostrar  gli  sparti  avanzi 
Di  tanta  gloria  combattuta,  e  l'onte 
Narrare,  e  il  biasmo,  e  le  sciagure,  e  i  danni 
A  l'età  che  fu  sua  e  al  mondo  intero. 
E  no  M  nutria  quel  mendicato  pane 
Dalle  mense  d'altrui,  ben  la  speranza 
De'  lontani  nepoti,  nel  cui  petto 
Di  virtù  maschia  e  di  pietate  sensi 
Seppe  stillar  con  l'armonia  de'  versi 
Novello  Orfeo,  ma  più  possente  ancora, 
Non  piante  e  sassi,  ma  nazioni,  etati, 
E  insiem  con  esse  tutto,  e  terra  e  cielo, 
Eternitate  e  tempo  investe  e  vince. 
Or  ecco,  o  madre  Italia,  in  cui  ti  allieti 
De'  tuoi  trionfi,  e  degli  ancor  sperati 
Trofei.  Dall'Alpi  all'  Etna  un  alto  grido 
Di  gioia  e  di  speranza  oggi  risuona. 
Oggi»  e  s'innalza  ancor  fino  alle  stelle; 
E  vera  gioia  è  questa,  a  cui  t'invita 
L'aura  prima  che  bevve  il  tuo  Profeta, 
Su  per  questa  dell'Arno  alma  riviera, 
Ove  in  spiro  d'amor  nuova  favella 
Ti  ritemprò  sul  labbro,  e  a  un  nuovo  affetto 
Oggi  i  tuoi  figli  stringe;  ed  arra  è  questa 


INTORNO   A   DANTE   ALIGHIERI. 


S49 


D'un  più  lieto  avvenir,  che  ti  vedrai 
Di  Provincie  signora,  e  non  bordello. 
Oh!  ardisci:  a  nuova  etate  ancor  t'appella 
Del  tuo  cantor  la  sillaba  divina. 
Di  sei  secoli  suon  che  al  cor  ti  scende 
Ardisci,  ei  te  *1  rammenta  che  fin  quando 
Qui  stia  congiunta  al  pastoral  la  spada, 
Servir  tu  deggia  allo  stranier  sommessa. 
Nel  monumento  eterno,  in  cui  confonde 
Le  sue  vittorie  il  tempo,  eterna  dura 
L'alta  sentenza,  e  ti  fia  scuola  all'opra. 
Non  più  Greco,  o  German,  né  Ispano,  o  Gallo, 
Una  fede,  un  amor,  una  speranza. 
Una  la  terra  che  nutrica  i  forti 
A  libertà  devoti,  e  un  sol  vessillo 
Di  libertà,  raccolga  all'ombra  amica 
Genti  e  nazioni,  e  nel  fraterno  amplesso 
Fratelli  tutti.  Se  per  te  rifulse 
Tempo  già  fu  nell'universa  terra 
Di  civiltate  il  sole,  oggi  per  Dante 
Nuova  per  le  Nazioni  aura  di  vita 
Fia  che  si  spanda;  si  che  Dante  e  Italia 
Portino  grido  dell'età  che  è  nostra, 
Che  i  popoli  congiunti  in  un  sol  patto. 
Gli  han  già  fatti  fratelli  Italia  e  Dante.' 

Vntonio  Gualberto  De  Marzo,  nato  in  Oria,  in  Puglia,  fu  un 
»  e  coraggioso  affiliato  della  Giovine  Italia,  Nel  1848  fu  im- 
inato,  e,  poi,  mandato  in  esilio  per  dieci  anni.  Nel  1860  fu 
nato  professore  di  letteratura  italiana  ;  ma  appassionato  di  Dante 
»  la  cattedra  per  dedicare  tutto  il  suo  tempo  ad  un  commento 
Divina  Commedia,  nel  quale  impiegò  ben  venti  anni.  Il  primo 
olo  del  primo  volume  venne  fuori  nel  1864  ^^  Firenze  presso 
reria  Grazzini-Giannini  e  solo  nel  1873  era  completato;  il  se- 


lestA  poetit  fu  tump«t«  U  prioiA 
U  Grauini-GiAimini,  Firciuc,  1865  ; 
rodotu  •  p«g.  35  e  segg*  in  :  PofsU 


di  Gualberto  Dt  Mar^o,  con  proemio  di 
Edoardo  De  Fornasari.  Firenze,  Ceilini, 
in-S  p. 


550  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

condo  (1877),  ^^  ^^2^  (1881)  furono  stampati  dalla  Galileiana.  L'o- 
pera è  intitolata:  Studi  filosofici,  morali,  estetici,  storici,  politici,  filolo- 
gici su  la  Divina  Commedia. 

Il  lavoro  è  commendevole  per  gran  copia  di  notizie,  ma  non 
è  sempre  ordinato,  né  porta  un  contributo  nuovo  molto  notevole 
nelle  quistioni  più  dibattute. 

Il  De  Marzo  ha  composto  anche  un  sistema  cosmogonico  inti- 
tolato: Perpetuità  dell'esistente.  Pubblicò  pure:  Elementi  di  psicologia  e 
logica  ad  uso  delle  scuole;  infine  stampò  un  romanzo  storico:  L'Ebreo. 

Le  sue  poesie  sono  più  degne  di  nou.  Fu  lodata  molto  una 
poesia,  scritta  per  l'onomastico  di  sua  madre,  in  cui  vi  è  ispirazione 
e  sincero  affetto.  Nel  carme  L'Italia,  composto  quando  più  infierivano 
le  persecuzioni  borboniche,  si  agita  vivacissimo  il  pensiero  su  i  de* 
stini  della  patria,  che  vanta  il  culto  del  bello  e  del  bene,  mentre 
Tane  è  per  essa  fede,  sacrifìcio  e  virtù.  Anche  nell'ode  La  Risurre- 
zione predomina  il  sentimento  patriottico,  e  insieme  il  pensiero  del 
riscatto  dell'intiera  umanità.  Sono  belli  i  Sonetti  suoi  sulla  Gorizia  e 
commoventi  i  Canti  popolari  sulle  rovine  di  Melfi,  desolata  dal  ter- 
remoto nel  1851. 

Non  vanno  dimenticate  la  tragedia  Alessandro  dei  Medici  e  al- 
cune sue  traduzioni  da  Orazio. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  55 1 


DCCLXXVL 
Gio.  Batt.  Svegliato. 


Daxtes  Alighierius. 

(Ode  alcaica). 

(14  maggio  1865). 

Quis  iste?  launis  cui  rigidam  obtegit 
Aeterna  frontem,  magnifica  senex 
In  veste  spectandus,  supemas 
Ore  gerens  oculisque  flammas? 

O  Summe  vatum,  Te  veneror,  tibi 
Devotus  uni  sacra  deosculor 
Vestigia,  o  Dantes,  Hetrusco 
Méonides  redivive  caelo. 

Sancti  profanus  non  ego  quiverim 
Opus  laboris  carpere,  non  ego 
Morosus  irascor,  quod  asper 
Difficili  sonet  aure  versus. 

Nec  usque  amicas  e  fidibus  notas 
Perita  ducit  dextera,  moUibus 
Coniungit  ingratas,  et  altum 
Dat  tenui  e  sonitu  fragorem. 

O  quantus  adstas,  seu  loco  pallidi 
Inferno  luctus,  sive  animas  refers 
Quas  iam  supremis  destinatas 
Ordinibus  Deus  igne  purgat; 


552  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Seu  quando  pennis  non  homini  datis 
Scandis  negatos  caelicolum  vias, 
Et  luce  mortali,  potentis 
Numinis  intuitu  bearis. 

Robustiori  Carmine  praepotens 
Tu  pandis  audax  dia  sciendae 
Portenta,  Tu  cunaos  penetras 
Exagitatae  animae  recessus. 

Ultro  cadentes  quis  lacrymas  premat 
Arìminensis  moesta  nefarìas 
Elisa  cum  flammas  et  altum 
Sponte  aperìt  pudibunda  vulnus? 

Aut  cum  latranti  se  lanians  fame 
Dira  Ugolinus  triste  fremit  specu, 
Seseque  proreptat  per  umbras 
Exanimes  super  ipse  natos. 

Non  sic  paterno  sanguine  defluens 
Mentes  dolendus  perculit  Oedipus, 
Non  sic  stupentes  territavit 
Cecropidas  fera  coena  fratrum. 

Funde  ergo  vocem,  magne  Pater,  tuam 
Late  per  oras,  excute  languidas 
Cultu  peregrino  nitentis 
Italici  Genii  favillas. 

Unum  recentes  Te  sequi  ament  ducem 
Colantque  Vates,  auspiciis  tuis 
Tollet  renidentem  Pòesis 
Grandiloquo  gravis  ore  frontem. 

Viden  profundae  ut  prima  scientiae 
Parens  et  altrix  Euganea  expoliti. 
Et  luce  donatum  recenti 
Dedicat  Ausoniae  luventae 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  5S^ 

Cadeste  Carmen,  mentis  opus  tuae? 
Ut  inde  sumpto  concita  spiritu 
Laetatur,  et  rursus  revolvi 
Posse  putat  nova  saecla  in  auro  ? 

Sic  plenus  altam  spem  probet  exitus, 
Sic  detur  aequum  promerìtae  decus, 
Et  palma  praelustris  coronet 
Magnanimos  operum  labores/ 

'  QpMt'odtf  coti  fu  tumpAU  in  Padova  nel  1865,  «diziont  delU  Minenra,  toI.  V, 
•  533  «  ««gg- 


5)4  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXXVIL 
Gaetano  GmvizzANi. 


Agli  strakieri  che  da  ogni  parte  d'Europa  conven- 
nero IN  Firenze  ad  onorare  il  divino  Alighieri  nel 

VI  SECOLARE  ANNIVERSARIO  DALLA  SUA  NASCITA. 
(14  maggio  1865). 

Non  io,  non  io  con  giovenile  ardire 
Seguiterò  col  canto 
L'amoroso  desire 
A  celebrar  le  lodi, 
Onde  tu  primo  vanto 
Dell'italica  terra  e  gloria  al  mondo. 
Altri,  che  puote  a  più  sublime  segno 
Poggiar  col  forte  ingegno, 
La  piena  lingua  snodi, 
E  a  te  poeta  e  cittadino  sciolga 
L'italica  armonia. 

Sol  nel  pensier  di  te  farsi  tremante 
Sento  quest'  alma,  e  a  me  stesso  dimando  : 
Qual  v'ha  parola  che,  di  te  parlando. 
Suoni  maggiore  del  tuo  nome,  o  Dante? 

Pur  seguitando  il  core. 
Poiché  il  mio  verso  sonò  sempre  amore. 
Render  vo*  grazie  a  voi. 
Che  dalle  peregrine 
Terre  d'  Europa  ne  veniste  a  noi, 
AI  sacro  rito,  onde  la  nova  etade 
Nell'italico  suolo 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  555 

Festeggia  a  lui,  che  con  ardito  volo 
Peregrinando  per  ignoti  mondi, 
Sotto  il  velame  delli  versi  strani, 
Svolgeva  nei  profondi 
Pensieri  il  germe  d'una  nova  vita 
A  questa  Italia  ch'ei  piangea  partita. 

E  voi  pur  la  piangeste  in  meste  note, 
Quando  alle  rotte  voglie 
Di  tiranni  stranier  vedeste  in  forza 
Queste  contrade  belle, 
E  con  l'arti,  con  Tarmi  e  coi  convegni 
Partir  tra  lor  le  miserande  spoglie: 
Quando  questa  negletta  incatenata 
Terra  sembrò  di  morti. 
Ma  l'ombra  ancor  vagava 
Del  divino  Alighiero 
Per  questo  cimitero, 
E  quando  meno  ella  parea  possente 
Ei  chiamò  a  vita  questa  morta  gente. 

E  la  novella  gloria 
Vedendo  voi  di  questa  nostra  etade, 
E  la  miranda  istoria. 
Meravigliando  si  potesse  tanto, 
A  noi  plaudiste,  a  noi 
Che  degli  antichi  eroi 
Studiammo  rinnovar  le  ardite  e  belle 
Ceste  con  nuovo  vanto, 
E  voi,  che  ancor  la  dura 
Tirannia  preme,  a  noi  plaudiste,  poi 
Che  la  ragion  futura 
Nel  nostro  ricercaste  al  vostro  fato; 
Che  ci  inspirava  il  Dio 
Che  in  una  legge  sola  il  mondo  unio. 

Oh  non  ancora  appieno 
Il  desir  nostro  aggiunse  all'ardua  meta; 
Oh  non  ancora  nel  suo  bel  sereno 


5  5^  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Ridono  i  giorni  all'itala  speranza; 

Ancor  nei  ceppi  avvinto 

Geme  il  lione  alato, 

E  di  catene  cinto 

Il  grande  augel  di  Roma: 

Ma  non  timor  vi  prenda. 

Che  il  picciolo  sì  doma, 

Non  il  forte  lion  della  foresta, 

Né  l'aquila  latina 

Nel  Vaticano  un  uomo  sol  confina. 

O  voi,  che  avversa  sorte 
Fé'  più  pietoso  il  core. 
Se  delle  vostre  terre  un  santo  amore 
Alimentaste  in  petto 
Con  l'opra  e  la  parola, 
Deh  soccorrete  alle  battaglie  estreme. 
Non  sol  vi  sarà  gloria 
L'italica  vittoria, 

SI  ben  dei  desir  vostri  al  compimento 
Vi  crescerà  le  forze  e  l'ardimento. 
Questa  guerra  non  è  d'armi  e  d'armati; 
Questa  è  la  pugna  del  pensier,  tremenda 
Pugna  che  nacque  il  di  che  infuse  Iddio 
Lo  spirto  avvivatore 
Ne  la  plasmata  argilla; 
Che  dei  profeti  al  canto 
E  degli  oppressi  al  pianto 
Virtù  giugneva  al  core. 
Finché  di  Vico  all'immortale  grido 
Dall'uno  all'altro  lido 
Novellamente  si  riscosse  il  mondo. 
È  la  battaglia  estrema 
Del  libero  pensiero, 

Che  dal  passato,  con  cui  sembra  in  guerra. 
Prende  sua  vita  ad  innovar  la  terra. 
Fatta  secura  nel  suo  divo  impero. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  557 

Non  vi  prenda  timor;  l'avventurato 
Scettro  d*  Italia  oggi  non  tiene  in  mano 
Ozioso  sovrano; 
SI  bene  un  re  soldato. 
Non  vi  prenda  timore;  ancor  respira 
L' aure  di  vita  un  forte 
Spregiator  di  tiranni  e  della  morte 
Sovra  un  famoso  scoglio 
Che  non  invidia  lo  splendor  del  soglio. 
Quante  v'  han  terre  in  duolo, 
In  cui  la  forza  di  stranier  tiranno 
Tarpa  alla  dolce  libertade  il  volo. 
Sperino  in  lui,  che  fisso  in  un  profondo 
Pensier,  nomando  va  sua  patria  il  mondo. 

E  quando  il  di  si  avveri 
Delle  battaglie  vostre, 
O  martiri  Poloni,  o  d*  Ungheria 
Miseri  figli,  noi 
Certo  sarem  con  voi: 
Ricorderem  che  a  pie'  del  monumento 
Dell'Italo  Cantore 

Voi  deponeste,  o  eletti  bardi,  un  fiore 
Che  alimentaste  con  il  vostro  pianto; 
E  questo  fior  che  ci  è  fra  tutti  santo 
Noi  serberem  con  religioso  aflFetto 
Nuove  virtudi  ad  ispirarci  in  petto. 

Quando  tornate  alle  native  terre, 
Dite  che  in  riva  all'Arno 
Al  simulacro  del  divin  Poeta 
Tutto  s'accolse  l'italo  paese; 
Che  in  un  pensier  cento  cittadi  unite 
V*  han  pregato  recarne  il  lor  saluto, 
E  che  piangendo  udirò 
Dei  vostri  canti  il  nobile  tributo. 
Dite  ai  fratelli  vostri 
Che  noi  vi  amiamo  tanto. 


558  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Che  qui  non  suona  indamo 

Mai  degli  oppressi  il  pianto. 

L'aure  son  liete  e  care 

Ove  la  santa  libertà  respira, 

E  l'alma  si  consola 

Che  *n  su  temprata  lira 

Può  disposar  di  Dante  all'armonia 

L'italica  parola. 

A  sostener  dei  popoli  il  diritto 

Libertà  infonde  arcana  una  dolcezza. 

Che  intender  non  la  può  chi  non  la  prova: 

Ma  di  celeste  ebbrezza 

Solo  riempie  quando, 

Qual  fida  madre  al  travagliato  figlio. 

Dir  ci  concede  all'uom  col  fato  in  guerra, 

AU'uom  che  è  volto  in  disperato  esiglio: 

Vieni  e  ti  quieta  nella  nostra  terra! 

O  quanti  qui  n'  addusse 
La  reverenza  del  Cantor  divino, 
Quando  reddite  alle  natali  prode 
Nunziate  ai  vostri  che  in  su  queste  rive 
Dell'Alighieri  è  surto  il  monumento: 
E  che  questo  non  sia  ozioso  vanto 
Di  gente  che  sol  vive  nel  passato. 
Ai  vostri  figli  sarà  ben  mostrato 
Per  la  gloria  dei  secoli  futuri.  ' 


Gaetano  Ghìvizzani  nacque  in  Firenze  verso  il  1840.  Fece  i  suoi 
primi  studi  in  quella  città,  nel  collegio  degli  Scoiopii,  dove,  essendo 
ancora  alunno  di  rettorica,  nel  1857,  scrisse  un  sonetto  quando  Pio  IX 
vi  si  recò,  di  una  certa  arditezza.  Indi  passò  all'Università  di  Pisa, 
dove  nelle  cose  del  diritto  ebbe  a  maestro  Francesco  Carrara.  Ne! 
mezzo  del  1861  compose  una  canzone  iperbolica  a  Vittorio  Emanuele, 


'  Questa  canzone  cosi  si  legge  «  pag.  7$- 
81  in  un  libro  in- 16  col  titolo:  Ftrsi  di 
Gaetano   GhÌTÌzzani,  Pistoia,  società  tip. 


pistoiese  Carducci   e  BuongioTanni  e  C 
1867. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  559 

quando  per  «voto  della  nazione  e  per  decreto  del  Parlamento  si 
intitolò  re  d*  Italia  »,  che  parve  troppo  laudativa  non  soltanto  al  Guer- 
razzi che  gli  scrisse  «le  soverchie  lodi  sciupano  chi  le  fa  e  chi  le 
riceve  »,  ma  anche  al  Tommaseo. 

Fu  nominato  poi  professore  nel  liceo  di  Macerata  e  nel  1867 
pubblicava  il  suo  primo  volume  di  versi  originali  e  di  traduzioni. 

I  casi  della  vita,  dopo  esser  passato  per  vari  licei,  lo  ridussero 
in  povertà.  Poi  fu  ammesso  come  operaio  avventizio,  presso  gli  scavi 
di  Roma,  a  lire  due  e  mezzo  al  giorno.  Morì,  in  Roma,  nel  1903, 
all'ospedale  di  S.  Giacomo. 


$6o  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXXVIII. 
Vittore   Hugo. 

écrit  sur  un  exemplaire  de  la  divika  commedia. 

(Riprodotto  14  maggio  1865). 

A  Monsieur  Gaetano  Ghivi^ani, 

Monsìeur, 

Votre  demande  m*honore,  et  j*en  ai  été  vivement  touché.  Je  de* 
chiffre  avec  peine  Tìtalien,  et  je  m'en  accuse.  Je  m*en  excase  aussi, 
car  de  là  vient  le  retard  de  ma  réponse. 

Vous  désirez  publier  dans  votre  recueil  mes  vers  sur  Dante. 

Ils  sont  dans  les  ConUmplaiions,  Le  Gonfalonier  de  Florence 
m*a  écrit  ;  je  lui  ai  répondu.  Il  va  sans  dire  que  vous  pouvez  publier 
ma  réponse,  si  vous  le  jugez  à  propos. 

Votre  lettre  eloquente  porte  Tempreinte  des  semimeots  les  plus 
élevés.  Je  suis  avec  vous.  Je  suis  un  bon  italien,  ce  qu*est  une  excel- 
lente  manière  d'ètre  un  bon  fran(;ais. 

Recevez,  monsieur,  mon  cordial  serrement  de  main 

Hauteville  House,  6  mai  1865. 

Victor  Hugo. 

Un  soir  dans  le  chemin  je  vis  passer  un  homme 
Vétu  d'un  grand  manteau  comme  un  consul  de  Rome, 
Et  qui  me  semblait  noir  sur  la  ciarle  des  cieux. 
Cela  passant  s'arréta  fixant  sur  mei  sts  yeux 
Brillants,  et  si  profonds,  qu'ils  en  étaient  sauvages. 
Et  me  dit:  «J'ai  d'abord  été,  dans  les  vieux  iges, 
Une  haute  montagne  emplissant  rhorizon; 
Puis,  àme  encore  aveugle  et  brisant  ma  prison, 
Je  montai  d'un  degré  dans  Téchelle  des  ètres, 
Je  fus  un  chéne,  et  j'eus  des  autels  et  des  prétres 
Et  je  jetai  des  bruits  étranges  dans  les  airs; 
Puis  je  fus  un  lion  révant  dans  les  déserts. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  56 1 

Parlant  à  la  nuit  sombre  avec  sa  voix  grondante; 
Maintenant,  je  suis  homme,  et  je  m'appelle  Dante.  »  * 

Victor  Hugo,  nato  poeta,  ebbe,  per  le  vicende  della  sua  vita  e 
di  quella  di  suo  padre,  agio  di  sviluppare  e  perfezionare  le  ingenite 
qualità  di  osservazione,  di  sentimento,  di  colorito,  per  cui  divenne 
non  solo  il  più  gran  poeta  del  suo  paese,  ma  uno  di  quei  poeti  uni- 
versali che  parlano,  in  tutti  i  tempi,  a  tutto  il  mondo.  Vide  la  luce 
a  Besan^on,  nel  1803;  e,  appena  adolescente,  segui  suo  padre,  ge- 
nerale, nelle  varie  campagne  napoleoniche.  Venne  in  kalìa,  sog- 
giornò qualche  tempo  in  Avellino  e  si  innamorò  vivamente  del  no- 
stro paese,  pel  quale  serbò  costante  e  sincero  affetto  fino  alla  morte. 

Animoso,  sentendosi  forte  come  un  leone,  non  esitò,  appena 
quattordicenne,  di  presentarsi  ad  un  concorso  di  poesia,  bandito  dal- 
l'Accademia francese.  La  sua  poesia  fu  giudicata  eccellente,  e  avrebbe 
ottenuto  il  primo  premio,  se  non  si  fosse  saputa  l'età  dell'autore. 
«  Non  è  possibile  -  allora  dissero  i  giudici  -  che  un  adolescente 
abbia  potuto  scrivere  così  ;  non  è  farina  del  suo  sacco  !  »  E,  in  tal 
modo,  il  primo  premio  fu  ridotto  a  semplice  menzione  onorevole. 
Ma  r  adolescente  non  se  ne  stette,  vergò  una  vigorosa  protesta,  che 
fece  rumore,  e  provò  che  non  si  fanno  versi,  come  non  si  ùl  al- 
l'amore, col  solo  calendario  in  mano.  Dimostrate  la  sua  forza  e  la 
sua  capacità  a  dispetto  del  calendario,  vinse  facilmente  nei  concorsi 
poetici  indetti  dall'Accademia  provenzale,  e  fu  dichiarato  maestro  dei 
giuochi  floreali. 

Molti  incominciarono  a  guardarlo  come  una  speranza  della 
patria,  specialmente  dopo  che  Chateaubriand  lanciò  il  gran  grido: 
Voilà  un  enfant  sublime,  11  gran  sacerdote  della  scuola  classica  con- 
sacrava air  immortalità  il  giovane  amatore  delle  nuove  muse.  Ma 
la  gloria  scendeva  sulla  sua  testa  insieme  con  gli  strali  del  dolore. 
A  diciannove  anni  la  madre  sua,  da  lui  teneramente  amata,  se  ne 
moriva.  Egli,  in  versi,  che  strappano  le  lagrime,  ne  onorò  la  me- 
moria; e  nel  lavoro  cercò  l'unico  sollievo  possibile  dopo  questi 
grandi  dolori.  Scrisse  Han  d'Islande^  e  con  esso  mise  la  prima  pietra, 
della  nuova  scuola,  della  scuola  romantica. 

Passava  come  un  trionfatore,  come  un  giovine  iddio  tra  i  salotti 
dorati  e  profumati  della  corte  di  Carlo  X;  il  futuro  fustigatore  del- 
l' impero  e  di  tutte  l&  menzogne  e  le  corruttele  monarchiche  era, 
allora,  legittimista.  Forse,  in  gran  parte,  il  suo  intelletto,  per  grati- 


'  Qp^ti  vcrM  cositi  leggono*  pag.  196 
in  :  Veni  di  G.  GhÌTizzani»  già  cit.  Il  Ghi- 
▼izzAni  ristampò  questi  versi,  e  pubblicò , 
per  U  prima  volta,  altri  versi  di  poeti  stra- 


nieri, nel  186$,  In  Firenze,  in  un  opuscolo 
dal  titolo  :  Omaggio  dtlV  Europa  a  Danti, 
ora  introvabile. 


Dhi  Balzo.  Voi.  XIV.  3^ 


302  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

tudine,  era  stato  deviato:  Carlo  X  gli  aveva  assegnato  duemila  lire 
di  pensione,  assicurandogli  i  mezzi  di  lavoro.  Intorno  a  luì  si  erano 
stretti  giovani  ardenti,  battaglieri,  p'eni  di  talento,  tutti  nomi  che 
dovevano  brillare  nel  cielo  di  Francia,  quali  Alessandro  Dumas,  Al- 
fredo De  Vigny,  Emi! e  e  Antony  Deschamps,  Gustave  Planche  e 
Sainte-Beuve  specialmente;  poeti,  cioè,  artisti,  critici,  una  vera  pleiade, 
che  doveva  innalzare  un  coro  di  laudi,. quando  egli,  a  ventitre  anni, 
pubblicava  le  sue  Odes  et  BalladeSy  che  lo  posero  a  capo  del  movi- 
mento letterario  francese  e  lo  fecero  salutare  grande  poeu.  I  vecchi 
barbassori,  i  critici  cristallizzati  nelle  viete  formule,  tutti  gli  ipocriti 
e  i  pedanti  e  i  praticanti  di  lettere  gli  si  mossero  contro;  ma  egli 
li  stritolò  nella  prefazione  al  suo  Cromwell,  che  fu  il  grido  di  guerra 
e  la  bandiera,  nel  tempo  stesso,  della  nuova  scuola  trionfante,  che 
voltava  le  spalle  all'Accademia  ed  entrava  nella  vita.  Alfredo  De  Musset, 
Teofilo  Gauthier,  Alfonso  Karr,  si  inchinavano  al  giovine  sole,  e, 
col  loro  talento  scintillante,  aprirono  nuovi  e  profondi  solchi  per  i 
quali  la  corrente  nuova  doveva  innaffiare  la  feconda  terra  di  Fran- 
cia. Scrive  Un  condannato  a  morte  e  il  gran  romanzo  storico  Nostra 
Signora  di  Pari^,  indi  Marion  Delorme^  così  saturo  di  lagrime,  di 
passione,  e  di  protesta  ;  ma  Carlo  X,  spaventato  dai  suoi  consiglieri, 
ne  proibisce  la  rappresentazione.  Allora,  Victor  Hugo  comprende 
che  quella  corte  e  queir  ambiente  non  sono  fatti  per  lui.  Il  genio 
soffoca  sotto  r  incubo  dei  soffitti  dorati.  Scrive  Hernani,  che  segna 
un  trionfo  straordinario,  dopo  una  vera  battaglia  combattuta  all'Odèon. 
Il  giovane  e  grande  poeta  sente  tutta  una  nuova  vita  nel  suo  petto 
gagliardo,  sente  tutta  la  nobiltà  della  sua  missione,  sente  che  la  sua 
patria  lo  guarda,  e  abbandona  la  corte  ed  entra  nell*  umanità.  Il  re 
gli  vuole  aumentare  la  pensione  da  duemila  a  seimila  lire  per  risar- 
cirlo del  danno  prodottogli  dal  divieto  della  rappresentazione  di 
Marion  Delorme;  ma  egli  ricusa.  La  sua  libertà  non  ha  prezzo;  la 
Francia  e  il  mondo  gli  daranno  ben  altra  pensione  e  ben  altre  co- 
rone. La  Rivoluzione,  che  spezza  il  vecchio  carcame  legittimista,  gli 
dà  tutta  la  sua  libertà.  E  il  suo  cervello  diventa  un  vulcano  glorioso. 
I  drammi  si  alternarono  alle  liriche.  Ogni  rappresentazione  teatrale 
era  un  avvenimento  letterario  e  politico,  era  una  battaglia,  era  un 
trionfo.  La  scena  francese  si  arricchiva.  Passarono  vittoriosi  innanzi 
al  fuoco  della  rampa:  Maria  Tudor,  Lucrezia  Borgia,  Le  roi  s'amuse, 
Angelo,  Les  Bur^raves,  mentre  la  lirica  sfolgorava  con  le  Orientales, 
commoveva  con  Le  fo;;lie  d'autunno,  cullava  l'anima  in  una  dolce 
malinconia  con  i  Canti  del  crepuscolo,  dava  tutto  il  contrasto  della 
vita  con  Rag^i  ed  ombre,  e  destava  il  pensiero  con  le  Voci  interiori. 
Tutto  il  popolo  sperava,  e  cantava  col  poeta  del  quale  divideva 
le  ansie  della  vigilia  e  le  gioie  dei  giorni  di  vittoria,  in  lui  vedendo 
personificata    l'arte    francese.    Così,  nel  1841,  nonostante    le    mene 


INTORKO  A   DANTE  ALIGHIERI.  563 

delle  cariatidi  del  vecchio  regime  e  delle  vecchie  scuole,  il  poeta 
entrava  nell'Accademia  francese,  accolto  da  quell'affermazione  co- 
raggiosa e  vera  di  Lamartine,  che  è  rimasta  storica  :  «  Noi  abbiamo 
qui  due  accademie,  la  piccola  e  la  grande  ;  voi  avete  tutta  la  grande 
per  voi  ».  Nel  tempo  stesso  veniva  ascritto  tra  i  pari  di  Francia. 

Tutti  questi  onori  non  lo  resero  superbo,  né  gli  sterilirono 
l'anima,  che  sentivasi  battere  all'unissono  con  quella  di  tutto  un 
popolo.  Cosi,  nella  rivoluzione  del  1848,  fu  col  popolo  e  per  il  po- 
polo, disinteressatamente,  non  spinto  dall'ambizione  o  da  insana 
febbre  di  facile  popolarità.  E  quando  i  più  incominciavano  a  piegare 
tra  le  insidie  e  le  carezze  dei  bonapartisti,  egli,  nel  luglio  del  1851, 
pronunciò  alla  Camera  quel  vigoroso,  eloquente  ed  efficace  discorso 
contro  le  cabale  reazionarie,  che  doveva  aprirgli,  poco  più  di  un 
anno  dopo,  le  vie  dell'esilio. 

Per  ventidue  anni  rimase  in  esilio  e  non  piegò  mai,  nonostante 
fosse  provato  dai  più  grandi  dolori.  Rimase  solo;  la  morte  gli 
strappava  dal  fianco  la  moglie  e  i  figli.  Come  un  gran  libro  vivente, 
come  un  simbolo,  come  un  solitario  gigante,  votato  alla  causa  della 
libertà  e  della  giustizia,  rimase  tra  gli  scogli  di  Guernesey,  fra  l'inno 
perenne  del  mare,  l'eterna  forza,  a  protestare  contro  ogni  prepo- 
tenza, ad  incoraggiare  ogni  virtù.  1  suoi  Chdtiments  superarono  tutte 
le  classiche  e  nuove  rampogne  letterarie.  Scritti  col  fuoco  bollarono 
a  sangue  le  carni  guaste  del  piccolo  Napoleone  e  scavarono,  come 
lava  incandescente,  la  voragine,  che  doveva  inghiottire  il  secondo 
impero.  E,  durante  1  ventidue  anni  di  esilio  glorioso,  al  romanzo 
diede  I  Miserabili  e  I  Lavoratori  del  mare;  alla  poesia:  Le  contem- 
plazioni. La  leggenda  dei  secoli.  Le  Canioni  delle  vie  e  dei  boschi. 

La  caduta  dell'impero  gli  apriva  le  porte  della  sua  patria  e 
Parigi  l'acclamava  come  un  profeta,  un  apostolo,  un  liberatore. 
Scrìsse  VAnnée  Terrible  (1870)  e  al  romanzo  dava  ancora  Quatre- 
^ingt-treizey  con  lena  infaticata,  con  fantasia  sempre  viva,  con  colo- 
rito fresco.  Poi,  con  la  Storia  di  un  delitio,  scrisse  l'epitaffio  sulla 
tomba  infame  dell'  impero  delle  prostitute  e  dei  ruffiani. 

Eletto  senatore  dal  dipartimento  della  Senna  nel  1876,  prese 
ancora  viva  parte  a  tutto  il  movimento  del  suo  paese.  Nelle  feste 
dell'Esposizione  del  1878,  in  cui  la  Francia  dimostrò  di  risorgere 
dalle  sue  ceneri  in  cosi  breve  tempo,  fu  il  centro  si  può  dire  di  tutte 
le  feste,  idolatrato  da  francesi  e  stranieri.  Ed  egli,  sempre  buono  ed 
ardente,  si  valse  del  suo  nome,  della  sua  autorità,  del  pubblico  fa- 
vore, della  sua  eloquenza  per  propugnare  l'amnistia,  una  legge  di 
carità,  di  amore  e  di  pace.  Quando  quattro  anni  dopo  moriva,  i 
suoi  funerali  furono  un'apoteosi.  Il  lutto  della  Francia  fu  lutto  di 
tutto  il  mondo  civile. 


564  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


DCCLXXIX. 
Gaetano  Ghivizzani. 


Traduzione  della  precedente  poesia  di  Victor  Hugo. 
(14  maggio  1865). 

Una  sera  ho  veduto  in  sulla  via 
Passare  un  uomo  in  gran  mantello  avvolto 
Qual  console  di  Roma,  e  mi  paria 
Ner'  ombra  in  mezzo  allo  splendor  dei  cieli. 
Sostò  il  viandante  in  me  gli  occhi  fissando 
SI  scintillanti  ed  incavati  come 
Fosser  di  fiera,  e  dissemi:  «Da  pria 
Eccelso  monte  al  tempo  antico  fui 
Ch'  empieva  Y  orizzonte,  alma  poi  ceca 
Ancor,  rompendo  mia  prigione,  un  grado 
Sulla  scala  degli  esseri  m'alzai; 
Fui  quercia  ed  ebbi  altari  e  sacerdoti 
E  stranamente  risonar  fei  l'aria 
D'alti  rumori  non  uditi  innante; 
Poi  fui  lion  che  nei  deserti  posa 
Rampognando  la  notte  tenebrosa. 
Or  uomo  io  sono,  ed  il  mio  nome  è  Dante.  ' 


'   Questa    traduzione    così    si    legge    a         Per  le  notizie  biografiche  e  bibliografiche 
pag.  196  in:  Versi  dì  G.  Ghivizzani  gii  cit.         del  Ghivizzani,  v.  a  pag.  55S  di  questo  voi. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  565 


DCCLXXX. 

Alfredo  Tennyson. 

Dante. 

(14  maggio  1865). 

Afr.   Gaetano  Ghivi:^ani.  -  Florence, 

Sir, 

Pray  pardon  me  for  having  neglected  your  first  letter.  I  suppose 
that  a  near  family  loss  wich  happened  about  the  tìme  when  this 
arrived,  put  it  out  of  my  recollection.  You  only  asked  for  «  due 
versi  »,  and  you  see  that  I  have  taken  you  at  your  word,  and  send 
you  something  like  an  old  Greek  epigram,  which  you  are  at  liberty 
to  insert  or  reject,  as  it  best  pleases  you. 
I  have  the  honor  to  be,  sir 

Your  most  obedient  Servant 
Tennyson. 

King,  who  hast  reign*d  six  hundred  years,  and  grawn 
In  power  and  ever  growest,  since  thine  own 
Fair  Florence,  honouring  thy  nativity, 
Thy  Florence,  now  the  crown  of  Italy, 
Has  ask'd  me  for  a  verse  in  fraise  of  thee, 
I,  wearing  but  the  garland  of  a  day. 
Cast  at  thy  feet  one  flower  which  fades  away.  ' 

Alfredo  Tennyson,  chiamato  il  più  classico  dei  romantici  inglesi 
per  la  misura  e  la  castigatezza  della  forma,  vissuto  sempre  solita- 
riamente in  una  sua  casa  di  campagna  nei  dintorni  di  Londra  o  nel- 
r  isola  di  Wight,  deve  la  sua  fama  al  suo  merito,  non  alle  conven- 

'  Quelli   versi    coti    furono  stampati  a  pag.  19710:  Fìrrii  di  G.  GhivÌ2zani,  giàciu 


566  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

ticole  letterarie  o  politiche.  Nato  nel  1809  a  Somerby,  nella  contea 
di  Lincoln,  dove  suo  padre  era  pastore  evangelico,  si  istruì  nell'  Uni- 
versità di  Cambridge.  Nato  poeta,  colà,  giovanissimo,  ottenne  uno 
dei  primi  premi  di  poesia.  Di  natura  grave,  meditativa  non  si  lasciò 
inebbriare  da  questo  primo  e  facile  successo;  e,  favorito  dai  mezzi 
di  fortuna,  si  consacrò  tutto  allo  studio  per  costruire  solidamente  la 
sua  fama.  Esordì,  pubblicando,  insieme  a  suo  fratello,  un  volume  di 
versi  vari;  ma,  ben  presto,  si  presentò  al  pubblico,  da  solo,  con  due 
volumi  di  liriche,  si.impate  nel  1830-32,  e  altri  tre  volumi  pubblicò 
dal  1832  al  1842,  col  titolo  di  Po^m;,  ai  quali  seguirono  altri  volumi 
fino  al  185 s,  in  cui  venne  fuori  Maud  and  oiher  poems.  La  sua  vena 
poetica,  delicata,  talvolta  mistica,  sempre  morale,  non  si  esauri  mai. 
Molte  fra  le  sue  composizioni,  fra  le  quali:  Pìaim^  Genevieve,  Vi- 
vianey  Enide,  furono  tradotte  in  francese  dal  Michel  (Parigi,  1866-69), 
ed  illustrate  dal  Dorè.  La  regina  d' Inghilterra,  così,  lo  nominava 
poeta  laureato  nel  1875,  e  dieci  anni  dopo,  lord.  Fanno  quasi  sempre 
così  queste  teste  coronate!  Quando  i  poveri  poeti  sono  arrivati  e 
non  hanno  più  bisogno  di  alcuno,  si  danno  il  gusto  di  accattar  un 
pò* di  popolarità,  proemiandoli;  pigmei  saltano  sul  dorso  dei  giganti 
per  sembrar  grandi. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  367 


DCCLXXXI. 

Gaetano  Ghivizzani. 

Traduzione  della  precedente  poesia  di  A.  Tennyson. 


Re,  che  seicento  anni  tenesti  impero 
E  ognor  maggior  ti  fai 
Nel  potere  *n  che  sempre  crescerai, 
Poiché  la  bella  tua  Fiorenza  il  giorno 
In  che  nascesti  onora. 
La  tua  Fiorenza,  che  al  suo  crine  intorno 
Ha  ricinto  1*  italica  corona, 
Mi  chiese  il  verso  che  *n  tua  lode  suona. 
Io  che  d*  un  giorno  ho  solo  il  serto,  un  fiore 
Depongo  ai  piedi  tuoi  che  langue  e  muore.  ' 


'  Vedi  a  pag.  199  in  :  Versi  dì  G.  Ghi-    1    e  bibliogr«6che  del  Ghivizzani  vedi  a  pa> 
vizzani,  op.  cit.  Per  le  notizie  biografiche    j    gina  JS^  ^>  questo  volome. 


Gaetano  Ghivizzani. 
Traduzione  di  una  poesia  di  N.  Ogareff. 

(14  maggio  1865). 

A  monsieur  Gaietan  Gbivi^ani  -  Florence, 

Gmèvc  BoiMiér*.  6  m«i  iSéf. 

Monsieur, 

Je  vous  remercie  pour  votre  lettre  du  2  mai.  Je  m'étais  xnis 
immédiatement  à  Touvrage  pour  fkire  aussi  vite  que  possible.  je 
tenais  à  vótre  pensée  et  je  croyais  de  mon  devoir  de  faire  aniver 
à  la  fète  du  grand  Dante  une  voix  russe,  quelque  faible  qu'elle  sott, 
pourvu  qu*elle  puisse  dire  tonte  la  sympadiie  que  nous  avons  pour 
1*  Italie  et  tonte  la  foi  que  nous  avons  dans  son  avenir. 

Je  vous  envoie  une  petite  poesie  en  langue  russe  en  y  joigoust 
une  traduction  fran^aise  en  prose 

Agròez,  Monsieur,  la  haute  considération  de  votre  tout  dèvoné 

N.  Ogareff. 

Italia,  fiore  del  giardin  del  mondo, 
Delle  ardite  speranze  e  dei  gloriosi 
Fasti  paese,  lo  splendor  de'  tuoi 
Rumoreggianti  mari,  e  il  tremolante 
Azzurro  in  cima  delle  tue  montagne 
Tornar  veggo  a  me  innanzi  entro  la  quiete 
Delle  soavi  rimembranze,  come 
Gli  splendidi  fantasmi  della  prima 
Etade.  Italia,  io  ti  saluto  in  questo 
Giorno  in  che  tutto  il  popol  tuo  s'allegra. 
In  questo  giorno  che  al  poeta  è  sacro 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI. 


$69 


«  De  l'eterno  dolor  »  gli  spirti  aduna 
Onde  cessar  dai  secolari  affanni. 
Si  che  la  sacra  libertà  risuoni 
Nelle  tue  terre,  e  a  te  libera  stenda 
Le  mani  un  di  dai  cento  rami  e  cento 
La  innumere  famiglia  degli  slavi.  ' 

Niccolò  Ogareff,  nato  in  un  borgo  della  provincia  di  Peuza 
nel  181 5,  essendo  stato  testimone  nell'adolescenza  e  nella  prima 
giovinezza  della  grande  miseria  morale  e  materiale  dei  contadini 
russi  e  in  generale  di  tutto  il  popolo  del  vasto  impero,  fu  poeta 
civile,  ardente  apostolo  di  libertà.  A  quattordici  anni  fu  mandato  dal 
padre,  ricco  proprietario  di  terre,  a  Mosca,  dove  continuò  i  suoi  studi 
incominciati  sotto  la  direzione  di  suo  padre,  e  dove  contrasse  fra- 
terna amicizia  con  Alessandro  Herzan,  suo  parente,  che  doveva  essere 
uno  dei  più  efficaci  difensori  del  popolo  russo  innanzi  il  mondo  ci- 
vile. Dopo  cinque  anni  di  permanenza  in  Mosca,  compiuti  gli  studi 
preparatori,  fu  ammesso  in  queir  Università,  ma  appena  dopo  due 
anni  fu  richiamato  in  campagna  da  suo  padre,  il  quale  forse  temè 
per  lui  i  rigori  della  polizia  del  suo  paese,  e  lo  fece  ammogliare  per 
distoglierlo  dalle  avventure  politiche. 

Nel  1840  esordì  nella  letteratura  collaborando  agli  Annali  della 
patria^  in  cui  inseri  varie  poesie  fra  cui  notevoli  La  vecchia  casa  e 
La  sentinella  del  villaggio^  giudicate  opera  veramente  poetica  dalla  crì- 
tica e  lette  con  grande  interesse  da  tutti.  Due  anni  dopo,  sentì  il 
bisogno  di  respirare  aria  ossigenata,  e  prese,  come  suol  dirsi,  il  volo 
per  r  estero.  Poi  visse  ora  a  Pietroburgo  ora  a  Mosca,  ma,  alla  fìne, 
dopo  dieci  anni,  nel  1856,  fu  obbligato  di  prender  stabile  dimora 
all'estero,  intollerante  dell'ambiente  greve  dell'autocrazia  paesana,  e 
studiò,  scrisse,  poetò  ora  negli  ameni  laghi  di  Svizzera,  ora  a  Parigi, 
ora  in  Italia. 

Tutte  le  sue  poesie  furono  raccolte  in  volumi.  Tra  esse  riscos- 
sero approvazione  maggiore:  /  doppieri  bruciano^  La  casa  vuota.  La 
Russia  e  i  suoi  nemici^  Prometeo. 


'  Vedi  a  pag.  aoi  in:  Versi  di  G.  Ghi- 
▼inani  op.  dt.  La  poesia  originale  russa 
non  è  stampata  dal  Ghivlizani. 


Per  le  notizie  biografiche  e  bibliografiche 
del  Ghivizzani  vedi  a  pag.  $$8  di  questo 
▼olume. 


570  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXXIIL 

Maria    Rattazzi. 
(Marie  de  Solms). 

Un  toast  a  Dante. 
Improvisation  pour  l'anniversairb  de  son  centbnaire. 

(14  maggio  1865). 

Dante,  salut  à  toi,  le  sublime  prophète 

Elu  de  la  divinité, 
Un  peuple  tout  entier  viene  céiébrer  ta  fète 

Sous  le  ciel  bleu  de  la  cité. 

Gomme  les  a  révés  ton  immortel  genie 

Ils  se  sont  tous  mis  en  chemin 
Pour  offrir  la  couronne  au  roi  de  Tharmonie, 

Et  chanter  Tolivier  en  main. 

Toi,  dont  la  piume  ardente  a  sonde  la  broussaille 

Qui  nous  cachait  la  vérité 
Entends  le  cris  joyeux  du  peuple  qui  tressaille 

Aux  mots  de  paix  et  d'unite. 

Six  cents  ans  ont  passe  sur  ton  poème  immense. 

Le  grain  lentement  a  muri. 
La  meule  du  progrès  a  broyé  la  sémence 

Et  le  peuple  s'en  est  nourri. 

L'oeuvre  sainte  n'est  pas  encore  terminée; 

L'ennemi  redouble  d'efforts; 
Il  tire  contre  nous  une  arme  empoisonnée 

Qui  fait  hésiter  les  plus  forts. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERL  57 1 

Tu  les  reconnaitrais.  Ennemis  redoutables. 

Tu  les  as  ftétris  sans  pitie; 
lls  sont  toujours  debout  et  toujours  implacables, 

N'ont  rien  appris,  rien  oublié. 

lls  auraient  bien  voulu  dans  leur  baine  étemelle 

Avilir  ton  nom  respecté. 
Et  dater  de  ce  jour  la  croisade  nouvelle 

QuMls  font  contre  la  liberté. 

O  Dante,  ó  gibellin,  ils  insultent  ta  cendre: 

Pour  confondre  ces  insensés. 
De  ton  fìer  piédestal  ne  vas  tu  pas  descendre 

En  criant  :  arrètez  traitres,  e*  en  est  assez  ? 

Italiens!  épuisons  le  calice  d'absinthe, 

Le  temps  arrive  à  pas  pressés 
Où  nous  verrons,  joyeux,  s'accomplir  Tceuvre  sainte 

Et  nòs  ennemis  abaissés. 

D'une  constante  foi,  peuple,  donnons  l'exeniple. 

Mes  frères,  attendons  sans  peur 
Que  la  main  du  Très  Haut  s'arme  et  chasse  du  tempie 

Et  le  méchant  et  Timposteur. 

Nous  avons  Dieu  pour  nous  et  ce  pèlerinage 

De  tous  les  peuples  accourus, 
Ces  chants  et  ces  transports  sont  un  sublime  gage 

Que  nos  voeux  seront  entendus. 

Chantons,  ó  mes  amis!  Chantons  Rome  et  Venise, 

Vive  Tespérance  et  la  foi, 
Vive  Tavénement  de  l'unite  conquise, 

Vive  Dante!  vive  le  roi  1  ' 


'  Vedi  •  pag.  aoa  e  segg.  in:   Versi  di  Gaeuno  Ghivizztni,  op.  dt. 


572  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Maria  Buonaparte-Wyse,  donna  bella  e  dì  molti  amorì,  che  do- 
veva riempire  del  suo  nome  e  delle  sue  avventure  Parigi,  la  Savoia 
e  Torino  e  Firenze,  nacque,  il  25  aprile  del  1837,  a  Waterford  in 
Irlanda.  A  Parigi,  di  buon'ora,  ebbe  adoratori  ferventi,  dopo  che  a 
quindici  anni  aveva  sposato  Federico  di  Soims.  Frequentarono  il  suo 
salotto,  tra  gli  altri  letterati  ed  artisti,  Eugenio  Sue,  il  Ponsard,  il 
Sainte-Beuve.  Amata,  lodata,  vilipesa,  ribelle  in  politica,  di  vita  li- 
bera, fu  esiliata  di  Francia.  Se  ne  andò,  nel  1855,  nelle  montagne 
della  Savoia,  dove  compose  un  libro  su  George  Sand,  che  pubblicò 
nel  1858;  Tanno  dopo  venivano  fuori  FUurs  d'Italie  e  Les  chants  àt 
rexiUe. 

Annessa  la  Savoia  alla  Francia,  prese  stanza  in  Torino,  dove, 
a  ventiquattro  anni,  nel  fiore  della  bellezza,  si  venne  formando  in- 
tomo a  lei  una  nuova  corte  di  spasimanti  e  di  ammiratori.  Conti- 
nuava a  scrivere.  Cosi  tra  il  1860  e  il  1863  stampava:  Boutadcs,  Ma- 
demoiselle Million,  La  répuiation  d'une  femme. 

Morto  nel  1863  suo  marito.  Federico  di  Solms,  trovò  subito  un 
secondo  sposatore  in  Urbano  Rattazzi,  il  quale,  acciecato  dalla  pas- 
sione, non  si  peritò  di  darle  il  suo  nome.  La  sua  vita  letteraria,  nei 
dieci  anni  che  durò  il  suo  secondo  matrimonio,  fu  intensa.  In  vero, 
furono  editi,  in  quel  torno,  parecchi  suoi  volumi:  Xice  ancienne  et 
moderne  (1864);  Le  mariage  d'une  creole  (1865);  Les  rives  de  TArno 
(1865);  Les  soirées  d' Aix-les-bains  (1865);  ^<*  Forge  e  poi  Les  débuts 
de  la  forgeronne  (1866);  La  Mexicaine  (1866);  Richeville  (1867);  La 
piége  aux  mariSy  in  4  voli.  (1867);  Si  j'étais  reine  (1868);  Vie  de 
Manin  (1870). 

Nel  1873,  morto  Rattazzi,  ritornò  a  Parigi  e  poi  passò  in  Ispagna, 
dove,  dopo  un  bel  pezzo,  non  ostante  contasse  quasi  cìnquant*anni, 
s'imbattè  in  un  terzo  sposatore. 

Les  bonnes  fortuna  non  l'abbandonarono  mai. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  573 


DCCLXXXIV. 
Gaetano  Ghivizzani. 


Traduzione  della  precedente  poesia 
DI  Maria  Rattazzi. 

(14  maggio   1865). 


Salve,  o  Dante,  sublime  profeta 
Cui  le  ali  r Eterno  impennò; 

Tutto  un  popol  concorde  s'allieta 
Ed  al  limpido  cielo  dell'Arno 
La  tua  festa  a  onorare  volò. 

Come  già  la  immortai  fantasia 
Te  gli  pinse  in  un  giorno  d'amor. 

Con  l'ulivo  si  misero  in  via 
E,  inneggiando,  recarono  il  serto 
Degli  italici  vati  al  signor. 

Tu,  il  cui  verso  il  velame  ha  squarciato 
Che  la  luce  nascose  del  ver. 

Odi  il  grido  da  gioia  inspirato 
D'esto  popol,  ch'esulta  concorde 
Di  sua  pace  e  unità  nel  pensier. 

Seicent*  anni  sul  canto  sovrano 
Batter  Tali,  e  il  poema  restò. 

Lenta  crebbe  la  spica;  ed  il  grano, 
Trasformato  da  rapida  ruota. 
Tutto  un  popol  di  sé  nutricò. 


$74  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

L'opra  santa  non  anco  è  cessata; 
I  nemici  le  forze  addoppiar 

Contro  noi;  nel  veleno  temprata 
Appuntarono  un*  arme  tremenda, 
Che  i  medesimi  eroi  fa  tremar. 


Gli  ravvisa:  nemici  possenti 
Gli  fiaccasti  un  di  senza  pietà. 

Ei  risorgono  sempre  frementi, 
Che  fu  il  tempo  vanissima  scola 
A  chi  solo  il  passato  sposò. 

Nel  veneno  che  l'alma  lor  rode 
Il  tuo  nome  tentaro  uinihar. 

Il  tuo  nome  cui  ognuno  dà  lode, 
E  da  oggi  una  nuova  crociata 
Contro  i  liberi  petti  formar. 

Profanaron  le  sacre  tue  ossa: 

Per  confondergli,  a  che,  o  ghibellin, 

Tu  non  sorgi  ora  fuor  della  fossa, 
E  lor  gridi:  Cessate,  spergiuri. 
Ch'egli  è  tempo,  dal  tristo  cammin  ? 

Dell'assenzio  la  tazza  votiamo, 

0  italiani;  con  rapido  voi 

Verrà  il  tempo  in  cui  lieti  vediamo 
L'opra  santa  compirsi,  e  i  nemici 
Umiliati  prostrarsi  nel  suol. 

O  fratelli,  porgiamo  T  esempio 
Di  secura  incrollabile  fé, 

E  fidenti  aspettiam  che  dal  tempio 

1  falsati  leviti  discacci 

Quei  che  rege  si  noma  dei  re. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  ^75 

Nosco  è  il  ciel:  questo  rito  di  tanti 
Peregrini  che  mosse  Tamor, 

Esti  fervidi  voti,  esti  canti 
Sono  un'arra  sublime  che  invano 
Non  fér  voti  gl'italici  cor. 

Celebriamo  Venezia  con  Roma; 
Salutiamo  alla  speme,  alla  fé. 

Viva  Italia  che  cinge  alla  chioma 
Di  sue  cento  città  la  corona. 
Viva  Dante  e  Titalico  Re.' 


'  Vedi  a  pag.  203  in  :  Versi  di  Gaetano    |    e  bibliografiche  del  Ghivizzaai,  vedi  a  pa- 
GhivùtTani  op.  cit.  Per  le  notizie  biografiche    1    gina  558  di  questo  volume. 


57^  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 


DCCLXXXV. 
Giovanni  Arany. 


Dante. 

(14  maggio  1865). 

Allattam  vizének  mélységes  fellett, 
Sima  volt  a  fòlszin,  de  sòtét  mint  àrugék, 
Aliz  mozzanti  mez  a  vózsalerelet, 
Mint  rengéskor  a  fòld,  csak  aloz  hullàmlék. 
Aczéltiszta  tùkre  visszaveste  hiren 
A  kùlsó  vilàgot  -  engem  is:  az  embert; 
De  órvényesble  nem  hatott  le  a  szem, 
Melyeket  csupin  ó  -  talàn  ó  sem  -  ismert: 
Csodàlatoz  szellem!  egy  a  mérhetetlen 
Ègzel,  a  mely  henne  tùkrodzsk  alattam! 
Egy  csak  a  fónségben  és  a  terjedet  ben 
Es  mirel  mindenik  oly  megfoghatatlam  ; 
Az  ember...  a  kòltó  (mily  bitanz  ez  a  névi) 
Hitvàny  koszorujAt,  reszkeirén,  elejti 
És,  mintha  Idbait  szentegyhàzba  tenré, 
Imàdra  borùl  le  mert  az  Istent  sejti. 
E  mélyséz  fòlòtt  az  értelem  mér  -  ónja, 
Mint  kòronzii  pehelyszdl  fònnakad,  fòUebben. 
De  a  lélek  érzi,  hogy  az  òrvény  vonya, 
Sa  gondoiat  elzész  csodàs  sejtelemben. 
Nem  -  ismert  vilagnak  érezi  nyomàsdt, 
Rettegó  òròmnek  ebragadja  kéje, 
A  leviathdnnak  hallja  hdnykoddsdt... 
Az  Ur  lelke  teruls  a  viznek  fòléje. 


INTORNO  A  DANTE   ALIGHIERI.  ^'/y 

Lehet-é  e  szellem  az  Istenség  része? 
Hiszen  az  Istenséy  egy  és  oszthalathan  ; 
Avngy  lehet-é,  hogy  baiando  szem  nézze 
A  szdUem  vildgot,  teljes  òntudatban  ?  — 
Évezred  honyatlik,  évezred  kel  lijra, 
Mig  egy  fòldi  dlom  e  vilàgba  téved, 
Hegy  a  hitien  ember  imddni  tanulja 
A  kàd  oszlopàban  rejló  Istenséy  et!  ' 

Giovanni  (Janos)  Arany,  uno  dei  più  celebri  e  popolari  poeti 
dell' Ungheria,  nacque,  nel  marzo  del  1817,  a  Nagy  Szalonta,  nel 
contado  di  Bihar,  e  studiò  nel  collegio  di  Debreczin.  D*  indole  fer- 
vida, inclinato  ai  viaggi,  alle  avventure,  appena  ventenne,  interruppe 
i  suoi  studi,  fuggì  dal  collegio  e  si  ingaggiò  in  una  compagnia  dram- 
matica. La  fortuna  non  gli  arrise  o  non  gli  durò  la  volontà  di  con- 
tinuare in  quella  vita  randagia  e  se  ne  ritornò  in  patria,  e  fu  ben 
contento  di  essere  nominato  insegnante  nella  scuola  riformata. 

La  sua  fama  letteraria  incominciò  quando  vinse  il  premio  pro- 
posto dalla  società  Kisfaludy  per  la  migliore  epopea  comica.  La  sua 
Costituzione  perduta  in  cui  descrisse  gli  intrighi  nelle  elezioni  del 
cosi  detto  Comitato,  piacque  come  esatta  e  vivace  riproduzione  dal 
vero.  Più  tardi  vinse  il  secondo  premio,  in  un  altro  concorso  ban- 
dito dalla  Kisfaludy,  sul  tema:  La  conquista  di  Murany,  Più  importante 
delle  opere  citate  è  la  sua  narrazione  poetica  in  dodici  canti  dal  ti- 
tolo Toldi,  comparsa  nel  1S47,  e  tradotta  e  pubblicata  anche  in  te- 
desco dal  Kertheny,  a  Lipsia,  nel  185 1. 

Durante  la  rivoluzione  ungherese  ebbe  un  posto  nel  ministero 
Szemere  ;  ma  travolto  nella  sconfìtta,  visse  poi  poveramente,  cercando 
nella  penna  i  mezzi  di  campar  la  vita.  Così,  nel  1850,  scrisse  Katalin^ 
poema  comico  descrittivo;  poi  nel  1852,  gli  Zingari  di  Nagy-Eda; 
e  nel  1854  la  Passeggiata  vespertina  di  Toìdi  e  Buda-haldla,  la  prima 
parte  di  una  trilogia  epica.  Finalmente,  nel  1855,  fu  nominato  pro- 
fessore di  lingua  e  letteratura  ungherese  nel  ginnasio  di  Negy-Kò- 
ròsch,  e  di  là  fu  chiamato  a  Pest,  nel  1860,  per  assumere  la  presi- 
denza della  società  Kisfaduly,  presso  la  quale  era  principiau  la  sua 
carriera.  Era  arrivato,  infine,  e,  nel  1874,  compieva  la  trilogia  epica 
di  Buda-haldla,  e  TAccademia  ungherese  solennemente  lo   premiava. 

L* Arany  fu  poeta  di  facile  e  chiara  vena,  fedele  nel  colorito  del 
suo  paese,  felice  nella  rappresentazione  dei  caratteri. 

'  Qiaesu  poesia  cosi  si  legge  •  pagg.  208  e  210  in:  Virsi  di  Gaeuno  Gbivizzani,  op.  cit. 


Di!.  Bàno.  Voi.  XIV.  37 


578  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

DCCLXXXVI. 

Gaetano  Giiivi;ìzani. 

Traduzione  della  precedente  poesia 
DI  Giovanni  Arany. 

(14  maggio  1865). 

Sopra  l'abisso  di  sue  acque  stetti; 
Erano  liscie  in  vista,  e  come  l'ombra 
Cupe:  di  rosa  una  fogliuzza  a  pena 
Avrebber  mossa;  ed  ondulavan  quale 
Lievemente  la  terra  al  terremoto. 
Il  loro  specchio,  qual  l'acciaio,  puro, 
Appien  riverberò  tutto  il  creato,  — 
Né  pure,  l'uom;  ma  non  penetra  T  occhio 
Nella  vorago  sua,  eh' a  lui  soltanto,  — 
E  né  pur  forse  a  lui  —  saper  fu  dato. 
O  spirito  divino:  uno  col  cielo. 
Che  immensurabil  sotto  me  si  specchia 
In  esso,  un  sol  nel  vasto  spazio,  un  solo. 
Nel  sublime  suo  aspetto,  e  perché  l'uno 
E  r  altro  al  par  nostro  saver  trascende. 
L'uomo,  il  poeta  (che  impotente  nome!) 
Lascia  cader  tremante  il  proprio  serto, 
E  come  entrasse  al  tempio  ecco  adorando 
Si  prostra,  solo  perchè  sente  Iddio. 
Sopra  r immenso  abisso  non  s'attenta 
Profondar  l'intelletto,  e  come  lieve 
Morbida  piuma  a  fior  d'acqua  si  resta: 
Ma  dall'abisso  l'anima  si  sente 


INTORKO  A   DANTE  ALIGHIERI. 


579 


Tratta,  e  *1  pensier  vaneggia  in  ammirati 
Fantasmi,  sente  la  virtù  d'ignoto 
Mondo,  e  celeste  voluttà  lo  prende 
D'una  tremula  gioia;  il  moto  sente 
Del  leviaian...  lo  spirto  del  Signore 
Parve  sull'acqua.  Puote  questo  spirto 
Esser  parte  del  Nume?  Indivisibile 
Ed  uno  il  Dio:  o  mortai  occhio  puote 
Con  la  coscienza  di  sé  stesso  il  mondo 
Contemplar  degli  spirti  ?  -  Un  secol  cessa,  ' 
Ne  sorge  un  altro,  infin  che  peregrini 
In  quel  lor  mondo  una  vision  terrestre, 
E  a  venerare  il  credul  uomo  impari 
In  colonna  di  nebbia  il  nume  ascoso.  * 


'  L«  parola  Évezre4  non  può  trcdursi 
in  italicno.  significando  un  migliaio  d'anni, 
coae  appunto  secolo  vai  cent'anni.  Anco  i 
teJescbi  hanno  ia  parola  rispondente. 


^  Vedi  a  pag.  209  e  seg.  in:  Ftrti  di 
G.  Ghivizzani,  op.  cit.  Per  le  notizie  bio- 
grafiche e  bibliografiche  del  GhÌTizzani,  vedi 
a  pag.  $j8  di  questo  volume. 


5 So  POESIE   DI    MILLE  AUTORI 


DCCLXXXVII. 
Samuele  Davide  Luzzatto. 


Leikhbhod  Dante 

HAMSHORER    CeCOIN    MEL'    OTH    SHESH    ME*    OTH 
SHANAH   LEULLADTO. 


(14  maggio  1865). 


Lashon  sene  hhazav  gdon  vaavel 
Safak  kolah  kadosh,  hhéssod  vaiósher, 
Bikhrod  kol  lashon  liptbaàbhel 
Hhemàh  édnah  khabhod  shilton  va'  osher, 
At  lélohim  ulmeshnrim  némante: 
Akhtiri  na'  sadik  zaowméri  Dinte! 

Midianim  ben'  ahhim,  kiriah  phorahhath 
Hippilu  bhimsulath  kol  ra',  kol  shebher, 
Az  goràshta;  va'az  golah  niddahhath, 
Annéphesh  azakkah  crimah  ébher. 

Pikha  pathahlita  behhazon-mishihhath 
Har'atha  lirpha'im-mehhadre  kebher 
Jcàmta  ài  avla  raàm  tokhdhhath, 
Oda'ta  el,  gomel  kipk'uloth  ghébher. 

Kinbhi'c  kédem  'oz  kin'ah  àtitha 

Hendphta  'al  ghéim  shebket  hakkóshet 
Dallótha  akh  'al  kol  ram  ithrom'amta. 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI. 


581 


'Al  kol  hhakhme  zimrah  'al  ken  àlitha; 
'Al  ken  kol  gói  shem  uthhlah  lakli  ióshet; 
Ulness  ulmopheth  laddoroth  usiinta.  * 


Samuele  Davide  Luzzatto  nacque  in  Trieste  il  22  agosto  1800 
e  mori  in  Padova  il  5  settembre  1865.  Egli  dovè  tutto  alla  sua  tenace 
volonti^,  per  cui  divenne  un  luminare  della  letteratura  e  della  filosofìa 
ebraica.  Suo  padre,  semplice  operaio,  non  gli  potè  fornire  grandi 
mezzi  per  appagarlo  nella  sua  ardente  sete  di  sapere;  ma  gli  inspirò, 
con  r  esempio,  T  amore  del  lavoro  e  la  sapiente  distribuzione  del 
tempo  nelle  varie  occupazioni,  perchè  egli,  sebbene  operaio,  si  versava 
nelle  scienze  religiose  e  civili. 

Nonostante  la  malferma  salute,  il  piccolo  Luzzatto  si  presentò 
come  un  fanciullo  prodigio.  Di  otto  anni  traduceva  Giobbe  dalla 
lingua  originale;  di  dodici  faceva  commenti  e  chiose  di  libri  sacri; 
appena  tredicenne,  agli  studi  biblici  e  talmudici  aggiunse  la  lettura 
dei  libri  filosofici  del  Locke  e  del  Condillac.  Lottò  con  le  infermità 
e,  nello  stesso  tempo,  con  la  miseria,  ma  passò  vittorioso  tra  tutte 
le  inimiche  a  furia  di  rassegnazione  e  di  costanza.  Nel  lavoro  ordinato 
e  continuo  trovò  il  conforto  e  la  medicina.  A  trent'  anni  era  una 
gloria  dei  suoi  correligionari,  ed  era  nominato  professore  di  teologia, 
di  esegesi  e  storia  sacra  nell*  istituto  rabbinico  di  Padova,  fondato 
dalle  comunioni  ebraiche  delle  provincie  di  Lombardia  e  del  Veneto, 
proprio  in  quel  torno.  Egli  fu  un  entusiasta  del  giudaismo,  fìno  a 
credere  che  la  società  non  possa  aver  salute  senza  la  prevalenza  delle 
grandi  idee  del  mosaismo.  Ma,  d'  altra  parte,  giudicava  che  era  ne- 
cessario ricondurre  il  giudaismo  alle  sue  fonti  {Essenia  del  giudaiitno) 
essendo  suto  alterato  dalla  filosofia  arabica  e  tedesca,  per  renderlo 
libero  da  ogni  autorità  del  passato  e  da  ogni  soprapposizione  del 
presente.  Con  ogni  mezzo,  egli  tenne  a  raggiungere  questo  scopo; 
prima  col  purificare,  perfezionare  la  lingua,  T  istrumento  del  pensiero; 
poi  col  purificare  lo  spirito  ebraico,  riportandolo  ai  precetti  della  sua 
vera  morale.  In  fatto  di  lingua,  con  la  sua  Grammatica  della  lingua 
ebraica,  mostrò  non  nell'arabismo,  ma  neiraramismole  sorgenti  pure 
di  essa;  e  in  fatto  di  morale,  con  le  sue  Legioni  di  teologia  dogmatica 
e  di  morale  israelitica^  dimostrò  che  per  gli  Ebrei  V  uso  della  ragione 
è  diritto  e  dovere  per  conoscere  la  verità  di  ciò  che  credono.  Due 


*  Vedi  a  pag.  337  (p-  H)  »n:  Pms'u 
ed  tpiuf^  di  Samuel  Davide  Luxzatto  da 
Trieste  (edic.  postuma).  Padova,  tip.  Cre« 
sdnl,  1R79.  Il  sonetto  fu  stampato  prima 
nel  1865   in  :  Omaggio  dell'  Europa  a  Danti] 


poi  innanzi  alla  traduzione  della  Divina  Com» 
media  (i*  cantica)  del  dott.  Saul  Formig- 
gini,  e  nel  periodico  //  Corriere  israelitieot 
1865,  p.   191,  Trieste. 


582  POESIA  DI   MILLE  AUTORI 

sono  i  grandi  princìpii  del  giudaismo,  secondo  lui,  provvidenza  e 
misericordia;  due  le  basi  della  sua  morale,  umanità  e  giustizia:  la 
pratica  di  questa  è  più  gradita  a  Dio  di  tutti  gli  olocausti  del  mondo. 
E  questa  morale  sarà  la  morale  vera  di  tutta  1*  umanità.  La  religione 
giudaica  è  tollerante;  non  ha  dogmi  né  articoli  di  fede,  afferma 
sempre  il  Luzzatto,  non  volendo  subordinare  l' intento  morale  al  me- 
tafìnco,  non  avendo  a  base  della  morale  la  conoscenza  delie  verità 
metafìsiche,  ma  quella  dell'umanità  e  della  giustìzia,  tanto  è  vero  die  i 
profeti  non  annunziarono  castighi  ai  popoli  idolatri  per  le  loro  credenze, 
ma  per  le  loro  iniquità. 

Fu  anche  dotto  e  libero  ed  ardito  interprete  della  Bibbia,  e  i  suoi 
correligionari  gli  avevano  affidato  la  traduzione  in  lingua  italiana  di 
tutu  la  Bibbia,  dopo  la  felice  prova  della  traduzione  del  PenutAKO, 
dtì  Giobbe,  e  dell* Isaia;  ma  questo  lavoro,  che  sarebbe  stato  un 
vero  monumento,  fu  interrotto  dalla  sua  morte.  Poetò  in  lingua 
ebraica;  te  sue  poesie  non  mostrano  una  grande  vena  poetica,  ma  sono 
nondimeno  una  prova  del  suo  eccezionale  maneggio  della  lingua 
ebraica. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  583 


DCCLXXXVIIL 
Davide  Lolli. 


Versione  del  precedente  sonetto 
DI  Samuele  Davide  Luzzatto. 


A  Dante  Alighieri 
nella  sesta  commemorazione  contenaria. 

Santa  favella,  eh'  odii  falsitate, 
Nequizie  e  orgoglio!  lingua  santa  e  pia, 
Che,  mentre  ogn'  altra  a  pompa,  a  vanitate, 
Al  piacer,  al  poter,  all'  or  servla, 
Fida  a  giustizia  e  a  religion  sol*  eri; 
A  un  giusto  or  plaudi:  canta  l'Alighieri! 

Allor  eh'  ire  fraterne  la  fiorente 

Città  gravaro  d'  ogni  male  in  fondo. 
Cacciato  fosti,  ed  esule,  fuggente, 
Sublime  alzossi  tuo  spirito  mondo. 

Cantasti:  e  in  vision  la  morta  gente 
Evocasti  dal  Tartaro  profondo; 
Su  i  rei  tonasti  la  rampogna  ardente; 
Mostrasti  un  Dio,  che  rende  in  giusto  pondo. 

Forte  di  zel,  come  i  profeti  primi 

Del  ver  contro  i  potenti  alzi  il  flagello 
E,  povero,  oltre  i  grandi  ti  sublimi. 


584  POESIE  DI   MILLE   AUTORI 

Quindi  è,  che  sopra  ogni  altro  vate  stai 
Portento  quasi  ai  secoli  e  modello; 
E  gloria  e  plauso  da  ogni  popol  hai.  ' 

Davide  Lolli,  rabbino  a  Padova,  è  autore  di  pregevoli  opere  di 
critica  e  di  letteratura  ebraica.  Scrisse  la  biografìa  di  S.  Davide 
Luzzatto,  poco  dopo  la  morte  di  lui. 


'  Vedi  a  p«g.  3)8  in:  PoesU  ed  epitaffi  di  S«inttele  D4vide  Luzzatto,  op.  cit. 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  585 

DCCLXXXIX. 
G.  Jaké. 


Versione  del  precedente  sonetto 
DI  Samuele  Davide  Luzzatto. 

A  Dante  Alighieri 
nella  sesta  commemorazione  centniaria. 

Sonetto 
CON  preliminare  invocazione. 

Benigna  nemica  di  superbia  e  frode 
Santa  favella  di  giustizia  e  amore 
Lascia  al  mondo  servii  tributar  lode 
A  fugaci  piaceri,  a  falso  onore. 
Tu  manifesta  a  chi  di  te  ben  ode 
Deir  Alighieri  pio  1*  alto  valore. 

Guerre  fraterne  la  città  fiorente 
Piombaro  nell'  abisso  d'  ogni  male, 
E  raminga  in  esilio  la  tua  mente 
A  vision  sublime  aperse  Tale 

Scorrest*  i  regni  della  morta  gente, 
Dalla  fossa  evocasti  il  rio  mortale, 
Il  giusto,  e  quel  ch'anzi  il  morir  si  pente, 
Mostrando  reso  il  merto  all'opre  uguale. 

Misero,  ma  sovrano  ai  più  possenti. 
Altere  fronti  col  tuo  zel  curvasti 
Come  gli  amici  d'Israel  veggenti. 


S86  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Si,  che  fra  i  vati,  sommo  t'elevasti; 
Te  d'ogni  cielo  esaltano  le  genti. 
Miracolo  ognor  nuovo  ti  mostrasti.' 

Giuseppe  Jaré  nacque  in  Mantova  nel  1840,  ed  è  capo  della  co- 
munità israelitica  di  Ferrara.  Si  hanno  di  lui  molte  pregevoli  pub- 
blicazioni, tra  le  quali  basterà  citare:  La  pena  di  morte  secondo  il  diritto 
talmudicOy  La  conservaiione  d'Israele,  • 

'  Vedi  a  pag.  339  in:  Poesit  ed  epitajffi  ài  Samuele  Davide  Luzzatto,  op.  cit. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  $87 


DCCXC. 
A.  T. 


Il  busto  del  divino  Poeta 
SCOLPITO  DA  Luigi  Minismi  di  Venezia. 

Sonetto. 
(14  maggio  1865). 

Tacete!  Ei  parla!  a  chi  dorran  gli  accenti 
Che  quel  labbro  sdegnoso  or  or  sprigiona? 
In  qual  codardo  ei  figge  gli  occhi  ardenti? 
Qual  nobil  crucio  il  fronte  gì' incorona? 

Ei  parla,  e  amor  pietoso  gli  ragiona 
Nei  commossi  severi  lineamenti; 
Ei  parla,  e  se  la  sua  voce  non  suona 
Neiràer  vuoto,  bene  in  cuor  la  sentii 

E  in  freddo  sasso,  deh  !  per  qual  magia 
Ferve  il  pensiero  del  divin  proscritto, 
Che  all'italo  destin  segnò  la  via? 

Del  bel  paese  il  sacro  plauso  appello 

Su  te,  Luigi,  in  questo  marmo  ha  scritto 
Un  immortai  poema  il  tuo  scalpello!' 


*  VeJi  «  pag.  5;  in:  CD.  1011,  XIX  del  Musto  Qvico  di  Padova. 


588  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

DCCXCI. 

Giuseppe   Aglio. 

Pel  sesto  centenario  di  Dante. 

Poemetto. 
(14  maggio  1865) 


Cittadini  d'Italia! 

Voi  celebrerete  fra  poco  il  sesto  centenario  di  Dante.  Io  m'af- 
fido che  quelle  solennità  non  saranno  mera  pompa  di  suoni  e  di  Ilice, 
ma  V  esterna  manifestazione  di  un  ritemperamento  interno  di  morali 
potenze.  Io  vorrei  che  nel  nome  di  Dante  si  inaugurasse  un  novello 
più  efficace  indirizzo  del  sentimento  e  del  pensiero  nazionale;  vorrei 
che  le  terzine  della  Divina  Commedia  divenissero  la  Marsigliese 
degl'  Italiani. 

A  tal  uopo,  in  questo  carme  che  umilmente  io  vi  dedico  qual 
mio  povero  obolo  alla  festa  futura,  ho  cercato,  mediante  una  inter- 
pretazione coscienziosa,  benché  poetica,  del  genio  di  Dante,  dare  al 
gran  poeta  italiano  quella  fisonomia  che  maggiormente  lo  rappresenti 
come  r  individualità  più  idonea  ad  inaugurare  il  nostro  politico  e 
sociale  risorgimento. 

Istintivamente  V  Italia  venera  nell'  Alighieri  il  suo  poeta  nazio- 
nale, e  come  tale,  s'  appresta  a  solennizzarne  la  memoria  ;  però  che, 
attraverso  tanti  secoli  di  morte  sociale,  ella  senta  emanare  da  quel 
suo  gran  cuore  il  più  possente  palpito  di  vita  italiana,  e  da*  fremiti 
stessi  deir  immenso  suo  odio,  la  più  fervida  e  aspirante  carità  di 
patria.  Eppure,  quante  contraddizioni  fra  il  concetto  nazionale  mo- 
derno tutto  di  democrazia,  d' indole  economica  sociale,  quale  lo 
elaborò  la  odierna  civiltà,  quale  tanti  secoli  di  delusioni  e  di  scia- 
gure lo  maturarono,  se  non  nelle  moltitudini,  nella  mente  almeno 
delle  individualità  più  pensanti;  e  il  concetto  nazionale  di  Dante, 
tutto  monarchico  e  religioso,  quale  ispiravanglielo  un'aura  pregna 
delle  amiche  memorie,  la  formidata  onnipotenza  che  Ildebrando  aveva 
impresso  alla  romana  teocrazia  e  il  prestigio  tuttor  vivo  dei  nordici 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  589 

imperatori  che  solcando  come  prodigiose  meteore  le  tenebre  nostre, 
vi  destavano  mille  germi  confusi  di  reminiscenze  e  speranze! 

In  questo  istante  in  cui  le  menti  italiane  non  accetteranno  più, 
istintivamente  soltanto  come  per  lo  addietro,  TAlighieri,  quale  rap- 
presentante del  genio  nazionale  ;  ma  in  ogni  dettaglio  più  intimo  della 
sua  vita,  delle  sue  opere,  de' suoi  tempi  cercheranno  avidamente  il 
suggello  della  loro  credenza  -  in  questo  istante  in  cui  le  antiche 
illusioni  d' Italia  che  credevansi  ed  erano  infatti  con  lei  spente  da 
secoli,  vidersi  risorgere  con  lei  dalla  tomba,  al  primo  alito  della  vita 
novella;  è  più  che  mai  necessario  conciliare  le  contraddizioni  di 
Dante  in  un'armonica  unità  che  faccia  scaturire  naturalmente  dallo 
splendido  poeta  del  passato  italiano,  il  profondo  iniziatore  del  nostro 
avvenire. 

Giacché  il  dire  che  il  secolo  di  Dante  aveva  necessità  politiche, 
religiose,  e  sociali  in  radicale  antagonismo  con  quelle  del  secol  nostro 
-  che  il  concetto  monarchico  di  lui  era  abbastanza  largo  per  ab- 
bracciare nel  loro  pieno,  immenso  sviluppo  tutte  le  nazionalità 
della  terra,  e  abbastanza  fluida  l'  apparente  rigidità  del  suo  cauoli- 
cismo  per  piegarsi  a  tutte  le  evoluzioni  della  scienza  -  che  final- 
mente gli  errori  di  Dante,  se  pure  ei  ne  commise,  caddero  non  sulU 
essenza  del  suo  concetto,  ma  sulla  pratica  attuazione  -  il  dir  questo 
è  un  giustificare,  è  vero,  ampiamente  1'  amor  patrio  dell'  Alighieri, 
e  costituirlo  una  sublime  personalità  istori ca,  ma,  non  basu  a  fare 
di  lui,  -  senza  falsarne  la  genuina  fìsonomia  -  il  rappresentante  eterno 
della  nazionalità  italiana,  ove  codeste  antitesi  non  vengano  conciliate 
in  una  sintesi,  ove  a  codesti  elementi  di  grandezza  non  discoprasi 
sovrapposto  un  nuovo  elehiento  più  universale,  più  fiuido  che  ab- 
bracci tutti  gii  altri,  e  la  grandezza  istorica  di  Dante  riduca  ad  un 
semplice  momento,  ad  una  sola  delle  molteplici  faccie  che  riunite 
costituiscono  la  sua  vera,  completa,  evolutiva  individualità.  Altrimenti 
non  sarebbeci  forse  pericolo  che  i  mal  spenti  spiriti  municipali,  -  che 
le  oeo-guelfe,  teocratiche  illusioni,  or  non  ha  guari  epidemicamente 
diffuse  da  Balbo  e  da  Gioberti,  -  che  il  ghibellinismo  istintivamente 
redivivo,  appena  Italia  respira,  in  quel  cieco  abbandonarsi  delle  mol- 
titudini nelle  braccia  de'  monarchi  stranieri  -  sintomo,  non  so  se  più 
d' una  vera  sfiducia  in  loro  stesse,  generata  dalle  secolari  sventure,  o 
d' una  ignavia  che  pretende  non  potere  perchè  non  vuol  fare  da  sé  - 
non  havvi,  dico,  pericolo  che  questi  cancri  corroditori  del  nostro 
succo  vitale,  trovino  di  che  alimentarsi,  inciprignirsi  nella  più  intima 
conoscenza  della  individualità  venerata  di  Dante,  di  questo  guelfo 
che  pugnava  a  Campai dino  contro  fratelli  italiani,  e  priore  di  Fi* 
renze,  invocava  i  fulmini  di  Bonifazio  contro  lo  straniero  invasore, 
poi  esule  ghibellino,  appellava  ì  fulmini  dello  straniero  contro  l'in-  ' 
grata  sua  patria? 


590  POESIE   DI   MaLE  AUTORI 

Questo  elemento  superiore,  questa  sintesi  conciliatrice  delie 
anti«^esi  parmi  rinvengasi  spontanea,  naturale,  ove  attentamente  si 
contempli  la  fìsonomìa  caratteristica  del  poeta.  Io  potrei  fermarmi 
a  considerare  che  nelP  epoca  in  cui  visse  Dante,  epoca  posta  ai 
confini  di  due  mondi  /'  un  contro  V  altro  armato,  facile  era  ad  una 
pupilla  acuta  come  la  sua,  lo  scorgere,  benché  ancora  impercettibili 
air  occhio  volgare,  sopra  i  ruderi  dell*  antichità  e  fra  mezzo  alle  scre- 
polature del  cadente  edifizio  religioso  e  sociale  del  medio  evo,  i 
germi  del  futuro  Rinascimento;  ma  io  credo  che  nella  natura  istessa 
del  grande  poeta  trovisi  più  radicalmente  il  secreto  della  sua  storica 
immensità,  e  questo  secreto  parmi  sia  appunto  in  quella  peculiarità 
che  lo  fa  specialmente  ammirato  nel  mondo,  ed  è  V  essenza  carat- 
teristica dell*  esser  suo,  la  sua  qualità  di  poeta. 

Il  poeta,  nel  senso  assoluto  della  parola,  è  una  idealità  che  non 
esiste.  Ove  esistesse,  la  sua  vita  sarebbe  una  serie  di  prodigi;  il 
mondo  diverrebbe  fluido  dinanzi  a  lui;  ogni  sua  idea  si  tradurrebbe 
in  sensibile  realtà;  egli  dominerebbe  la  natura;  sarebbe  creatore  come 
Dio.  V  hanno  però  pochi  vati  che  se  sono  ancora  enormemente  di- 
scosti da  questo  ideale,  sono  altrettanto  superiori  alla  schiera  degli 
ordinari  poeti. 

Costoro  se  non  abbracciano  il  mondo  in  una  stretta  onnipos- 
sente, ne  abbracciano  però  una  faccia,  un  elemento  panicolare  in 
modo  da  striturarlo  in  tutti  i  suoi  atomi  infinitesimali.  Nature  arca- 
namente intrecciate  di  intuizione  profonda  e  di  delicatissima  impres- 
sionabilità, essi  possiedono  la  facoltà  di  riflettere  come  in  uno  spec- 
chio fedele,  le  minime  fluttuazioni  dell*  anima  del  loro  popolo,  in 
quanto  essa  ha  di  più  profondo,  di  più  inaflerrabile,  di  più  virtual- 
mente latente,  ed  incarnarsi,  per  così  dire,  in  essa,  riassumendo  in 
una  breve  vita  individuale,  quella  nazionale  immortalità  destinata  a 
svolgersi  lentamente  ncll*  indeterminata  serie  dei  secoli. 

Come  gli  specchi  di  Archimede,  codesti  esseri  raccolgono  in  sé 
tutti  i  raggi  ampiamente  difl'usi  neir  orizzonte,  persin  quelli,  ancor 
dormenti  in  seno  al  disco  luminoso,  e  passandoli  attraverso  il  cro- 
giuolo del  loro  cervello,  forti,  gli  attenuano;  sottili,  li  magnificano; 
freddi,  li  riscaldano,  riuniti,  l'infrangono;  infranti,  concentrane  ;  omo- 
genei, li  spezzano  nei  mille  colori  della  luce.  Essi  sono  poeti  perché 
la  loro  natura  è  sì  essenzialmente  armonica  che  ogni  loro  minima 
idea  assume,  come  veste  naturale,  la  forma  del  ritmo;  perchè  sono 
quasi  una  emanazione  diretta  di  quelle  arcane  essenze,  che  sono  la 
fonte  eterna  della  poesia.  Epperò  essi  sono  ali*  altezza  del  loro  canto, 
«anno  tradurre  in  azione  i  loro  carmi,  pugnare  le  battaglie  che  can- 
tano, eguagliare  gli  eroi  che  incoronano,  squarciare  i  misteri  che 
interrogano,  filare  nella  viu  reale  gli  splendidi  ideali  dei  loro  sogni. 

Q.uindi  il  poeta  che  veramente  merita  questo  nome  è  di  natura 


INTORNO  A  DAKTE  ALIGHIERI.  591 

essenzialmente,  necessariamente  contraddittoria.  Senonchè,  le  sue 
contraddizioni  sono  apparenti  soltanto  e  non  reali;  non  sono  i  con- 
trasti, le  asprezze  di  un  insieme  mal  assestato,  ma  i  momenti  suc- 
cessivi d'una  lenta  idea  che  si  svolge,  e  che  paiono  discordi  solo 
perchè  costretti  a  rivelarsi  simultaneamente;  sono  le  diverse  faccie 
di  un  poliedro  armonico  la  cui  unità  risulta  soltanto  dal  complesso 
simmetrico  delle  parti  ;  sono  i  cento  elementi  discordi  posti  al  servizio 
di  una  legge  suprema. 

£  Dante,  come  tutti  i  veri  poeti,  è  contraddittorio,  perchè  altri- 
menti non  sarebbe  il  grande  poeta  eh*  egli  è,  non  sarebbe  1*  incar- 
nazione della  sua  patria  né  la  patria  potrebbe  in  lui  venerare 
sé  stessa  come  I*  umanità  venera  il  proprio  ideale  personifìcato  in 
Dio.  Come  il  firmamento,  malgrado  i  suoi  contrasti  di  tenebre  e  di 
luce,  di  tempesta  e  di  calma,  di  severe  armonie  e  di  formidati  mi- 
steri, è  armonico  ed  uno,  né  senza  queste  contraddizioni  sarebbe 
unto  infinito:  cosi  T  Alighieri  è  sublime  appunto  per  queste  anti- 
nomie che  ne  rivelano  la  immensa  comprcnsività.  Dante  non  avrebbe 
potuto  simboleggiare  V  Italia  se  non  V  avesse  abbracciata,  incarnata 
in  tutti  i  molteplici  elementi  della  sua  storica  evoluzione.  Non 
avrebbe  potuto  rifletterne  le  grandezze  se  non  ne  avesse  riflesse  le 
miserie,  né  elevarsi  alle  idealità  del  suo  genio  cosmopolita  se  non 
avesse  partecipato  alle  sue  illusioni  nazionali  Senza  i  suoi  odii  non 
avrebbe  divisi  i  suoi  amori  ;  senza  il  fremito  riverente  che  gii  ispirava 
la  possente  magnificenza  del  cattolicismo,  non  avrebbe  mai  istituito 
nei  simboli,  la  grande  religione  delT  Umanità.  Ecco  perchè  Dante 
fu  genio  cotanto  enciclopedico,  e  quasi  monumento  vivente  della 
scienza  e  della  vita  ai  suoi  tempi.  Ecco  perchè  fu  al  tempo  stesso 
filosofo  e  teologo,  uomo  di  Stato  e  di  spada,  magistrato  e  poeta, 
guelfo  e  ghibellino,  pagano  e  cristiano,  riverente  ai  dogmi  e  rifor- 
matore, si  ideale  nelle  sue  contemplazioni  e  si  solidamente  pratico 
nella  vita  reale,  monarchico  talora  sino  air  assolutismo,  e  democra- 
tico tal  altra  sino  a  prevenire  le  più  ardite  teorie  socialiste  dei  tempi 
nostri,  quali  l'abolizione  dell'eredità,  dei  titoli  e  dei  beni,  in  una 
parola^  ecco  perchè  ebbe  una  delle  sue  faccie  volta  al  passato  e  alla 
morte,  l'altra  alla  viu  e  all'avvenire. 

Misteriosa  compagine  di  tenebre  e  di  luce,  colosso  perduto  nel- 
Tombra,  di  cui,  solo  a  intervalli,  trapela  qualche  lineamento  distinto, 
Dante  somiglia  a  quei  simboli  delle  antiche  leggende  che  prestansi 
a  tutte  le  interpretazioni,  s'adattano  a  tutte  le  evoluzioni  dello  spirito 
e  della  civiltà.  Somiglia  a  quel  Prometeo,  incarnazione  dell'Umanità 
progressiva,  in  cui  i  poeti  di  tutte  le  età  poterono,  senza  torcere  la 
sua  poetica  fisonomia,  né  scostarsi  dal  vero,  raffigurare  tutte  le  fasi 
della  storia,  tutte  le  intuizioni  dell'avvenire.  Somiglia  a  quegli  Dei 
della  vetusta  India,  che  ad  ogni  nuovo  bisogno  dei  popoli,  si  rive- 


592  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Uno  sotto  una  nuova  incarnazione.  Epperò  tutte  le  fìlamenta  orga- 
niche della  essenza  italiana,  tutti  ì  germi  della  sua  vita  passata  e 
avvenire,  rìvengonsi  nella  figura  di  Dante,  ma  vi  si  rivengono  confusi, 
avviluppati,  con  poca  predominanza  degli  uni  sugli  altri,  virtualmente, 
insomma,  come  l'albero  è  contenuto  nel  suo  germe,  come  V  Umanità 
era  contenuta  in  Adamo.  Per  cui  facilmente  si  spiega  come  Dame 
sia  stato  sì  diversamente  interpretato  a  seconda  dei  tempi  e  dei  luoghi, 
delle  individualità  che  lo  giudicavano,  della  diversa  rifrazione  di  luce 
sotto  cui  si  contemplava  la  sua  fisonomia.  Ecco  perchè  quella  sua 
severa  figura  che  sopravanza  di  tanto  i  suoi  contemporanei,  si  rim- 
picciolisce talvolta  a  quella  d*un  volgare  scolastico  o  d'un  iracondo 
fazioso  politico;  perchè  quel  suo  Inferno  in  cui  si  riassumono  tutti 
i  terrori  e  tutte  le  potenze  selvaggie  del  medio  evo,  non  ti  appare 
talvolta  che  un  ringhioso  libello  diffamatorio,  e  nulla  più  d'un  indi- 
gesto ammasso  di  teologia  quel  suo  Paradiso  in  cui  si  svolge  la 
grandiosa,  apoteotica  palingenesi  dell'Umanità.  Ecco  perchè  al  pari  di 
tante  altre  individualità  giudicate  a  frastagli  in  luogo  d'esserlo  in 
blocco,  Dante  potè  essere  sconosciuto,  frainteso,  ed  anche  odierna- 
mente subire  gli  oltraggi  di  Lamartine  come  già  Shakespeare  subiva 
quelli  di  Voltaire. 

Quantunque  non  mi  sarebbe  diffìcile  appoggiare  questa  apprez- 
zazione  dell'Alighieri  a  prove  desunte  dalle  sue  opere  e  altrove,  tut- 
tavia io  non  le  presento  che  come  una  sincera  ipotesi  che  lascio  ad 
altri  più  valenti  di  me  svolgere  o  confutare,  bastandomi  avere  ac- 
cennato alla  suprema  necessità  di  imprimere  alla  figura  del  nostro 
poeta  quella  unità  che  faccia  armonizzare  il  suo  concetto  nazionale 
con  quello  dei  tempi  nostri,  e  lo  rappresenti  come  l'oracolo  perenne 
che  ad  ogni  evoluzione  della  vita  italiana,  sorgendo  dal  suo  sepolcro 
e  mostrando  uno  de'  suoi  aspetti  prima  nascosto  nell'ombre,  addita 
le  vie  dell'avvenire,  non  solo  sotto  il  punto  di  vista  politico-sodale 
(su  cui,  attesi  i  palpitanti  bisogni  dei  tempi  nostri,  ho  particolarmente 
insistito,  più  forse  che  nol«comportassero  le  leggi  dell'  arti,  nel  mio 
poemetto),  ma  in  tutte  le  sue  molteplici,  inaspettate  manifestazioni. 

Per  assidere  assolutamente  l'Alighieri  su  quell'altare  ove  l'ha 
collocato  la  venerazione  popolare,  senza  tema  che  il  turbine  dissol- 
vitore  della  critica  venga,  un  momento  o  l'altro,  a  strappamelo,  e 
rimanga  eterna,  inconcussa  da  ogni  tempesta  la  fede  che  lo  solennizza 
oggl^i»  è  necessario,  ripeto,  considerare  sopratutto  in  lui  quel  carat- 
tere che  sparse  ampiamente  la  sua  fama  nel  mondo,  voglio  dire  il 
suo  carattere  di  poeta  ;  giacché  è  solo  quale  poeta,  cioè  quale  anima 
eminentemente  ricettiva,  rappresentativa,  come  direbbe  l'americano 
Emerson,  ch'egli  potè  e  potrà  riflettere  eternamente,  in  tutti  i  suoi 
momenti,  la  vita  Italiana,  come  il  mare  ritiette  eternamente,  in  tutti 
i  suoi  aspetti,  la  faccia  del  cielo.  L'uomo  politico  in  Dante  si  subor- 


INTORNO  A   DANTE  AUCUIERl.  593 

dina,  a  mio  credere,  al  poeta.  La  sua  divinazione,  la  sua  carità  Patria, 
sono  talmente  raggi  della  sua  poesia  eh*  io  non  esito  a  credere  che, 
se  egli  non  fosse  stato  poeta,  non  si  sarebbe  elevato  al  disopra  di 
quell'angusta  politica  di  municipalismo  e  di  fazioni  che  dominava 
a'  suoi  tempi,  anche  Telemento  politico.  Dante  diverrà  non  più  1*  uomo 
individuale  del  xiii  secolo,  ma  una  essenza  elementare  sciolta  da  ogni 
limite  di  spazio  e  di  tempo,  eternamente  diffusa  intorno  a  noi  come 
un*ombra  benefica,  un  genio  custode  della  nostra  nazione.  Allora  egli 
ci  istruirà  non  solo  positivamente,  colle  sue  divinazioni  sublimi,  ma 
negativamente  ancora,  colle  deplorabili  illusioni  Talché  Italia  spec- 
chiandosi nel  suo  poeta  e  scorgendo  Tamaro  scherno  che  fece  la 
storia  dei  suoi  sogni  politici  di  allora  ;  e  comprendendo  al  fine  che  quei 
sogni  non  furono  se  non  T  effusione  del  genio  italiano,  che  in  lui, 
come  un  filtro,  istillavasi;  ne  trarrà  forse  più  efficace  rimedio  che 
noi  sia  stato  la  tremenda,  secolare,  ma  fìnor  vana  esperienza  su  sé 
medesima. 

Così  quando  fra  poco  evocheremo  Tombra  di  Dante  per  ono- 
rarla, e  le  chiederemo  i  responsi  delTavvenire,  essa  rigettando  da  sé 
le  logore  vestimenu  del  passato  in  cui,  vivente,  s'avvolse,  ci  rivelerà 
i  novelli  orizzonti  che  l'età  presente  dischiude.  E  fra  un  secolo,  poi 
di  secolo  in  secolo,  quando  verremo  altre  volte  a  interrogare  reli- 
giosamente queirombra,  ella  illuminando  un  nuovo  aspetto  della  sua 
arcana  figura,  magnificandone  un  lineamento,  un  tenue  punto  che 
finora  o  ci  rimase  impercettibile  o  troppo  oscuro  a  comprendersi,  ci 
svelerà  allo  sguardo  nuovi  campi  a  percorrere,  nuove  lotte  a  soste- 
nere, nuovi  ideali  a  raggiungersi.  Prostriamoci  innanzi  al  carro  trion- 
fale di  Dante  che  avanza.  Dante  è  uno  spirito,  e  a  uno  spirito  lice 
prostrarsi  più  che  innanzi  alle  coronate  maestà  della  terra.  Come 
uomo  che  in  sogno  contempla  sé  stesso  come  doppia  persona,  cosi, 
o  Italia,  nel  giorno  solenne  consacrato  al  tuo  poeta,  contempla  in 
Dante  la  tua  propria  immagine,  dalla  tua  stessa  coscienza  evocata. 
Poeti!  e  voi  Poeti!  e  voi  sopratutto  che  sdegnosi  del  carme  acceso 
fra  le  elettriche  nubi  degli  arcani  veri  come  la  parola  di  Mosé  fra 
i  lampi  e  i  tuoni  del  Sinai,  non  cercate  alla  Musa  che  i  seducenti 
fantasmi  e  le  forme  amorose!  andate  a  cercargli  i  novelli  ideali  della 
poesia.  Ed  egli  additandovi  quelle  eterne  sue  pagine  ora  grondanti 
le  stille  dei  sepolcri,  ora  irraggiate  deireffluvio  benedetto  dei  cieli, 
ma  sì  auguste  sempre  che  le  diresti  strappate  colla  violenza  di  Gia- 
cobbe in  lotta  colPangelo,  al  volume  dei  divini  misteri;  egli  v'inse- 
gnerà che  non  nelle  vie  battute  degli  effetti  e  della  vita,  ma  nelle 
più  occulte,  nelle  più  eccelse  sfere  dell'Ideale  inseguir  dovrete,  se 
desiosi  di  raggiungerla,  la  Musa  dell'avvenire.  Secoli  prima  di  sbat- 
tere sulle  tempia  d'Amleto  e  d'alimentare  i  terribili  incendi  nel  cuore 
di  Fausto  e  di  Manfredo,  l'ala  dell'angelo  degli  eterni  problemi  avea 

DBt  Balio.  VoL  XIV.  38 


594 


POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


tocca  la  Ironie  di  Dante,  e  voi  respingeste  come  straniera,  come 
stramba  questa  poesia  del  Pensiero  che  gli  stranieri  avevano  rapita 
al  sacro  volume  del  vostro  poeta,  e  che  voi,  per  secoli,  avete,  o  in- 
consciamente venerata  o  ciecamente  incompresa.  '  Scienziati,  cerca- 
tegli la  verità.  Egli  che  visse  e  fra  Tombre  e  fra  gli  uomini,  assai 
secreti  vi  svelerà  sulla  vita  e  la  morte.  Quel  suo  rigido  dogmatismo 
cattolico  diverrà  s\  fluido  da  penetrare  nei  meati  più  occulti  della 
sapienza  futura,  e  quelle  sue  inflessibili  sfere  di  Tolomeo  s'allarghe- 
ranno, s'allargheranno  infinitamente  sino  a  raccogliere  nel  loro  grembo 
i  mondi  infiniti  di  Bruno  e  di  Galileo.  Donne,  splendidi  astri  delta 
terrai  Andate  a  rivelargli  i  palpitanti  misteri  del  vostro  cuore!  Egli 
che  comprese  l'amore  nelle  sue  più  estreme  espressioni,  e  simbo- 
leggiando qui  pure  la  natura  italiana,  ora  lottò  sotto  gli  stimoli  più 
infuocati  della  passione  terrena,  ora,  nuovo  Orfeo  cristiano,  scen- 
deva a  ricercare  sotterra,  traverso  i  regni  della  morte,  la  sua  donna 
perduta,  e  con  lei  ricongiungevasi  nelle  mistiche  voluttà  del  para- 
diso. V'insegnerà  come  l'amore  sia  il  vincolo  arcano  che  rannoda 
la  terra  al  cielo,  il  rivelatore  celeste  che,  più  assai  della  scienza,  ci 
solleva  a  favellare,  faccia  a  faccia,  con  Dio.  Soldati!  portategli  le 
vostre  spade  a  benedire.  Egli  le  incanterà  coi  magici  carmi  che  in- 
catenano la  vittoria,  e  rendendole  invitte  contro  gli  oppressori  stra- 
nieri, ne  spezzano  le  punte  se  volte  scelleratamente  contro  petti 
italiani.  Uomini  dì  Stato!  Cercategli  il  secreto  della  vittoria.  Egli  vi 
dirà  che  esso  non  trovasi  nelle  vie  tortuose  che  lacerano  il  senso 
morale,  ma  nella  dignità  che  solleva  dal  fango  delle  menzogne,  in 
quell'amoroso  affratellamento  delle  classi  che  colle  umili  unità  del 
popolo  intreccia  il  formidato  fascio  romano.  Moltitudini  d'Italia! 
cercategli  il  secreto  della  indipendenza  e  della  libcnà.  Ed  egli  mo- 
strandovi il  suo  cuore  piagato  da  Imperatori  e  Pontefici  in  cui. s'illuse 
e  che  lo  tradirono,  v'apprenderà  ad  esecrare  per  sempre  e  Pontefici 
e  Imperatori. 

Quando,  in  riva  al  Gange,  scorre  sui  prostrati  credenti  il  sacro 
carro  di  laggernat,  sotto  le  sue  ruote  havvi  un'ecatombe  di  membra 


*  Avvertasi  che  con  questa  teoria  del- 
1*  Ideale,  io  non  intendo  escludere  quella 
umile  eppur  sublime  poesia  che  sgorga  dal 
popolo  e  dai  drammi  volgari  della  vita; 
poiché  credo  che  la  poesia  si  ritemprerà 
appunto  allora  solo  che  uscendo  dalle  vec* 
chie  norme  convenzionali  che  cercano  il 
■ublime  nel  remoto  e  nell'artificiale,  anzi- 
ché nel  naturale  e  nel  vicino,  si  porri  su 
questa  via  novella  nella  quale,  e  in  Italia 
e  fuori,  gii  splendidi  saggi  si  sono  pro- 


dotti. Io  intendo  dire  soltanto:  i**  chela 
poesia  del  pen>iero  dovrebbe  essere  colti- 
vata al  pari  di  quella  degli  effetti;  a*  che 
anche  nei  drammi  del  cuore  che  studìansi  a 
preferenza  di  quelli  di  cenrello,  la  poesia 
dovrebbe  attaccarsi  piuttosto  al  processo 
intimo,  occulto  che  genera  la  passione  e  il 
pensiero,  piuttosto  alle  grandi  leggi  dei  me- 
desimi, anziché  alle  esterne  fenomenaliti  con 
cui  questi  psichici  processi  rivelanti  e  alle 
loro  più  comuni  manlfiestazioni  nella  vita. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI. 


595 


disperse  e  di  teste  troncate.  Quando  invece  trascorrerà  fra  noi  il 
carro  trionfale  di  Dante,  le  membra  infrante  d*  Italia  si  raccolgano 
una  volta  ed  abbiano  un  capo.  E  se  dev'esservi  un'ecatombe,  sia 
quella  delle  antiche  illusioni  che  sono  i  nostri  più  mortali  nen^ici. 

In  una  di  quell'ore  avide  in  cui» 
Dormente  no,  ma  abbandonato  al  flusso 
Della  grand* Alma  Universal,  lo  spirto, 
Coi  61i  delle  immagini  indistinte 
Del  ramingo  pensier,  le  più  divine 
Trame  che  ordisca  Y  ideal  s*  intreccia, 
Visione  io  m'ebbi  che  non  so  se  fosse 
Estasi  o  sogno: 

L 

La  notturna  veglia 
Era  del  di  che  Italia  tutta  al  sommo 
Vate  sacrò  che  l'amò  tanto:  ed  io 
AU'Alighier  devoto  e  non  al  tempio. 
In  Santa  Croce  '  m'aggirava,  in  questa 
Vetusta  tirannia  sacerdotale 
Consolidata  in  marmo,  ove  le  cupe 
Tenebre  del  cattolico  terrore, 
Dalle  tombe  di  Dante  e  degli  eroi 
Deir  Italo  pensier  son  rischiarate, 
Nel  sacro  asìl,  piangendo,  le  ripose 
La  devota  d' Italia  alma  pietosa  ; 


'^migliore  imelligeou  di  questo  carme, 
^*«:  «ae  «TTcrtire  qpei  lettori  che  per  «Tven- 
^^  noi  sapessero,  cene  nella  chiesa  di 
'*^%  «  Croce  in  Firense  posino  i  monumenti 
J^^lcralidi  Dante,  di  MacUaTelli,  Galileo, 
''*  ^^claagelo,  Alfieri  e  altri  meno  insigni. 
^  VM  togli  Galileo  che  appartiene  più  alla 
^^^isa  che  alla  polidca,  più  al  ciclo  che 
^^^  terra,  gU  uobiIbì  qui  nominati  incar^ 
^^*&«  più  o  neno  nella  loro  tìu  politica 
'^^    artistica  11  concetto  nazionale  di  Dante. 


Sento  che  un  monumento  sia  gii  destinato 
in  Santa  Croce  a  Cavour,  il  quale,  rian- 
nodando,  dopo  ben  tre  secoli  di  morte  ci- 
vile, la  catena  spezzata  dei  nostri  uomini 
di  Stato,  iniziò  felicemente  U  realizzaxicne 
dell'  unità  d' Italia  colle  tradizioni  di  Ma- 
chiavelli. Né  dubito  si  dimenticherà  di  de- 
stinarne a  suo  tempo  un  secondo  a  Gari- 
baldi,  quest'altro  insigne  che  sforzossi  e  tut« 
tavia  si  sforza  realizzare  11  grande  concetto 
di  Dante  coiranima  alla  Bruto  d'Alfieri. 


596  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Ma  l'accigliata  cattedral  le  guata 

Minacciosa  e  ne  freme,  e  del  passato 

Colla  più  densa  oscurità  ravvolge 

Quei  bianchi  avelli  che  la  luce  indora 

Deireterno  avvenire.  Ond'ei  sembianza 

Mi  fean  d'alpestri  guglie  cristalline 

Che  il  negro  vel  dei  nugoli  squarciando. 

Vanno  a  bagnarsi  nell'eterna  aurora. 

Su  quel  misto  di  tenebre  e  di  luce, 

E  sulle  tombe  e  sugli  aitar  regnava 

Alto  silenzio  —  non  di  cose  morte. 

Ma  d'operose  occulte  forze;  e  solo 

Al  mio  guardo  apparìa  che  sugli  altari 

Strisciasse  il  verme  delle  tombe  e  dalle 

Tombe  emanasse  degli  aitar  la  fiamma. 

Era  un  colloquio  mistico,  o  piuttosto 

Una  silente,  inesorabil  lotta 

Fra  la  vita  e  la  morte,  in  cui  mutato 

Nella  mischia,  a  vicenda,  il  mutuo  atpetto 

Dei  lottanti  sembrava.  Una  sospesa 

Lampada  dalle  pigre  oscillazioni, 

Che  il  tempo  no,  ma  eternità  parca 

Commisurar  coli'  impassibil  moto; 

Somigliava  alla  face  che  s'accende. 

Beffardo  emblema,  a  simular  la  vita 

Nelle  celle  de'  morti.  Io  quel  solenne 

Eloquente  silenzio  interrogava 

Dagli  arcani  responsi,  allorché  un'Ombra,  — 

L'Ombra  di  Dante  —  fra  quei  marmi  apparve 

Come  un  tempo,  fra  i  Delfici  delubri. 

Il  fantasma  del  Dio. 

Chi  mai  dai  regni 
Della  squallida  morte  iva  evocando 
Quello  spirto  sdegnoso,  e  perchè  in  questo 
Ricinto  d'are  e  di  delubri,  Ei  posa 
Più  che  su  i  colli  della  sua  Firenze, 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  597 

Compiacente  facea  ?  D*  Italia  il  core 
Ch'or  col  suo  core  in  simpana  battea, 
Traevalo  forse  fra  i  viventi,  come 
Egli  vivente  amò  vagar  sotterra, 
E  l'odio  fra  le  bolgie  e  il  benedetto 
Fiato  di  Beatrice  al  ciel  lo  spinse. 
Amava  or  forse  ch'era  estinto,  ancora 
Riveder  questa  terra  ov'egli  un  giorno. 
Amò  tanto,  odiò  tanto  e  tanto  pianse? 
Ignoto  spirto  discendea  fra  noi 
Dalle  ignote  de'  spiriti  regioni, 
O  una  larva  vital  che  qual  dispenta 
Melode  l'eco  dall'estinta  polve 
A  strappar  non  riesce  anche  la  morte, 
Spingealo  a  rovesciar  del  suo  sepolcro 
In  Ravenna  la  pietra  e  miglior  tomba 

A  cercar  qui  nella  natia  sua  terra. 

Entro  quest'urna  che  per  lui  scolpita. 

Attenderlo  pareva?  All'Arno  in  riva, 

Invan  d' Italia  sua  chiesto  ai  viventi 

Che  per  lui  forse  non  avean  favella. 

Venne  Egli  quivi  a  interrogar  per  cara. 

Misteriosa  affinità  le  tombe 

Di  que'  spirti  magnanimi  che  in  Lui 

Bevver  la  fé,  la  carità  gentile 

Del  natio  loco,  l'operoso  amore 

E  la  mente  divina?  E  in  ver  responsi 

Al  suo  spino  dar  sol  potean  que'  spirti 

Vitali  forse  anche  nel  sonno  estremo. 

Però  che  solo  gli  aspiranti  aflFetti 

Dispensieri  agli  umani  oltre  la  tomba 

Sien  d'incognita  vita. 

Egli  ristette 

E  parve  in  prima  interrogar  gli  altari. 

Le  mute  statue,  le  navate  oscure 

Ed  i  mistici  ogivi.  E  ben  potea 


59^  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Questa  marmorea  podestà  che  il  vate,' 

Con  riverenza  pia,  vide  il  superbo 

Capo  levar  la  prima  volta  al  cielo 

Negli  spenti  suoi  di;  ben  potea  questa 

Che  signora  si  vanta  onnipossente 

Sulla  vita  e  la  mone  e  ad  ogni  angoscia 

Un  balsamo  promette,  a  quel  dolente 

Pietosi  accenti  mormorar;  ma  il  tempio 

Muto,  arcigno  rimase  e  sovra  il  capo 

Del  poeta  lanciar  parve  tuttora. 

Più  che  mai  fieri,  il  vindice  anatema 

Di  Bonifazio  e  Y  ira.  E  solo  il  Cristo 

All'auree  croci  degli  aitar  confitto, 

Dolci  sguardi  parca  volger  d'amore 

E  susurrar  all'anima  cristiana 

Dell'Alighieri  :  «  Io  martire  qui  sono 

Più  che  vivente,  or  sento;  alla  mia  fronte. 

Più  che  il  serto  di  spine  è  dolorosa 

Quest'aureola  di  Nume,  e  più  dell'aspra. 

Infame  croce  che  il  Giudeo  m'impose^ 

Questo  di  volte,  di  delubri  ed  archi 

Marmoreo  incubo  mi  contrista  e  schiaccia,  » 

All'urne  allora  l'Alighier  si  volse 
E  favellò  :  «  Chi  mi  sa  dir  da  quanto 
Volger  lento  d'età  cadon  le  mie 
Lagrime  di  poeta  entro  gli  abissi 
Della  squallida  morte,  e  chi  fra  i  vivi 
Or  mi  sospinge?  È  ver  ch'anche  nel  grave 
Letargo  dell' avd,  pallide,  incejte, 
Correan  le  larve  della  vita  estinta 
E  sul  freddo  mio  cenere  strisciando 
Gli  rapivan  l'oblio  del  sonno  estremo. 
Ma  invan  la  vita  io  desiava;  invano 
Questa  mia  patria  ch'adorai  cotanto 

*  S«nu  Croit  fu  fondnu  nel  1294,  quando  DAnte  aveva  circa  trent'annt. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  599 

Da  sentirne  tuttora  entro  Favello 
Fremerne  il  nome  e  la  memoria  e  gli  tchi 
Dolorosi  e  pur  cari,  a  me  di  morte 
Le  catene  scotea.  Ma  onnipossente 
Or  dalla  tomba  evocazion  mi  chiama 
Ed  è  la  patria  che  mi  chiamai  O  spirti 
Che  l'amaste  con  me,  che  mi  credeste 
Deh  !  mi  parlate  dell'  Italia  mia, 
Del  mio  suolo  natio  I  » 

D' Italia  il  nome. 
Come  un  baleno  illuminò  gli  avelli; 
Come  scintilla  elettrica,  ne  scosse 
Le  più  cupe  làtèbre  e  l'ossa  in  polve. 
Quasi  per  forza  magica  d' incanto. 
Ricomponeva  alla  vital  compage. 
Palpito  per  quei  cor  finch'cbber  vita, 
Parea  che  Italia  ridonar  potesse 
Col  suo  nome  soltanto,  a  quegli  estinti, 
Nuovo  un  cor  per  amarla.  Oscuro  un  moto 
Udissi  in  fondo  agli  agitati  avelli. 
Un  mescersi  confuso,  un  concitato 
Respingersi,  incontrarsi,  un  fremer  come 
D'atomi  che  ricercano  sotterra 
Delle  perdute  affinità  il  secreto. 
Poi,  senza  scossa  ne'  sepolcri  e  quasi 
Dai  lor  pori  di  marmo  irradiato, 
Degli  estinti  apparir  vidi  lo  spettro 
Al  mio  attonito  sguardo.  Illusione 
De'  miei  sensi  non  era.  Era  uno  strano 
Intrecciamento  di  tenèbre  e  luce, 
Di  fluidi  ignoti  e  misteriose  essenze; 
Una  forma  visibile  intessuta 
Da  invisibili  fila;  una  compage 
Dagli  antichi  elementi  ingenerata 
Ma  in  più  tenue  misture  a  non  so  quale 
Larva  commista  di  vital  potenza 


600  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Che  né  vita  né  morte  era,  ma  intenso 
Conato  di  simpatiche  attraenze 
Per  riscattar  dall'  implacabil  Parca, 
Una  trama  spezzata. 


II. 

A  dar  responsi 
Machiavello  fu  primo.  Egli  guizzando, 
Pari  ad  augello  di  contorto  volo, 
Dal  maestoso  avello,  errava  incerto 
Or  alto,  or  basso,  or  della  luce  in  cerca, 
Or  nel  fitto  dell'ombre;  ed  a  vicenda 
Fra  le  tombe  e  gli  aitar.  Però  che  sciolte 
Del  nostro  frale  dal  torpor  quell'alme. 
Come  l'aria  irradiavansi  e  la  luce 
Di  che  ordite  eran  forse.  E  istinto  antico 
Di  quell'alma  era  ancor  l' irrequieto 
Agitarsi  qua  e  là;  che  nella  vita. 
Sempre  errò  incerta  dalla  reggia  al  foro, 
Talor  nell'alte  regi'on  del  bene, 
Com'angelo  rapita,  or,  qual  demonio. 
Profondata  nell'odio,  e  solo  immota. 
Come  rupe  al  furor  della  tempesta, 
Quando  i  fati  d' Italia  avea  dinanzi 
Come  or  l'ombra  di  Dante,  innanzi  a  cui 
Arrestossi  repente.  E  in  ver  lo  stesso 
Eran  Dante  e  l' Italia. 

«  E  di  tua  patria, 
Padre,  »  ei  disse,  «  udir  vuoi  ?  Te  fortunato 
Che  la  vedesti  almen  vivente  e  tratta, 
Per  troppa  vita,  alla  final  ruinal 
Quando  io  nacqui,  un'  inferma  era  in  cui  tutto 
Fuorché  l'odio  languia.  Le  proprie  membra 
Impossente  a  ferir  colla  sua  spada 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  6oi 

Irrugginita,  ai  fratricidi  eccidi 
Appellava  stranier  sopra  straniero, 
E  gli  stranier,  famelici  avvoltoi. 
Al  banchetto  accorrean.  «Pace  fratelli  1» 

0  padre  Dante  !  anch'  io  gridai,  sperando 
Le  ferite  sanar  che  l'odio  apriva 

Col  balsamo  d'amor.  Ma  quando  io  vidi 

Sovr'empio  rogo  penzolar  le  membra 

Del  beato  leronimo,  e  la  turba 

Scagliarne  in  Amo  la  riarsa  polve 

Con  demente  furore,  io  disperai 

Degli  uomini  e  del  cielo,  e  al  pie'  forcuto 

Di  Satana  m'avvinsi.  Era  pur  bello 

Il  mio  Satana  Borgia  I  Ei,  come  Dio, 

Alla  crudel  necessità  fatale 

D'una  incompresa  Idea,  sin  l'universo 

Sacrificato  avrebbe.  Era  veleno 

La  sua  parola;  egli  uccidea  col  guardo; 

1  suoi  baci  persin,  quand'egli  amava 
(Se  amor  pur  seppe  quel  ferino  core). 
Micidiali  ferian  più  della  punta 

Del  suo  pugnale.  Imperiale  il  nome. 
Sacra  dal  prisma  di  San  Pier  la  spada. 
Un  sol  pensiero  nel  cerèbro,  un  solo 
Amor  nel  core,  ma  fatai,  ma  fiero, 
Capace  d' ingoiar  l'  immensurato 
Universo  di  Dio  nella  sua  gola. 
Quel  mio  Satana  avea.  Dessa  l' Italia 
Era  incarnata  in  un  sol  uom  con  tutte 
Le  sue  potenze,  i  suoi  delitti,  i  suoi 
Odii  ed  amor.  Sol  Ei  potea  send'  Uno 
Vibrar  nel  cor  dello  straniero  il  ferro 
Ch'ella  nel  proprio  cor  dilaniato. 
Delirante  figgeva.  Ed  io  l'amai 
Come  il  Dio  degli  Schiavi,  il  Dio  d'un  mondo 
Che  più  Dio  non  aveva.  Errai!  Fedele 


602  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Incarnazione  della  patria  mia. 

Il  mio  Satana  Borgia,  al  par  di  lei 

Uccideva  sé  stesso.  I  suoi  delitti, 

Quai  serpenti  branditi  a  mo'  d' un'  arma, 

Gli  si  torsero  contro  e  avvelenato 

Giacque  dal  suo  velen;  non  quel  che  il  fiero 

Padre  gli  spense  nel  fatai  convito 

E  a  lui  stesso  infrangea  la  prepotente 

Energia  del  voler,  ma  il  più  letale. 

Veleno  del  suo  cor.  »  Tacque  e  in  sdegnoso 

Silenzio  ei  si  ravvolse  come  un  uomo 

Cui  Dio  dapprima,  poi  Satan  falliva, 

Come  un  Dio  che  miglior  d'  ambi  si  sente. 

Ma  cui  negaro  onnipotenza  i  fati. 

Altr*  ombra  allor  dall'  istoriato  avello 
Sorse  e  all'  aerea  cupola  salendo 
Qual'aquila  regal  che  inconscia  vola 
Coir  istinto  fedele  a'  rai  del  sole. 
Quivi  fermossi  a  contemplar  traverso 
Le  cristalline  sbarre,  e  terra  e  cielo. 
Con  avida  pupilla. 

«  Oh  !  ridiscendi. 
Spirto  aspirante,  gli  gridò  Alighieri, 
E  d' Italia  favellami  1  » 

a  D'Italia? 
Ella  è  morta,  noi  sai?  Non  ne  vedesti 
Il  simulacro  eh'  io  le  sculsi  in  marmo 
Nella  bella  Firenze?  È  là  che,  come 
Languente  face,  diede  uno  guizzo  estremo 
Che  all'amante  mio  cor  parve  le  vita; 
Ond'  io  di  spaldi  e  di  marmoree  rocche  * 
Un  usbergo  le  cinsi  al  cor  che  i  dardi 
Spuntar  potesse  all'implacabil  Parca 


*  Quando  Firenze  er«  assediata  dalle  armate  di    Carlo  V,    Michelangelo   diresse  i 
lavori  di  fonificozione  della  città 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  6oj 

Al  SUO  letto  ringhiante.  Invan;  sul  ciglio 
Alla  morente  si  curvò  una  croce 
Che  componean  fra  loro  incrocicchiati 
D'Arminio  il  brando  e  il  pastoral  di  Piero 
Con  istrano  connubio;  q  mormorando 
Non  so  quali  incantesimi  di  morte. 
Da  Roma  il  Papa  V  agghiacciò.  La  posi 
Allor  piangendo  nella  tomba  e  immenso 
Le  alzai,  perenne  un  monumento  in  Roma 
Ove  tutta  la  terra  eternamente 
A  piangerla  verrà.  Sovra  la  vetta 
Io  mi  posai  della  superba  mole. 
Come  l'angiol  funereo  che  l'alma 
Porta  a  Dio  degl'  estinti,  e  la  grand'  ora 
Invocando  per  lei  dell'aspettata 
Risurrezione,  ad  aspettar  la  posi 
In  quei  campi  cerulei  dell'arte 
Ove  eterna  è  la  luce,  ove  mai  l'ira 
Giunger  non  può  delle  tempeste  umane. 
Ah!  Lungamente,  collo  sguardo  al  cielo, 
Colla  fede  nel  cor,  col  pianto  agli  occhi 

10  queir  ora  aspettai.  Ma,  o  sia  che  ai  morti 
Popoli  sia  velen  quell'armonia 

Di  note  e  di  color  che  in  rapimenti 
Estatici  addormenta;  o  che  tornarle 
Dalla  lotta  terrena  e  non  da  Dio 
Debba  1'  aura  vitale  ;  o  che  in  eterno 
Fosse  d'Italia  cancellato  il  nome 
Nel  libro  della  vita,  io  là  morii. 
Né  di  Lei  più  dir  so.  »  — 

a  —  Ma  il  di  che  al  Cielo, 
Michelangiol,  riedevi,  io  da  quel  Cielo 
Esulava  quaggiù,  meco  portando 

11  tuo  spirto  divin,  quasi  che  l'arte 
Consegnasse  morendo  alla  scienza 

Che  un'incognita  legge  in  me  incarnava, 


6o4 


POESIE   DI   MILLE  AUTORI 


La  lampada  di  vita.  »  '  —  Un  terzo  spirto. 
Favellando  cosi,  dal  monumento 
Irrompeva  veloce,  e  come  l'altro. 
Air  alto  della  cupola  scoccava 
Come  rapido  stral.  Sol  che  diverso 
Dal  primo  che  parea  d' intorno  ali*  orlo 
Di  quella  volta  cristallina,  come 
In  elemento  naturai  posarsi; 
Questi  con  ira  la  scuotea  tentando 
Aprirsi  un  varco  nell*  azzurro,  quasi 
Suo  beato  soggiorno  elementare 
Fosser  le  aperte  immensità  del  Cielo. 
«  Ed  or  pure  contendermi  vorresti, 
O  maledetta  —  egli  sclamò  —  codesti 
Campi  deir  infinito  ?  Invano;  —  »  e  infranta 
La  cristallina  sbarra,  iva  quel  forte 
Slanciandosi  nell'alto;  e  più  salla 
Più  e  più  gigante  diventava,  e  un  astro 
Se  nel  tempio  parea,  fatto  era  un  sole 
Là  in  quei  campi  dei  soli    Ahil  della  Parca 
U  inesorabil  filo  in  giù  lo  trasse 
Dalle  altezze  conquise,  e  Galileo 
Nel  cattolico  tempio,  un'  altra  volta, 
Prigioniero  tornò.  Della  diletta 
Patria  a  lui  pure  l' Alighier  richiese 
E  poiché  viva  la  sentia,  qual  mano 
Dall' avel  la  destò. 

a  —  Poiché  destarla,  » 
L'  alto  rispose  scrutator  dei  mondi, 
«  Dal  sonno  ignavo  non  poter  le  strida 
Del  pensier  crocifisso  e  prenci  e  papi 
E  monaci  e  stranier  che,  quai  demoni. 
Le  fean  sul  marmo  sepolcral,  la  ridda; 


'  La  luscita  di  Galileo,  nel  giorao  stesso 
della  morte  di  Michelangelo,  è  fatto  storico. 
Dobbiamo  vedervi  semplicemente  una  for- 


tuita coincidenza  o  sospettarvi,  con  V.  Hugo, 
qualche  arcana  legge  presiedente  alla  ge- 
nerazione delle  anime  grandi? 


INTORNO   A   DAKTB   ALIGHIERI.  605 

Poiché  agli  astri  del  ciel  Y  ombre  preferse 

Del  cattolico  avello,  e  più  che  al  sole, 

Più  che  alla  diva  fiaccola  del  vero 

Che,  per  destarla,  io  le  scotea  neiruma. 

Ella  amò  riscaldarsi  ai  maledetti 

Roghi  sacerdotali;  e  poiché  quale 

Divin  dono  baciò  le  sue  catene 

E  maledisse  chi  1'  amava,  e  avvolta 

Nel  suo  mantel  funereo  qual  fosse 

II  suo  manto  regal,  lividi  ceri 

Brandi  in  loco  di  spade  e  patrie  insegne. 

Chi  destarla  poteva  ?  Ai  cieli  invano 

Io  rapiva  per  lei  la  redentrice 

Scintilla  della  vita.  Ahimé!  se  ancora 

All'aspirante  mio  spirto  non  lice 

La  morta  patria  tramutar  con  qualche 

Viva  stella  del  cielo,  al  mio  sepolcro 

Ritornatemi  ancora;  esso  é  più  caldo 

Del  mio  suolo  natio;  là  almen  non  scende 

Manigoldo  chiercuto  a  torturarmi 

S' io  favello  coi  cieli  »  —  E  al  suo  sepolcro 

Ritornato  saria;  ma  d'  un  amplesso 

Michelangelo  il  cinse,  e  T  oscillante 

Lampa  alle  care  immagini  dei  suoi 

Giorni  sacri  a  Sofia  lo  ricondusse. 

Un'  ultim'  ombra  alfìn  da  quei  superbi 
Mausolei  spiccossi;  e  questa  ai  moti 
Irrequieti,  al  disdegnoso  aspetto, 
All'ira  intensa  che  struggeala  fusa 
In  un  intenso  amor,  suora  fra  tutte 
AU'Alighier  parca.  Come  rinchiuso 
Folgore  che  guizzando  in  mille  guise, 
A  un  punto  istesso,  ovunque  tocca,  tutto 
Con  forza  irresistibile  percuote. 
Squarcia,  sperde,  annienta  e  mille  vite 
In  quella  vita  d'  un  istante  inserra; 


6o6  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Con  cieca  ira  cosi  quel  fiero  spirto, 

D'  un  sol  tratto  scorrendo  ogni  più  occulto 

Penetrale  del  tempio,  e  statue  ed  are 

E  tombe,  e  arredi  e  monumenti  e  tutto 

Rovesciava,  struggea;  si  che  non  valse 

Nemmen  del  Cristo  Y  amoroso  sguardo 

Da  mille  croci  supplice  a  sottrarlo 

Da  queir  ingorda  frenesia  di  strage 

Che  anche  in  morte  infuriava.  Era  Io  spino 

Di  quel  fiero  Astigian  che  poiché  vide 

Patria  e  virtude  e  libertade  e  vita 

Nel  suol  nativo  estinte;  e  in  comun  fango 

Avvolti  oppressi  ed  oppressori,  e  infame 

Di  ladri  ipocrisia  fu  quella  voce 

Che  giù  dall'Alpi:  Libertà!  gridava 

Ai  sonnolenti;  dall' avel  di  Bruto 

Dissepolto  il  pugnai  tirannicida, 

Nel  sangue  lo  bagnò  d'ogni  vetusto 

Despota,  e  sopra  la  funerea  pietra 

Che  la  patria  chiudeva,  1'  eterna  incise 

Tragedia  che  pugnossi  e  fia  pugnata 

Fra  le  serve  nazioni  ed  i  tiranni. 

Fra  il  pensiero  e  V  aitar.  Ma  poiché  il  sasso 

Freddo  rimase,  e  della  patria  spenta 

Invan  sul  freddo  cenere  strisciaro 

Quelle  cifre  di  fuoco,  andò  ramingo 

Colla  magnanima  ira,  e  come  Bruto 

A  Filippi  dubbiò.  Che  in  tutte  cose 

Ei  vide  il  verme  che  la  patria  estinta 

Corrodeva  sotterra,  e  in  ceppi  e  in  trono, 

a  Od  umili  o  superbi,  infami  sempre  » 

Uomini  e  genti  —  una  menzogna  eterna 

Il  eie!,  la  terra,  la  virtù,  la  vita. 

La  libertà  che  lotta,  il  Dio  che  assiste 

Il  voler  che  trionfa  —  e  tutti  e  tutto, 

Calpestando,  insultò. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHILRI.  607 

Poi  eh*  ebbe  alfine 
O  per  stanchezza  esausto  o  per  disdegno 
Quel  redivivo  suo  fulmine  d'ira 
Il  memore  fantasma,  al  sen  di  Dante 
Lagrimando  lanciossi  e  si  lo  strinse 
Che  fondersi  in  amor  tutto  parea 
Queir  anima  sdegnosa. 

«  Oh  !  giù  dall'Alpi, 
Padre,  »  gli  disse,  «  non  sperar  più  scenda 
Il  vindice  d'Italia!  e  né  col  brando 
D'  uom  che  ha  sete  d' imper  spera  giammai 
Temprar  lo  scettro  che  da  Roma  al  mondo, 
Novellamente  colla  gloria  imperi 
E  l'eterna  giustizia.  Io  l'ho  veduto 
Il  fulmine  di  guerra.  Egli  col  ciglio 
La  Vittoria  appellava,  e  la  Vittoria 
Si  prostrava  a'  suoi  pie'.  Popoli  e  troni 
Qual  polve  si  sperdean  sotto  le  zampe, 
Le  scalpitanti  zampe  arroventate 
Del  suo  corsiero.  Come  un  giorno  al  cenno 
Del  creator  si  soUevaron  l'Alpi 
Dal  lor  letto  di  fuoco,  ed  or  quell'Alpi 
Sotto  il  pondo  curvavansi  ubbidienti 
De' suoi  cannoni,  delle  sue  legioni, 
E  com'  orse  domate,  al  suo  passaggio 
Inneggiavan  prostrate.  Inno  gigante 
Di  granito  e  valanghe,  inno  che  i  mille 
Torrenti  alpini  tramandaro  ai  flutti 
Attoniti  del  mar;  che  cento  picchi 
Echeggiarono  in  coro,  e  fino  all'  Etna, 
Come  convulsa  sotterranea  scossa. 
Folgorando  vibrò.  —  Non  agghiacciate, 
Pallidi  re,  nelle  merlate  torri, 
Né  voi  sacri  oppressor  sotto  le  vostre 
Cattedrali  tremanti  !  Al  par  d'  un  serpe 
Che  s'  asconde  tra  i  fior,  l' auree  speranze 


6o8  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Calpestate,  o  nazioni!  in  mar  di  pianto 
Soffocate  il  sorriso,  e  qual  leggiadra 
Donna  in  turpe  cadavere  cangiata 
Dal  bacio  velenoso  della  Peste, 
Il  cantico  dei  liberi  strozzato 
Sia  in  livido  blasfemai  II  Genio  invitto 
Non  è  d' Italia  e  Libertà  che  avanza 
Sovra  il  carro  di  fuoco.  E'  ben  d' Italia 
Stuprò  dapprima,  indi  immolò  la  madre, 
Poi  eh*  ei  pure  serrato  il  glorioso 
Fronte  anela  sentir  da  un  maledetto 
Diadema  di  re.  » 

III. 

Pallide  e  mute 
Guatarsi  V  ombre  a  quegli  accenti  e  in  cerca 
Ivan  col  guardo  d'  un  novello  spirto 
Che  nunziasse  men  funebri  destini 
Alla  patria  toccati.  Invan.  Niun  morto 
Più  rispondeva  all'  evocanti  note 
Dell' Alighier;  più  murmure  foriero 
D'apparizioni  non  s' udia  neirurne; 
Tutto  estinto  parca.  Ma  d' improvviso 
Ecco  che  fra  Y  eccelse  ombre  un'  immago 
Reverente  appari.  Non  dalle  tombe 
Né  dai  mistici  aitar,  né  dai  più  ignoti, 
Reconditi  recessi  uscia  del  tempo 
Quella  inattesa  immagine,  ma  detta 
Tu  piuttosto  l'avresti  una  leggiadra 
Incarnazion  vermiglia  della  luce 
Che  incominciava  a  palpitar  traverso 
Le  gotiche  vetriere  ;  oppur  d'  Italia, 
Di  Libertà  l'Idea  detta  l'avresti 
Con  si  possente  intensità  concetta 
Da  quegli  eccelsi  spiriti  che,  come 


INTORNO  A    DANTE  ALIGHIERI.  609 

Di  Pigmalione  il  marmo,  or  si  mutava 

In  un  ente  che  vive.  Avea  gemmato, 

Dono  d'Italia,  alla  cintura  un  brando, 

Rossa  la  veste,  la  persona  stanca 

E  fusa  di  leon  colla  fierezza, 

L'aura  gentil  del  Nazareno  in  volto. 

«  Chi  sei  ?  »  l'ombre  gridargli.  Ed  egli  :  «  Io  sono 

La  coscienza  d'Italia,  ancor  che  Italia 

La  calpesti  o  l'oblii;  però  presente, 

Qual  benefico  spirto,  o  furia  ultrice 

Son  qui  e  ovunque  per  gl'Itali  destini 

S'opra,  si  parla  o  si  sospira  !»  E  il  labbro, 

D' Italia  i  fati  a  raccontar  seguendo. 

Poi  dischiuse  cosi: 

«  Della  corona 
Il  veleno  corrose  anima  e  vita 
All'uom  fatale;  e  i  despoti  suoi  servi. 
Sulle  macerie  della  sua  potenza, 
Si  divisér  coU'ugne  insanguinate 
La  sua  mandra  di  popoli.  Sul  capo 
D' Italia  ancora  scintillar  le  lancie 
Del  Teutono  feroce  ed  i  pugnali 
De'  scettrati  suoi  sgherri.  Entro  l'antico 
Suo  cattolico  avello  incatenata. 
Dormi  ignobil  letargo,  e  in  Vaticano 
Il  Pontefice  suo  le  recitava, 
Con  monotona  voce,  il  di  e  la  notte. 
Le  preghiere  dei  morti.  Intorno  al  vasto 
Tumulo  si  stendean,  laide,  schifose 
Sentinelle,  le  forche,  a  cui  sdegnava 
La  viva  alma  serrar  dentro  il  sepolcro 
Della  patria  defunta,  altro  sepolcro 
Fra  le  nebbie  morave  era  serbato 
Ove  fra  i  ceppi  imputridian  le  membra 
Come  quivi  gli  spirti.  Oh!  quel  gran  corpo 
Da  estranei  dovi  incatenato  all'Alpe, 

DiL  Balio.  Voi.  XIV.  30 


6X0  POESIE   DI    MILLE  AUTORI 

Galleggiante  sul  mar  come  un'esangue 
Vittima  in  Canal  Orfano  gettau 
Dal  veneto  Senato,  a  cui  l'eterno 
Cor  lacerava  l'avvoltoio  ingordo 
Del  Vaticano  —  oflPerto  avriati  immago 
Dell'antico  Titan  che  il  ciel  sfidava, 
Se  un'anima  vivente  in  quelle  membra 
Fatta  avesse  dimora.  Ah  !  ben  più  al  Cristo, 
Ostia  del  sacrificio  e  dell'amore, 
Che  fuggia  dalla  lotta  e  alle  percosse 
Rispondea  col  perdon,  rassomigliava 
Quella  salma  bellissima  che  fatto 
Avea  di  Cristo  ai  sacerdoti  ingordi 
Di  sé  stessa  olocausto. 

Alla  gran  tomba 
Veniano  a  gara  e  genti  e  re  da  quante 
Terre  illumina  il  sol,  che  tutti  in  core 
Dalla  speranza  e  dal  terrore  commossi, 
Attendeansi  veder  fuor  da  quell'urna 
Del  crocifisso,  uscir  trasfigurato 
Il  glorioso  Iddio  della  vittoria. 
Veniano  i  bardi  lagrimosi,  e,  tranne 
Pochi,  in  vece  di  scior  sulle  frementi 
Cetere  un  inno  di  Tirteo  che  a  vita 
Ridestasse  la  morta,  ivan  gemendo 
Nenie  ispirate  ai  soporosi  incensi 
Del  santuario.  Di  Sofia  gli  alunni 
Veniano  anch'essi  e  richiedean  l'arcano 
Della  vita  alla  Dea,  ma  l'incantata 
Formola  che  gli  estinti  evoca  a  vita 
La  Dea  non  dava,  e  ai  fidi  suoi  piuttosto 
Insegnava  a  morir.  Venian  gl'illusi 
Che  il  secreto  vital  cercano  ai  vermi 
Putridi  della  tomba;  e  a  lor  beffarda 
Morte  ghignava.  Misteriosi  gruppi 
Di  Pellegrini  dagli  strani  emblemi. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  6ll 

Dai  simbolici  riti  e  dai  notturni 
Assembramenti  in  seno  alle  ruine 
Veniano  ed  in  Gesù,  Dio  degli  oppressi. 
La  trafitta  nazion  simboleggiando, 
In  processione  lugubre  e  solenne 
Ne  portavan  la  salma  insanguinata 
Di  capanna  in  capanna,  in  ogni  punto 
Della  terra  infelice,  onde  alla  vita 
La  rendesse  il  furor  della  pi  etate 
Degli  oppressi  credenti.  Ogni  mattina 
Salian  sull'Alpi  i  pallidi  proscritti, 
E  la  pianura  funeral  scrutando 
Per  quanto  ampia  si  stende,  acuto  il  guardo. 
Acuto  intomo  protendean  l'orecchio 
Ad  ogni  soffio,  a  ogni  sospir  ;  che  ognora 
Speravano  veder  Tossa  dall'urna 
Ricomposte  balzare  e  fiera  e  in  armi 
La  risorta  pugnar.  Ma  vano  ahi!  sempre 
Ogni  murmure  o  tuono!  Altro  non  era 
Che  un  muggito  di  bufalo  per  l'ampia 
Romana  solitudine,  una  pietra 
Dai  ruderi  cadente,  un  melodioso 
Bacio  dell'onde  su  l'adrìache  spiagge. 
Un  sotterraneo  fremito  dell'Etna 
O  del  Vesevo,  i  soli  esseri  vivi 
Sulla  terra  dei  morti,  un  moribondo 
Rantolo  dalle  carcerì  o  un  notturno 
Combattimento  di  rapaci  augelli 
Contendentisi  intorno  ad  una  forca 
L'ossa  d'un  patriota. 

Un  di  quegli  ansii 
Esuli  con  furtiva  orma  sovente 
Discendeva  dai  monti.  Avea  sul  pallido 
Volto  il  mistero,  d' un'  eccelsa  speme 
La  scintilla  negli  occhi,  in  cor  la  Fede, 
Nella  mente  un'  Idea.  Strisciando  ovunque 


6l2  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Ai  tiranni  invisibile,  ma  sempre 
Agli  oppressi  presente,  ei  lor  portava 
Pugnali  occulti,  arcane  cifre,  e  poi 
Come  spettro  sparia.  Ma  quasi  ei  fosse 
La  sotterranea  miccia  serpeggiante 
Che  porta  a  mina  la  scintilla,  appena 
Trascorso  egli  era,  tale  un  nembo  e  tale 
Di  vitali  potenze  una  tempesta 
A  tergo  gl'irrompea,  qual  se  sotterra 
or  ignei  geni  d'Ausonia  ai  neghittosi 
La  vita  irradiassero  attraverso 
Le  metalliche  vene  ed  i  ruggenti 
Crateri  dei  vulcan.  Ma  poi  che  ancora 
Trionfava  la  morte,  e  la  fugace 
Fiamma  dell'ira  si  spegnea  nel  freddo 
Alito  del  sepolcro,  e  fuor  dai  sacri 
Recinti,  colle  immonde  ali  d'upupa, 
Uscian  l'Ignavia  e  la  Paura,  antiche 
Dee  degli  schiavi,  e  al  cantico  guerriero 
Dei  pochi  rispondean  delle  dementi 
Moltitudini  i  brividi,  e  più  stretto 
De'  carnefici  il  laccio  e  più  profonde 
L'ugne  degli  oppressori,  il  misterioso 
Esule  riprendea  tacitamente 
L'aspre  vie  dell'esilio  a  meditarvi 
Nel  silenzio  e  la  fede;  e  poi  che  aveva 
Là  maturata  una  novella  idea, 
Nuovi  d'odio  tesori  accumulati 
Nell'indomito  cor  col  Fato  in  lotta. 
Con  nuove  trame  e  nuove  lotte  e  nuove 
Vicende  di  speranze  e  di  sventure, 
Ridiscendea  dall'Alpi. 

E  tutti  a  gara, 
E  popoli  e  scettrati  e  pellegrini 
E  bardi  e  sofi  ed  esuli  ed  occulti 
Agitator  della  facella  ascosa, 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI. 

Correano  al  gran  sepolcro  a  interrogarlo; 

Ma  i  teutoni  custodi,  a  differenza 

Dei  custodi  Giudei,  non  atterriti 

a  É  risorto  !  »  gemean,  ma  con  osceno 

Ringhiavano  un  sogghigno  :  a  Ite  !  la  tomba 

Si  divora  la  preda.  »  —  E  i  coronati 

Manigoldi  del  teutono  tiranno, 

Un  nugolo  d'osceni,  orridi  vermi 

SulFavello  striscianti,  i  rinnegati. 

Le  spie  dai  moti  di  serpenti,  i  vili 

Che  al  gelido  sofisma  od  a  Mammona 

Venderon  l'alma  incancrenita,  i  cuori 

Dalle  scettiche  lebbre  assiderati, 

I  beflPardi  stranier,  gli  sgherri  atroci, 

Le  immonde  Frini,  le  chiercute  arpie 

E  il  lor  Caifa  che  siede  al  Vaticano, 

Ripetevano  in  coro:  «Ite!  la  tomba 

La  sua  preda  divora  !  »  — 

Eppur  la  tomba 
Divorarla  non  deve!  E  tale  un  giorno 
D'infranti  scettri  e  d'atterrati  troni 
Fragor  diflPuse  Libertà,  che  anch'essa 
Destossi  Italia  dalla  morte  e  un  volo 
Dispiccò  pel  sereno  aer  a  lei  noto 
Della  magica  Dea.  Die'  allora  un  grido 
D'agonia  la  nordica  grifagna 
Che  lacerar  le  pigre  ali  sentissi 
Dal  sbuccato  Lombardo  angue  e  dall'ugna 
Del  Veneto  Leone.  Il  soporoso 
Miasma  della  maremma  ad  un  divino 
Raggio  di  sole  dileguossi,  e  mentre. 
Per  gli  Appennini,  la  Romulea  lupa 
Generatrice  degli  eroi,  l' ingorda 
Divorava  bastarda,  orrida  belva 
Che  usurpava  da  secoli  il  suo  nome. 
Pasciuta  al  desco  di  vampir  mitrati 


6i4 


POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


Col  core  della  patria»  un  generoso 
Corsier  cui  misto  all'arabo  trascorre 
D'eroiche  razze  nelle  vene  il  sangue. 
Calpestava,  correndo,  i  gigli  immondi 
D'uno  stemma  regal. 

Ma  grave  ah!  troppo 
Sentia  tutt'or  la  letargia  fatale 
Delle  interne  catene,  e  nel  sepolcro 
Atterrata  reddiva.  Eppur  fu  d'uopo 
Che  l'occulto  pugnai  dell'assassino, 
Che  ipocrita  un  velen  dato  nel  nome 
Di  libertà,  dei  re  s'unisse  all'armi 
Per  atterrarla;  e  d'uopo  è  ancor  che  resti 
A  soffocarle  i  palpiti  del  core 
Nell'eterna  città,  la  menzognera. 
Liberticida  libenà  di  Francia. 
Gente  vana  e  sleal  che  pur  cianciando. 
Con  boria  vii,  di  Libertade  al  mondo, 
Vende  la  Libertà  per  una  fronda 
Infangata  d'alloro,  e  come  il  cane 
Morde  alla  cieca  ove  il  padron  l'impera. 
Si  profonde  tuttor,  sul  servo  collo 
Ha  l'orme  che  per  secoli  v'ha  il  piede 
Di  regi  e  regie  prostitute  impresse, 
Che  nemmanco  potea  di  Robespiero 
La  mannaia  spezzarle,  e  or  pur  beata 
Non  è  se  su  quell'orme  insanguinate 
Lo  spron  non  sente  che  un  padron  v'immerge.  »  * 

L'eroe  d' Italia  fé'  silenzio  e  stette 
Cora'uom  che  nulla  ornai  più  spera,  o—  È  morta 
Dunque  per  sempre?»  mormorò  fremente 


*  È  giustixia  soggiungere  che  te  parrni 
U  Fr«nci«  attuale  meriti  U  poca  sirnpatia 
qui  espressa,  è  da  lei  nulla  meno  che  ema> 
nano  le  più  simpatiche  ed  ideali  individua* 
UtA  dell'epoca  nostra,  sia  nella  sfera  del 
carattere  che  in  quella  del  pensiero.  Baste- 


rebbero un  V.  Hugo,  nn  Qninet,  on  Mi* 
chelet,  un  G.  Sand,  «  tanti  altri  di  cui 
sarebbe  qui  tioppo  lungo  l'esporre  i  nomi, 
per  riconciliare  qualsiasi  animo  più  giuata- 
mente  esacerbato  verso  U  Francia  «  reno 
r  umanità. 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  615 

L'ombra  deirAlighieri  e  con  lui  tutte 
Mormorar  Tombre  che  le  fean  corona. 
«No,  vive,»  Taltro  replicò,  ama  vive 
D'una  vita  non  sua.  Dal  nuovo  abisso 
Non  del  suo  cor  la  suscitò  un  indomo 
Palpito  eterno,  ma  de'  suoi  tiranni 
L'immortale,  alternata,  avida  lotta 
Per  rapirsi  la  preda.  Ella  pel  cielo 
Sa  volar  come  l'aquila;  versare 
Coll'eroica  virtù  del  pellicano 
Per  Libertà  sa  il  sangue;  eppur  strisciarsi 
Ama  nel  fango  a  pie'  d'estrani  troni, 
Mendicando,  fra  l'onta  e  fra  l'oflPese, 
Libertà  dai  nemici.  Eppur  quel  guardo 
Che  contemplar  può  fieramente  il  sole; 
Da  un  malefico  incanto  è  trascinato 
A  vaneggiar  fra  l'ombre  ove  giganti 
Si  finge  ì  vermi  che  schiacciar  potria 
Con  un  moto  nel  nulla.  Un  solo  istante 
Che  colla  tromba  de'  miei  mille  eroi 

10  la  scossi  alla  vita,  ella  di  tenebre 
Sperdeva  un  mondo  e  il  rifacea  di  luce, 
Colle  prische  virtù  si  rimpolpava 

11  suo  fracido  scheltro  e  di  vittoria 

In  vittoria  correa.  Ma,  come  un  giorno, 
Da  lontane  region  mosser  due  serpi 
Laocoonte  a  strozzar  sacrificante 
All'  altare  del  Dio,  tal  presso  a  Roma, 
Il  maligno  vapor  della  maremma 
Ed  il  celtico  fiato,  in  su  per  1*  erte 
D'  Apennino  strisciando,  ai  prodi  miei 
Che  oiFrian  lor  sangue  dell'  Italia  all'  ara, 
Assiderar  le  membra.  —  O  padre  Dante! 
Tu  vedesti  in  inferno  i  sciagurati 
Colle  membra  spingar  che  capovolte 
Sporgono  fuor  dalla  ghiacciata  buca 


6l6  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 

Ove  il  capo  hanno  immerso.  È  la  tua  patria 

Somigliante  a  costoro.  In  giù  col  capo 

Nel  cattolico  avello  ancor  sepolta, 

Fuor  n*  agita  le  membra,  e  invan  vorrebbe 

Drizzarle  ali*  avvenir,  che  giù  V  attira 

La  malia  del  passato.  O  Sacro  Vate! 

Tu  sperasti  in  Arrigo  e  ti  sedusse 

a  La  riverenza  delle  somme  chiavi.  » 

Ma  il  gentil  sogno  del  tuo  vergin  core 

Eredaro  i  nepoti  e  T  han  cangiato 

In  demenza  senil.  La  piaga  antica 

Risanar  puoi  tu  solo,  e  tu  che  un  giorno 

Questi  spettri  evocasti,  e  tu  li  sperdi.  » 

IV. 

Rispondere  volea  T  imperiale 
Ombra  dell' Alighier,  quando  improvviso 
Un  suon  commisto  d' ignei  bronzi  e  sacri, 
All'immondo  connubio  esercitati 
Da  secoli  d' infamia,  e  da  mill'  echi 
Ripercossi  all'  intorno  in  ampio  giro. 
Il  silenzio  squarciò.  Qual  per  incanto. 
Spalancarsi  le  porte  e  un  mar  di  luce. 
Un  mar  di  suoni,  un'  irruente,  immensa 
Moltitudin  diversa,  inebbriata, 
Acciecò,  invase,  assordò  il  tempio  e  parve 
Scrollarlo  col  fragor  della  mina. 
Affogarne  il  mister  nell'  abbagliante 
Luce  del  Vero.  Era  l'Italia,  questa 
Figlia  deirAlighier  che  al  suo  poeta, 
Nel  di  solenne,  a  chiedere  venia 
Del  futuro  i  responsi,  ad  onorarne. 
Con  figliai  riverenza,  il  monumento 
Di  cantici  e  di  fiori.  A  somiglianza 
Di  torturato  cui  1'  aculeo  spreme 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  617 

Detti  col  vero  o  col  desire  in  lotta, 
Mescea  il  gotico  tempio  alla  civile 
Esultanza  la  voce;  e  allor  che  tutto 
Di  ghirlande  lo  cinse  e  di  bandiere 
Il  popolo  festoso,  un  laido  scheltro 
Parea  d'estinto  cui  la  turba  arrechi 
Postumi  onori.  Come  i  flutti  immensi 
Che  allo  sguardo  primier  perdonsi  assorti 
Nella  gran  maestà  deirOceàno, 
Si  distinguono  poscia  e  ognuno  al  guardo 
La  sua  presenta  singolare  immago; 
Quella  folla  cosi  che  ti  parea 
Dentro  un'  unica  impronta  unificata, 
Ad  una,  ad  una,  trasparir  lasciava 
Tutte  d'Ausonia  le  città,  le  stirpi, 
I  profumi,  i  color,  gli  estri,  le  mille 
Palpitanti  armonie. 

Saldo,  compatto 
Come  ritta  di  pini  ispida  selva 
Su  pendio  ruinoso,  il  popol  forte 
Io  contemplava  che  dell'Alpi  al  piede. 
Tutta  dell'Alpi  la  potenza  e  i  rozzi 
Ma  immortali,  granitici  elementi 
Di  pertinacia  e  di  valor  racchiude. 
Italica  Macedone  che  muta. 
Per  secoli  d'oblio,  nelle  sue  dita 
Girando  il  fuso  delle  pie  leggende 
Attese  r  ora  di  filarvi  in  oro 
Cr  Itali  fati.  Cacciator  sagace 
Che  nelle  ingloriose  ore  del  verno. 
Pulì  il  moschetto  ed  affilò  il  coltello 
Per  le  caccie  venture.  Eroica  razza 
Che,  finché  invitti  i  predator  stranieri 
Dalle  vette  scendean,  come  il  camoscio 
Di  rupe  in  rupe,  sugi'  ingordi  abissi 
Schermissi  al  piombo  micidial,  dell'Alpi 


6l8  PO£SI£  DI   MILLE  AUTORI 

Serbandosi  sovran;  ma  poi  che  pari 
All'Alpina  valanga,  a  stilla  a  stilla, 
Ebbe  il  fulmin  dell'  ira  accumulato 
Nel  granitico  core,  orsa  divenne 
E  corse  irata  a  lacerar  la  preda. 
Sentinella  devota,  ei  si  raccolse 
Ai  pie'  dell'  alto  mausoleo  del  vate 
Come  ai  pie*  del  Cenisio,  e  chieder  parve 
La  sua  nuova  consegna  a  quella  tomba 
Di  possente  virtude. 

A  lui  congiunta 
Venia  dei  Doria  la  città,  reclusa 
Con  si  pensosa  maestà  sull'onde 
Che  un  notturno  parea  del  suo  Colombo 
Colloquio  coir  Oceano,  una  seconda 
Divinazion  del  genio  onde  scoprirsi 
L'ignota  sfera  a  cui  drizzare  i  vanni 
Debban  nell*  avvenir  gì'  Itali  fati. 
Buio  di  Dante  era  l'avello;  eppure 
Avidamente  ella  figgeavi  il  guardo 
Come  in  fulgido  sol,  però  che  solo. 
Forse,  nell'  avvenire  egli  sospinse 
Il  profetico  sguardo. 

Avidamente 
A  queir  ave!  si  ravvolgea  V  Insubre 
Come  a  sacro  palladio,  e  colle  sue 
Braccia  amorose  gli  facea  ghirlande 
Di  magici  profumi.  Infaticato, 
Come  la  biscia  della  sua  bandiera. 
Serpeggiando  ei  correa  qual  luminosa 
Striscia  di  fuoco  fra  la  turba  ed  ora 
In  vincoli  stringevala  d'amore 
Coir  elettriche  spire,  or  la  pungea 
Con  tale  un  morso  che  velcn  non  era 
Ma  stimolo  vital.  Poi  che,  fin  quando 
La  dura  del  servaggio  orrida  notte 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI-  619 

La  patria  assiderava,  egli  sotterra, 

Cogl'  ignei  succhi  dei  saturnio  suolo 

Nudri  il  sangue  agghiacciato,  ed  or  sbucando, 

A  diffonder  venia  quella  scintilla 

Che  avea  rapita  alla  materna  terra. 

Lacere,  insanguinate,  in  scarse  fila, 
V*  eran  Roma  e  Venezia,  ambe  nel  lutto 
Sole,  qual  sole  nella  gloria  un  giorno, 
Ahimè  !  forse  d'  un  memore  in  virtudc 
Vindice  fato  che  placar  dovranno 
Con  nuove  lotte  di  civil  virtude 
E  nuovi  pei  deserti  del  futuro 
Pellegrinaggi,  alle  nazioni  oppresse 
Le  catene  spezzando  onde  fur  fabbrc 
Alle  libere  un  di. 

Come  d'intorno 
Al  talamo  d'  un  fior  stendonsi  i  cento 
Petali  a  fargli  la  gentil  corolla. 
Cosi  d' intorno  alla  città  dei  fiori 
Leggiadramente  si  stendean  le  forti 
Sue  sorelle  d'  un  giorno.  E  come  il  fiore 
D'eterne  metamorfosi  intrecciando 
Va  la  splendida  vita,  e  tal  Fiorenza 
I  suoi  protei  sembianti  avvicendando 
Di  vestal,  di  guertiero  e  di  mercante. 
Di  profonda  e  gentile,  una  novella 
Trasformazion  chiedea  che  la  sacrasse 
Sacerdotessa  alla  novella  fede 
Dell'  avvenire. 

E  r  avvenir  scolpirsi 
Più  che  mai  mi  pareva  in  quella  calda 
Razza  Partenopea  che  alimentata 
Dai  vulcani  natii,  benché  sopita, 
Serba  la  fiamma  degli  spirti  antichi 
Come  foco  di  Vesta,  e  nelle  sue 
Miriadi  sudanti  e  seminude 


620  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 

Che  non  han  pane,  che  non  han  dimora» 

Ma  un'  alma,  un  cor  che  s' apriranno  un  giorno 

A  scienza  e  virtù>  sembra  additarti, 

Occulto  re  dell*  avvenir,  le  plebi. 

Nella  sicula  spiaggia  si  scolpia 

Nido  di  sofi  e  di  guerrier,  che  volta 

Colle  tre  faccie  all'  universo  intero, 

A  un  amplesso  immortai  sembra  chiamarlo, 

A  una  sola  bandiera,  a  un  solo  Iddio. 

Quante  forze  e  virtudi  ahi!  soffocate 
Dal  pensier  servo  incatenato  ai  piedi 
Degli  altaxi  e  dei  troni  ! 

Inebbrìato, 
Su  ir  Alighieri  appena  e  sulle  fide 
Ombre  compagne  si  fissò  lo  sguardo 
Della  gran  moltitudine,  che  dessa 
Ai  pie'  lor  cadde;  ed  evocato  al  certo 
Da  lei,  nel  fausto  di,  col  forte  amore,' 
Fu  del  poeta  Y  amoroso  spirto, 
Però  che  ninno  attonimento  e  ninno 
Terror  la  strana  apparizion  le  infuse. 
Oh!  udite  il  canto  che  dal  cor  le  sgorga: 

Ti  ricordi,  Alighier,  quando  d' intorno 
Ti  scorrevan  coli*  incendiarie  faci, 
E  dagli  amplessi  rei,  quasi  a  tuo  scorno. 
Fraterno  sangue  trascorrea  coi  baci? 
Quando  su  belve  a  sensi  uman  ribelli 
Il  tuo  grido  piovea  :   «  Pace  fratelli  ?  » 

D' oltr*  Alpi  allor  dall'  infeconde  arene 
Tu  evocasti  il  mortifero  straniero, 
Sia  che  d' in  mezzo  ai  lupi  ed  alle  iene, 
T'  apparisse  bontà  nello  sparviero, 
Sia  t'  affidasse,  nel  comun  servaggio, 
Dell*  amor  che  redime  aprirci  il  raggio. 


INTORNO  A   DANTE   ALIGHIERI.  621 

E  venne,  o  Dante,  il  micidial  flagello, 
Ci  calpestò,  e*  infranse  e  ci  derise  ; 
Del  nostro  Paradiso  un  di  si  bello 
Far  volle  un  cimiter  d'anime  uccise  ; 
Ma  non  s*  uccide  d*  una  gente  il  core 
E  nella  tomba  io  ritrovai  V  amore. 


L'  amore  io  ritrovai  che  è  vita  e  diede 
La  vita  ancora  alle  mie  sparse  membra. 
Ei  mi  vesti  V  usbergo  d'  una  fede 
Ch'  ogni  mia  forza  in  un  volere  assembra  ; 
Egli  dall'Alpi,  maledetta  via, 
Incoronato  un  Salvator  m' invia. 

Redenta  a  te  dall'Alpi  all'  Oceano 
Volea  mostrarmi  e  nella  mia  gran  sede. 
Colla  mia  spada  gloriosa  in  mano, 
Co' miei  nemici  fulminati  al  piede; 
Ma  ancora  il  mio  Messia  cinto  alla  chioma 
Non  m'  ha  le  gemme  di  Venezia  e  Roma. 

In  Roma  ei  siede  a  favellar  col  tristo 
Che  già  divelto  al  Ben  da  un  malefìcio. 
La  divina  deturpa  alma  del  Cristo 
E  compie  di  mia  vita  il  sagrìficio; 
E  il  Messia  benedetto,  è  già  molt'anni 
Che  invan  Io  esorta  contro  gì'  empi  inganni. 

Ma  infine  il  cieco  veglio  a  quella  voce 
Che  spezza  1'  armi  ed  incatena  i  cuori. 
Rotto  r  incanto  che  il  rendea  feroce. 
Pia  che  meco  ritorni  ai  prischi  amori, 
E  brandito  1'  acciar  del  maggior  Piero, 
Dal  mio  seno  disperda  ogni  straniero. 


622  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

In  questo  di  evocandoti,  o  poeta, 
Almen  per  te  vo^ea  vestirmi  a  festa; 
Qual  vergine  d' Imene  ali*  aurea  meu, 
Di  vaghi  fiorì  incoronar  la  testa; 
Scintillarti  di  gemme,  e  una  corona 
Farmi  d*  ogni  beltà  che  Dio  mi  dona. 


E  per  farmi  di  gemme  un  diadema 
Strisciai  carponi  per  le  alpestri  mine; 
Salii  dell'Alpi  su  ogni  vetta  estrema 
A  cercar  fiori  da  fregiarne  il  crine; 
Mi  specchiai  ne'  miei  mari,  ode  più  puro 
Negli  occhi  averne  il  benedetto  azzuro. 

E  il  mio  del,  le  mie  stelle  io  contemplai 
Per  involarne  le  armonie  serene; 
Scesi  ne*  miei  vulcani  e  vi  cercai 
Un  po'  di  fuoco  da  scaldar  le  vene; 
Che,  a  dir  vero,  si  gelide  le  sento, 
Benché  nata  da  ier,  che  n'  ho  spavento. 

Ma  dai  picchi  dell'Alpi  e  da  ogni  ruina 
Le  ascose  gemme  e  i  scintillanti  fiori 
Dicean  :  «  Sol  quando  tu  sarai  regina. 
Tuoi  saranno  dei  monti  i  bei  tesori.  » 
E  il  mar  mi  disse  :  «  Il  più  beato  azzuro 
È  la  coscienza  di  sentirsi  puro.  » 

E  il  cielo  e  gli  astri,  cogli  eterei  rai, 
a  Armati,  »  mi  gridar,  o  d' alta  virtude  ; 
Poi  guardati  nel  core,  e  allor  vedrai 
Che  desso  è  il  più  bel  elei  che  il  mondo  chiude. 
Ed  i  vulcani  :  «  S*  hai  nell'alma  il  tarlo. 
Fiamme  ha  solo  il  pensier  per  abbruciarlo.  » 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  623 

Àlmen  volli  prostrarmi  in  ogni  tempio, 
A  pulirmi  il  cattolico  mantello 
Che  pei  secoli  molti  e  il  vario  scempio» 
Non  mi  pareva,  come  un  di,  si  bello; 
Ma  ogni  tempio  gridò:  «  Lungi  la  Frine 
Che  porta  fior  di  Libertà  sul  crine.  » 


Scesi  dei  spenti  dì  nel  sepolcreto, 
Pellegrina  vagai  per  la  mia  storia, 
A  rintracciarvi  un  rudero,  un  secreto 
Estro  dimenticato,  una  memoria 
Da  ofii'irti  almen,  mio  bardo,  acciò  tu  possa 
Sovvenirti  di  me,  dentro  la  fossa. 

E  ben  trovai  sotterra,  in  Campidoglio, 
Molte  spade  e  loriche  ed  elmi  infranti. 
Ruderi  d'un  antico,  immenso  soglio. 
Ossa  che  risplendean  come  diamanti; 
Ma  invan  raccome  mi  provai;  le  magne 
D'eroi  reliquie  mi  parean  montagne. 

M'immersi  nelle  Venete  lagune. 
Un  avanzo  a  cercar  del  Bucintoro, 
Ma  in  mezzo  alle  intricate  alighe  brune. 
Ritrovato  soltanto  ho  un  anel  d' oro. 
Ed  è  quel  che  donò,  nelle  barboge 
Sue  nozze,  al  mar,  T  ultima  volta,  il  Doge. 

Dei  vetusti  carrocci  un  chiodo  invano. 
La  spada  di  Ferruccio  invan  cercai; 
Di  Colombo  uo  pensier  nell'  Oceano, 
Un  sospiro  d'Arnaldo  io  noi  trovai; 
Le  mie  sole  reliquie,  i  miei  tesori 
Eran  ossa  di  Papi  e  Imperatori. 


624  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Il  più  bel  dono  ch'io  t'offrir  volea 
Era  il  tuo  stesso  gran  pensiero  arcano. 
Ma  de'  miei  dì  per  la  caligin  rea, 
Fra  i  troni  e  Tare  l'ho  cercato  invano. 
Veggo  che  ancora  tu  il  signor  ne  sei 
E  sei  tu  solo  che  svelar  mei  dei. 

Esso  l'ora  affrettar  può  di  mie  sorti, 
Quel  gran  secreto,  e  tu  svelar  noi  sdegna. 
Cadran  tuoi  detti  ammalianti  e  forti 
Sul  mio  liberator  ch'oltr'Alpe  regna; 
Mi  renderan,  converso  alla  mia  fede. 
Di  Roma  il  veglio  e  l' immortai  sua  sede. 

Fu  l'ira  in  prima  che  avvampò  nel  petto 
Del  nervoso  poeta.  In  sulla  turba 
Genuflessa  al  suo  piede  a  lungo  ei  tacque, 
E  con  un  giro  dell' aquileo  sguardo. 
Divinò  tutte  e  tutte  in  cor  racchiuse 
Le  sorti,  i  fati,  le  vittorie,  i  lutti 
Della  terra  infelice,  al  par  di  Giove 
Che  col  muover  del  ciglio  in  sé  accogliea 
Le  vibranti  armonie  dell'universo. 

I  fior  di  forza,  di  virtù,  di  fede 
Ch'essa  rinchiude,  misti  al  verme  ei  vide 
Delle  vetuste  illusi'on  che  il  succo 

Vital  ne  isterilisce,  e  sino  a  noi 

II  Guelfo-Ghibellino  intossicante 

Morbo,  ai  nordici  imper  caro  ed  al  tempio. 
Siccome  sacra  eredità  conserva. 
Il  serpe  ei  vide  che  tra  i  fior  celato 
Di  mentite  virtù,  striscia  e  col  suo 
Velen  si  agghiaccia  delle  genti  il  core. 
Che  sin  quelle  che  a  vindici  custodi 
Dio  del  Dritto  creò,  spavaldi  e  lieti 
Sgherri  si  fanno  agli  oppressori.  E  vide 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  ÌS3$ 

Intorno  al  disco  della  pura  Idea, 
Vorticoso  ruotar  quel  maliardo 
Fascino  che  dal  sen  di  Libertade 
Via  trascina  gli  eroi,  come  dal  cielo 
Satana  un  giorno  trascinò  i  beati, 
E  la  lor  pura  aureola  nel  rovente 
Cerchio  tramuta  di  sanguigni  chiovi 
Che  i  tiranni  incorona.  Il  mondo  ei  vide 
Nel  ruotare  di  secoli  agitarsi 
Come  mare  in  tempesta,  ed  a  vicenda. 
Popoli  e  re,  liberi  brandi  e  scettri. 
Troni  e  fori,  diademi  aurei  e  gloriosi. 
Seni  d'alloro  irne  adorati,  infranti. 
Cader  in  polve,  e  dalla  polve  al  cielo 
Ricomposti  balzar;  ma  delle  genti. 
Sotto  ogni  cielo,  in  ogni  età,  le  lotte 
Sempre  infeconde,  perchè  Todio  sempre. 
Giammai  T  amore  n'accendea  le  faci, 
E  trionfanti  ognor  perchè  concordi 
Nell'odio  delle  genti,  e  di  sé  stesse 
Nell'amor  le  corone.  E  forse  ancora. 
Una  eterna,  una  rea  maledizione 
Vide  emanar  dalle  stellate  sfere 
E  accasciarsi  sul  mondo,  insaziato. 
Immortale  vampir,  che  l'uom  condanna 
Di  se  stesso  a  carnefice,  ad  eterno 
Ludibrio  del  destino;  onde  de' giusti 
Vani  gli  aspir,  di  Satana  il  beffardo. 
Scettico  ghigno  incombattuto,  e  atroce 
Scherno  per  tutti,  o  scellerati  o  santi. 
Questa  che  a  colpa  od  a  virtù  li  sprona, 
D'  un  fuggitivo  Ben  larva  mendace. 
Quel  gran  silenzio  che  stupor  non  era 
D'oppresse  attività,  ma  ben  l'intenso 
Equilibrarsi  nella  sua  gran  mente, 
Dell'  odio  coir  amor,  delle  rideste, 

Dbl  Balio.  Voi.  XIV.  40 


626  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Infuocate  correnti  della  vita 

Coi  pigri  flutti  della  morte,  e  il  muto 

Oscillare  d'un  cor  che  in  sé  raccoglie 

Tutto  il  core  d'un  popolo,  e  il  tremendo 

Uno  irruente  ne  sostien  coli' alta 

Onnipotenza  d*un  Titano  antico, 

L'Italo  Vate  alfin  spezzò.  Le  sue 

Parole  trascorrean  sulla  prostrata 

Folla  come  l'elettriche  scintille 

Che  le  torpide  fibre  illanguidite 

Risvegliano  alla  vita.  Amor  coli' ira 

Vi  s*intessean  commisti  al  par  d'un  cielo 

Ove  talora  dal  sereno  azzurro 

Mugge  il  tuono,  e  talor  d'in  mezzo  ai  tuoni 

La  bell'iride  appare.  Era  una  stella 

0  di  sole  o  di  folgore  la  luce 

Che  il  suo  labbro  schiudea,  ma  sempre  luce 
D'intensissima  essenza.  Egli  dicea: 

V. 

a  Italia  1  o  terra  che  mi  chiami  padre 
Ma  che  madre  mi  sei!  tu  che  coi  filtri 
Del  sol,  delle  tepenti  aure,  dei  flutti 
Scintillanti  d'azzurro  e  delle  eterne 
Tue  vocali  ruine,  in  me  le  colpe. 
Gli  error,  le  vane,  appassionate  larve, 
E  le  indomite  forze  e  le  snervanti, 
Mistiche  voluttà,  di  che  sei  pregna, 
Maliarda  infondevi;  onde  un  vivente 
Simbolo,  una  vibrante  eco  io  divenni 
Del  tuo  pensiero,  del  tuo  cor,  di  tutto 
Il  tuo  turbin  di  vita,  e  nei  passati 
E  nei  giorni  avvenire,  odimi!  Io  canto 

1  fatali  miei  di;  canto  un  mistero 
Che  del  passato  le  malie  tramaro 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  627 

Sovra  r  anime  nostre.  A  me  la  tomba. 
Più  forte  incanto,  il  lacerava,  e  forse 
La  vita  istessa,  ove  men  tosto  estinta. 
Lacerato  Tavria;  ma  a  le  tue  membra, 
Avvelenato  manto  ancor  s'  avvinghia 
Né  strapparlo  tu  il  sai. 

Era  dal  sangue 
Rasciugata  la  terra,  e  le  riarse 
Sotto  Tugne  dei  barbari  corsieri. 
Zolle  dei  campi,  cento  volte  e  cento 
S'eran  sparse  di  fior.  Sulle  ruine 
Della  dispersa  Maestà  Romana 
Che  il  ferro  e  il  foco  inceneria,  le  nuove 
Sorgean  dimore  delle  genti  e  i  nuovi 
Genii  e  i  palpiti  nuovi.  Un  indistinto 
Fremito  d'ali,  qual  d'Iddii  pel  cieco 
Aer  dispersi,  ma  viventi  ancora 
Nelle  memori  preci,  affaticava 
Di  speranze  e  desir  le  mal  sopite 
Anime  conscie  delle  glorie  antiche. 
Era  un  sogno  la  vita;  il  ciel  fremea 
Note  arcane  alla  terra;  in  fra  gli  spettri 
Battea  il  core  dell'  uom  più  che  fra  i  vivi, 
E  sull'acre  dolor  delle  sanguigne 
Reminiscenze,  un  funebre  singhiozzo. 
Quale  d'estinto  che  la  vita  implora, 
Di  sotterra  esalavasi,  dall'alto 
Vagolando,  cadea.  Lagrime  strane 
Stillavan  da  invisibili  pupille 
Sull'eterne  ruine;  e  le  foreste 
Romane  aste  parean  dalla  gloriosa 
Conscia  polve  sospinte;  ancor  dal  cielo 
Vedea  l'accesa  fantasia  delira 
Piover  mistici  ancili,  e  il  cielo  istesso 
Il  grand'  arco  parea  steso  sul  capo 
Dell'aspettato  redentor  di  Roma. 


628  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

In  fantastica  luce,  uscian  dal  fondo 

De' scoperchiati  avelli  ombre  superbe 

D'eroi,  d'austeri  senator  togati, 

Di  legion  cui  le  fide  aquile  il  varco 

Del  deseno  schiudean,  di  taciturni 

Legislatori  cui  splendea  sul  volto 

Del  pensiero  la  fiamma  e  di  scettrati 

Cesari  che  corteo  d'incatenati 

Monarchi  si  traen  dietro  le  pieghe 

Dell'imperiai  paludamento.  Roma 

Sorgea  sull'alto  delle  sue  ruine, 

Dai  fiammeggianti  vortici  sorgea 

Degli  ardenti  suoi  colli,  e  il  cor  rapito 

Nell'ebbra  illusion  delle  memorie, 

Abbracciava  i  fantasimi,  adorava 

La  ridiviva  maestà  latina 

Su  quel  trono  di  fuoco.  Un  veglio,  è  vero. 

Di  bende  cinto  e  misteriosi  emblemi, 

Talor  su  quelle  sacre  ombre,  sdegnato, 

Stendea  le  braccia,  e  nell' avel  quell'ombre 

Ritornavano  allor;  ma  nelle  ardenti 

Visioni  dei  consci,  itali  spirti 

Aleggiavan  pur  sempre;  e  si  tremenda 

Talor  dei  morti  la  falange  uscia 

Dagli  igni. orni  abissi  di  sotterra 

Che  anche  il  Veglio  vivente  a'  pie'  dei  morti 

Prosternato  adorava. 

Ah!  dunque  Roma 
Ancor  morta  non  è.  Non  lo  vedete. 
Di  là  dall'Alpi  sfolgorar  fra  l'armi 
Il  Cesare  immortale  ?  É  ver.  Romano 
Non  ha  il  sembiante  e  non  il  nome;  a  lui 
Più  dcir  astro  fulgente  della  gloria 
È  caro  il  tizzo  delle  ree  rapine, 
E  ognor  che  qui  dalle  cineree  nebbie. 
Come  folgor  discese,  all'amorose 


INTORNO   A  DANTE  ALIGHIERI.  639 

Genti  le  zolle  isterilì.  Ma  come 
Roma  ì  numi  custodi  un  di  evocava 
Dai  conquisi  delubri,  e  onnipossente 
Di  lor  potenza  divenia;  divelse 
Coi  tremendi  scongiuri  e  gl'incantati 
Carmi  cosi  dall'are  nostre  il  truce 
Profanator  della  Romulea  terra, 
Di  Roma  il  Genio,  e  sacro  reso,  invitto 
Da  quel  Genio  sovrano,  or  seco  il  trae 
A  suoi  barbari  lidi,  —  Oh!  l'appellate, 
U  appellate  qui  ancor.  Che  il  Dio  custode 
Senta  ancor  l'aura  susurrargli  intorno 
Dell'eterna  cittade;  il  prepotente 
Scongiuro  ascolti  de*  suoi  figli;  e  ancora 
Agli  squallidi  lari  abbandonati. 
Il  Dio  di  Roma  tornerà.  Disciolte 
Dal  fascino  che  il  voi  ne  incatenava, 
Cadran  l'ultrici  folgori  sul  capo 
Scoronato  del  barbaro,  e  regina 
Ritornerà  dell'  universo,  Roma. 

Ah!  ch'io  deliro  ancor  come  nei  giorni 
Della  spenta  mia  vita.  Il  maliardo 
Soffio  che  spira  dalle  tue  memorie, 
O  mia  terra,  sull'alma  ancor  mi  scende 
Coir  antiche  malie.  Ben  io  digiuno 
Dell'amara  esperienza,  eroici  spirti 
E  d'aquila  pupilla,  che  la  vera 
Gloria  discerne  e  come  a  ciel  v'  anela, 
Delirando,  aspettar  nello  straniero 
Predatore  potea.  Ma  tu  cui  dato 
Fu  il  delirio  schiacciar  con  maledetti 
Secoli  di  sciagura,  or  come  svelto 
Dalla  mente  non  l'hai?  Venne,  il  dicesti 
Pur  or  tu  stessa,  il  micidial  straniero; 
Dalla  gloria  fuggir  sempre  1'  hai  visto 
Come  gufo  dal  sole,  e  in  sua  viltade 


630  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Avvoltolarsi  come  «  porco  in  brago  ;  » 
Ti  calpestò,  t*  infranse,  ti  derise. 
T'inchiodò  nella  bara,  e  a  lui  tuttora, 
Sciagurata,  t' affidi  ?  e  ognor  che  fiacchi 
D'Arminio  ai  figli  la  cervice  il  brando 
Assetato  di  Brenno,  o  Brenno  elevi, 
Sonnambula  imbecille,  e  palme  e  core 
E  la  credula  prece?  E  perchè  sempre. 
Il  tuo  poeta,  o  cieca,  interrogavi 
Sol  là  dove  ci  strisciar  sentia  sugli  estri 
Dei  di  che  furo  le  malie,  giammai 
Ne'  carmi  ove  le  occulte  ei  ti  cantava 
Note  dell* avvenire? 

Il  tuo  vivente 
Simbolo  io  m'era,  e  come  Giano,  il  Dio 
Che  tu  un  giorno  adoravi,  io  due  sembianze. 
Per  incarnarti  nell'arcana  essenza 
Dei  di  che  fiiro  e  che  saranno,  avea. 
Però  che  mentre  io  t'impetria  ne'  carmi 
La  mia  barbara  etade,  alle  future 
Colla  mistica  nave  io  veleggiava 
Del  vaticinio  e  dell'amor.  Ben  io 
Teco  strisciando  per  le  tue  ruine. 
Evocava  gli  eroi,  le  imperiali 
Glorie  di  Roma;  io  m'assideva  in  groppa 
Ai  nordici  corsier,  ma  al  tempo  istesso. 
Da  le  lor  scalpitanti  ugne  fuggia 
Sovra  gli  eremi  chiostri  a  meditarvi 
Le  future  vendette.  Io  coli'  aurate 
File  del  Nazaren  teco  intrecciava 
I  tuoi  gotici  templi,  e  nelle  loro 
Mistiche  rose  che  schiudeansi  in  alto 
Come  r  occhio  di  Dio,  sopra  le  turbe. 
S'irradiava  l'alma  mia;  ma  l'ale 
Sciogliea  pur  anco  dal  marmoreo  pondo 
E  adorava  l' Idea  nel  mio  pensiero. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  6)1 

Senza  mistici  veli.  E  ben  correa 

Teco  alle  giostre  ed  a*  tornei  d*  amore 

Colle  gaie  ballate,  e  su  per  V  erte 

Roccie  salendo  al  feììdal  castello, 

Gettava  il  fiore  insanguinato  al  piede 

Della  dama  gentil  ;  ma  quel  grondante 

Fiore,  emblema  d'amor  che  oppresso,  ignoto, 

SoflFre,  lotta,  sospira,  aspira  e  tace. 

La  gentil  simpatia  le  susurrava 

Delle  misere  plebi  e  la  celeste 

Fraternità  delle  sventure  umane. 

Nel  cranio,  è  vero,  al  successor  di  Piero 

Talor  m'ascosi,  e  vaneggiando  anch'io 

Sognai  la  formidata  onnipotenza 

Dell'alte  chiavi;  ma  nel  mio  cerèbro 

Pure  ardeva  un'  Idea  che  del  pensiero 

L'onnipotenza  vagheggiava  e  fece 

Ben  due  secoli  pria,  nella  mia  voce 

Tuonar  Wiclefo  e  fulminar  Lutero. 

Io  coi  sofi  parlai  l' incoronato 

Idioma  d'  un  di  ;  ma  poi  che  il  germe 

Ne  avea  poUuto  lo  straniero,  e  turpe 

Suggello  alla  tirannide  era  fatto 

L' idioma  dei  liberi,  alle  plebi 

Le  labbra  emancipai  dalla  servile 

Catena  e  lor  le  sacre  note  appresi 

Onde  alle  genti  parlerà,  scettrata. 

La  libertà  fumra.  E  primo  io  V  ora 

Vaticinando  che  in  amor  congiunga 

Uomini  e  genti,  io  Numi  intanto  e  Idee 

Affratellava  nel  mio  canto,  e  all'alma 

Quegli  azzurri  infiniti  dischiudea 

Di  scienza  e  beltà,  donde  si  larga 

Al  pensiero  ed  al  core  onda  poi  scese. 

La  toga  io  cinsi  e  la  lorica;  odiai. 

Ma  amor  strozzato  era  quell'odio,  e  sole 


632  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Potea  neirodio  ritemprar  T  amore. 
Alla  contemplativa  estasi  i  fieri 
Tumulti  della  vita,  all'aurea  mazza 
Del  potere  il  bordon  di  pellegrino 
O  di  mago  la  verga  avvicendando» 
Il  cielo  io  col  pensier,  colle  violenti 
Passion  del  core  investigai  la  terra, 
Infin  che  in  ogni  fibra  del  tuo  core, 
SI,  o  patria,  io  palpitai,  che  persin  quando 
Tu  col  sangue  in  fraterni  odi  versato, 
Contaminavi  i  tuoi  beati  Elisi, 
Io  teco.  Guelfo  e  Ghibellini,  pugnai... 
Vissi  in  reggie,  e  in  tuguri;  a  tutte  attinsi 
Le  tue  pene,  i  tuoi  gaudi,  e  poiché  ninna 
Passion  più  m*ebbi  .del  tuo  cor  straniera. 
Vivo  scesi  sotterra  a  rischiarani 
La  via  dei  mondi  che  calcar  dovrai 
Negli  arcani  viaggi.  Emblema  anch'essi, 
Forse,  di  questa  arcana  vita,  in  cui 
Ancor  m'è  ignoto  se  l'inferno  or  soflFri, 
O  in  quei  dolenti  circoli  t'  aggiri 
Ove  la  colpa  col  dolor  s*  espia, 
E  lo  spirto  che  errò,  del  Paradiso 
Per  le  glorie,  s'epura. 

Il  guardo»  o  Italia, 
Alza  dunque  e  t'  affida.  Il  benedetto 
Redentore  che  aneli,  oh!  non  più  in  seno 
Alle  straniere  genti,  e  non  più  il  cerca 
Fra  le  buie  navate  o  nelle  vane 
Regioni  degli  spettri.  Il  genio  umano 
È  l'eterno  Pontefice,  il  futuro 
Monarca  delle  genti  è  l'infinita 
Turba  che  pugna  le  non  sue  battaglie. 
Che  colla  sua  vivente  anima,  in  ruota 
Di  morta,  serva  macchina  cangiata. 
Travaglia  e  i  ben  dell'esistenza  crea 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  633 

Per  gli  altri  sempre,  per  sé  mai.  Meschina! 
Come  il  fior  s'alimenta  di  rugiade. 
Ella  visse  di  lagrime.  Pei  solchi 
Assiderati  della  sua  miseria, 
Invan,  vivente,  io  la  cercai;  che  tanto 
Fra  i  fantasmi  smarrito  io  non  mi  fora, 
Se  trovata  l'avessi   Or  la  discerno! 
D'anella  ancor  di  servitude  ha  cinte 
Le  man  callose;  nel  pensier,  nell'alma 
Ha  le  piaghe  tuttor  che  le  squarciava 
La  secolar  condanna,  e  maledetta, 
Ruinando  va  ancor  di  pena  in  pena, 
Di  martiro  in  martir,  di  bolgia  in  bolgia. 
Per  la  vita  ferrigna,  amore  invano 
Invocando  e  pietà,  mentre  le  splende 
Sul  fronte  il  crisma  dell'impero!  O  ciechi, 
Fratricidi  fratelli!  E  voi  col  fiele 
Dello  scorno  crudel,  coi  duri  stenti 
Che  beati  vi  fanno,  e  col  beflFardo, 
Superbo  dono  che  le  membra  asterge 
Ma  percuote  lo  spino,  avvelenate 
Il  re  dell'  avvenire,  Ei,  come  il  Cristo, 
Nelle  ignobili  stalle  abbrividisce, 
Mentre  invan  voi  sudate  a  ricercarlo 
Nelle  reggie  dei  re.  Sciagura  a  voi. 
Se  quell'astro  d'  amor  non  vi  risplende 
Che  ai  magi  d'  Oriente  un  di  fu  guida  ! 
Però  che  il  bue  che  sanguina,  che  suda, 
Potria  in  toro  cangiarsi;  e  come  il  sangue 
Che,  compresso  talor,  si  fa  veleno. 
La  rassegnata  sua  bontà,  sovente, 
Furor  diventa  ed  è  flagel  che  uccide, 
Come  il  verme  calpesto,  al  par  del  verme. 
Morder  si  può,  rodervi  ai  pie'  la  terra 
Che  v'è  tomba  da  secoli  ed  il  capo 
Ieri  ancor  vi  copria.  Dal  grave  sonno 


6}4  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Di  pena,  in  cui  quel  suo  che  gli  rapite 
Paradiso  terren,  nelle  visioni 
D'  un  più  beato  Paradiso  oblia. 
Ridestarsi  potrebbe,  e  un'  altra  volta. 
Sulle  vostre  ruine,  oppresso,  è  vero, 
Deluso  ancor,  ma  vendicato  almeno, 
Una  vermiglia  o  giallo-nera  insegna 
Ululando,  piantar.  Tuo  braccio,  è  desso 
Questo  misero  popolo  che  geme, 
Tuo  respiro,  tuo  cor,  tua  sovrumana 
Onnipotenza;  ti  calpesti  il  core 
Se  lui  calpesti:  un  morìente  sei 
Che  attosca  il  nappo  che  salvar  lo  deve. 
Amalo,  Italia,  e  fida  in  lui.  Da  estrani 
Coronati  che  speri?  In  mezzo  a  loro, 
Fracida  canna  esser  vorrai  tu  sempre 
Ch*  a  ogni  soffio  vacilla,  o  come  1*  upa 
Che  dai  rami  mortiferi  diffonde 
Il  velen  che  succhiò  dalle  radici, 
Avvicendar  vorrai  dell'impotenza 
Tu  la  viltà  colla  viltà  del  forte 
Che  rende  Tonte  che  subiva?  Oh!  torna. 
Toma  pure  nel  nulla  onde  sei  sorta. 
Se  questa  d' onte  e  inequità  vicenda 
È  la  legge  dei  fati.  A  te  il  granito 
Dell'  eroica  virtù  sia  fondamento, 
Non  la  schifosa  incrostazion  del  fango 
Impietrito  da  secoli  d'ignavia, 
E  di  turpi  viltadi.  A  te  quest'  empia 
Era  di  colpe  che  fruttar  servaggio 
E  di  servaggio  che  eternò  le  colpe 
Con  circolo  infernale,  è  a  te  serbato 
Precipitar  nel  nulla,  e  la  nuov'èra 
Nunziar  d'  amore,  non  V  amor  proscritto 
Che  lotta  e  soffre  e  sacrificio  ha  nome. 
Ma  l'amor  forza  trionfante,  invitta 


INTORNO    A    DANTE   ALIGHIERI.  6)$ 

Che  Sì  noma  Giustizia.  Amor  sia,  Italia, 
Il  tuo  grido  di  guerra!  Invitto  grido. 
In  miriadi  d'arcangeli  custodi 
Del  tuo  trono  di  luce,  ci  ti  tramuta 
Le  bieche  moltitudini.  D'amore 
Esse  han  sete  da  secoli,  e  tu  d'odio 
Le  dannasti  a  nudrirsi.  Eppur,  se  loro 
Tu  le  braccia  distendi,  il  cor  dischiudi, 
Come  Venere  un  di  dai  flutti  irati. 
Vedrai  dall'odio  scaturir  l'amore; 
E  quei  cor,  quelle  braccia  e  quelle  labbra 
Schiuse  per  maledir,  benediranno. 

VI. 

Piangevan  tutti.  Era  un  di  quegli  istanti 
D'onnipossente  passì'on  si  pregni 
Che  bastano  a  scaldar  tuna  la  fredda 
Nudità  dell'istoria  e  della  vita, 
Tutto  il  passato  e  l' avvenir,  qual  raggio 
D'aprii  che  il  morto  orbe  ridesta,  o  lampo 
Di  pregna,  immensa  nuvola  che  tutto 
Il  negro  spazio  in  un  balen  colora. 
Alighier  lo  comprese,  e  coli' intenso 
Voler,  quasi  librandosi  sovr'  ali 
Invisibili  in  alto,  onde  più  lungi 
Il  suo  grido  giungesse  —  «  O  tu  infinita 
Turba  degli  infelici,  alzati,  »  ei  disse, 
a  Ti  chiamano  i  fratelli  !  Accorri,  accorri 
All'  amplesso  d' amor.  » 

Le  sue  parole. 
Come  luce  di  sole,  in  un  istante 
Irradiarsi  d'intorno;  e  allor  da  quanti 
Più  remoti  recessi  in  sé  racchiude 
L'Itala  terra;  da  ogni  estrania  zona 
Ove  dispersa  e  nel  dolor  gemea 


6}6  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Itala  plebe;  dai  tuguri  immondi, 
Dai  solchi,  dalle  vie,  dalle  sonanti 
Fucine,  dagli  eserciti,  dai  templi, 
Dai  nivei  monti,  dai  navigli  erranti 
Sull'immenso  Ocean,  sin  dalle  cupe 
Viscere  della  terra  ove  l'esangui 
Fronti  che  morte  già  segnò,  stillando 
Stanno  l'acre  sudor  dell'etisia 
Sugli  ascosi  tesor  -r  l' immensurata 
Moltitudin  soffrente,  a  quell'amplesso, 
Quasi  ponata  dell'amor  sull'ali. 
Subitanea  volò.  Laceri  i  panni. 
Nude  le  piante,  lo  squallor  sul  volto, 
Nelle  membra  il  terror,  la  morte  in  seno 
Quegl*  infelici  aveano,  e  dalle  esterne 
Piaghe  l'occhio  vedea  stendersi  ascoso 
Un  serpe  che  nel  core  e  nel  cerèbro^ 
Le  mortifere  spire  insinuando, 
Piaghe  di  colpe  vi  squarciava  e  densa 
Caligin  di  pensiero.  Eppur  sparia 
Dalle  membra  ogni  piaga  e  dallo  spino 
Fra  gli  amorosi  amplessi,  e  come  fango 
Che  della  luce  nel  fulgor  s'abbella, 
S' irraggiavan  quei  squallidi  sembianti 
D'improvvisa  beltà  nella  suprema, 
Casta  luce  d'amor. 

«  Giurate  amarvi  » 
Dante  e  l'ombre  gridaro.  E  soggiogati 
Da  arcana  forza  che  ad  amar  spingea, 
I  divisi  fratelli,  insiem  mescendo 
Lagrime  e  baci,  le  infinite  destre 
Avvincolando  in  un  eroico  nodo. 
Solennemente  replicar:   «Giuriamo!» 

Esultar  l'ombre.  Machiavel  squarciava 
Le  dense  pieghe  del  funereo  manto 


INTORNO    A   DANTE   ALIGHIERI.  637 

E  all'attonita  turba,  in  laido  gruppo 
Come  di  serpi  insiem  avvoltolate 
In  schifosi  connubii,  iva  additando 
I  rei  pensieri  ascosi  onde  fur  sempre 
Le  tifare  conserte  e  le  corone. 
Galileo,  Michelangelo,  il  vivente 
Italo  eroe,  confusi  in  una  fiamma 
Di  sublime  splendor,  sorgean  giganti 
Come  strane  meteore,  e  del  futuro 
Additando  il  sentiero  alla  risorta 
Itala  libertà,  parean  l'arcana 
Ignea  colonna  eh'  a  Israel  fu  guida 
Per  le  vie  del  deserto;  e  l'Astigiano, 
Col  tragico  pugnai  si  fieramente 
Del  cattolico  tempio  in  sulle  mura 
La  gran  parola:  aLibertade»  incise, 
Ch'  esse  in  polve  crollar  come  percosse 
Dal  fulmine  del  cielo.  In  ampio  giro, 
Tremaro  in  alto  le  turrite  rocche; 
Tremar  sotterra  i  feretri  gemmati 
Dei  Cesari  e  dei  Papi,  e  i  due  fantasmi 
Di  queste  oscene  Deità  d'  un  tempo, 
Fur  visti  svolazzar,  striduli  e  ciechi, 
Sull'alte  torri  e  i  desolati  altari. 

Come  Minerva  dal  cervel  di  Giove, 
Dal  cor  di  Dante  allor  balzò  l' Italia, 
Ed  in  armi  balzò.  Sovra  il  suo  capo 
Scorrea  cantando  d'Alighier  lo  spirto, 
Come  un  di  sugli  Apostoli  l'arcana 
Lingua  di  fuoco.  Le  terzine  eroiche 
Echeggiavano  intorno  ai  combattenti. 
Come  squilli  di  tromba;  sventolavano 
Sul  loro  capo  quai  spiegate  insegne; 
Come  spade  che  uscir  dalla  guaina 
Scintillavano  al  guardo,  e  come  palle 


638  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Di  carabine  magiche,  i  nemici 
Distendevano  al  suolo.  E  soli  ammassi 
D'anime  serve  e  trafficata  carne 
Non  erano  i  nemici.  Eran  superbe 
Reggio  ^à  altari,  cattedrali  e  rocche. 
Pregiudizi!  ed  error,  colpe  e  sciagure 
E  quanti  altri  viperei  flagelli. 
L'immonda  del  Passato  urna  chiudea. 

a  Anatema  !  »  ululavano,  crollando, 
Le  cattedrali,  ed  all'eccelse  rocche 
Levando  il  desolato  occhio,  parea 
Implorassero  vanni  onde  levarsi 
Sugl'inaccessi  culmini;  ma  quando 
Dagli  inaccessi  culmini,  a  lor  volta 
Cadeau,  stridendo,  le  marmoree  rocche, 
E  in  giù,  le  spalancate  catacombe 
Chiamavano  i  crollanti  archi  e  i  delubri 
Ad  affogar  nel  sempiterno  nulla, 
«  Pietà,  Italia  !  »  stridean.  «  Chi»  se  n'  uccidi, 
I  suoi  trionfi  canterà?  Qual  voce 
T' implorerà  dal  cielo,  eternamente. 
La  corona  sul  capo,  e  chi  del  Cristo 
Che  t'  ha  redenta  canterà  gli  Osanna  ? 
Ma  anch'  Ei  redento  il  Redentor,  s'  alzava 
Dalle  macerie  luminoso,  e  il  serto 
Lacerando  sul  crin  che  la  demente 
O  tenebrosa  idolatria  gli  cinse, 
Uom  scendeva  fra  gli  uomini.  L'  umano 
Suo  cor  dair  ombra  sepolcral  disciolto 
Del  cattolico  tempio,  il  vero,  il  sacro. 
Tempio  della  virtude  e  del  pensiero. 
Sulle  bieche  ruine  edificava 
Dentro  il  core  dell'  uomo,  e  1'  uomo  alfine. 
Veracemente,  non  più  invan  redento. 
Da  quel  tempio  sorgea  di  lui  sol  degno. 


INTORNO   A    DANTE  ALIGHIERI.  639 

La  prima  volta,  ad  esultar  nel  vero. 

Era  infranto  il  mister  che  il  Tempio  a  danno 

Della  tradita  umanità  celava 

Da  lunga  etade,  e  discoprìasi  alfine 

Attraverso  il  suo  vel  lacero  errante 

Più  che  il  Dio  che  discende  e  ali*  uom  s' incarna, 

L'uomo  che  ascende  e  si  tramuta  in  Dio. 

Spenti  gli  urli,  i  sospir,  gli  echi,  le  strida 
Delle  oscure  mine,  il  mare  e  TAlpi, 
Tutte  d'Italia  le  armonie  sovrane 
Inneggiavano  in  coro  alla  risorta 
Regina  delle  genti. 

E  il  mar  dicea, 
L'azzurro  mare,  che  la  cinge  intorno: 
a  Terra  dall'  ignee  forze  !  E  un  di  stendevi 
Sul  mio  mantello  di  cerulei  flutti, 
Ben  più  immensa  di  selve  e  di  giardini 
E  irti  dorsi  di  monti  incantatrice. 
Lussureggiante  scena.  Un  di  commosso 
Da  sotterrani  spasmi  io  mi  levai 
Col  flagel  de'  miei  flutti,  e  di  tue  verdi. 
Splendide  membra  divorai  gran  parte 
Nell'ingorda  mia  gola.  Ah!  da  quel  giorno 
Forse  l'avido  istinto  io  t'ispirai 
Delle  ruine,  e  t'aggiogò  implacata 
La  voluttà  di  lacerar  te  stessa. 
Ma  or,  che  il  fato  tu  hai  vinto  e  benedetto 
Neil'  amore  rinasci;  or  che  feconda. 
La  nuova  ti  riarde  onda  di  vita 
E  ti  palpita  il  cor  come  nei  giorni 
Delle  sacre  memorie  ;  anch'  io  dal  fondo 
De*  miei  cerulei  abissi,  un*  altra  volta 
Solleverò  le  tue  membra  disperse; 
Di  magiche,  serene  isole  e  zone 
Ti  vo  un  serto  intrecciar  che  di  tue  nozze 


Òi|0  POESIE   DI   MILLE  AUTORI 

Coir  avvenir  fia  il  dono,  e  dell*  azzurra 
Mia  solitaria  immensità  non  voglio 
Che  una  lingua  serbar  di  mormoranti 
Onde  amorose  per  baciarti,  o  bella 
Risuscitata  nell'amore,  e  un  inno 
Di  tua  gloria  al  fulgor  scioglier  perenne.  » 

Ed  i  suoi  monti,  dai  Vulcani  all'Alpi, 
I  suoi  monti  dicean:  «  Dal  soffio  accesi 
Degli  ignei  tuoi  spirti  di  sotterra 
Noi,  come  vampe,  rischiarammo  il  buio 
De'  primieri  tuoi  di,  quando  sorgevi. 
Venere  ammaliatrice  delle  genti. 
Dalle  spume  del  mar,  quando  il  Saturnio 
Divin  seme  fecondo,  entro  il  tuo  seno 
Colle  felci  primiere  ingenerava 
I  primi  umani,  e  le  tribù  raminghe 
Che  dall'  erte  giogaie  o  dalle  svelte 
Triremi  a  te  scendeano,  in  quelle  vampe 
Arcanamente  sul  tuo  dorso  accese, 
Adoravano  il  Nume.  Ahil  ci  si  spense, 
Per  le  infuocate,  sotterranee  vene, 
L' igneo  sangue  vitale,  e  in  nevi,  e  in  ghiacci 
Le  vampe  nostre  si  mutar.  Pur  sovra 
Queste  morte,  ghiacciate  ereme  altezze. 
Ascendi,  o  Italia!  Oltre  le  mie  foreste, 
I  miei  torrenti  e  le  virginee  nevi 
Nelle  nebbie  perdute;  oltre  le  occulte. 
Invisibili,  arcane  Alpi  sorgenti 
Sull'estreme  mie  vette;  oltre  l'azzurro 
Scintillante  del  cielo,  oltre  i  pianeti, 
Oltre  il  sole,  oltre  gli  astri  e  le  remote. 
Nebulose  fantastiche  che  vedi 
Pascolare  lassù  come  bianche 
Giovenche  in  seno  a'  miei  cerulei  prati. 
Vive  r  Eterna  Idea  che  immacolata 


INTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  64 1 

Per  te  vive  nel  del  come  la  neve 

Sovra  i  vertici  nostri.  Ella  t'arride, 

E  se  dell'Alpi  tu  non  temi  il  gelo, 

Se  i  perìgli  ed  i  mostri,  ond'  ella  è  cinu, 

Paventare  non  sai,  la  benedetta 

Al  tuo  sen  scenderà.  Vieni,  i  miei  picchi 

Nel  lor  manto  di  nebbia  avviluppati. 

Colla  magica  voce  de'  torrenti, 

Coir  attrazion  delle  superbe  cime, 

T'attireranno  in  alto.  Ove  ti  colga 

Pel  faticoso  tramite  il  languore. 

Io  ti  disseterò  dell'  Eridàno 

Nelle  vive  sorgenti.  Io  colle  mie 

Di  pin  foreste  e  di  gementi  abeti, 

T'  astergerò  la  fronte,  e  i  miei  romiti 

Del  San  Bernardo  alle  tue  membra  esauste 

Riverseran  la  vita.  Ohi  ascendi  1  ascendi I  » 

Ed  Italia  ascendea.  Pel  faticoso 
Calle  i  turbi  prostravanla  ed  il  gelo; 
Pungeanla  i  rovi,  la  mordean  le  serpi, 
L'insidiavan  gli  abissi.  Ella  lo  sguardo 
Alla  sublime  Idea  sempre  avea  fiso. 
Di  coraggio,  di  forze  e  di  speranze. 
Ed  Italia  ascendea.  Presso  alle  meta. 
Mille  draghi  su  lei  dalle  infuocate. 
Orride  gole  vomitavan  bave 
Di  dubbio,  fiamme  di  terror;  ma  Italia 
I  sacri  carmi  che  Alighier  le  apprese 
Contro  i  mostri  avventò  che  ammutolirò 
Come  Cerbero  all'  Orco,  allor  che  il  Vate 
Ne  empi  di  polve  «  le  bramose  canne.  » 
Ed  Italia  ascendea.  Giunta  alla  vetta. 
Ansio  aveva  il  respir,  sciolte  le  chiome, 
Trasudata  la  fronte  e  quasi  estinta 
La  speranza  nel  cor.  Ma  a  confortarla, 

Dbl  Balio.  Voi.  XIV.  4I 


642  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Dair  eterne  del  core  e  del  pensiero 

Regioni  ove  dei  popoli  l'.avea 

La  menzognera  civiltà  fugata, 

A16n  la  sospirata,  inebbriante 

Idea  discese.  Ecceka  idea  che  ovunque 

Vide  il  raggio  brillar  delle  nazioni, 

Sempre  comparve,  il  benedetto  offrendo 

Fiore  deir  avvenir,  —  ma  sempre  invano. 

Curva  sugli  aurei  scrigni,  AngUa  la  vide. 

Ma  più  del  bianco  suo  fulgor  le  piacque 

Dell'  oro  il  fulvo  scintillar.  Sui  licÙ 

Dove  ispirata  un  di  pugnò  Giovanna 

Per  la  patria  violata,  ella  fu  vista 

E  culto  n'ebbe  si  feroce  in  prima 

Che  quasi  dentro  un  pelago  di  sangue 

Amico  e  ostil  perla;  ma  poi  cogli  occhi 

Dai  vapor  dell'orrenda  orgia  offuscati. 

L'intemerata  Dea  scesa  dai  cieli 

Quelle  genti  scambiar  per  qualche  immonda 

Vivandiera  dei  campi;  e  oscenamente. 

Di  cinici,  briachi,  inverecondi 

Baci  la  deturpando,  insiem  coli' empia 

Tirannide  e  la  vii  Superstizione, 

La  trascinare  a  gavazzar  nel  fango. 

Ma  quei  ciechi  il  cadavere  di  Francia 

Eran;  di  Francia  il  sacro  cor  gemea 

Neil' esigilo,  nei  ceppi  e  nei  sepolcri. 

Nel  reo  scempio  fuggiasca,  al  Reno  in  riva 

Volò  la  derelitta,  ove  rapita 

La  bionda  figlia  di  Luter  sognava, 

E  sperò  le  virginee  carezze 

Dalla  cultrice  dell'Idea.  Ma  come 

La  castellana  feiidal  che  l'alma 

All'amatore,  ed  al  brutal  marito 

Le  membra  concedea,  ben  su  nel  cielo. 

La  feùdal  sonnambula  all'Idea 


INTORKO  A   DANT]?  ALIQHIERL  643 

Mistico  culto  offiri»  purché  calcarle 

Col  pie'  potesse  di  brutal  soldato 

Le  bianche  membra  e  l'aureo  crine  in  ti^ra. 

Coir  estatica  e  mesta  alma  l'aspira 

La  vergin  slava;  ma  dispersa  ornai 

Dal  Moscovita  sull'immensa  terra 

Come  il  popol  di  Dio,  chi  sa  se  mai 

Ricongiunger  potrà  le  scarse  membra 

Per  risorgere  ancorai  A  te  pur  tese, 

O  mia  patria,  la  Diva,  e  l'ali  stanche 

Più  volte  ti  posò  sopra  l'avello 

Benedicendo,  ma  respinta  ognora, 

Maledicendo,  dall'avel  tu  l' bai. 

In  nome  del  tuo  Papa  e  de'  stranieri 

Che  sepolta  t' avean.  Ma  alfin  la  stringi 

Sul  core  la  divina  esule  e  spargi 

Il  suo  raggio  immortai  sopra  le  genti! 

E  le  genti  che  irrisa  avean  la  Dea 
Finché  supplice,  errante,  invide  adesso 
Ne  miravan  la  pura  aura  dal  senp 
Irradiar  d'Italia.  E  dalle  fosche 
Regioni  del  dolor  dove  Egoismo 
E  Vanitade  le  tenean  languenti. 
Anelando  salian  lungo  le  terga 
Dei  fantastici  monti  a  riscaldarsi 
In  quell'aura  divina.  E  tutte  allora 
Italia  le  accogliea  dentro  il  suo  seno 
Palpitante  d'amor  come  sorelle 
Che  le  tenèbre  incatenar  nel  mezzo 
Del  cammin  della  vita.  Ella  coi  caldi 
Effluvi  del  suo  core  armonizzava 
Di  quelle  genti  i  palpiti,  le  mille 
Discordanti  armonie,  finché  vibrando 
Come  le  corde  d'una  sola  cetra. 
Le  lor  mistiche  note  al  firmamento 


044  POESIE   DI  MILLE  AUTORI 

Quali  effluvi!  salian  di  mille  fiori 
In  un  serto  confusi.  E  come  un  serto 
Di  fior  raccoglie  in  armonia  gentile 
Tutta  la  gamma  dei  profumi;  come 
Cetra  che  tocca  da  maestra  mano. 
Dai  murmuri  più  cupi  ai  più  argentini 
Suoni  trascende;  e  cosi  misto  udiva 
Sulle  corde  vibrar  delle  nazioni 
Nel  cor  d'Italia  armonizzate,  un  canto 
Che  dai  suon  più  profondi  della  vita, 
Dell'Ideai  saliva  alle  più  acute. 
Ineffabili  note. 

II  gran  tumulto 
Francia  cantava  della  vita,  e  quando 
I  mill'echi  del  senso  e  del  pensiero 
Che  sulle  labbra  le  fremeano  a  gara, 
La  suprema  parean  chiedere  al  cielo 
Nota  conciliatrice,  Albion  sorgea 
E  sulla  ferrea  corda  de*  suoi  nervi 
Schiusi  alla  terra  e  al  ciel,  le  rivelate 
Note  scioglieva  onde  contesto  è  l'inno 
Che  del  creato  V  Unità  rivela. 
Del  passato  i  profondi  echi  morenti 
Nell'avvenir,  con  rassegnati  accenti 
Cantava  Iberia;  le  profonde  e  forti 
Virtù  del  sacrificio  e  dell'amore 
Che  la  vittoria  coronò,  le  sparse 
Tribù  slave  congiunte,  e  del  pensiero 
Gli  aquilei  voli  scopritor  dei  mondi 
La  rapita  Allemagna.  Degli  arcani 
Mondi  inncggiavan  l'armonie  le  terre 
Fra  le  nebbie  perdute,  e  la  novella 
Eliade  nuovi  di  beltà  tesori 
Intrecciava  nei  cantici  che  il  sole 
Le  ispirò  co'  suoi  baci.  E  poi  che  tutti 
Della  Beltà  visibile  svelati 


INTORNO  A   PANTE  ALIGHIERI.  64$ 

Avea  gli  aurei  tesor,  la  sua  spingendo 

Platonica  pupilla  audacemente 

Nel  gran  mar  dell'Idea;  nuda,  spogliata 

Da'  suoi  veli  più  sacri  a  noi  svelava 

L'invisibil  Beltade.  I  misteriosi 

Vaticinii  cantava  in  cento  idiomi 

Di  Colombo  la  terra  a&atellata 

Di  Cham  coi  figli,  ed  inneggiava  anch'essa, 

Dell*  Egoismo  la  cultrice  al  santo 

Vittorioso,  onnipossente  Amore, 

Le  oscure  metamorfosi  onde  sale 

Dal  bruto  all'  uom  Natura,  aprian  con  inni 

Di  selvaggia  beltà  d'Africa  i  lidi 

Inesplorati.  E  colle  sue  giganti 

Della  vita  armonie,  coli' infinite 

Sue  città  della  morte,  e  morte  e  vita 

Cantava  a  un  tempo  T  Oriente,  entrambe 

In  un  profondo,  estatico,  infinito 

Inno  affogando  che  cantava  Iddio. 

Inneggiate,  o  redente!  11  vostro  canto 
Forse  è  il  ritmo  recondito  che  muove. 
Fra  Spazio  e  Tempo,  eternamente,  i  mondi. 

L'ombre  di  Santa  Croce  ora  da  ignoti 
Punti,  d' Italia  al  sen  volaro,  e  tutte 
D'Alighier  nella  sacra  ombra  che  effuse 
Le  avea,  svanirò;  ed  Alighier  nell'ombra 
Dileguò,  nell'Italia,  e  Italia  anch'essa, 
Nel  mar  della  redenta  Umanitade 
Assorbita  svania.  Sfera  beata, 
Scorrea  la  terra  pei  sereni  campi 
Dell'infinito»  Marinara  antica. 
Le  vele  Italia  dirigea  dell'  orbe 
Per  gli  eterei  deserti,  e  coli'  Etrusco 
Occhio  già  avvezzo  a  interrogar  le  stelle, 


646  poesìe  di  MlttE  AUTORI 

Ai  fraterni  del  delo  orbi  ansiosi 

Spingeale  Roma.  Sovra  gli  aurei  card 

Sorgeaa  le  stelle  a  contemplar  la  vaga 

Veleggiatrìce  e  trasalianìe  intorno 

I  firmamenti  ititiamotati.  Un  puro 

Calor  si  diffondea  dalla  sua  luce 

Sui  lontani,  ghiacciati  orbi.  La  vita 

Palpitava  per  lei  dentro  la  morta 

Vanità  degli  abissi,  e  colle  mille 

Armonie,  coi  torrenti  della  luce, 

Coi  misteriosi  fluidi  circolanti 

Nel  gran  mar  dell'  Essenza,  i  mondi  e  tutti 

Del  Cielo  i  Genii  le  scioglieano  Osanna. 

Sparve  la  strailsl  vision.  Fu  dessa 

Sol  della  speme  una  mendace  larva, 

O  un'Ombra  che  il  Futur,  come  in  ispecchio. 

Gettava  alla  vibrante  anima  mia  ? 

Non  dirlo  io  posso;  ma  ben  tu  il  dii'ai, 

CoU'opre  o  fiacche  o  valorose,  lulia!  ' 

Giuseppe  Aglio  nacque  in  Cremona  nell'anno  1827.  Come  tanti 
si  laureò  in  utroque;  ma,  poi,  si  consacrò  del  tutto  alla  poesia.  Si 
hanno  di  lui  tre  drammi  lirici  non  spregevoli  :  OrfeOi  Giordano 
BrurtOy  Roma.  Tradusse  non  poche  poesie  straniere,  ma  in  tal 
genere  di  fatica,  la  sua  traduzione  completa  dello  Shelley,  comparsa 
nel  1858,  merita  una  speciale  menzione  Spesso  fu  oratore  ufficiale 
pel  municipio  di  Cremona,  e  si  ricordano  i  suoi  discorsi  ih  morte 
di  Vittorio  Emanuele  II  e  di  Aleardo  Aleardi. 


'  Questo  poemetto  cosi  si  legge  in  un  !  Poemetto  di  Gias^peAg^io.  llflano,  preMO 
opttscolo  di  49  pagine  Coltre  U  prefaxione),  I  U  libreria  di  Lorenzo  ^oniogno,  Corto 
dal  titolo  :  Ptl   ststo   etnltmario   di  Damtt,    \     Vitt.  Em.,  186$. 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  647 


DCCXCII. 

Luigi  Sommi-Picenardi. 

Nel  sesto  centenario  di  Dante. 

Canto. 
(14  maggio  i86j). 

Quando  dai  flutti  il  matutin  splendore 
Si  leva  e  il  balzo  d'oriente  imbianca 
E  langue  in  ciel,  sparsa  di  bel  pallore. 
Venere,  come  giovinetta  stanca; 
Arcano  senso  d'infinito  amore 
Sorgere  par  da  quella  luce  bianca, 
E  aleggiar  sul  creato  e  all'alto  polo 
Nella  notte  spiegar  d'un  inno  il  volo. 

Cosi  radiante  d' immortai  beltade 
Che  non  s'offusca  per  terreno  oltraggio. 
Scorge  talor  l'afflitta  umanitade 
Un  novel  Prometèo  sul  suo  viaggio: 
Per  lui  la  notte  di  selvaggia  etade 
D'insueto  s'avviva  etereo  raggio, 
Che  della  luce  dell'eterna  idea 
Tutte  veste  le  cose  e  in  lei  si  bea. 

E  te,  sommo  Alighier,  Genio  severo, 
Cui  parteggiar  ingiustamente  fello 
E  mala  signoria  fecer  straniero 
Al  bell'ovile  ove  dormisti  agnello. 


648  POESI£  DI  MILLE  AUTORI 

Stretta  in  un  patto  Italia  e  in  un  pensiero 
Te  ai  tardi  onori  evoca  or  dall'avello; 
E  tu  del  tuo  batesmo  vien  sul  fonte, 
Vieni,  o  Divino,  a  coronar  la  fronte. 

Sciolte  le  destre  da  servii  catena, 
E  prone  al  marmo  tuo  l'itale  genti, 
Chiaman  lo  Spirto  che  per  ogni  vena 
Trasse  un  giorno  a  tremare  i  violenti; 
E  tu  discendi:  e  la  cruenta  arena, 
Da  cui  sorgemmo  liberi  e  redenti, 
Spargi  del  sacro  allor  di  paradiso 
U'  de'  martiri  nostri  eterno  è  il  riso. 

Mesto  venivi  un  di  dove  al  Tirreno 
iMagra  disposa.  L'ora,  in  che  il  desio 
Riede  alla  patria  e  intenerisce  il  seno 
La  ricordanza  dell' uhimo  addio, 
Volgcasi:  e  a  te  il  lucente  astro  sereno 
Che  conforta  ad  amar,  del  suol  natio 
Favellava  e  di  Lei  che  in  ciel  rapita 
D'elisio  raggio  ti  vestia  la  vita. 

Poco  quindi  lontan  le  sacre  mura 
D'un  chiostro,  dalle  prime  ombre  coverte, 
S'ergeano:  asil  dischiuso  alla  sventura 
De  l'alme  fatte  vedove  e  deserte: 
Qui  traevi;  e  movendo  all'aria  scura 
Pe'  claustri  solitari  Torme  incerte, 
Muto  miravi  le  colonne  e  gli  archi 
E  Tederà  vetusta  onde  eran  carchi. 

Ma  mentre  a  riposar  il  corpo  lasso 
Venivi  alTombra  delTostello  santo. 
Surto  al  rumor  delTerrabondo  passo, 
Veglio  t'apparve  in  monacale  ammanto. 


INTORNO  A  DANTE  ALIGHIERI.  649 

Che  fiso  l'occhio  indagatore  e  basso 
Nel  tuo  bagnato  d'angoscioso  pianto, 
O  Viator  del  rio  mondo  fallace 
Che  chiedi?  disse;  e  tu  dolente:  Pace! 

Pace  indarno  chiedevi  in  sul  cammino 
Mortai,  divo  cantor  dell'universo: 
Alla  prece,  al  sospir  del  pellegrino 
Non  fea  risposta  il  popolo  perverso. 
Se  non  eran  duo  forti,  e  più  il  destino. 
Anco  il  cenere  tuo  saria  disperso. 
Che  de'  forti  nascosti  entro  la  fossa 
Minacciose  talor  fremono  Tossa. 

Indarno  contra  '1  fato  avverso  e  crudo 
In  Lunigiana  stette  il  buon  Morello; 
Indarno  ti  coverse  il  grande  scudo 
«  Che  in  su  la  Scala  porta  il  santo  uccello;  » 
Non  fea  tregua  fortuna  all'aspro  ludo 
Pur  di  Tolmin  nell'ospital  castello, 
Né  allor  che,  sciolto  d'ogni  speme  vana, 
L'orrida  t'accogliea  Fonte  Avellana. 

Tal  errante  per  l'itale  contrade 
Sen  già  mendico  e  nell'aspetto  fiero, 
E  il  cozzo  ognor  di  fratricide  spade 
Ahil  tingeva  di  sangue  il  suo  sentiero: 
Ma  alfin  riposo  in  sen  dell'amistade 
Dai  dolorosi  error  trovò  l'austero; 
Cosi  quando  sereno  il  di  declina, 
Scende  il  sol  nella  placida  marina. 

Ma  pria  che  sciolta  dal  corporeo  velo 
L'alma  spiegasse  il  voi  per  l'infinito. 
Del  pianto  estremo  ei  bagnò  il  petto  anelo. 
Che  al  pensier  gli  tornava  il  tosco  lito; 


630  fOBSIB  DI  MILLI  AUTORI 

E  il  SUO  bel  San  Giovanni,  ove  dal  Cielo 
Ricovrar  pregò  Tanimo  smarrito. 
Rivide,  e  lei  che  gli  fé'  il  cor  deliro, 
Fiorenza  ingrata,  etemo  suo  sospiro. 

Ed  or,  dimmi,  che  valse  e  mente  e  core 
Sacrar,  e  vita  al  pravo  iulo  suolo; 
E  fatto  più  che  aman  pel  grande  amore 
Cora' aquila  su  tutti  ergere  il  volo? 
Che  valse  degli  ardenti  anni  nel  fiore 
Da  prò'  pugnar  primo  nel  primo  stuolo, 
E  riverso  nel  fango  il  ghibellino 
Vessillo,  trionfar  in  Campaldino? 

Che  ti  giovò  dal  creator  pensiero 
Grande  e  soave  trar  novo  idioma. 
Grande  cosi  che  quasi  vanne  altero 
Al  par  di  quei  ch'udirò  Atene  e  Roma? 
Ben  ti  dovea  per  l'alto  magistero 
De  la  fronda  penea  cinger  la  chioma 
La  serva  Italia,  ahi!  di  dolore  ostello, 
«  Non  donna  di  provincie  ma  bordello,  » 

Né  surse  Italia,  né  si  scosse  al  suono 
Ch'a  lei  venia  dall' immortai  suo  verso: 
Egli  intanto  fremea  siccome  tuono, 
De'  perduti  migrando  all'aér  perso; 
Poi  d'amor  desioso  e  di  perdono 
Salia  là  dove  il  ciel  si  fea  più  terso; 
E  si  beava  alfin  nel  santo  aspetto 
Del  vero  in  che  s'acqueta  ogni  intelletto. 

Tale  allor  che  sua  musa  arbitra  e  dea, 
«  Sotto  '1  velame  degli  versi  strani,  » 
Tra  le  genti  a  giudicio  s'assidea 
Premi  e  pene  partendo  infra  gli  umani. 


INTORKO    A   DANTE   ALIGHIERI.  65 1 

Sperò  al  fulgor  della  superna  idea 
Rinnovellarsi  i  miseri  profani, 
E  concordi  suU^una  e  l'altra  strada 
Il  pastora!  precederli  e  la  spada. 

Sperò  dal  suono  del  divin  linguaggio» 
Cui  d'ispirati  numeri  testia» 
Cader  fiaccato  il  favellar  selvaggio 
Che  l'itale  fra  Ìor  genti  partia; 
Simbolo  d'unità,  cotnun  retaggio. 
Stringe  un  popol  l'idioma:  ei  lo  sentìa; 
E  quell'arpa  che  freme  e  che  sospira 
La  celeste  emulava  orfica  lira. 

Però  che  guelfa  rabbia  o  ghibellina 
Suscitar  non  potea  nel  maschio  petto 
Di  lui,  si  caldo  di  virtù  latina, 
La  struggìtrice  fiaccola  d'Alettó: 
Cantor  di  Rettitudin  che  divina- 
mente gli  ragionava  all'intelletto, 
Giudicator  dell'uno  e  l'altro  regno, 
Facea  vendetta  al  sacrosanto  segno. 

Che  se  aflPetto,  ragion,  genio  o  sventura 
La  fiamma  ghibellina  in  cor  gli  accese. 
La  forma  ond'ei  vestilla  era  si  pura 
Ch'ogni  concetto  uman  vinse  e  trascese; 
Per  lei  de'  duo  poter  giusta  misura 
Fea$i  al  governo,  e  si  tacean  le  offese; 
Per  lei  gli  animi  unia,  vinto  l'errore, 
((  Luce  intellettùal  piena  d'amore.  » 

Ma  come  pellegrin  che  l'arsa  arena 
Calcando  incerto  ed  assetato  e  stanco 
Vede  lungi  di  palme  e  d'acque  amena 
Una  plaga,  e  posarvi  anela  il  fianco, 


652  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 

E  ratto  muove  e  riogannevol  scena 
Ahil  s'allontana  e  non  la  giunge  unquanco, 
SI  che,  cadendo  in  sulla  sabbia  ardente. 
Impreca  al  giorno  che  fuggir  si  sente; 

Tal  quel  sogno  di  ciel  vanir  veggendo 
Che  dell'esilio  gli  infiorò  la  via, 
E  più  feroce  nel  certame  orrendo 
Stringer  dovunque  i  ceppi  Tirannia, 
Solo,  sublime  ardir,  surse,  e  tremendo, 
Qual  Chèrubo  che  il  Nume  irato  invia. 
Sdegnosamente  1*  italo  perverso 
Suol  flagellò  coir  implacabil  verso. 

E  in  te,  Firenze,  più  fisse  l'acuto 
Dardo  dell'ira  a  rintuzzar  l'oltraggio. 
Quando  con  fiero,  spreggiator  rifiuto 
II  codardo  respinse  imposto  omaggio: 
Ma  tu  pensavi  omai  giacersi  muto 
Per  l'esilio  trilustre  il  suo  coraggio. 
Che  d' infra  i  colpi  di  nemica  sorte, 
Anteo  novello,  risorgea  più  forte. 

Amor,  gloria,  disdegno  e  del  natio 
Terren  la  santa  caritade  in  petto 
Destar  quel  foco  onde  cotanto  in  Dio 
Non  sublimossi  mai  altro  intelletto: 
Ma  le  furie  a  placar  del  fato  rio 
Non  valse  il  nome  altero,  e  il  verso  eletto. 
Oh!  fin  la  speme  ti  fallia  la  meta 
Quando  sclamasti:  Tornerò  poeta! 

Pur  de'  colli  natii  l'aura  beata 
Vèr  lui  talor  parea  batter  le  piume, 
E,  sospirando  intorno  innamorata, 
Le  lacrime  asciugar  sul  suo  volume; 


INTORNO  A   DANTE  ALIGHIERI.  653 

Allor  d'accanto  alla  fanciulla  amata 
Credeasi  e  in  riva  del  materno  6ume, 
Quando  tra  l'ombre  di  tranquilla  sera 
Un  pensiero  li  univa,  una  preghiera. 

In  lei  raccolto  e  intensamente  fiso 
Lo  spirto  nell'ardor  di  un  primo  affetto, 
Quando,  qual  giglio  in  suU'albor  reciso, 
La  vita  inaridi  nel  casto  petto, 
Scender  la  vide  dal  sereno  Eliso 
Trasfigurata  nel  terrestre  aspetto, 
E  il  largo  a  lui  tergendo  amaro  pianto 
Pace  spirargli  e  sacra  aura  di  canto. 

Da  lei  trasse  gli  auspici  al  gran  viaggio; 
Ch'ella  Virgilio  a  sua  difesa  sprona; 
Per  lei  Casella  suo,  cui  scalda  il  raggio 
Del  perdono  di  Dio,  si  dolce  suona; 
E,  trapassati  i  regni  del  servaggio, 
Per  essa  ei  cinge  1* immortai  corona 
Là  nel  fulgor  della  siderea  via 
Dove  l'inebria  eterna  Teodia, 

O  Beatrice  dolce  guida  e  cara!... 
Dicea  varcando  i  tremuli  zaffiri. 
Mentre  aleggiargli  intomo  sentia  a  gara 
Celesti  piume  e  fervidi  sospiri; 
Ma  tanto  in  lei  la  luce  si  fé'  chiara, 
Tanto  de*  lumi  suoi  rifulse  Tiri, 
Che,  al  balen  non  reggendo  di  quel  riso. 
Sul  sen  chinò  quasi  smarrito  il  viso. 

Sublime  amor!  in  lui  comprese  e  strinse 
E  mente  e  core  e  vita  e  terra  e  cielo; 
Da  lui  coraggio  e  speme  e  possa  attinse 
A  perdurar  nel  ben  concetto  zelo; 


654  PO£SlE   DI   liaiE  AUTORI 

Face  il  cui  raggio  awivator  più  '1  vinse 
Quando  su  lei  scese  di  morte  il  velo; 
Che  allor  fé'  simbol  di  virtù  ramata» 
E  in  quel  dissetò  l'alma  innamorata. 

Sublime  amori  per  lui  vinta  la  creu 
Mortai»  senti  trasumanar  se  stesso 
SI  che  seguendo  k  sua  guida  lieta 
Al  supremo  posò  soglio  inaccesso. 
E  nella  luce  là  che  di  sé  asseta 
Di  sé  saziando  in  misterioso  amplesso, 
«  Sustanzia  ed  accidente  e  lor  costume  > 
Vide  e  conobbe  e  si  quetò  nel  Nume. 

Ed  or  che  possa  all'alu  fantasia 
Più  non  ti  manca»  o  gran  padre  Alighieri» 
E  che  nel  divo  amor  dell'alma  pia 
Concordi  fai  volere  e  desideri; 
Or  tu  spira  potente  alla  natia 
Italia  tua  magnanimi  pensieri» 
SI  che  reina  alfin  sul  Campidoglio 
Alzi  il  labaro  invitto  e  ascenda  il  soglio. 

Su  quel  labaro  splende  il  Santo  Segno 
Che  Costantin  fé*  al  vincer  si  veloce; 
Mostrossi  appena  e,  come  lampo»  il  regno 
Si  dileguò  dell'oppressor  feroce. 
Cosi  di  patrio  amore  emblema  e  pegno 
Divenne  al  mondo  la  Sabauda  Croce, 
E  questa  il  Forte  generò  che  al  crine 
Della  gran  donna  mutò  in  fior  le  spine. 

SI:  quel  Veltro  che  a  te  raggio  divino 
Disvelando,  ad  Ausonia  nunziasti» 
Che  suscitarsi  dal  terren  latino, 
Non  fra  straniere  genti»  profetasti; 


INTORNO  A   OAHTB  AUGHIERI.  6$$ 

Quel  Veltro  onor  del  sangue  di  Quirino 
Che  nella  mente  tua  grande  adorasti 
Venne;  e  i  fulminei  rai  iuta  levati, 
Stette;  e  in  lui  si  fiaccò  Tira  de*  fati. 

Molto  soffiammo,  il  sai:  come  Israello 
Là  sovra  i  fiumi  di  Babel  piangea. 
Senza  certezza  H  pane  e  d'avello, 
Solima  dolce,  perla  di  Giudea; 
E,  appese  Tlrpe  allo  straniero  ostello. 
De  le  vergini  il  canto  si  tacea, 
Che  l'inno  avea  ceduto  alla  preghiera, 
La  quale  lenta  moria  per  la  riviera. 

Tal  noi  lo  strazio  della  sacra  terra 
Piangendo,  onde  a  te  pur  venne  lo  spiro. 
Il  suolo  infioravam  che  in  sé  rinserra 
L*  ossa  de'  forti  che  per  lei  perirò  ; 
Ma  surtì  un  giorno  a  gloriosa  guerra 
Quelle  grand' ombre  a  pugnar  nosco  uscirò, 
E  del  servaggio  antico  il  giogo  infranto, 
Alto  suonò  della  vittoria  il  canto. 

Per  tutti  non  inaura  i  padiglioni 
Del  nostro  ciel  di  libertade  il  sole; 
Ancora  i  rai  fulgenti  al  suol  tien  proni 
Il  Cherubin  de  l'Adriana  Mole; 
Balda  all'aure  ancor  spiega  i  suoi  pennoni 
Su  l'adriaca  marina  estrania  prole... 
Oh!  torni  ad  echeggiar  l'inno  guerriero 
E  dell'ultimo  allor  s'orni  il  cimiero. 

Tempo  verrà  che  tutta  eterea  e  bella. 
Colei  che  in  pria  da  divin  sangue  usciva. 
Come  a  nocchiero  in  mar  raggio  di  stella 
Pia  letizia  alle  genti  e  fiamma  viva; 


656  POESIE  DI  MILLE  AUTORI 

Qual  per  notturno  gel  si  rìnnovella 
Un  fior  che  diurna  vampa  inaridiva. 
Tal  sarà  quando  dal  connubio  tristo 
Pura  all'amplesso  tornerà  di  Cristo. 

E  levata  la  man  su  la  redenta 
Umanitade  a  benedir:  Cammina, 
Dirà;  e  sull'orme  che  giustizia  imprenta 
Per  me  verrai  diletta  pellegrina: 
Scettico  riso  indarno  s'argomenta 
Struggere  in  me  l'immagine  divina. 
Io  son  la  luce  che  giammai  non  falla 
Al  desio  dell'angelica  farfalla. 

Per  quella  luce  fia  cessato  il  pianto 
Che  fa  versar  Tirannide  agli  umani; 
Regi  e  popoli  già  sul  cammin  santo 
Muovon  agli  splendori  antelucani: 
Oh!  sorga  il  sol,  e  del  trionfo  il  canto 
Desti  gli  echi  dei  liti  più  lontani 
E  di  razza  e  color  doma  la  guerra, 
Iri  di  pace  alfin  splenda  alla  terra. 

E  tu,  ch'eterna  giovinezza  infiora. 
Tu  che,  i  secoli  vinti,  ancor  fiammeggi, 
Che  '1  meriggio  del  di,  del  qual  l'aurora 
Veggiam,  nunziasti  e  a  lui  dettavi  leggi. 
Esulta,  esulta;  e  l'alto  spirto  ancora 
Per  lo  gran  mar  dell'  essere  veleggi, 
Si  che  noi  scorga,  infallibil  nocchiero, 
Al  Bello  eterno  ed  all' etemo  Vero. 

Ancora  Ignavia  qui  molt'alme  tiene 
O  stupide  o  codarde  in  sua  balia; 
Ancora  Italia  tua  di  ree  catene 
Tentan  gravar  Discordia  e  Ipocrisia; 


INTORKO   A   DANTH  ALIGHIERI.  657 

Stolte  fatiche!  già  secura  viene 
Essa  agli  allor  della  romulea  via; 
Così  sovra  le  nubi  eterno  splende 
L'astro  del  di  cui  niun  vapore  offende. 

E  si  come  secondo  raggio  suole 
Uscir  del  primo,  verrà  un  giorno,  il  sento, 
Che  dal  tuo  spiro  accenderassi  un  sole, 
Lu:e  all'universal  risorgimento; 
E  ai  venturi  profetiche  parole 
Nell'armonia  dell'altissimo  concetto 
Dirà...  Ma  troppo  desiar  mi  vinse. 
Né  forse  ancora  in  lui  donna  s'incinse. 

Nel  lucido  mattin  che  a  noi  biancheggia 
Colei  che  al  bel  paese  ove  il  sì  suona 
È  vanto  e  onor,  del  lauro  onde  verdeggia 
La  tua  terra,  oggi  intesse  una  corona, 
E  a  te  cui  nel  volar  nessun  pareggia. 
Siccome  ardente  carità  la  sprona, 
A  te  primo,  o  Divin,  tra'  figli  suoi 
Sacra  il  serto  de'  vati  e  degli  eroi. 

Oh!  se  colà  dove  all'eterna  lira 
Disposa  il  caldo  serafino  il  canto, 
S'ergon  d'un' arpa,  che  quaggiù  sospira. 
Le  note  e  degli  uman  la  gioia  e  il  pianto, 
Poi  che  amore  nell'anima  mi  spira, 
Poi  che  m'infiamma  il  tuo  sorriso  santo, 
Questo  s'innalzi  per  l'aure  beate 
Libero  carme  a  te,  libero  Vate.  ' 

Luigi  Sommi-Picenardi,  marchese  di  Cavallone,  nacque  in  Cre- 
mona il  1834.  Si  laureò  in  logge  e  fu  ufficiale  nell'esercito  sardo. 
È  il  rappresentante  del  ramo  primogenito  dcirantichissima  famiglia 
Sommi-Picenardi  di  Cremona,  di  cui  le  orìgini  rimontano  al  se- 
colo xiii.  È  patrìzio  colto  e  benefico,  e  vive  a  Milano. 

*  Questo  canto  cosi  fìi  lumpato  in  opuscolo,  «  Cremona,  1865. 


Del  Biaio.  VoL  XIV.  42 


658  POESIE   DI   MILLE   AUTORI 


DCCXCIII. 
G .    T  ()  p  r>  A  N I . 

Sonetti. 

(14  raagg'O  1865). 

I. 
Firen:^e   a   Ravenna, 

Or  che  superb.i  d'Alpi  a  Mongibello 
Italia  alfin  di  se  fatta  è  reina, 
Noi,  suore,  unite  nel  materno  ostello, 
Non  più  deturpa  ^'elosia  ferina. 

Dammi,  dunque,  d*;imor  p-^gno  il  più  bello 
Degli  csarchi  immorrai  città  eroina! 
Del  mio  Dante  la  cenere  divina 
Generosa  mi   porgi!  apri  T  avello! 

Se  il  priego  accogli  che  Firenze  esprime, 
Come  l'osti   famosa  in  scienze  e  in  armi. 
Di  maggior  gloria  or  toccherai  la  cima. 

San\  la  tua  virtù  scolpita  in  marmi, 
K  daran  plausi  ali* opra  tua  sublime 
Il  grido  universa!,  le  storie,  e  i  carmi. 


INTORNO   A    DANTE   ALIGHIERI.  659 

IL 

//  monumento  a  Dante  in  Firen:(e 
e  i  Serego-Alighieri  cittadini  di  Firenze. 

La  figlia  d'Arno,  la  gentil  Fiorenza, 
Ov'ebbe  culla  il  celebre  Alighiero, 
Fa  del  gran  Vate  T  immortai  potenza 
Più  sublime  echeggiar  per  T  orbe  intero. 

Né  sol  carmi;  ma  patria  indipendenza 
Fa  di  quel  Genio  sovruman  pensiero  : 
S*  Ei  pur  desiava  in  cor  con  fiera  ardenza 
Italia  sgombra  da  fatai  straniero. 

Ma,  più  famosi,  nel  vicinò  istante. 
Farà  la  città  insigne  i  fasti  alteri 
Il  marmo  ergendo  in  cui  scolpito  è  Dante. 

Del  divino  cantor  intanto  onora 

La  illustre  discendenza,  e  gli  Alighieri 
D'Adige  acclama  cittadin  di  Flora.  ' 


*  (Questi    ftonciti    furono  composti   nel        e  poi.   coti   ttampati  in    Ferrara  nel  i8é$ 
1864  e  inviati  alU  Commissione  fiorentina  in  opuscolo  intitolato:  Lo  sf^ettro  di  Dante. 


66o  POESIE   DI    MILLE   AUTORI 


DCCXCIV. 
A .     Rossi. 

A  Dante. 

Sonetto. 
(14  maggio  1865). 

Vanne  cantor  dell'ombre,  vanne  altero, 
Ognor  d'Italia  i  fati  e  del  volume, 
A  cui  fidasti  l'alto  tuo  pensiero, 
Volar  compagni  sulle  stesse  piume. 

Al  viver  cittadin  splendiente  e  fiero, 
Poi  che  molle  segui  servii  costume, 
Mal  grato  risuonò  quel  carme  austero, 
E  di  tua  gloria  parve  fioco  il  lume. 

Ma  nuovo  giorno  albeggia:  libertade 
Dal  lungo  sonno  si  ridesta  e  tenta 
I  vanni  aprir  per  l'itale  contrade. 

Qual  vate  allor  si  chiede  ?  Allora  in  quali 
Carte  l'alma  si  pasce,  e  si  contenta? 
Furono  i  versi  tuoi  e  sprone  e  strali.  ' 


'  Questo  sonetto  cosi  tu  stanipaio  nell' opuscolo  :    Pel    centenario  di  Danle,  sonetti, 
Perugia,   1865. 


IMTORNO   A   DANTE  ALIGHIERI.  66l 


DCCXCV. 
Giuseppe    Cocchi. 

Sonetti. 

(14  maggio  1865). 

I. 
Italia  e  Dante. 

Oppressa  Italia  da  servaggio  indegno, 
Che  più  le  crebbe  la  virtù  del  core, 
Volle  alfin  la  vendetta,  e  in  suo  furore 
Il  cantor  generò  del  trino  regno. 

S'  accese  al  raggio  di  quel  divo  ingegno 
Odio  ai  tiranni,  a  libertate  amore: 
Ebbe  stimolo  II  core  al  prisco  onore, 
ESbe  volo  il  pensiero  all'arduo  segno. 

Or  tu  sei  non  ingrata,  ausonia  gente. 
Se  volgendo  a  concordia  opra  e  consiglio, 
Del  gran  volume  fai  tesoro  in  mente. 

Né  puoi  temer  di  congiurate  squadre 
S'ami  la  madre  che  creò  tal  figlio, 
Se  onori  il  figlio  che  francò  tal  madre. 


602  POESIE   DI   MILLE  AUTOR! 

IL 

Firen:(fi  e  Roma. 

O  Fiorenza,  che  chiami  il  mondo  a  festa 
Per  lui  che  sciolse  il  cantico  divino, 
E  nel  giardin  dell'italo  giardino 
Fra  l'incenso  de'  fiori  ergi  la  testa; 

Il  diadema  sulla  fronte  onesta 

Pur  or  ti  pose  non  so  qual  destino; 
E  ben  ti  sta  la  perla  ed  il  rubino 
Sulla  corona  eh' è  di  lauri  intesta. 

Del  re  del  canto  è  quel  presago  alloro, 
È  d'Italia  quel  serto;  e  pur  di  quello 
Più  vai  superba  che  di  gemme  ed  oro. 

Ma  quel  serto  fatai  sulla  tua  chioma 
Presso  quel  lauro,  già  si  fa  più  bello, 
E  gii  lo  rendi  con  un  riso  a  Roma. 

III. 
DanU  e  Beatrice. 

O  del  massimo  vate  anima  bella, 

Che  in  un  mare  di  luce  inneggi  al  santo 
In  quella  pura  armonica  favella 
Che  tu  nobilitasti  a  nostro  vanto; 

Pel  tuo  volume,  pel  tuo  Dio,  per  quella 
Donna  soave  che  ti  ride  accanto, 
Lascia,  ti  prego,  1'  amorosa  stella, 
E  vien  nel  loco  del  tuo  primo  pianto. 


INTORNO  A    DANTE   ALIGHIERI.  663 

Già  s'aduna  colà  grave  Consesso 
D' Italia  eletto  a  moderar  le  sorti, 
E  tu,  spirto  gentil,  scendi  sovr'esso. 

Scendi  a  immagin  di  fiamma  e  in  dure  prove 
Suscita  sensi  generosi  e  forti  ; 
Poscia  torna  a  Colui  che  tutto  muove.  ' 


'  Questi  versi  cosi  si  leggono  nell' opuscolo:  Prì  tmUnario   di    DùnU,  sonetti,  Pe- 
rugia,  186$,  già  cit. 


604  POESIE  DI   MILLE  AUTORI 


DCCXCVI. 
A.  O. 


Dante. 

Sonetto. 
(14  maggio  1865). 

Dair  alto  loco,  ove  il  desio  s'  acqueta 
Nello  splendore  del  superno  viso, 
Volge  all'Italia  T italo  Poeta 
Benigno  un  guardo  e  gli  sorride  un  riso. 

Si  letizia  in  veder,  poi  che  noi  vieta 
Barbara  forza  di  potere  inviso, 
Giungere  la  gran  Donna  all'ardua  meta, 
E  su  Fiorenza  il  cupid' occhio  ha  fiso. 

Su  Fiorenza  gentil,  che  scelto  fiore 
d' itali  ingegni  nel  suo  seno  aduna 
Per  fare  ammenda  dell'antico  err.«re. 

O  Italia,  non  temer  più  rea  fortuna, 

Esclama  il  Vate,  or  che  ti  stringe  amore, 
Iddio  scrive  di  te:  Libera  ed  Una.* 


'  Questo   sonetto   cosi   si  legge    nell'opuscolo  :    Pfl    centenario   di   Dante,    sonetti, 
Perugia,   1865,  gìA  cit. 


FINE    DEL    XIV    VOLUME. 


INDICE  DEL  VOL.  XIV 


DCCIII. 

DCCIV. 
DCCV. 


DCCVI. 

DCCVII. 

DCCVIII. 


DCCIX. 


DCCX. 

DCCXl. 

DCCXII. 

Dccxni. 

DCCXIV. 
DCCXV. 

DCCXVl. 

DCCXVII. 

DCCXVIII. 

DCCXIX. 


F.  Berardinelli.  Italia.  Canti  pel  sesto  centenario 

di  Dante Pag.  $ 

Francesco  de  Beaumont.  Ode 29 

Pier  Vincenzo  Pasquini.  Poesie  Dantesche: 

I.  La  visione  della  «  Vita  Nuova  »...  36 

II.  A  Gemma  Donati 58 

Francesco  Dall' On^^aro.  Stornello  su  Dante  .     .  68 

Luigi  Mengozzi.  Dante.  Canto 70 

S    Serragli.  A  Dante  Alighieri  pel  .suo  sesto  cen- 
tenario. Canti  genetliaci  : 

I.  A  Dante  sovrano  poeta    ....  -77 

II.  .-V  Dante  gran  cittadino    ....*.  86 

III.  A  Dante  sommo  politico 99 

IV.  A    Dante    precursore  dell*  Italico  rinno- 
vamento       1 1  > 

Antonio  Angeloni-Barbiani.  Poesie  Dantesche: 

I     Dante 154 

IL  Dante  Alighieri 146 

Pietro  Raffaelli.  Dante  Alighieri 147 

Emilio  Ferrari.  Dante  nel  monastero  del  Corvo  149 
Euj^enia  Pavia-Gentiluomo  nei  Fortis.  Dante  Ali- 
ghieri    155 

Mario  Rapisardi.  Dante  Alighieri 160 

Erminia  Fui  nei  Fu'jìnato.  Gemma  Donati     .     .  166 

Giuseppe  Regaldi.  Beatrice 170 

Un  Veneto.  Dante 174 

Amedeo  Digerini  Xuti.  L*amor  di  patria  .     .     .  180 
Giuseppe  Gando.  Ob  Dantis  Alligherii  solemnia. 

Carmen  seculare 181 

Francesco   Bagatta.    B'ce  .-Mighieri.   Tragedia   li- 
rica in  quattro  atti 184 


666 


DCCXX    Anonimo.  Poesie  intorno  a  Dante: 

Due  nomi Pag  214 

Firenze  e  Roma 21$ 

Venezia 216 

Ravenna 217 

Torino 217 

Milano 2:8 

Napoli 218 

Palermo 219 

P.  P.  Marangoni    Ad  un  lodatore  di  Dante    .  220 

Faustino  Bonaventura.  Inno  a  Dante.     .     .     .  223 
Enrico  Poerio  Capitano.  Dante  nell'età  nostra. 

Terza  rima        233 

Domenico  Cadetti.  Sonetti  danteschi     .     .     .  238 
Nereo  Merighi.   Peli' erezione   del  monumenro 

a  Dante.  Sonetto .*        .241 

F.  S.  A  Dante  Alighieri    Sonetti 242 

Ramazzini  P.  Vincenzo.  La  Trilogia  di  Dante. 
Sonetti  : 

I.  Inferno 244 

II.  Purgatorio 244 

III.  Paradiso 245 

Fra  Giovanni  da  Verona  : 

I.  Ritratto  di  Dante 246 

II.  La  scuola  di  Dante 246 

III.  Il  cuore  di  Dante 247 

IV.  Dante  e  T  Italia 247 

V.  Amor  di  religione  e  di  patria  in  Dante  24S 
DCCXXIX.  G.  L.  Patuzzi.  L'arte  e  Dante: 

L'arte  (prima  di  Dante) 249 

I.      Nicola  Pisano  (scultura) 250 

IL    Gioito  (pittura) 250 

III.  Casella  (musica).     .     .          ....  251 

IV.  Gaia  scienza  (riforma) 252 

V.  Monaci  (codici) 252 

VI.  Beatrice  (amore) 253 

L'arte  (dopo  Dante) 254 

DCCXXX    N    Vecchietti    Dante 255 

DCCXXXI    C.  Puppa.  A  Dante  Alighieri 256 

DCCXXXII.  Antonietta    Dal-Cavolo    Mestre.    Ad    Erminia 

Fuà  Fusinato 260 

DCCXXXIIl.  Carlo   Faccioli.    La  morte  di  Dante   Alighieri. 

Carme 265 

DCCXXXIV.  Tullio  Mestre    Per  Dante.  Carme 275 


DCCXXL 
DCCXXIL 
DCCXXIII. 

DCCXXIV. 
DCCXXV. 

DCCXXVI. 

DCCXXVII. 


DCCXXVIIL 


INDICE.  667 

DCCXXXV.  Luigi  S-'gala.  Dante  in  Verona.  Epistola  .  Pag.  281 
DCCXXXVI.  Bartolomeo  BiaJego.  Il  culto  di  Dante.  Espres- 
sione deir odierna  civiltà 286 

DCCXXXVIl    P.  Antonibon.   Ad  Ugo  Zannoni   che  scolpiva 

la  statua  di  Dante 290 

DCCXXXVIIl.  Vittorio  Merigh*.   Emilio  dei   Mazzanti  e  Vir- 
gin a  dei  Muselli.  Dante.  Ballata     ....  298 

DCCXXXIX.  Girolamo  Lotto.  Ode  a  Dante 329 

DCCXL.  A.  D.  Fagiuol'.  Genio  e  Libertà.  Polinietro    .  536 

DCCXLL  Lauro  Bernardi.  Dante  che  parla  a  Roma  .     .  544 
DCCXLII.  G    Ganz.  La  statua  di  Dante  a   Verona  dello 

scultore  Ugo  Zannoni 350 

DCCXLKL  HafTaello  Fornaciarì.  La  Musa  cristiana  e  Dante. 

Ode 552 

DCCXLIV    G.  Silingardi    Dante  nel  suo  sesto  centenario  .  357 

DCCXLV    G  acomo  Zanella.  A  Dante  Alighieri      ...  362 
DCCXL  VI    Raffaele  Granata.  Giuseppe  Garibaldi  alla  tomba 

di  Dante  Alighieri.  Ottave     ......  366 

DCCXLVII.  Willelm    Braghiroili.   Mantova    a   Dante  il   14 

maggio  1865.  Sonetto 371 

DCCXLVIII.  Antonio  Codogni.  A  Dante.  Sonetto.     ...  373 

DCCXLIX    Angelo  Poma.  A  Mantova 374 

DCCL.  Teodosio  Puerari.  Religione  e  Dante     .     .     .  376 

DCCLL  Alfonso  Capra.  Dante  e  V  Italia 393 

DCCLII    Giuseppe  Sapio  Dantis  Italiaeque  laudes.  Elegia  405 
DCCLllI    Pietro  Nocito.  La  Pace.  Meditazione  di  Dante 

al  monastero  del  Corvo 407 

DCCLIV.  Salvatore  Salomone  Marino   L'esilio  di  Dante. 

Canto 412 

DCCLV.  Paolo  Sapio.  A  Dante  Alighieri.  Carme     .     .  418 

DCCLVI.  Luigi  Lucchini.  Dante  poeta  dell'  Umanità  .     .  420 

DCCLVII.  Niccolò  Camarda.  'E7tlYpa|i|ia 423 

DCCL VIII.  Riccardo  Mitchell.   Traduzione   del  precedente 

epigramma  di  Niccolò  Camarda 42$ 

DCCLIX.  Andrea  Crcscimanno.  Augurio  di  Dante.  Sonetto  427 

DCCLX.  Basilio  Anale.  Beatrice.  Sonetto 428 

DCCLXI.  Mario  Villarcale.  L*arie  Dantesca 429 

DCCLXII.  Gìovan  Battista  Siragusa.  Legge  educatrice .     .  434 

DCCLXIII.  Ignazio  Palermo.  Il  Poemn 436 

DCCLXIV.  Salvatore  Cocchiara.  Risposta  di  Dante.     .     .  439 

DCCLXV.  Carmelo  Pardi.   Pel  centenario  di  Dante.  Ode  441 

DCCLXVI.  G.  Casella.  Canto  a  Dante  Alighieri ....  447 
DCCLXVn.  Paolo  Garelli.  Vita  di  Dante  Alighieri.- Terze 

ri  ne  dedicate  a  Francesco  Petrarca     .     .     .  456 


668  INDICE. 

DCCLXVIII,  Paolo  Pezone.  Dante  Alighieri,  che,  imma- 
ginando la  Divina  Commedia,  predice 
mirabilmente  V  influsso  del  Rifugio  di 
Maria    SS.   nel  compimento  degli  umani 

destini Pag.     489 

DCCLXIX.  Cesare  Masini.  Per  la  festa  italiana  del  cen- 
tenario di  Dante  Alighieri 500 

DCCLXX.  Stephen  Liégeard.  A  l'ombre  de  Dante.  Canto     185 
DCCLXXI.  Luigi  Silva.  Traduzione  libera  del  precedente 

canto  del  Liégeard 526 

DCCLXXII.  Angelo  Gualandi  Voti  e  speranze  in  occa- 
sione del  sesto  centenario  dantesco  in  Ra- 
venna. Sonetti 558 

DCCLXXIII.  G.   Battista   Terracina.    Il   sesto    centenario 

di  Dante  Alighieri.  Canzone 541 

DCCLXXIV.  G.  Moretti.  Per  le  feste  del  sesto  centenario 

di  Dante  Alighieri.  Sonetto 545 

DCCLXXV.  Gualberto  De  Marzo.  L' Itaba  e  Dante    .     .     546 
DCCLXXVl.  Gio.  Batt.  Svegliato.  Dantes  Alighierius.  (Ode 

alcaica) 551 

DCCLXXVn.  Gaetano  Ghivizzani.   Agli  stranieri   che  da 
ogni  parte  d*  Europa  convennero  in  Firenze 
ad  onorare  il  divino  Alighieri  nel  sesto  se- 
colare anniversario  dalla  sua  nascita     .     .     554 
DCCLXXVIIL  Vittore  Hugo    ftcrit  sur  un  exemplairc  de  la 

Divina  Commedia.  560 

DCCLXXIX.  Gaetano  Ghivizzani.  Traduzione  della  pre- 
cedente poesia  di  Victor  Hugo    ....     564 

DCCLXXX.  Alfredo  Tennyson.  Dante 565 

DCCLXXXI.  Gaetano  Ghivizzani  Traduzione  della  prece- 
dente poesia  di  A.  Tennyson 567 

DCCLXXXII.  Gaetano  Ghivizzani.  Traduzione  di  una  poesia 

di  N.  Ogareff $6% 

DCCLXXXIII.  Maria  Rattazzi   (Marie  de  Solms)    Un  toast 
à  Dante.  Improvisation  pour  Tanniversaire 

de  son  centenaire 570 

DCCLXXXI V.  Gaetano  Ghivizzani.    Traduzione   della   pre- 
cedente poesia  di  Maria  Rattazzi      .     .     .     573 

DCCLXXXV.  Giovanni   Arany.  Dante $76 

DCCLXXXVI.  Gaetano   Ghivizzani.    Traduzione  della   pre- 
cedente poesia  di  Giovanni  Arany  .     .     .     578 
DCCLXXXVII.  Samuele  Davide  Luzzatto.  Leikhbhod  Dante 
.  hamshorer  Cccoin  mei*  oth  shesh  me'  oth 

shanah  leulladto     .     .  580 


INDICE.  669 

DCCLXXXVIII.  Davide  Lolli.  Versione  del  precedente  sonetto 

di  Samuele  Davide  Luzzatto    .     .     .    Pag.  583 
DCCLXXXIX.  G.  Jaré    Versione  del  precedente  sonetto  di 

Samuele  Davide  Luzzatto 585 

DCCXC.  A.  T.  II  busto  del  divino  Poeta  scolpito  da 

Luigi  Minismi  di  Venezia.  Sonetto  .     .     .  587 
DCCXCL  Giuseppe  Asjlio.  Pel  sesto  centenario  di  Dante 

Poemetto 588 

DCCXCIL  Luigi  Sommi-Picenardi   Nel  sesto  cenienario 

di  Dante.  Canto 647 

DCCXCIIL  G.  Toppaai.  Sonetti 658 

DCCXCIV.  A    Rossi.  A  Dante.  Sonetto 660 

DCCXCV.  Giuseppe  Cocchi.  Sonetti 661 

DCCXCVL  A.  O.  Dame.  Sonetto 664 


Esemplare 


N.  23o 


AVVERTENZA 


Col  volume  XV,  che  conterrà  le  ultime  poesie  stam- 
pate in  occasione  del  sesto  centenario,  il  Supplemento 
e  gl'Indici  (alfabetico  ed  analitico)  e  che  sarà  pubbli- 
cato non  oltre  il  mese  di  maggio  del  corrente  anno, 
sarà  posto  termine  a  questa  Raccolta. 


DATE  DUE 

'   STANFORD  UNIVERSITY 
STANFORD^  CAUFORNIA    *.